Diritto amministrativo

Diritto amministrativo


Autore: a cura di Federico Smerchinich 18 apr, 2024
TAR Lombardia, Milano, 28.02.2024, n. 536 IL CASO E LA DECISIONE La decisione in commento è nata da un ricorso, seguito dai motivi aggiunti, con cui una società mista che gestisce i rifiuti ha agito per l’annullamento di una delibera comunale con la quale era stata approvata la revisione del modulo della gestione del servizio rifiuti, con la trasformazione della società partecipata dal Comune da società mista a società in house . Questa trasformazione ha comportato la prosecuzione del servizio, senza incidere sull’affidamento del servizio stesso. Si è trattato, per dirla diversamente, di una riorganizzazione societaria (in riduzione, da società mista a società in house ). Tuttavia, per la società ricorrente, tale trasformazione avrebbe leso i propri interessi ad ottenere l’affidamento, tramite gara, del servizio. Nel ricorso sono stati fatti valere dei vizi di mancanza di istruttoria e dei requisiti legittimanti il modello in house , nonché l’assenza dei presupposti per l’individuazione del modello gestorio in house . La società controinteressata ha invece eccepito che il ricorso fosse inammissibile per carenza di interesse ed ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sull’annullamento delle delibere assembleari e degli atti associativi. A fronte di tali deduzioni, Il TAR, innanzitutto, ha ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo in quanto la partecipazione degli enti pubblici nelle società è, ai sensi dell’ art. 7 d.lgs. n. 175/2016 , decisa con deliberazione del consiglio comunale prodromica alle scelte assembleari. Ne consegue che i soggetti che si ritengono lesi da dette delibere sono titolari di un interesse legittimo, il che radica la giurisdizione presso il giudice amministrativo. Ritenuta la sua giurisdizione, il TAR ha valutato come improcedibile il ricorso principale per sopravvenuta carenza di interesse, mentre ha ritenuto inammissibile il ricorso per motivi aggiunti per preesistente carenza di interesse all’impugnazione. Per arrivare a tale soluzione, il TAR ha svolto una interessante ricostruzione del quadro normativo, che è da tenere presente, perché utile alle amministrazioni pubbliche e alle società private che si trovano a gestire affidamenti in house sia in sede procedimentale, sia processuale. Il TAR ha premesso che, in passato, la legislazione e la giurisprudenza avevano riconosciuto che la costituzione di una società per la gestione del servizio pubblico assorbiva anche la fase dell’affidamento del servizio medesimo, per cui una volta deliberata la costituzione della società partecipata dal comune per la gestione di un certo servizio, non era necessario un ulteriore atto di affidamento della gestione in concessione. Il d.lgs. n. 201/2022 , ora, ha procedimentalizzato l’intera procedura di affidamento, costituendo una fattispecie a formazione progressiva , dove la costituzione della società deve essere preceduta dalla scelta della forma di gestione. Quindi, un atto è la scelta della tipologia di gestione (art. 14 d.lgs. n. 201/2022); altro atto è l’affidamento (art. 17 d.lgs. n. 201/2022) del servizio che completa il procedimento. Diversità di atti confermata dalla necessità di loro pubblicazione sul sito dell’ente e comunicazione all’ANAC ai sensi dell’ art. 31 d.lgs. n. 201/2022 . La sentenza ha evidenziato allora una ricostruzione della differenza tra motivazione nel caso di affidamento in house sopra soglia di cui all’art. 17 d.lgs. n. 201/2022 e altre forme di gestione la cui motivazione (unica) è da rinvenire nell’art. 14 d.lgs. n. 201/2022. La dicotomia tra gli atti, delibera sulla scelta di gestione e delibera di affidamento , ha riflessi anche sul fronte processuale. Infatti, la lesività e l’impugnabilità deve essere valutata con riferimento a ciascuno dei due atti. Secondo il TAR, la scelta del modello di gestione ( in house piuttosto che società mista o gara verso terzi) sarebbe sindacabile solo nel momento in cui la società mista è posta in grado di operare sul mercato con l’atto di affidamento del servizio, in quanto solo in quel momento si andrebbe a creare un danno concorrenziale per gli altri operatori economici del settore. I giudici hanno ritenuto che sia l’ art. 17 comma 2 d.lgs. n. 201/2022 a confermare questa lettura. Interessante, poi, il riferimento della sentenza al ruolo della Corte dei Conti a cui (solamente) spetta il controllo sulla correttezza degli atti di acquisizione di partecipazione o costituzione delle società, a conferma che la lesività di tali atti deve essere mediata da un atto quale è l’affidamento del servizio che li fa incidere sull’interesse legittimo degli operatori economici del settore. Infine, il TAR ha precisato che, in sede di impugnazione dell’atto di affidamento del servizio, potranno essere poi sollevati motivi di impugnazione anche nei confronti degli atti costitutivi della società in house . Infatti, la dicotomia temporale tra la fase di scelta del modello di gestione e quella di affidamento non può essere utilizzata per evitare il controllo giurisdizionale sull’intera procedura pubblicistica di affidamento. Quindi, il TAR ha ritenuto inammissibile il ricorso, perché orientato ad impugnare gli atti relativi alla costituzione (o meglio alla riorganizzazione) della società in house , ma senza che siano stati seguiti dall’affidamento della concessione, invero già in essere a favore della società trasformata. In altre parole, non vi sarebbe stata alcuna lesione per l’impresa ricorrente, perché non vi è stata nuovo affidamento della prestazione e, quindi, non vi è stata alcuna lesione. IL MOMENTO DELL'IMPUGNAZIONE DEGLI ATTI E LA FATTISPECIE A FORMAZIONE PROGRESSIVA Dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 201/2022, in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, e del d.lgs. n.36/2023, cioè il nuovo Codice dei Contratti Pubblici, la materia degli affidamenti in house sta vivendo una nuova stagione. Difatti, il d.lgs. n. 201/2022 ha procedimentalizzato l’affidamento in house nei servizi pubblici di rilevanza economica , prevedendo tutti gli atti necessari a perseguire l’affidamento in autoproduzione come modello ammesso, benché residuale rispetto alla gara pubblica per la selezione dell’affidatario o alla gara a doppio oggetto per la costituzione di una società mista. Dall’altra parte, l’ art. 7 d.lgs. n. 36/2023 prevede che l’affidamento in house sia una modalità alternativa di affidamento della commessa pubblica. Il tema maggiormente discusso in giurisprudenza attiene alla presenza dei requisiti per procedere con l’affidamento in house , alla legittimazione processuale per contestare detta tipologia di affidamento, nonché all’individuazione del primo atto lesivo ai fini della procedibilità del ricorso. Interessante in materia la sentenza di primo grado in commento, perché, partendo dal dato normativo, parrebbe precisare un aspetto non sempre chiaro agli interpreti e agli utenti. La sentenza del TAR Lombardia costituisce un precedente da esaminare soprattutto perché sviluppa un argomento rilevante in materia di ammissibilità dell’impugnazione degli atti di un affidamento in house . Come visto, il TAR parte dal disposto normativo di cui al d.lgs. n. 201/2022 e afferma che esistono due momenti del procedimento di affidamento in house . Il primo, regolato dall’art. 14 d.lgs. n. 201/2022, è quello della scelta della forma di gestione da perseguire, sia essa in house , società mista o affidamento a terzi tramite gara. Il secondo è quello dell’affidamento vero e proprio disciplinato dall’ art. 17 d.lgs. n. 201/2022 . La tesi del TAR è che senza l’atto di affidamento previsto dall’art. 17 non vi può essere lesione, perché la società in house non è, in concreto, divenuta ancora affidataria del servizio e, quindi, non vi è stato affidamento in via diretta e la sottrazione della prestazione dal mercato senza gara. Una tesi che si colloca bene nell’ambito della vicenda decisa, dove una società, già affidataria del servizio perché società mista, si trasforma in società in house , rimanendo pur sempre affidataria del servizio originario fino alla sua naturale scadenza, ma che legittima alcuni interrogativi, se posta a livello assoluto. Secondo il TAR, da tale successione di fatti non vi sarebbe alcuna lesione per le imprese operative sul mercato, perché, già prima della trasformazione societaria, quella prestazione era stata “sottratta” al mercato tramite la procedura ad evidenza pubblica a doppio oggetto propedeutica ad individuare il socio privato della società mista. Sul punto, però, si ritiene di fare un chiarimento. Nel caso di specie, se, per ipotesi, agli atti impugnati, relativi all’organizzazione della società in house , fosse seguito un nuovo atto di affidamento del servizio (art. 17 d.lgs. n. 201/2022), tale atto avrebbe potuto essere impugnato con motivi aggiunti. In questo caso, l’interesse al ricorso sarebbe esistito e il TAR avrebbe dovuto sindacare l’atto di affidamento, così come gli atti costitutivi della società in house . In questa ipotesi, l’impugnazione degli atti di affidamento in house avrebbe dovuto essere preceduta dalla contestazione degli atti che avevano portato l’ente a scegliere la modalità di affidamento in house stesso (art. 14 d.lgs. n. 201/2022), perché presupposto necessario dell’affidamento del contratto. Altrimenti ragionando, non avrebbe senso il disposto dell’art. 14 d.lgs. n. 201/2022 (in passato art. 34 comma 20 d.l. n. 179/2012) che richiede una relazione sulle ragioni della scelta . Infatti, questa relazione serve proprio per verificare se la scelta del tipo di gestione sia conforme alla situazione ed al contesto di riferimento. E dovrebbe ritenersi subito impugnabile. In tal senso, anche la richiesta di sua pubblicazione sembrerebbe volta a farne verificare immediatamente la legittimità. In merito alla serie di atti da impugnare, prima del d.lgs. n. 201/2022, il Consiglio di Stato aveva avuto modo di affermare che: “ La lesione della sfera giuridica del gestore uscente si è avuta non appena il comune (sia con la delibera giuntale n. 111 del 22 luglio 2020 che con quella consiliare n. 40 del 10 settembre 2020) si è univocamente e chiaramente determinato nel senso di affidare il servizio di igiene urbana alla società in house, acquistando le relative azioni. Ebbene, in quel preciso istante il gestore uscente ha avuto la piena e immediata percezione della capacità lesiva offerta dei provvedimenti assunti dal Comune, univocamente indirizzati alla precipua finalità di procedere per l'affidamento in house del servizio, abbandonando ogni volontà di procedere mediante gara ad evidenza pubblica. In altri termini, una volta adottate le delibere in questione, agli originari ricorrenti (gestore uscente) era ormai preclusa ogni possibilità di aspirare a partecipare ad una gara, atteso che la scelta del Comune era ormai già chiara, precisa, univoca e concordante nel senso di non ricorrere al mercato bensì di procedere in house. ” (Cons. Stato, Sez. IV, 19/10/2021, n. 7022). Con questa sentenza era stata riformata la sentenza del TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 23.03.2021, n. 281 che aveva a sua volta affermato: “ Costituisce, invero, condizione dell'azione nell'ambito del processo amministrativo l'interesse a ricorrere, ovverosia l'utilità, anche di natura morale o residuale, che il ricorrente aspira a ottenere attraverso l'esercizio della azione giudiziaria. Detto interesse sorge nel momento in cui la lesione arrecata al bene della vita protetto dall'ordinamento si manifesta come diretta e attuale (cfr., ex plurimis, T.A.R. Piemonte, Sez. I, sentenza n. 765/2020; C.d.S., Sez. VI, sentenza n. 6489/2020). Nel caso di specie, il bene della vita cui le società odierne ricorrenti aspirano è lo svolgimento di una gara per l'individuazione del contraente privato a cui appaltare il servizio di gestione dei rifiuti, e rispetto a tale interesse la lesione si è concretizzata solamente con l'adozione della deliberazione consiliare di affidamento del servizio medesimo alla società S.C. S.p.A.. Dunque, è da tale momento che decorreva il termine decadenziale di esercizio dell'azione di annullamento .” Quindi, per la sezione staccata di Brescia, era da considerarsi tempestivo un ricorso che impugnava solo la delibera di affidamento del servizio, mentre per il Consiglio di Stato tale ricorso era da ritenersi tardivo perché non aveva contestato la scelta a monte verso il modello in house . Ciò, per dire che in materia non è presente un orientamento effettivamente dominante e che quanto si afferma sono solo delle constatazioni di ordine pratico. Eppure, come ben spiegato nella sentenza del TAR Lombardia in commento, esistono due momenti del procedimento a formazione progressiva di affidamento in house che dovrebbero essere considerati ai fini dell’impugnazione. Ma se così effettivamente è, allo stesso modo si dovrebbe considerare a “formazione progressiva” anche l’attività processuale del ricorrente. Laddove, infatti, venisse impugnato l’affidamento (atto dell’art. 17 d.lgs. n. 201/2022), ma non la scelta a monte dell’ente (art. 14 d.lgs. n. 201/2022), potrebbe eccepirsi che il ricorso sia inammissibile, perché l’atto a monte, che determinava la scelta dell’ente, si è consolidato senza essere stato impugnato e la scelta di non ricorrere alla gara sarebbe ormai preclusa, salvo cambio di indirizzo espresso dell’ente pubblico. Quando, invece, venisse impugnato l’atto a monte che orienta l’ente verso la gestione in house , senza che sia contestato l’atto di affidamento del servizio, si potrebbe eccepire una mancanza originaria di interesse (laddove, come nel caso di specie, non vi è nessun nuovo affidamento), o una sopravvenuta carenza di interesse (laddove l’atto di affidamento sia intervenuto ma non è stato censurato). Ma in entrambi in casi ci si porrebbe il problema di capire quando effettivamente è stato leso in concreto l’interesse dell’impresa. Tornando al caso in commento, per fare un ragionamento in termini concreti, ci si dovrebbe chiedere se c’è un modo per contestare la scelta dell’ente pubblico di consentire la prosecuzione del servizio tramite una gestione in house da parte di un soggetto che era una società mista. In altre parole, può avvenire una prosecuzione in via diretta in house della gestione del servizio affidato inizialmente tramite gara pubblica, senza che le imprese di quel mercato possano fare niente? Alla luce di questa sentenza parrebbe darsi risposta affermativa. Ma, allora, se viene preclusa la possibilità di sindacare gli atti al TAR, perché non c’è interesse dell’impresa, l’unico modo di verificare la tenuta della società in house potrebbe essere quella del giudizio davanti alla Corte dei Conti, che dovrebbe verificare la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 16 d.lgs. n. 175/2016. Tuttavia, si nutrono dei dubbi sull’impossibilità per l’impresa di tentare di dimostrare davanti al TAR la non legittimità della scelta sulla prosecuzione del servizio in house , invece che con società mista. D’altronde, il Consiglio di Stato, recentemente, sebbene in un caso diverso, ha ravvisato l’interesse al ricorso (in maniera ampia) sul fatto che il ricorrente “ potrebbe comunque confidare anche in un parallelo cambio di indirizzo politico-amministrativo da parte degli organi preposti i quali, data la complessità dell’operazione legata alla costituzione di un soggetto in house, potrebbero a quel punto ritenere maggiormente conveniente, in termini tecnici ed economici, rivolgersi al mercato di riferimento settoriale piuttosto che riavviare l’impresa di costituire un nuovo e diverso soggetto in house. ” (Cons. Stato, Sez. V, 27.07.2023, n. 7348). Solo il consolidarsi degli orientamenti della giurisprudenza amministrativa sul punto ci potrà fornire delle risposte definitive.
Autore: Silvana Bini 18 mar, 2024
Tar Lombardia, Milano, sentenza n. 1571/2023 del 3.6.2023 IL CASO E LA DECISIONE Un circo chiede al Comune di Milano il rilascio dell’autorizzazione a detenere animali al fine di poter svolgere una manifestazione circense. Il Comune, dopo aver sentito i Garanti per la tutela degli animali, ha prima richiesto di rimuovere alcune criticità connesse alla detenzione e alla custodia degli animali. Quindi ha rilasciato l’autorizzazione per lo svolgimento della manifestazione circense, imponendo tuttavia quale prescrizione il divieto di detenzione di un singolo elefante . Il divieto di detenzione di un singolo esemplare di elefante è stato motivato dagli Uffici comunali richiamando le prescrizioni contenute nelle Linee guida CITES del 2006 , integralmente recepite dall’ art. 34 del Regolamento per il Benessere e la Tutela degli Animali del Comune di Milano . Il "Circo Madagascar" - ovvero la ditta individuale che lo gestisce - ha chiesto a questo punto al TAR l'annullamento del divieto, e il Tribunale adito ha dovuto esaminare l’art. 34 sopra citato, in quanto norma presupposta dell’apposizione della condizione posta dal Comune, ma, prima ancora, il radicamento della potestà regolamentare del Comune . E' stato così evidenziato che in linea generale tale potestà rinviene il proprio diretto fondamento nella Costituzione che, all’art. 117, sesto comma, terzo periodo , stabilisce che “ i Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite ”. Anche la legislazione primaria riconosce espressamente una tale potestà, statuendo che, “ nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dello statuto, il comune e la provincia adottano regolamenti nelle materie di propria competenza ed in particolare per l’organizzazione e il funzionamento delle istituzioni e degli organismi di partecipazione, per il funzionamento degli organi e degli uffici e per l’esercizio delle funzioni ” (art. 7 del D. Lgs. n. 267 del 2000 - Testo unico degli Enti locali; cfr. anche art. 4 della legge n. 131 del 2003 – c.d. legge “La Loggia”: in giurisprudenza, ex multis, T.A.R. Lombardia, Milano, III, 29 novembre 2021, n. 2631). Quindi, alla stregua delle richiamate previsioni, la potestà regolamentare è attribuita al Comune per la disciplina della propria organizzazione e per lo svolgimento delle funzioni proprie o allo stesso conferite (dalla legge statale o regionale: cfr., per l’individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni, l’art. 14, comma 27, del decreto legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, con legge n. 122 del 2010). Tale assetto – direttamente correlato alla circostanza che il Comune è ente a competenza generale , rappresentativo della collettività presente sul proprio territorio (cfr. art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000) – deve essere tuttavia coordinato, come già rilevato, con l’applicazione, nell’ambito pubblicistico, almeno in via generale e salvo eccezioni, del principio di legalità (ex art. 97 Cost.), che presuppone la sussistenza di una norma primaria attributiva, anche in via implicita, del potere o della funzione a un determinato organo o Ente, in modo da legittimarne l’intervento in sede normativa, e quindi anche regolamentare. È stato, difatti, rilevato che l’autonomia comunale “ non implica una riserva intangibile di funzioni, né esclude che il legislatore competente possa modulare [- con legge, appunto, -] gli spazi dell’autonomia municipale a fronte di esigenze generali che giustifichino ragionevolmente la limitazione di funzioni già assegnate agli enti locali ” (Corte costituzionale, sentenze n. 202 del 2021 e n. 160 del 2016). Del resto, in presenza di esigenze generali, si possono giustificare disposizioni legislative limitative delle funzioni già assegnate agli enti locali, purché non venga menomato il nucleo fondamentale delle funzioni loro spettanti, e il richiamato art. 117, sesto comma, Cost., nella sua prima parte, stabilisce che “ la potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia ”, da cui discende che la potestà regolamentare comunale è inibita, o comunque risulta recessiva, laddove, pur a fronte di funzioni attribuite all’Ente locale, esiste o viene successivamente introdotta una disciplina – anche a livello di fonte secondaria – relativa a una materia appartenente alla potestà legislativa statale o regionale: deve sottolinearsi a tal fine che il testo costituzionale definisce “materie” quelle attribuite alla potestà, oltre che legislativa, anche regolamentare dello Stato e delle Regioni, mentre qualifica come “funzioni” quelle attribuite al potere regolamentare dei Comuni (cfr. art. 117, secondo comma, lett. p, e sesto comma, e art. 118 Cost.). Se quindi spetta ai livelli di governo superiori (Stato e Regioni) la disciplina legislativa e regolamentare riguardante le “materie” – intese come ambiti omogenei dell’ordinamento complessivo (si prescinde dalla distinzione tra materie in senso stretto e competenze di tipo trasversale) -, agli enti locali è attribuito il potere regolamentare in ordine ai compiti e alle potestà agli stessi affidati (“funzioni amministrative”); la potestà regolamentare di matrice comunale è pertanto indirizzata a regolare lo svolgimento dei predetti compiti, mentre la disciplina sostanziale delle materie spetta, di regola, agli Enti sovraordinati, in tal modo inibendosi la possibilità di regolamentazione diretta delle stesse da parte del Comune. Dopo questo ampio preliminare esame, il Giudice adito ha dato atto che nella materia relativa al benessere e al trattamento degli animali in generale, allo stato, non si rinviene una complessiva ed esauriente regolamentazione da parte della legislazione primaria (europea, nazionale o regionale), essendo state adottate norme che disciplinano il trattamento degli animali come fattori della produzione agricola finalizzata al consumo umano o in quanto soggetti a sperimentazioni scientifiche, oppure sono rivolte alla tutela degli animali di affezione e alla prevenzione di malattie pericolose per l’uomo (cfr. legge n. 623 del 1985, sulla protezione degli animali da allevamento e da macello; legge n. 281 del 1981, legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo, attuata nella Regione Lombardia con legge n. 16 del 2006; legge n. 150 del 1992, riguardante la disciplina dei reati relativi all’applicazione in Italia della Convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione; d. lgs. n. 146 del 2001, sulla protezione degli animali negli allevamenti; legge n. 189 del 2004, sul divieto di maltrattamento degli animali e l’impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate; Regolamento C.E. n. 1 del 2005, sulla protezione degli animali durante il trasporto e le operazioni correlate; D. Lgs. n. 73 del 2005, relativo alla custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici; Regolamento C.E. n. 1099 del 2009, sulla protezione degli animali durante l’abbattimento; legge n. 201 del 2010, sulla protezione degli animali da compagnia; D. Lgs. n. 26 del 2014, sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici; D. Lgs. n. 135 del 2022, in materia di commercio, importazione, conservazione di animali della fauna selvatica ed esotica e formazione per operatori e professionisti degli animali). Il Tribunale ha però ritenuto che le attuali disposizioni devono “ necessariamente rapportarsi con la recente riforma costituzionale entrata in vigore in data 9 marzo 2022, che contiene uno specifico riferimento alla tutela dell’ambiente e degli animali ". Secondo tale riforma, la Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni, e la legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali (nuovo art. 9, terzo comma, Cost. ). Attraverso tale novella costituzionale si è dato vita a una riserva assoluta di legge statale con riguardo alla tutela degli animali, rafforzandosi in tal modo la già prevista potestà legislativa esclusiva statale in materia di ambiente ( art. 117, secondo comma, lett. s, della Costituzione ). Posto che allo stato non è stata ancora approvata una legge statale attuativa del richiamato disposto costituzionale, si deve ritenere pienamente in vigore il Regolamento per il Benessere e la Tutela degli Animali approvato dal Consiglio comunale di Milano il 3 febbraio 2020, ovvero antecedentemente alla modifica dell’art. 9 della Costituzione, allorquando non esisteva una riserva assoluta di legge statale per tutela degli animali (non essendo ritenuta ostativa dalla giurisprudenza costituzionale la previsione di cui all’art. 117, secondo comma, lett. s, della Costituzione.) Tale interpretazione trova conforto nella giurisprudenza, non solo costituzionale, che all’atto dell’entrata in vigore della Riforma del Titolo V della Seconda Parte della Costituzione approvata nel mese di ottobre del 2001, ha ritenuto che gli atti normativi (anche di rango regolamentare) legittimamente emanati prima della riforma nel rispetto della pregressa normativa, poi superata dalla predetta riforma, nel rispetto del principio di continuità dell’ordinamento , continuano a restare in vigore (c.d. norme cedevoli), fino a quando non vengano sostituite da nuove norme dettate dall’Autorità dotata di competenza nel nuovo sistema (Corte costituzionale, sentenze n. 376 del 2002 e n. 13 del 2004; Consiglio di Stato, Ad. gen., 11 aprile 2002, n. 1). Anche il legislatore ha confermato la validità del principio di continuità, richiamandolo espressamente nell’art. 1, comma 2, della legge n. 131 del 2003 (c.d. Legge La Loggia: “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”). Quindi, anche in assenza di espressa “autorizzazione” del legislatore statale, secondo il TAR Lombardia certamente avrebbe dovuto ritenersi valida ed efficace la normativa regolamentare vigente, che solo un futuro intervento espresso del richiamato legislatore potrà conformare, tenuto altresì conto, come rilevato in precedenza, che la tutela degli animali è strettamente funzionale al perseguimento di un obiettivo “proprio” anche del Comune. Dopo questa ulteriore premessa, il Tribunale è passato ad esaminare la norma regolamentare impugnata, posta a presupposto dell’autorizzazione condizionata. La contestata disposizione comunale, adottata nel perseguimento di finalità di tutela del benessere animale – certamente rientrante nella titolarità del Comune con riguardo al proprio ambito territoriale, - si porrebbe infatti quale strumento idoneo al perseguimento di siffatto obiettivo; d'altra parte, il Comune, nell’ambito delle proprie finalità istituzionali, può certamente ricorrere al potere regolamentare per disciplinare le funzioni di cui è titolare e può anche, nel caso vi sia una interferenza con materie affidate alla potestà normativa di altri enti, intervenire in tali settori, purché la sovrapposizione che si determina risulti strettamente funzionale al perseguimento dell’obiettivo “proprio” del Comune e non rappresenti, invece, un tentativo di regolamentare surrettiziamente in via diretta materie avulse dalla competenza del medesimo ente; si deve trattare in altri termini di una interferenza che non fuoriesca dal perimetro degli interessi comunali e che non impatti poi sul nucleo essenziale della disciplina sostanziale della materia già oggetto di regolamentazione da parte dello Stato o della Regione (cfr., per un parallelo, Corte costituzionale, sentenza n. 119 del 2020). Nella fattispecie esaminata, il Giudice di prime cure ha ritenuto che non solo ricorressero tutti i richiamati presupposti per la perdurante vigenza della normativa regolamentare comunale, ma anche che ricorresse il rispetto del principio di proporzionalità , poiché nella stessa si fa riferimento al “disincentivo” del possesso degli esemplari a rischio e non si prevede una generale inibizione dell’attività da parte degli operatori del settore circense, i quali non subiscono alcuna rilevante e ingiustificata limitazione della propria iniziativa economica privata. E’ stato ritenuto legittimo anche il richiamo alle Linee guida adottate dalla Commissione CITES del 2006, non oggetto di formale recepimento da parte del Ministero dell’Ambiente, a differenza di quelle del 2000: infatti, fino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 135 del 2022 (che ha abrogato l’art. 6 della legge n. 150 del 1992), la detenzione di animali di specie selvatica utilizzati nei circhi e delle mostre faunistiche, al fine di garantire il rispetto delle loro esigenze di benessere e di cura, era rimessa alla valutazione dell’apposita Commissione scientifica prevista dall’ art. 4, comma 5, della legge n. 150 del 1992 , c.d. Commissione scientifica CITES (“ Con decreto del Ministro dell’ambiente, adottato di concerto con il Ministro delle politiche agricole e forestali e con il Ministro del commercio con l’estero, è istituita presso il Ministero dell’ambiente la Commissione scientifica per l’applicazione della Convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973, di cui alla legge 19 dicembre 1975, n. 874 ”). Quindi si tratta dell’Autorità preposta, per espressa disposizione di legge, al settore della tutela degli animali e alla verifica della corretta applicazione della Convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione . E’ una Commissione scientifica – definita Autorità scientifica dall’art. 13, par. 2, Regolamento CE n. 338/97 – per cui le sue determinazioni sono qualificate e possono essere poste a fondamento di una attività normativa (regolamentare, nella specie). In tal senso il TAR ha rievocato la recente giurisprudenza costituzionale, secondo la quale risulta in linea con il dettato costituzionale la circostanza che soltanto i dati scientifici forniti dalle Autorità istituzionalmente preposte allo specifico settore possano giustificare le scelte politiche del titolare del potere normativo (legislativo e regolamentare), non potendo il predetto apporto essere sostituito ricorrendo a fonti diverse, ancorché possa trattarsi di “esperti” del settore, visto che non risulterebbero chiari i criteri di scelta di siffatti ultimi soggetti (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 14 del 2023 ). Peraltro, per riconoscere “validità” alle determinazioni delle istituzioni scientifiche non si richiede un loro recepimento attraverso atti dotati di forza precettiva – ovvero non devono essere validate da alcuna altra Autorità pubblica, attraverso forme o modalità particolari – ma basta che le stesse siano state ritualmente adottate, nel rispetto delle regole proprie del settore, dalla medesima Autorità. Di conseguenza, non rileva che le Linee guida formulate nel 2006 – a differenza di quelle risalenti al 2000 – non siano state recepite in un atto formale da parte del Ministero dell’Ambiente, trattandosi di una determinazione che la Commissione CITES ha adottato in ragione della necessità di aggiornare la disciplina di riferimento: è stato, infatti, precisato che “ il 10 maggio 2000 la Commissione Scientifica ha emanato le prime linee guida di indirizzo per il mantenimento di animali presso circhi e mostre itineranti. Trascorsi sei anni dall’approvazione del documento, tenuto conto delle ricadute applicative e delle nuove conoscenze acquisite in materia, è sentita l’esigenza di aggiornare la disciplina di riferimento per renderla più aderente alle necessità di tutela del benessere animale e degli operatori del settore ”. Pertanto, il riferimento contenuto nel Regolamento comunale impugnato alle Linee guida del 2006 non è stato ritenuto dal TAR illegittimo, ma anzi pienamente coerente con i principi espressi in materia dalla Corte costituzionale. Sulla base queste articolate e approfondite argomentazioni, il Giudice di prima istanza ha concluso per la legittimità dell’art. 34, comma 4, del Regolamento per il Benessere e la Tutela degli Animali del Comune di Milano, dove si stabilisce che “ il Comune di Milano dall’entrata in vigore di questo Regolamento disincentiva sul proprio territorio l’attendamento di circhi, spettacoli e mostre itineranti con al seguito esemplari meritevoli di particolare protezione quali quelli indicati [nelle “Linee guida per il mantenimento degli animali nei circhi e nelle mostre itineranti”, emanate dalla Commissione Scientifica CITES con Delibera del 13 aprile 2006, e successive modificazioni,] appartenenti alle seguenti specie/gruppi tassonomici: primati, cetacei, lupi, orsi, pinnipedi, rinoceronti, ippopotami, giraffe, grandi felini ed elefanti. II disincentivo si estende anche alle iniziative aventi carattere meramente espositivo ”. In particolare, è valso il riferimento a quella parte delle citate Linee guida in cui si prevede che, in sede di allestimento e preparazione di uno spettacolo circense, “ non può essere ammessa la detenzione di un singolo [elefante], così come la detenzione di maschi e femmine insieme ” . Conseguentemente, anche l'assenso condizionato alla manifestazione circense in città, cui si lega il il divieto di detenzione di un singolo elefante, è stata ritenuta legittima e proporzionale, posto che il divieto di detenzione del singolo esemplare non impedisce lo svolgimento dell’intero spettacolo, pur rendendolo inevitabilmente meno attrattivo.
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