Accompagnamento di minori e immigrazione clandestina
Corte giust., Grande Sezione, 3.6.25, causa C‑460/23
La Corte di Giustizia si è trovata a dovere esaminare un rinvio pregiudiziale volto a chiarire la compatibilità di alcune norme unionali con i principi stabiliti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e teso, altresì, a definire, per quanto di interesse nel procedimento penale principale, la compatibilità di una norma incriminatrice interna con tali principi.
Nella fattispecie concreta, così come trattata dinanzi al Giudice del rinvio, occorreva stabilire se una donna extracomunitaria, entrando con passaporti falsi sul territorio italiano, e portando con sé figlia e nipote minorenni, avesse per ciò solo commesso il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.
Il Tribunale resistente aveva in effetti chiesto chiarimenti su due possibili disallineamenti normativi:
- l’eventuale contrasto tra il principio di proporzionalità di cui all’articolo 52 paragrafo 1 della Carta, letto congiuntamente al diritto alla libertà personale e al diritto al patrimonio di cui agli articoli 6 e 17, nonché ai diritti alla vita e all’integrità fisica di cui agli articoli 2 e 3, al diritto d’asilo di cui all’articolo 18 e al rispetto della vita familiare di cui all’articolo 7, e le previsioni della direttiva [2002/90] e della decisione quadro [2002/946] (attuate nell’ordinamento italiano con la disciplina di cui all’articolo 12 T.U.I.), nella parte in cui impongono agli Stati membri l’obbligo di prevedere sanzioni di natura penale a carico di chiunque intenzionalmente favorisca o compia atti diretti a favorire l’ingresso di stranieri irregolari nel territorio dell’Unione, anche laddove la condotta sia posta in essere senza scopo di lucro, senza prevedere al contempo l’obbligo per gli Stati membri di escludere la rilevanza penale di condotte di favoreggiamento dell’ingresso irregolare finalizzate a prestare assistenza umanitaria allo straniero;
- l’eventuale contrasto tra il richiamato principio di proporzionalità e la previsione della fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 12 del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui sanziona la condotta di chi compie atti diretti a procurare l’ingresso illegale di uno straniero nel territorio dello Stato, anche laddove la condotta sia posta in essere senza scopo di lucro, senza escludere al contempo la rilevanza penale di ipotesi di favoreggiamento dell’ingresso irregolare finalizzate a prestare assistenza umanitaria allo straniero.
In risposta a tali quesiti, la Corte di Giustizia ha innanzitutto riepilogato il quadro giuridico di riferimento, procedendo ad integrare, in quanto già implicitamente contenuti nell'essenza della motivazione del Giudice a quo, i parametri di riferimento utili per la verifica d'interesse.
In particolare, il Giudice eurounitario ha evidenziato che a venire in rilievo per la soluzione dei quesiti posti dalla Corte nazionale, sono, nell’ambito della carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, non solo l'art. 7, che garantisce ad ogni persona il diritto al rispetto della sua vita familiare, e l'art. 18, relativo alla garanzia del diritto di asilo, ma anche l'art. 24, che al paragrafo 1 dispone, in particolare, che i minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere, e, al paragrafo 2, prevede che l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private.
Conseguentemente, se pure l'art. 1, par. 1, lett. a) della direttiva 2002/90 stabilisce che ciascuno Stato membro adotta sanzioni penali appropriate «nei confronti di chiunque intenzionalmente aiuti una persona che non sia cittadino di uno Stato membro ad entrare o a transitare nel territorio di uno Stato membro in violazione della legislazione di detto Stato relativa all’ingresso o al transito degli stranieri», tale articolo non può essere interpretato nel senso che rientri nei comportamenti illeciti da esso previsti la condotta di una persona che, in violazione del regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone, faccia entrare nel territorio di uno Stato membro minori cittadini di Paesi terzi di cui è effettivamente affidataria.
A ciò osta innanzitutto l'esame degli obiettivi che la suddetta direttiva si propone, in quanto, anche se la formulazione aperta dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), sopra richiamato si presta a diverse interpretazioni, la condotta illegale di accompagnamento di minori di cui la straniera è affidataria costituisce non già un favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, che la direttiva in questione mira a combattere, ma deriva dall’assunzione diretta, da parte di tale persona, della responsabilità che le incombe in quanto per l’appunto affidataria di detti minori.
In altri termini, interpretare troppo estensivamente la norma eurounitaria in questione comporterebbe un’ingerenza particolarmente grave nel diritto al rispetto della vita familiare e dei diritti del minore, sanciti, rispettivamente, agli articoli 7 e 24 della Carta, al punto da pregiudicare il “contenuto essenziale” di tali diritti fondamentali, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta.
La lesione di tale contenuto essenziale deriverebbe dal fatto stesso di “criminalizzare” una condotta che non è altro che l’espressione particolare e concreta della responsabilità generale degli adulti sui minori ad essi affidati, in quanto, nel caso di specie, l’immigrato clandestino “si limita, in linea di principio, ad assumere concretamente un obbligo inerente alla sua responsabilità personale, che si fonda sul suo rapporto familiare con detti minori, al fine di garantire loro la protezione e le cure necessarie al loro benessere nonché al loro sviluppo”.
D’altra parte, siffatta interpretazione dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2002/90 si impone anche alla luce dell’articolo 18 della Carta, qualora la persona interessata, una volta entrata nel territorio dello Stato membro di cui si tratta, abbia presentato una domanda di protezione internazionale, così come avvenuto nel caso trattato dal Giudice a quo.
Invero, il diritto di asilo è garantito nel rispetto delle norme stabilite dalla convenzione di Ginevra e conformemente al Trattato UE e al Trattato FUE, e l’applicazione della citata direttiva 2002/90 non pregiudica la protezione concessa ai rifugiati e ai richiedenti asilo e, in particolare, l’osservanza, da parte degli Stati membri, delle loro obbligazioni internazionali ai sensi, in particolare, dell’articolo 31 della convenzione di Ginevra.
Ed è anche in virtù di tali obblighi che deve essere riconosciuto il diritto di qualsiasi cittadino di un Paese terzo o di un apolide di presentare una domanda di protezione internazionale nel territorio di uno Stato membro, comprese le sue frontiere o le zone di transito, anche qualora egli si trovi in una situazione di soggiorno irregolare in detto territorio, a prescindere dalle possibilità di successo della sua domanda.
Sotto altro profilo, peraltro, l’interpretazione meno estensiva della disciplina eurounitaria sulla illiceità delle condotte di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è corroborata anche dal protocollo di Palermo sul traffico di migranti, protocollo che, all’articolo 2, si pone l’obiettivo di criminalizzare il traffico di migranti, proteggendo al contempo i diritti dei migranti stessi.
Di certo, conclude la Corte di Giustizia, non si sottraggono, in tal modo, all’ambito di applicazione del diritto penale comportamenti che, sotto il pretesto di essere giustificati da legami familiari, perseguono, in realtà, altre finalità quali l’immigrazione clandestina, il lavoro illegale, la tratta degli esseri umani o lo sfruttamento sessuale dei minori, posto che esistono al riguardo altri strumenti complementari alla direttiva 2002/90 utilizzabili per contrastare le suddette finalità.