T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, Sez. III, 18 giugno 2021, n. 7333
PREMESSA
La sentenza in commento ha suscitato un vespaio di polemiche sul fronte giornalistico. L’accusa, variamente declinata e riportata sulle diverse testate, è quella di avere assimilato l’attività giornalistica ad un procedimento amministrativo. La paura, quella di una compressione della libertà di informazione e della tutela delle fonti.
In realtà, occorre partire da un dato di fatto inoppugnabile. La RAI è un soggetto formalmente privato ma sostanzialmente pubblico, concessionario in esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo.
Numerosi componenti del suo C.d.A. provengono da un organo esterno alla compagine sociale, quale è la Commissione parlamentare di vigilanza, mentre a (parziale) copertura dei costi di gestione del servizio legislativamente affidato alla RAI provvede un canone, avente natura di imposta, che grava sulla collettività.
Come tale, dunque, la RAI non è sottratta alla disciplina dell’accesso di cui alla L. n. 241 del 1990.
Problema diverso è stabilire se l’attività giornalistica svolta per conto della RAI – e poi resa pubblica dalla trasmissione di inchieste televisive – debba essere “protetta” nella sua fase preparatoria.
Sorgono al riguardo diversi punti interrogativi sul fronte giuridico, a cui l’interprete deve necessariamente dare una risposta, quando venga in rilievo, come nel caso di specie, l’interesse di un soggetto coinvolto da inchieste giornalistiche ad ottenere piena conoscenza della documentazione sulla cui base ritiene di avere subito un pregiudizio di immagine.
Dal punto di vista della tutela più intensa – quella connessa a fatti di diffamazione – la Corte di Cassazione ci insegna che il diritto di cronaca, per essere legittimamente esercitato, deve rispettare i criteri della continenza, della verità dei fatti e dell’interesse pubblico.
Oggetto della verifica del rispetto di tali criteri è senz’altro il contenuto diretto del servizio e degli spunti critici diffusi presso il pubblico.
Ma dal punto di vista del diritto di accesso agli atti del procedimento di un concessionario di servizio pubblico, anche altra documentazione, connessa ai contenuti mandati in onda, può essere di interesse del soggetto coinvolto dal programma televisivo.
Ecco allora che sorgono possibili conflitti tra il diritto all’informazione piena, quale principio generale dell'attività amministrativa, finalizzato a favorire la partecipazione e ad assicurarne l'imparzialità e la trasparenza, ed altri interessi “sensibili”, quali il segreto professionale spettante al giornalista sulla fonte delle notizie, ex art. 2, comma 3, l. n. 69 del 1963, e il suo rapporto con la previsione legislativa secondo cui nel processo penale il segreto giornalistico tutela unicamente “i nomi delle persone” dalle quali i giornalisti professionisti hanno avuto notizie di carattere fiduciario, ex art. 200, comma 3 del codice di procedura penale.
Si tratta certamente di questioni non facilmente risolvibili e il cui nodo di fondo – dal quale può derivare una possibile discriminazione tra giornalista “pubblico” e giornalista “privato” – è strettamente connesso all’ambiguità di un soggetto la cui natura bifronte (gestore in esclusiva di un servizio pubblico da un lato, e concorrente nel mercato radiotelevisivo dall’altro) rischia di
deformare parzialmente e selettivamente lo statuto professionale dei “guardiani della democrazia”.
COMMENTO
a cura di Federico Smerchinich
1.Il caso e la questione giuridica decisa dal TAR Lazio.
Per inquadrare correttamente la vicenda giuridica e comprenderne appieno l’interesse alla decisione in commento è necessario partire dallo scorso 26 ottobre 2020, quando su Rai Tre è andata in onda la puntata di Report dal titolo “Vassalli, Valvassori e Valvassini” che ha illustrato i risultati di un’inchiesta giornalistica in merito a presunti rapporti (illeciti) tra alcune Amministrazioni Pubbliche della Lombardia, esponenti di un noto partito politico ed imprenditori privati, al fine di creare una rete di relazioni professionistiche (descritta nella puntata come lobby). [1]
Nell’ambito del programma televisivo è stato fatto più volte il nome di un noto avvocato e del suo Studio legale in merito alle presunte colleganze con lo scenario di relazioni descritte nel corso della trasmissione. [2]
E così, il legale a cui si faceva riferimento durante la puntata di Report ha presentato istanza di accesso agli atti del programma televisivo al fine di conoscere i documenti posti dai giornalisti alla base della trasmissione, tutte le richieste rivolte dai giornalisti agli intervistati, tutte le informazioni fornite ai giornalisti, i video integrali della trasmissione, oltre ai dati degli ascolti e della pubblicità del servizio fatta dall’emittente.
La Rai, però, ha negato l’accesso agli atti ed il legale ha impugnato detto diniego con ricorso avanti al TAR Lazio, facendo valere due motivi di doglianza: uno relativo alla sussistenza dei requisiti per concedere l’accesso documentale (artt. 22 ss. l. n 241/1990), l’altro, in subordine, sulla violazione della normativa sull’accesso civico (d.lgs. n. 33/2013, circolari ministeriali 1/2014 e 2/2017, delibera ANAC 1309/2016).
In particolare, il ricorrente ha chiesto l’annullamento del diniego all’ostensione documentale argomentando in merito alla obiettiva riferibilità della stessa alla sua persona e all’esigenza di tutelare l’onore al buon nome, oltre ad eventuali pretese risarcitorie. Inoltre, rilevando la natura di servizio pubblico offerto dalla Rai, ha sostenuto la tesi per cui si dovesse riconoscere la legittimazione passiva dell’emittente televisiva, l’essenza di “documento amministrativo” dei dati richiesti, l’inopponibilità del segreto professionale giornalistico nonché, comunque, la sottoposizione della Rai alla normativa sull’accesso civico essendo società a partecipazione pubblica.
La Rai, da parte sua, si è costituita in giudizio e, dopo aver ricordato la pendenza di un reclamo proposto ex art. 77 Reg. Ue n. 679/2016 al Garante per la protezione dei dati personali, ha eccepito la mancanza del nesso di strumentalità tra documenti e scopo difensivo fatto valere dal ricorrente, e l’inapplicabilità della disciplina dell’accesso civico alla società in quanto emittente di strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati.
Si anticipa sin da ora che il TAR ha accolto il ricorso, limitatamente alla violazione delle norme sull’accesso documentale, rigettando il motivo sull’accesso civico. La decisione, però, è apparsa tutt’altro che scontata, e necessita di un'analisi delle ragioni dell’annullamento parziale del diniego all’ostensione.
Innanzitutto, leggendo i motivi della decisione, il TAR Lazio ha accolto l’eccezione della Rai, richiamando un suo precedente in merito all’accesso della documentazione inerente alle nomine di alcuni direttori di Rete e Testate (TAR Lazio, Sez. III, 3 marzo 2021, n. 2607), riconoscendo l’inapplicabilità alla Rai della disciplina sull’accesso civico che, all’art. 2 bis c. 2 lett. b) da d.lgs. n. 33/2013, esclude la legittimazione passiva delle società di cui all’art. 2 c. 1 lett. p) d.lgs. n. 175/2016, ivi compresa anche di quelle a partecipazione pubblica emittenti di azioni quotate (o strumenti finanziari diversi) in mercati regolamentati.
L’argomento escludente è basato sul fatto che le società regolamentate, per il loro ruolo (protettivo) nei confronti degli investitori e dell’interesse pubblico del mercato, sono già sottoposte ad obblighi, controlli stringenti e sanzioni ad hoc che giustificano l’inapplicabilità del d.lgs. n. 33/2013.
Dall’altra parte, però, il TAR Lazio riconosce l’assoggettamento della Rai alla disciplina dell’accesso documentale da l. n. 241/1990, in quanto, nonostante la sua natura privatistica: gestisce servizi pubblici; sottostà alla nomina dei componenti del Consiglio di Amministrazione da parte di una Commissione parlamentare di vigilanza; svolge un’attività che non è libera nei fini ma persegue uno scopo normativamente fissato; percepisce il canone Rai avente natura di imposta.
Oltre a tutto ciò, il giudice aggiunge che l’Ente è anche di proprietà pubblica ed è concessionario esclusivo del servizio televisivo, concludendo necessariamente per la natura pubblicistica dell’emittente con riconoscimento della sua legittimazione passiva all’accesso agli atti secondo la normativa sul procedimento amministrativo generale.
Rilevato perciò l’assoggettamento della Rai all’accesso documentale, il TAR Lazio ha riscontrato la presenza dell’interesse del ricorrente all’ostensione documentale, aderendo alla tesi della consistenza autonoma della legittimazione all’accesso agli atti, senza che debba essere dimostrata la pretesa sostanziale sottostante all’istanza, ma bastando un’utilità intesa in senso ampio. Secondo questa prospettazione non è necessario (né richiesto) alcun vaglio in concreto dell’Amministrazione sull’utilità e sulla strumentalità della richiesta di accesso, essendo sufficiente accertare un collegamento in astratto con i documenti oggetto dell’istanza. In tal caso il giudice ha valorizzato il diretto e specifico coinvolgimento del ricorrente nella trasmissione televisiva ai cui documenti e dati lo stesso ha richiesto di accedere.
Al riguardo, nella parte finale della sentenza, superando un’ulteriore eccezione della resistente sulla sua legittimazione passiva, il TAR Lazio ha ritenuto che anche l’attività propedeutica ad un’inchiesta giornalistica rientri tra le informazioni pubbliche riconducibili nell’ambito del servizio pubblico radiotelevisivo affidato in concessione alla Rai, caratterizzato da pluralismo, democraticità ed imparzialità dell’informazione. Perciò, l’attività di indagine necessaria a preparare un servizio televisivo non può ritenersi disgiunta dall’informazione stessa.
Alla luce di questo ultimo rilevante aspetto, decisivo ai fini dell’individuazione dei documenti a cui riconoscere l’ostensione, il TAR Lazio ha accolto il motivo di ricorso sulla violazione della normativa dell’accesso documentale, riconoscendo l’interesse del ricorrente ad accedere a tutti i documenti ed informazioni preparatorie del servizio poi andato in onda con specifico (ma limitato) riferimento a quelli aventi ad oggetto la rete di rapporti consulenziali instaurati presuntivamente dal ricorrente su incarico delle Amministrazioni Pubbliche. In tale ottica è stata ritenuta priva di rilievo l’eccezione della Rai sul segreto professionale giornalistico.
2.Principio di diritto espresso e osservazioni a margine della sentenza.
Riassunta brevemente la decisione, se ne trae il principio di diritto per cui qualora una trasmissione televisiva, prodotta da un’emittente partecipata pubblicamente e concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, mandi in onda una puntata basata su dati raccolti nel corso di un’inchiesta giornalistica, in cui si tratta di attività di soggetti terzi, essi possono accedere ex artt. 22 ss. l. n. 241/1990 alle informazioni e ai documenti anche preparatori della puntata televisiva in questione.
Detto in altri termini, ogni volta che un’inchiesta giornalistica sfocia in una puntata televisiva mandata in onda da un soggetto sostanzialmente pubblico, concessionario del servizio radiotelevisivo, non può essere negato l’accesso ai documenti utilizzati per preparare detta puntata, qualora richiesti da persone direttamente citate nella stessa.
Quanto finora illustrato rende evidente l’innovatività del principio appena descritto e del suo impatto mediatico, come dimostrato dagli articoli di plurime testate giornalistiche apparsi non appena è stata pubblicata la sentenza.
Nella presente sede però, si cercheranno di cogliere alcuni spunti dal punto di vista del diritto amministrativo puro, tralasciando prese di posizione che esulino da tale ambito.
L’interesse giuridico della sentenza risiede principalmente nel fatto di aver (forse per la prima volta in modo così netto) ribadito la necessità di garantire la trasparenza dell’azione amministrativa, con la più ampia disclosure, indipendentemente dal fatto che l’attività posta in essere sia svolta da giornalisti (in questo caso, ma lo stesso dovrebbe valere anche per altri professionisti soggetti ad obblighi di segretezza) comunque dipendenti del concessionario del servizio radiotelevisivo. Infatti, leggendo la sentenza salta subito all’occhio che l’inchiesta giornalistica viene equiparata all’attività istruttoria del procedimento amministrativo, mentre la puntata andata in onda assume i connotati della volontà amministrativa che si estrinseca con effetti (anche lesivi) verso l’esterno. E così, il giornalista che ha svolto le indagini, le interviste e raccolto le informazioni dalle sue “fonti” viene accomunato al funzionario che istruisce il procedimento, non rilevando più le garanzie di segretezza derivanti dal suo ruolo.
Proprio ricorrendo all’analogia tra procedimento amministrativo e servizio televisivo è possibile riconoscere come in effetti la sentenza abbia portato una novità che necessariamente avrà ripercussioni sulle future puntate televisive di altri programmi organizzati nello stesso modo.
Eppure il ragionamento seguito nella decisione sembra corretto, rilevando i prerequisiti necessari per l’accesso documentale ed inserendo solo una novità, che però ne aumenta esponenzialmente la portata.
Andando con ordine, infatti, la legittimazione passiva della Rai viene riconosciuta in virtù del suo ruolo di concessionaria di un servizio pubblico, della sua natura di società mista partecipata pubblicamente, del controllo esercitato sulla stessa dalla Commissione parlamentare di vigilanza e dello scopo previsto normativamente. La legittimazione attiva del richiedente è dimostrata dal fatto che il ricorrente è stato direttamente interessato dal servizio andato in onda e può vantare un interesse strumentale alla conoscenza dei documenti richiesti, indipendentemente dall’utilità degli stessi. Fin qui niente di nuovo, bensì tutti concetti a più riprese fatti propri dalla giurisprudenza amministrativa, interpretando in senso più o meno lato le norme della l. n. 241/1990.
La novità risiede invece nella lettura che viene data al concetto di documento amministrativo, che viene esteso fino a ricomprendere anche gli atti oggetto dell’attività preparatoria dell’inchiesta giornalistica, oltre che della puntata andata in onda.
Questa interpretazione estensiva di ciò che è un “documento amministrativo” rende ininfluente che i dati e le informazioni richieste derivino da un’inchiesta giornalistica, in quanto tutti elementi assorbiti nel concetto di “servizio di informazione pubblica”. In tale ottica, sfruttando anche il fatto che i servizi andati in onda nel caso concreto hanno riguardato interlocuzioni anche con soggetti pubblici, il TAR Lazio ha superato il limite dato dalla segretezza giornalistica nel rivelare le sue fonti, facendo prevalere la trasparenza dell’azione amministrativa sulla tutela dell’attività giornalistica.
Al riguardo, però, è bene fare alcune puntualizzazioni.
Infatti, le “fonti” giornalistiche in questo caso sono state rese note (almeno così pare, guardando la puntata su Raiplay e leggendo gli estratti dell’intervista), con didascalie che riportano nomi e funzioni svolte dagli intervistati. Né dall’altra parte si fa alcun riferimento in sentenza a memorie presentate da parte di controinteressati che in sede procedimentale si sarebbero opposti all’ostensione documentale a tutela della propria riservatezza. Dunque, non parrebbe a prima vista sussistente alcun interesse di terzi da tutelare, se non quello dei giornalisti conduttori del programma a preservare le proprie inchieste giornalistiche. Conduttori che, in ogni caso, non si sono costituiti in giudizio.
Ad ogni modo, proprio partendo da quest’ultimo rilievo, si dovrebbe interpretare la sentenza, in sede di esecuzione dell’accesso, come delimitante l’ostensione solo ai documenti ed informazioni utilizzati nella preparazione del servizio e “poi effettivamente citati o andati in onda” nel corso della trasmissione, preservando così da ogni ulteriore ostensione possibili documenti, dati e fonti che il giornalista ha deciso di non rendere di “dominio pubblico”. È, infatti, noto che nell’attività giornalistica solo una parte dei risultati raccolti durante l’inchiesta poi confluiscono effettivamente nel servizio finale e sembrerebbe un controsenso se comunque tali fonti vengano rese note in seguito all’accesso agli atti.
Probabilmente, deve essere letto così l’inciso del Tar Lazio secondo cui occorre delimitare la documentazione ostensibile alle “richieste informative rivolte in via scritta dalla redazione del programma ad enti di natura pubblica in merito all’eventuale conferimento di incarichi ovvero di consulenze in favore di parte ricorrente, unitamente ai riscontri forniti dai suddetti enti”, trattandosi di una parte di documentazione che, “coinvolgendo l’interlocuzione intercorsa con soggetti di natura pubblica, rende priva di rilievo nel caso concreto la prospettazione difensiva articolata dalla Società resistente circa la prevalenza che dovrebbe riconoscersi al segreto giornalistico sulle “fonti” informative per sostenere l’esclusione ovvero la limitazione dell’accesso nel caso di specie”.
Ma, anche tutto ciò considerato, permane l’interrogativo sul differente status che parrebbe emergere tra l’attività del giornalista RAI e quella del giornalista che compie attività preparatoria di inchieste televisive che vanno in onda su reti private, fornendo entrambi pur sempre un servizio di informazione pubblica e in concorrenza tra di loro.
Ed è lecito pensare che questa sentenza, unitamente a quanto chiarirà eventualmente il Consiglio di Stato ad esito del già preannunciato appello, possa offrire spunti per un nuovo orientamento di “sistema”, che contemperi in modo adeguato la trasparenza amministrativa con le innegabili e rilevanti esigenze “interne” del mondo del giornalismo.
[1] La puntata è pubblicata sul sito di Raiplay
https://www.rai.it/programmi/report/inchieste/Vassalli-valvassori-e-valvassini-6ac269cd-7c71-47d3-9786-10e014912f25.html
[2] L’intera intervista è riportata documentalmente sul sito della Rai
https://www.rai.it/dl/doc/1610362105646_vassalli_valvassori_valvassini_report.pdf