Le nostre coscienze sono state scosse non poco dall’ennesima tragedia sul lavoro, compiutasi nel caso di specie a Firenze lo scorso febbraio.
Fa sempre un certo effetto pensare che qualcuno, ancora oggi, nel 2024, esca di casa la mattina salutando i suoi cari per andare a lavorare, e poi non torni più.
All’interno di un cantiere aperto da tempo per la costruzione di un supermercato con marchio Esselunga è crollata una delle grandi travi portanti del tetto con sopra il solaio, e le macerie hanno investito una squadra di otto operai, di cui tre sono morti sul colpo e un altro è stato trovato, sempre senza vita, dopo lunghe e strazianti ricerche.
Subito l’attenzione dell’opinione pubblica si è soffermata sul fatto che la costruzione del nuovo supermercato stesse interessando un notevole numero di imprese in subappalto; i sindacati hanno inoltre suggerito l’ipotesi dell’applicazione, ad alcuni dei lavoratori coinvolti, del contratto di lavoro sbagliato, ovvero del contratto metalmeccanico al posto del contratto edile.
Un dettaglio di non poco contro, in quanto così si “salta” la formazione obbligatoria e specifica e si utilizza un contratto che ha un costo minore per garantire la possibilità di risparmio.
Ci sono poi i non rari casi in cui il contratto applicato neanche c’è, perché le prestazioni, specie quelle in subappalto, sono effettuate “in nero”.
La polemica sull’abuso di questo istituto giuridico, strumento che rende in teoria più flessibile la realizzazione di opere complesse, ha ovviamente lambito anche la materia dei contratti pubblici, ovvero di quei contratti in cui la stazione appaltante non è un privato ma un’amministrazione statale, regionale o locale.
Si potrebbe pensare che la presenza di un ente pubblico e la necessaria intermediazione di una previa gara di appalto con regole rigorose renda in questo caso impermeabile, rispetto ai rischi del settore privato, il ricorso al subappalto, ma purtroppo non è così.
In un Paese come il nostro, dove le infiltrazioni malavitose nell’economia sono tutt’altro che infrequenti, dove le imprese sane sono spesso “strozzate” da fisco e burocrazia e la macchina pubblica è lenta e farraginosa nei controlli, l’istituto del subappalto costituisce da sempre un “crocevia” caldo e controverso del dibattito teorico sui massimi sistemi.
A tale dibattito corrisponde un legislatore oscillante, che spesso e volentieri non riesce a fare buona sintesi della realtà del Paese, delle esigenze delle stazioni appaltanti e delle richieste che ci provengono dall’Unione europea.
E’ accaduto così, senza risalire ancora più indietro, che il codice degli appalti del 2016 – oggi non più vigente, se non per le procedure già in corso di esecuzione al momento della sua abrogazione – aveva originariamente disciplinato il subappalto all’art. 105 con un semplicissimo precetto: “E’ ammesso il subappalto secondo le disposizioni del presente articolo”.
Dopo di che, l’articolo di riferimento è cambiato più e più volte.
Ma quali erano le principali regole a cui aveva pensato il legislatore del 2016?
Innanzitutto, una percentuale massima di prestazioni affidabili in subappalto: l'eventuale subappalto non può superare la quota del 30 per cento dell'importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture.
In secondo luogo, la necessaria preventiva comunicazione, già in sede di gara, di alcuni elementi del subappalto, ai fini della successiva autorizzazione: i lavori o le parti di opere ovvero i servizi e le forniture o parti di servizi e forniture; l'assenza in capo ai subappaltatori dei motivi di esclusione di cui all'articolo 80.
In terzo luogo, l’indicazione obbligatoria della terna di subappaltatori, qualora gli appalti di lavori, servizi o forniture siano di importo pari o superiore alle soglie di cui all'articolo 35.
In quarto luogo, la responsabilità in solido in capo all'affidatario dell’appalto dell’osservanza integrale, da parte del subappaltatore, del trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi nazionali e territoriali in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni.
Infine, il divieto di subappalto a cascata: l'esecuzione delle prestazioni affidate in subappalto non può formare oggetto di ulteriore subappalto.
In principio, con il d.lgs. n. 56 del 2017, a correzione dell’iniziale formulazione, è stato previsto il divieto di affidamento del subappalto anche a chi avesse partecipato alla procedura per l'affidamento dell'appalto stesso.
Ma il 24 gennaio 2019, la Commissione europea ha trasmesso al Governo italiano una lettera di costituzione in mora nell'ambito della procedura di infrazione n. 2018/2273, con la quale ha contestato all'Italia l'incompatibilità di alcune disposizioni dell'ordinamento interno (in larga parte contenute nel decreto legislativo n. 50 del 2016) in materia di contratti pubblici, rispetto a quanto disposto dalle direttive europee relative alle concessioni (direttiva 2014/23), agli appalti pubblici nei settori ordinari (direttiva 2014/24) e agli appalti pubblici nei settori speciali (direttiva 2014/25).
Successivamente, il 27 novembre 2019, la Commissione europea ha indirizzato all'esecutivo una lettera di costituzione in mora complementare, rilevando che i problemi di conformità sollevati in precedenza non erano ancora stati risolti, e individuando ulteriori disposizioni della legislazione italiana non conformi alle citate direttive.
Il Governo italiano ha allora comunicato l'intenzione di apportare modificazioni alla legislazione vigente, al fine di adeguare la disciplina nazionale a quella europea, fornendo elementi di informazione e di chiarimento rispetto a taluni profili di incompatibilità che a suo giudizio non avrebbero necessitato di ulteriori interventi normativi.
Nello specifico, all’incompatibilità con la normativa europea eccepita dalla Commissione europea del divieto di subappaltare più del 30 per cento di un contratto pubblico, il legislatore ha risposto con il decreto legge n. 32/2019 (cosiddetto "sbloccacantieri"), che ha innalzato la soglia massima del subappalto dal 30% al 40% fino al 30 giugno 2021, nelle more di una complessiva revisione del codice dei contratti pubblici.
Si era previsto, in particolare, che il subappalto dovesse essere indicato dalle stazioni appaltanti nel bando di gara e non potesse superare la quota del 40 per cento dell'importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture. Tali disposizioni hanno operato in deroga all'articolo 105, comma 2, del codice medesimo, il quale pure prescriveva la necessità di indicare il subappalto nel bando di gara, ma fissava, come visto, la soglia massima del subappalto nella misura del 30 per cento dell'importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture.
Tuttavia, nella messa in mora complementare, la Commissione europea ha osservato che tale modifica non sarebbe stata sufficiente a rendere l'ordinamento nazionale conforme a quello europeo, sia perché si trattava di una modifica solo temporanea, sia perché un limite al subappalto del 40%, pur essendo meno restrittivo, era da considerarsi comunque incompatibile con la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea.
In effetti, su questo specifico aspetto erano già intervenuti i Giudici europei in sede di pronuncia su una questione pregiudiziale sollevata dal TAR Lombardia, con la sentenza del 26 settembre 2019 nella causa C-63/18 (Vitali SpA contro Autostrade per l'Italia SpA), per chiarire la portata del diritto dell'UE in materia di appalti pubblici, con particolare riferimento al regime del subappalto.
Il Tribunale meneghino aveva chiesto alla Corte se i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del TFUE, l'articolo 71 della direttiva 2014/24, il quale non contempla limitazioni quantitative al subappalto, e il principio di diritto dell'Unione europea di proporzionalità, ostino all'applicazione di una normativa nazionale in materia di appalti pubblici, quale quella italiana contenuta nell'articolo 105, comma 2, terzo periodo, del decreto legislativo n. 50/2016, secondo la quale il subappalto non poteva superare la quota del 30 per cento dell'importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture.
La Corte di giustizia dell'Unione europea ha rilevato che la criticità del limite quantitativo del ricorso al subappalto (come regolato dall'ordinamento italiano) si ricollegava alla sua applicazione indipendentemente dal settore economico interessato, dall'appalto di cui trattasi, dalla natura dei lavori o dall'identità dei subappaltatori, e al fatto che la disciplina italiana non lasciava spazi a valutazioni caso per caso da parte della stazione appaltante, e ciò anche qualora questa fosse in grado di verificare l'identità dei subappaltatori interessati.
D’altra parte, anche se il contrasto al fenomeno dell'infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo che può giustificare una restrizione alle regole fondamentali e ai principi generali del TFUE che si applicano nell'ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti, e anche supponendo che una limitazione quantitativa al ricorso al subappalto possa essere considerata idonea a contrastare tale fenomeno, una restrizione come quella prevista dal codice dei contratti pubblici del 2016 era da considerarsi, secondo i Giudici europei, “eccedente” rispetto a quanto necessario al raggiungimento dell’obiettivo.
Con il decreto legge n. 32 del 2019 il legislatore nazionale ha disposto anche la sospensione transitoria (originariamente fino al 31 dicembre 2020) dell'applicazione del comma 6 dell’art. 105 del codice dei contratti pubblici, ovvero delle disposizioni che stabiliscono l'obbligatorietà della indicazione della terna di subappaltatori in sede di offerta, qualora gli appalti di lavori, servizi e forniture siano di importo pari o superiore alle soglie comunitarie di cui all'articolo 35 del codice dei contratti pubblici o, indipendentemente dall'importo a base di gara, riguardino le attività maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa.
La Commissione europea ha in ogni caso osservato che tale sospensione non avrebbe potuto essere considerata una soluzione alla questione sollevata nella lettera di costituzione in mora, in quanto tale sospensione era solo temporanea.
Sulla materia è intervenuta infine anche l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) la quale, il 4 novembre 2020, ha inviato una segnalazione sui limiti di utilizzo del subappalto in cui riteneva opportuna una modifica normativa volta a:
- eliminare la previsione generale e astratta di una soglia massima di affidamento subappaltabile;
- prevedere l'obbligo in capo agli offerenti, che intendano ricorrere al subappalto, di indicare in sede di gara la tipologia e la quota parte di lavori in subappalto, oltre all'identità dei subappaltatori;
- consentire alle stazioni appaltanti di introdurre, tenuto conto dello specifico contesto di gara, eventuali limiti all'utilizzo del subappalto che siano proporzionati rispetto agli obiettivi di interesse generale da perseguire e adeguatamente motivati in considerazione della struttura del mercato interessato, della natura delle prestazioni o dell'identità dei subappaltatori.
Nelle more dell’approvazione della legge di delegazione europea 2019-2020, il d.l. n. 77/2021, entrato in vigore il primo giugno 2021 - in occasione della traduzione in norme dei processi di realizzazione dei progetti PNRR e PNC -, ha colto l’occasione per ottemperare ai diktat della Commissione europea e della Corte di Giustizia, prevedendo modifiche importanti all’intera disciplina del subappalto, e sopprimendo la norma del d.l. n. 32 del 2019 che aveva innalzato la soglia massima del subappalto dal 30% al 40%.
Successivamente, nella cosiddetta Legge europea 2019-2020 (L. n. 238 del 2021) il comma 6 dell’art. 105 – contenente il principio dell’indicazione della terna di subappaltatori – è stato definitivamente abrogato; contemporaneamente, è venuto meno il divieto di affidamento del subappalto a chi avesse partecipato alla procedura per l'affidamento dell'appalto in questione e si è stabilito che i motivi di esclusione di cui all'articolo 80 a carico del futuro subappaltatore non avrebbero più dovuti essere dimostrati dal concorrente.
E’ arrivato infine il nuovo codice degli appalti. Qualche illustre giurista ha detto che si rifiuta di chiamarlo codice, perché i codici un tempo resistevano molto più di soli sette anni, un po’ come le relazioni sentimentali.
Forse sarebbe stato meglio chiamarlo testo unico.
All’interno delle nuove norme, l’art. 105 è stato integralmente riscritto, e oggi le nuove disposizioni sono contenute nell’art. 119 del d.lgs. n. 36 del 2023.
Nel nuovo sistema, posta la nullità della cessione del contratto di appalto, il subappalto è sempre ammesso, salvo che specifiche caratteristiche dell'appalto determinino l’amministrazione contraente ad escluderlo, “in ragione dell'esigenza di rafforzare, tenuto conto della natura o della complessità delle prestazioni o delle lavorazioni da effettuare, il controllo delle attività di cantiere e più in generale dei luoghi di lavoro o di garantire una più intensa tutela delle condizioni di lavoro e della salute e sicurezza dei lavoratori ovvero di prevenire il rischio di infiltrazioni criminali”.
E’ altresì sempre ammesso il subappalto del subappalto (cd. subappalto a cascata, in precedenza vietatissimo), salvo diversa indicazione da parte delle stazioni appaltanti nei documenti di gara, e sempre per motivazioni connesse a controlli della sicurezza del cantiere o alla prevenzione “mafiosa”.
Se però si è iscritti nell’apposito elenco di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa tenuto dalla prefettura, oppure nell’anagrafe antimafia, si presume l’assenza di rischio, e non è possibile esprimere, per l’amministrazione, alcuna correlativa valutazione di esclusione dal subappalto (e dal subappalto a cascata) per tale motivo.
Ma quali sono gli effettivi rischi del subappalto a cascata?
Secondo alcuni, il subappalto a cascata non fa altro che moltiplicare i rischi connaturati al subappalto, con la perdita del controllo non solo da parte del committente e del direttore dei lavori ma anche della stessa impresa principale, la difficoltà per l’impresa principale di coordinare le attività tra tutte le imprese subappaltatrici e sub-sub-subappaltatrici e la diluizione delle responsabilità sia nei confronti del committente sia della stessa impresa principale.
Un rimedio potrebbe essere allora quello di spostare risorse dai controlli documentali ai controlli sostanziali su tutti gli operatori economici coinvolti nella catena del “cantiere”, verificando che dispongano delle risorse umane e dei mezzi d’opera dichiarati nelle autocertificazioni, che i bilanci siano veritieri e che le eventuali perdite siano ripianate con capitali di provenienza lecita.
Resta inoltre la necessitò di accertare incontrovertibilmente che non vi siano opacità nella compagine sociale, per rapporti di quest’ultima con ambienti criminali.
La liberalizzazione spinta ci è chiesta dall'Europa.
Ma l'Europa ha in mente ben altro sistema di controlli sul rispetto delle norme a tutela dei lavoratori e sulla trasparenza aziendale.
Dopo i fatti di Firenze, Bruno Giordano, magistrato di cassazione che è stato per un paio di anni a capo dell'Ispettorato nazionale sul lavoro, ha denunciato l'attuale sistema di macrosorveglianza del rispetto delle regole nei cantieri.
Ci sono da un lato le carenze di organico e gli squilibri regionali di efficienza tra le Asl in giro per l’Italia, dall'altro il limitato numero di ispettori in rapporto alla forza lavoro da tutelare, con un rapporto tra ispettori e lavoratori molto lontano, in senso peggiorativo, rispetto a quello indicato dall’Unione europea (uno ogni diecimila, dice Giordano).
La parcellizzazione tra tante esecutrici dei progetti, in un sistema di controlli inefficiente e prevalentemente cartolare, non può che favorire, secondo questa prospettiva, piuttosto che la concorrenza dei "piccoli", la giungla delle prestazioni in nero o, peggio ancora, del clientelismo locale, familiare e criminale.
In questo contesto, lasciare semplicemente il cerino in mano alla stazione appaltante, che deve individuare motivatamente i limiti al subappalto del subappalto, può rivelarsi un precetto inutile, a causa del possibile immobilismo dell’amministrazione, a fronte di un rischio da contenzioso altissimo.
Occorrerebbe allora necessariamente coniugare l'adozione di rigorosi protocolli di legalità interni all’appalto con l'efficacia del controllo “dal vivo”, anche solo per scongiurare, tra le altre cose, il rischio di un’economia che cresce sulla pelle di chi muore.