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C’era una volta l’equo canone (Dalle locazioni eterne agli affitti brevi)

a cura di Roberto Lombardi • 2 dicembre 2023

In un nodo inestricabile di problemi sociali non risolti e di mancata selezione delle priorità vere da parte della politica, continuano a rincorrersi nel nostro Paese affari, riforme, sentenze e indagini, in una logica tristemente circolare, qualunque sia il tema sotto i riflettori. 

Capita così che anche il mercato immobiliare delle locazioni viva la sua parentesi di ribalta, tra intermediari “predatori”, proprietari avidi, inquilini frustrati e Procure della Repubblica che vanno a caccia dei grandi evasori fiscali.

Nel frattempo, l’attuale maggioranza parlamentare si occupa nientepocodimeno che di cedolare secca da applicare alle locazioni brevi (nell’ambito delle disposizioni che andranno a formare la manovra di bilancio per il 2024), e di limitazione degli affitti selvaggi nelle nostre grandi città.

Quanto al primo aspetto, pare che si passerà da un prelievo di imposta pari al 21% a un prelievo di imposta pari al 26% dell’ammontare del canone di locazione, ma soltanto per le seconde case concesse in locazione.

Cosa significa in termini pratici? Per stabilirlo dobbiamo necessariamente fare un passo indietro e partire dalle definizioni.

La “cedolare secca” è un regime facoltativo, che si sostanzia nel pagamento di un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali (per la parte derivante dal reddito dell’immobile). In più, per i contratti sotto cedolare secca non vanno pagate l’imposta di registro e l’imposta di bollo, ordinariamente dovute per registrazioni, risoluzioni e proroghe dei contratti di locazione. 

La scelta per la cedolare secca implica la rinuncia alla facoltà di chiedere, per tutta la durata dell’opzione, l’aggiornamento del canone di locazione, anche se per ipotesi tale aggiornamento sia previsto nel contratto, ivi inclusa la variazione accertata dall’Istat dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati dell’anno precedente.

Possono optare per il regime della cedolare secca le persone fisiche titolari del diritto di proprietà o del diritto reale di godimento (per esempio, usufrutto) su unità immobiliari locate a uso abitativo, ma non nell’esercizio di attività di impresa o di arti e professioni, e sempre che i relativi contratti di locazione non siano conclusi con conduttori che agiscono, a loro volta, nell’esercizio di attività di impresa o di lavoro autonomo.

Ma a partire dal 2017 può optare per la cedolare secca al 21% anche chi si avvale del regime delle locazioni brevi.

E cos’è il contratto di locazione di breve durata (anche volgarmente noto come “affitto breve”)?

Per contratto di locazione breve si intende un contratto di locazione di immobile a uso abitativo, di durata non superiore a 30 giorni, stipulato da persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa.

Si tratta dell’unico rapporto di locazione allo stato non soggetto ad obbligo di registrazione.

L'applicabilità a tali contratti del regime della cedolare secca è prevista soltanto se nell’anno si destinano a questa finalità al massimo quattro appartamenti; oltre tale soglia, infatti, l’attività, da chiunque esercitata, si considera svolta in forma imprenditoriale.

Tanto premesso, in termini pratici cambia poco, se non nella direzione di una ancora maggiore attenzione, da parte di chi pattuisce locazioni brevi, sulla scelta del regime fiscale più conveniente.

Più interessante è invece il proclamato intervento del Governo con un decreto-legge (intervento peraltro allo stato abortito) sul fenomeno dei soggiorni-lampo “sponsorizzati” dalle piattaforme digitali di sharing come Airbnb: sarebbero allo studio l’inserimento di un obbligo di codice identificativo e del limite di due notti minime di permanenza nell’alloggio locato all’interno delle città metropolitane.

Il tutto, all’asserito fine di fornire una disciplina uniforme a livello nazionale, volta a fronteggiare il rischio di un turismo sovradimensionato rispetto alle potenzialità ricettive locali e a salvaguardare la residenzialità dei centri storici ed impedirne lo spopolamento. Il concetto è che se resti in città una sola notte te ne vai in albergo.

Anche qui bisogna fare un passo indietro.

Dopo anni di mercato “selvaggio”, l’Italia si è dotata di una regolamentazione delle cosiddette locazioni brevi con l’art. 4 del d.l. n. 50 del 2017.

Questo decreto – poi convertito in legge e successivamente più volte modificato [1] - ha posto in capo agli intermediari del mercato immobiliare degli affitti alcuni nuovi, importanti obblighi: l'obbligo di raccolta e comunicazione alle autorità fiscali dei dati relativi ai contratti stipulati a seguito della loro intermediazione, l'obbligo di ritenuta dell'imposta dovuta per la stipula e l'obbligo di designare un rappresentante fiscale in Italia, in mancanza di una stabile organizzazione.

Ad AIRBNB Ireland Unlimited Company ed Airbnb Payments Uk Limited, tuttavia, la nuova disciplina non è piaciuta, specie quando l'Agenzia delle Entrate ha definito le disposizioni di attuazione del nuovo regime fiscale.

Il Consiglio di Stato, investito della questione dopo l'instaurazione di apposito contenzioso e il rigetto del ricorso in primo grado, ha ritenuto a sua volta di chiedere alcuni chiarimenti alla Corte di Giustizia dell'Unione europea.

In sostanza, il Giudice amministrativo voleva sapere se il regime introdotto con il d.l. n. 50 del 2017 comportasse restrizioni alla libera prestazione o circolazione di servizi garantita dall'articolo 56 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

La Corte di Giustizia, con sentenza del 22 dicembre 2022, dopo avere premesso che era stato corretto non effettuare alcuna preventiva notifica alla Commissione UE della nuova disciplina introdotta - in quanto le disposizioni di natura fiscale sono escluse dalle direttive in materia di società dell'informazione -, ha negato l’introduzione da parte della normativa esaminata di un ostacolo alla libera prestazione dei servizi, in quanto non sarebbero stati previsti obblighi più gravosi (in particolare, l’obbligo di ritenuta) rispetto a quelli a cui sono tenuti i soggetti stabiliti in Italia, e ha accertato, al contrario, una restrizione alla libera circolazione dei servizi, limitatamente alla misura costituita dall'obbligo del rispetto degli obblighi gravanti sui prestatori di servizi tramite nomina di un rappresentante fiscale in Italia, misura ritenuta sproporzionata.

Particolare curioso, la difesa di Airbnb voleva imporre al Giudice interno la formulazione tecnica dei quesiti, e anche su questo la Corte ha dovuto chiarire che spetta solo al Giudice del rinvio la determinazione e la formulazione delle questioni da sottoporre alla Corte stessa, con impossibilità per le parti in causa di imporne o modificarne il tenore.

Il Consiglio di Stato ha preso atto della pronuncia del Giudice europeo e ha cassato ogni ulteriore censura proposta.

In particolare, il Giudice amministrativo di secondo e (tendenziale) ultimo grado ha respinto la tesi secondo cui l'unica alternativa alla nomina di un rappresentante fiscale residente o stabilito in Italia sarebbe stata l'assunzione da parte dell'intermediario della qualità di sostituto di imposta, e che tale qualità sarebbe tuttavia in astratto incompatibile con l'estraneità dell'operatore al sistema fiscale italiano.

Secondo il Consiglio di Stato, al contrario, l'assenza di residenza "interna" non è di ostacolo all'assoggettamento dell'intermediario stabilito in altro Paese di obblighi connessi alla sua figura di responsabile di imposta (solidamente obbligato con il percettore del reddito), anche perché Airbnb, intervenendo nel pagamento del canone - che il conduttore versa alla piattaforma di acquisto del servizio - "ha già, per una sua precisa scelta imprenditoriale, la disponibilità materiale della somma che deve, in parte, essere corrisposta all'amministrazione finanziaria".

Il Consiglio di Stato ha infine stroncato ogni ulteriore pretesa della ricorrente, negando alla fattispecie non solo una valenza di discriminazione diretta, ma anche una valenza di discriminazione indiretta; secondo il Giudice di appello, infatti, la disciplina impugnata non crea maggiori difficoltà all'operatore estero di quelle normalmente incontrate nell'operare in un mercato diverso dal proprio, né può essere considerata di per sé discriminatoria l'attuale condizione oggettiva del mercato italiano, in cui la maggior parte dei più grandi intermediari immobiliari opera on-line e da altri Paesi di residenza.

In ultimo, e quasi a mettere una pietra tombale sulla questione, anche con riguardo a future e analoghe controversie, il Consiglio di Stato ha sottolineato che una eventuale lesione del principio di libera prestazione di servizi deve considerarsi tendenzialmente giustificata - salvo il rispetto del principio di proporzionalità delle misure in concreto adottate -, quando vi è un motivo imperativo di interesse generale.

E la riscossione delle imposte costituisce senz'altro uno di questi motivi, specie quando una diversa modalità applicativa, eventualmente meno incidente nella sfera giuridica degli operatori non stabiliti, rischia di compromettere "il pieno, concreto e tempestivo conseguimento dell'interesse generale perseguito dal legislatore nazionale". [2]

Subito dopo la pronuncia definitiva del Consiglio di Stato, la Procura della Repubblica di Milano ha chiesto e ottenuto dal Giudice delle indagini preliminari un sequestro preventivo di più di 750 milioni di euro a carico della società Airbnb Ireland Unlimited Company, nell’ambito di un procedimento penale aperto nei confronti di tale società per evasione fiscale.

L’accusa sarebbe quella di essersi sottratta dalla dichiarazione e dal versamento della cedolare secca, in qualità di sostituto di imposta (rectius: responsabile di imposta), sui canoni per locazione breve corrisposti negli ultimi anni dagli ospiti delle strutture ricettive pubblicizzare da Airbnb, a fronte delle prenotazioni effettuate.

Il gigante dell’intermediazione sugli affitti brevi avrebbe deliberatamente deciso di non ottemperare agli obblighi introdotti dalla legge del 2017, sperando di uscire vittorioso all’esito del contenzioso instaurato.

Brutta scelta.

Sono ormai passati tanti anni dalla famosa legge sull’equo canone [3]; quasi un’era geologica, se si pensa ai cambiamenti che ci sono stati nella nostra società.

Nel 1978 il Legislatore aveva imposto il valore locativo degli immobili in funzione di alcuni parametri e coefficienti previsti per legge.

Era una regolamentazione che intendeva calmierare il settore degli “affitti lunghi” e che in linea di massima garantiva a chi non poteva vivere in un immobile di proprietà di potere godere comunque, in alternativa, per sé e per la propria famiglia, di un’abitazione adeguata alle proprie possibilità economica e per un tempo tendenzialmente illimitato.

L’art. 12, che significativamente si intitolava “Equo canone degli immobili adibiti ad uso di abitazione”, stabiliva che il canone di locazione e sublocazione degli immobili adibiti ad uso di abitazione non avrebbe potuto superare il 3,85 per cento del “valore locativo” dell'immobile locato; tale valore locativo, a sua volta, era costituito dall’insieme di tutta una serie di altri fattori predeterminati e concatenati.

All’ultimo comma dell’articolo 12, come spesso succede in questo strano Paese, si poneva come termine ultimo per l’applicazione dell’equo canone un evento incerto nel quando, ovvero l’attuazione della riforma del catasto edilizio urbano: ci vorranno ancora decenni prima che scocchi l’ora di tale riforma.

Ha funzionato la disciplina dell’equo canone? Secondo il legislatore del 1992, no.

Nello stesso decreto-legge che prelevava improvvisamente dai conti correnti bancari degli italiani, tramite un’imposta straordinaria, un importo pari al 6 per mille del denaro ivi depositato fino a quel giorno, era contenuta anche una norma che prevedeva la possibilità di accordi in deroga alla disciplina della legge del 1978 [4].

Anche qui, le disposizioni sull’equo canone venivano congelate “fino alla revisione della disciplina delle locazioni degli immobili urbani”.

Infine, con la L. n. 431/98, sono diventate soltanto due le tipologie di contratto che possono essere stipulate: il contratto libero e il contratto convenzionale.

La forma ordinaria di locazione, manco a dirlo, è diventata quella priva di “limitazioni”, dove lo squilibrio tra la parte più forte (proprietario) e la parte più debole (conduttore) è, ormai, non solo strutturale, ma anche irreversibile.

Requiem per l’equo canone.

Ma con quali risultati?

Secondo qualcuno, anno dopo anno il mercato delle locazioni nelle grandi città è sempre più “impazzito” – e ancora di più dopo la fine della pandemia –, tanto che servirebbe adesso, per contrastare il continuo e irragionevole salire dei prezzi, un’inversione radicale delle politiche in atto, con il ristabilimento di un tetto sul prezzo degli affitti. Il ritorno all’equo canone, in altre parole.

D’altro canto, gli affitti turistici, come quelli sponsorizzati da Airbnb, pur avendo l’effetto positivo di ampliare l’offerta di ospitalità nelle grandi città, fanno anche crescere (e più che proporzionalmente, in certi quartieri) la domanda.

E seppure questa è senz’altra una delle cause dei rincari dei canoni e dei valori immobiliari, il fattore determinante degli aumenti resta probabilmente la speculazione del mercato immobiliare, la mancanza di interventi pubblici e l’assenza di un progetto concreto e strutturale in favore di alcune categorie più “deboli”, quali sono ad esempio gli studenti e i lavoratori fuori sede. 

L’intervento prospettato dal Governo, in questa situazione di stallo, non può dunque che essere deludente per chi aspira a cambiare radicalmente le cose; in particolare, non prevedere un meccanismo di licenza che limiti il numero totale annuale di giorni di locazione del proprio immobile – nel caso di affitti brevi reiterati – continua a garantire una redditività della locazione breve turistica immensamente maggiore rispetto alla redditività della locazione ordinaria, con tutto ciò che ne consegue in termini di minore disponibilità di tale tipologia di locazione in favore dei soggetti economicamente più deboli, e di inevitabile aumento dei costi di accesso a quegli immobili che ancora restano disponibili nel mercato delle “locazioni lunghe”.

D’altra parte, dove non vi è ordine normativo regna il caos economico. E dove vige il caos economico vincono spesso e volentieri squali e sciacalli

E’ da accogliere pertanto come una buona notizia la sentenza del Consiglio di Stato e la successiva iniziativa della Procura di Milano – che hanno in fin dei conti l’obiettivo di pretendere da Airbnb il rispetto delle regole -, anche se fa il solito sgradevole effetto pensare che in questo Paese, per far prevalere logiche di buon senso, o semplicemente per far rispettare la legge, sia sempre necessario percorrere la via giudiziaria.





[1] Il decreto-legge n. 50 del 2017 è stato convertito con modificazioni dalla L. 21 giugno 2017, n. 96 e successivamente modificato, per quanto di interesse, dal d.l. 30 aprile 2019, n. 34, dal d.l. 19 maggio 2020, n. 34, dalla L. n. 178 del 2020 e dal d.l. 21 giugno 2022, n. 73. 

[2] Cons. di Stato, sentenza n. 9188 pubblicata il 24 ottobre 2023, est. Lamberti.

[3] Legge27 Luglio 1978, n. 392 [Disciplina delle locazioni di immobili urbani]

[4] Decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359



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