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Creditori versus sanità regionale. Ad un passo dalla beffa di Stato

3 febbraio 2023

C’è tutto un settore giuridico-processuale del nostro ordinamento che convive con discipline di leggi speciali, o straordinarie che dir si voglia, e che si incrocia perfettamente con il complessivo fallimento della sanità nazionale e regionale del Belpaese.

Si tratta delle azioni esecutive contro le Aziende sanitarie.

Sono diversi anni, peraltro, che sono stati normativamente previsti differimenti o veri e propri “blocchi” nell’esecuzione dei crediti maturati nei confronti della pubblica amministrazione, e in particolare nei confronti della sanità pubblica.

In via generale, l’art. 14 del d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito dalla L. 28 febbraio 1997, n. 30, ritenuto pacificamente applicabile anche al giudizio di ottemperanza dinanzi al Giudice amministrativo (dove più incisivi sono i poteri dell’organo giudiziario nei confronti degli Uffici pubblici), aveva previsto che "Le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici non economici … completano le procedure per l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l'obbligo di pagamento di somme di danaro entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo. Prima di tale termine il creditore non può procedere ad esecuzione forzata né alla notifica di atto di precetto".

Secondo la Corte costituzionale, tale previsione aveva individuato un legittimo spatium adimplendi per l’approntamento dei mezzi finanziari occorrenti al pagamento dei crediti, avente “lo scopo di evitare il blocco dell'attività amministrativa derivante dai ripetuti pignoramenti di fondi, contemperando in tal modo l'interesse del singolo alla realizzazione del suo diritto con quello, generale, ad una ordinata gestione delle risorse finanziarie pubbliche”.

Con riguardo poi al più specifico tema della legittimità di disposizioni legislative, di natura anche emergenziale, volte ad inibire le azioni esecutive da intraprendere o già intraprese nei confronti di particolari categorie di creditori pubblici (come, ad esempio, gli enti del servizio sanitario nazionale), la Corte Costituzionale si è pronunciata con la sentenza n. 186 del 12 luglio 2013 in relazione all’art. 1, comma 51 della L. n. 220 del 2010 (“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2011”), nel testo successivamente modificato, in cui era previsto che nelle Regioni commissariate, in quanto sottoposte a piano di rientro dai disavanzi sanitari (tra cui era inserita già all’epoca la Regione Calabria), non potevano essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali o ospedaliere sino al 31.12.2012, ed i pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle Regioni alle aziende sanitarie, effettuati prima della data di entrata in vigore del d.l. n. 78/2010 (convertito in L. n. 122/2010) non avevano effetti sino al 31 dicembre 2012 (entrambi i termini furono successivamente prorogati fino al 31 dicembre 2013) e ciò con il medesimo fine, ovverosia quello di risanare i disavanzi del Servizio sanitario.

Nel dichiararne l’illegittimità costituzionale, la Corte riconobbe che una norma come quella appena citata si poneva in contrasto con l’art. 24 della Costituzione, e chiarì che un intervento legislativo − che di fatto svuoti di contenuto i titoli esecutivi giudiziali conseguiti nei confronti di un soggetto debitore − può ritenersi giustificato da particolari esigenze transitorie qualora, per un verso, siffatto svuotamento sia limitato ad un ristretto periodo temporale e, per altro verso, le disposizioni di carattere processuale che incidono sui giudizi pendenti, determinandone l’estinzione, siano controbilanciate da disposizioni di carattere sostanziale che, a loro volta, garantiscano, anche per altra via, diversa da quella della esecuzione giudiziale, la sostanziale realizzazione dei diritti oggetto delle procedure estinte.

A distanza di pochi anni, peraltro, asseritamente a causa della situazione di emergenza pandemica da COVID-19, con l’art. 117, comma 4, del “Decreto Rilancio” (d.l. 19 maggio 2020 n. 34, convertito in L. 17 luglio 2020, n. 77) è stato introdotto, sino al 31.12.2020, il divieto di intraprendere o proseguire nei confronti degli enti del Servizio sanitario nazionale azioni esecutive.

Tale divieto è stato poi prorogato al 31.12.2021 dall’art. 3, comma 8, del d.l. 31.12.2020, n. 183 (c.d. “Milleproroghe”) convertito in L. 26 febbraio 2021, n. 21.

Ancora una volta è dovuta dunque intervenire la Corte costituzionale, la quale, con sentenza n. 236/2021, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma per violazione degli artt. 24 e 111 Cost., “limitatamente alla proroga dal 31 dicembre 2020 al 31 dicembre 2021, di cui all'art. 3, comma 8, del d.l. n. 183 del 2020”.

Richiamando il proprio precedente del 2013 ed “adattandolo” alla fattispecie della reiterazione della proroga del “blocco” delle azioni esecutive in periodo di emergenza sanitaria, la Corte ha ribadito che “uno svuotamento legislativo degli effetti di un titolo esecutivo giudiziale non è compatibile con l’art. 24 Cost. se non è limitato ad un ristretto periodo temporale ovvero controbilanciato da disposizioni di carattere sostanziale che garantiscano per altra via l’effettiva realizzazione del diritto di credito. In difetto di queste cautele la disposizione legislativa vulnera il diritto di azione ..., con violazione del principio della parità delle parti di cui all’art. 111 Cost.”.

Tuttavia, l’art. 16 septies, inserito in sede di conversione del d.l. n. 146/2021, pochi giorni dopo la pronuncia n. 236/2021 della Corte – e concernente la peculiare situazione del Servizio sanitario della Regione Calabria, attualmente soggetta alla gestione commissariale del Piano di rientro sanitario – ha previsto, al comma 2, lett. g) (dettato “In ottemperanza alla sentenza della Corte costituzionale n. 168 del 23 luglio 2021 e al fine di concorrere all'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, nonché al fine di assicurare il rispetto della direttiva europea sui tempi di pagamento e l'attuazione del piano di rientro dei disavanzi sanitari della Regione Calabria”), l’ennesimo blocco delle azioni esecutive contro gli enti del servizio sanitario in crisi di liquidità, limitatamente, questa volta, a quelli della Regione Calabria, ancorandolo a presupposti sganciati dalla situazione di emergenza sanitaria.

La nuova norma ha così disposto: “Al fine di coadiuvare le attività previste dal presente comma, assicurando al servizio sanitario della Regione Calabria la liquidità necessaria allo svolgimento delle predette attività finalizzate anche al tempestivo pagamento dei debiti commerciali, nei confronti degli enti del servizio sanitario della Regione Calabria di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive. I pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalla Regione Calabria agli enti del proprio servizio sanitario regionale effettuati prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto non producono effetti dalla suddetta data e non vincolano gli enti del servizio sanitario regionale e i tesorieri, i quali possono disporre, per il pagamento dei debiti, delle somme agli stessi trasferite durante il suddetto periodo. Le disposizioni della presente lettera si applicano fino al 31 dicembre 2025”.

Dicembre 2025.

Sono nuovamente fioccate le questioni di costituzionalità.

Un Tribunale amministrativo (Tar Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria) ha addirittura disapplicato la norma per contrasto con il diritto eurounitario, nell’ambito del ricorso proposta da un medico pediatra che aveva chiesto al Tribunale amministrativo competente per territorio l’esecuzione della sentenza, passata in giudicato, con cui la Sezione Lavoro del Tribunale civile di Reggio Calabria aveva condannato l’Azienda Speciale della Provincia omonima a corrispondergli una somma superiore ad € 11.000 a titolo di emolumenti contrattuali previsti dagli Accordi collettivi nazionali applicabili al caso di specie.

La sentenza è stata impugnata dall’Azienda sanitaria, ma nel frattempo la Corte Costituzionale, che aveva fissato l’udienza del 18 ottobre 2022 per operare lo scrutinio di legittimità della nuova disposizione “incriminata”, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 16 septies, comma 2, lettera g) del d.l. 21 ottobre 2021 n. 146, con la sentenza n. 228 dell'11 novembre 2022.

Secondo la Corte, pur non essendo irragionevole, a fronte di una situazione straordinaria come quella calabrese, che le iniziative individuali dei creditori muniti di titolo esecutivo si arrestino per un certo lasso di tempo, mentre si svolge il complesso procedimento di circolarizzazione obbligatoria dei crediti e si programmano le operazioni di cassa, la discrezionalità del legislatore, nello stabilire una misura del genere, non può tuttavia trascendere in un'eccessiva compressione del diritto di azione dei creditori e in un'ingiustificata alterazione della parità delle parti in fase esecutiva, in quanto, posto che la garanzia della tutela giurisdizionale assicurata dall'art. 24 Cost. comprende anche la fase dell'esecuzione forzata, dal momento che la stessa è necessaria a rendere effettiva l'attuazione del provvedimento giudiziale, una misura legislativa che incida sull'efficacia dei titoli esecutivi di formazione giudiziale è legittima soltanto se limitata ad un ristretto periodo temporale e compensata da disposizioni sostanziali che prospettino un soddisfacimento alternativo dei diritti portati dai titoli, giacché altrimenti la misura stessa vulnera l'effettività della tutela in executivis garantita proprio dalla disposizione di cui all'art. 24 della Costituzione, determinando inoltre uno sbilanciamento tra l'esecutante privato e l'esecutato pubblico, in violazione del principio di parità delle parti di cui all'art. 111 Cost..

Di conseguenza, sempre secondo la Corte, la misura introdotta dall'art. 16-septies, comma 2, lettera g) ha mancato l'obiettivo di un equilibrato contemperamento degli interessi in gioco, non essendo giustificata l'equiparazione, agli effetti dell'improcedibilità, fra i titoli esecutivi aventi ad oggetto crediti commerciali e quelli aventi ad oggetto crediti di natura diversa (in particolare: diritti di risarcimento dei danneggiati da fatto illecito e diritti retributivi dei prestatori di lavoro), e non essendo possibile, per i crediti di natura commerciale, che la durata del blocco esecutivo sia protratta per un intero quadriennio, senza che ne risulti violato il canone di proporzionalità, anche perché, per quanto complesse, le operazioni di riscontro devono essere svolte in un lasso di tempo più breve, magari mediante un adeguato impiego di risorse umane, materiali e finanziarie, che lo Stato deve garantire alla struttura commissariale, e il congelamento di tutti i pagamenti per quattro anni può porre il fornitore, specie se non occasionale, in una situazione di grave illiquidità, fino ad esporlo al rischio di esclusione dal mercato.

D’altra parte, il difetto di proporzionalità è stato considerato ancora più evidente, considerando che il blocco esecutivo è destinato a persistere pure nel caso in cui la sanità calabrese esca dal regime commissariale «in considerazione dei risultati raggiunti», né la liquidità generata in favore della Regione Calabria, sia tramite il rinvio della compensazione del saldo di mobilità, sia in virtù dell'erogazione del contributo di solidarietà, reca alcun vincolo di destinazione, neppure pro quota, a beneficio dei creditori muniti di titolo.

La Corte costituzionale ha dunque bocciato, senza appello o quasi, la disposizione oggetto di rinvio pregiudiziale, così “troncando” ogni ulteriore dilazione di pagamento ex lege in favore della sanità calabrese, ma contemporaneamente suggerendo tutta una serie di accorgimenti – in costanza di efficacia della restante normativa straordinaria introdotta dall’art. 16-septies del d.l. n. 146 del 2021 – che avrebbero potuto rendere “proporzionale” un blocco limitato e selettivo delle procedure esecutive.

Il legislatore ne ha subito approfittato.

In sede di conversione del decreto-legge 8 novembre 2022, n. 169, è stata infatti introdotta la seguente disposizione (articolo 2, comma 3-bis, con norma entrata in vigore a partire dal 28 dicembre 2022): “In ottemperanza alla sentenza della Corte costituzionale n. 228 dell'11 novembre 2022, al fine di concorrere all'erogazione dei livelli essenziali di assistenza nonché di assicurare il rispetto della direttiva europea sui tempi di pagamento e l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari della regione Calabria, non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti degli enti del servizio sanitario della regione Calabria di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118. I pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalla regione Calabria agli enti del proprio servizio sanitario regionale effettuati prima della data di entrata in vigore della legge 17 dicembre 2021, n. 215, di conversione in legge del decreto-legge 21 ottobre 2021 n. 146, non producono effetti dalla suddetta data e non vincolano gli enti del servizio sanitario regionale e i tesorieri, i quali possono disporre, per il pagamento dei debiti, delle somme agli stessi trasferite a decorrere dalla medesima data. Le disposizioni del presente comma si applicano fino al 31 dicembre 2023 e non sono riferite ai crediti risarcitori da fatto illecito e retributivi da lavoro”.

Incredibile ma vero. I creditori delle aziende sanitarie calabresi sono come dei novelli Ulisse alla ricerca del corrispettivo perduto, con la particolarità che le regole del gioco vengono cambiate in continuazione dallo stesso Stato che dovrebbe tutelare i loro diritti.

La Corte costituzionale ha ben indicato i limitati presupposti entro i quali una situazione di dissesto finanziario pubblica può essere bilanciata con il sacrificio dei creditori privati (e non), ma sembra che l’insegnamento non sia stato recepito fino in fondo dal Legislatore, il quale da un lato ha dimenticato che il blocco delle procedure esecutive si protrae ormai già da anni – normativa dopo l’altra – e che occorre che la liquidità generata in favore della Regione Calabria conservi comunque un vincolo di destinazione, anche soltanto pro quota, a beneficio dei creditori muniti di titolo.

C’è spazio insomma per una nuova pronuncia del Giudice delle leggi, che ponga eventualmente fine, una volta per tutte, ad una situazione che comincia a divenire – per chi la subisce – decisamente kafkiana.



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