Corte giust. Ue 8^, 17.5.23, causa C-97/22 Corte giust. Ue 3^,28.9.23, causa C-133/22, Corte giust. Ue 7^, 6.10.23, causa C-565/22
La direttiva 2011/83/UE è stata recentemente oggetto di alcune pronunce interpretative di rilievo da parte della Corte di Giustizia.
La prima è nata da una controversia tra due soggetti in merito al pagamento del servizio fornito al secondo, in esecuzione di un contratto concluso fuori dei locali commerciali, da un'impresa che ha ceduto al primo l'insieme dei diritti sorti da tale contratto (causa C-97/22).
Il Giudice eurounitario ha concluso nel senso che il consumatore ha diritto di recesso, che implica il diritto di non pagare, a lavoro finito, la fattura presentatagli, se l’impresa con cui ha stipulato il contratto di servizio (nella specie, per la ristrutturazione dell’impianto elettrico della sua abitazione) non lo ha informato dello stesso diritto di recesso di cui egli disponeva - essendo stato il contratto concluso fuori dai locali commerciali dell’impresa - per 14 giorni (periodo prorogato di un anno in caso di omissione dell’informativa), mentre l’impresa non ha alcun diritto al pagamento del prezzo, né ha diritto ad alcuna “indennità di compensazione” (volta, in ipotesi, ad evitare che il consumatore possa beneficiare di una plusvalenza in contrasto col principio generale che vieta l’arricchimento senza causa).
Ciò, in quanto il diritto di recesso mira a proteggere il consumatore nel particolare contesto della conclusione del contratto fuori dei locali commerciali, dove il consumatore è maggiormente esposto a pressioni psicologiche o al fattore sorpresa, sicché l’informazione su tale diritto è importante per consentirgli di decidere con cognizione di causa se concludere meno il contratto. L’obiettivo della direttiva - garantire un elevato livello di tutela dei consumatori - sarebbe compromesso se si ammettesse la possibilità che il consumatore, a seguito di recesso da un contratto di servizi concluso fuori dei locali commerciali, sostenga costi non espressamente previsti dalla direttiva medesima.
Si è posto poi il problema di definire, ai sensi dell'art. 2, punto 16, di tale direttiva, quale sia il tipo di valutazione (soggettiva od oggettiva) da effettuarsi della nozione di garanzia commerciale.
L'occasione è nata da una controversia tra due società in merito alla legittimità di una dichiarazione apposta su determinati prodotti commercializzati da una di esse (causa C-133/22).
La Corte ha rilevato che il citato art. 2, punto 16, della direttiva 2011/83/Ue sui diritti dei consumatori va interpretato nel senso che la nozione di “garanzia commerciale” include, a titolo di “qualsiasi altro requisito non relativo alla conformità, enunciat[o] nella dichiarazione di garanzia o nella relativa pubblicità disponibile al momento o prima della conclusione del contratto”, l’impegno preso dal garante nei confronti del consumatore, vertente su circostanze inerenti alla persona di quest’ultimo, quali la sua soddisfazione, rispetto al bene acquistato, lasciata alla sua valutazione personale, senza che, per attivare detta garanzia, l’esistenza di tali circostanze debba essere valutata oggettivamente.
Un ulteriore arresto si è occupato, infine, di diritto di recesso da un contratto a distanza del consumatore, nell'ipotesi di abbonamenti on-line.
In particolare, si è esaminato il caso di una società che gestisce piattaforme di apprendimento on line destinate agli studenti: al momento della prima sottoscrizione, l’abbonamento può essere testato gratuitamente per 30 giorni e può essere risolto in qualsiasi momento durante tale periodo, ma alla scadenza dei 30 giorni diventa a pagamento e, quando scade senza essere stato risolto, è rinnovato automaticamente per una durata determinata. Al momento della sottoscrizione dell’abbonamento a distanza, la società informa i consumatori del diritto di recesso.
Tuttavia, un'associazione per la tutela dei consumatori ha ritenuto che il consumatore disponesse del diritto di recesso non solo rispetto alla sottoscrizione di un abbonamento di prova gratuito di 30 giorni, ma anche rispetto alla trasformazione di tale abbonamento in abbonamento a pagamento e al suo rinnovo (causa C-565/22).
La Corte di Giustizia, chiamata a interpretare sul punto la direttiva sui diritti dei consumatori, ha stabilito che Il diritto del consumatore di recedere da un contratto a distanza, nel caso della sottoscrizione di un abbonamento che comporta un periodo iniziale gratuito e che, in assenza di risoluzione, è rinnovato automaticamente, è in linea di principio garantito una sola volta. Tuttavia, se al momento della sottoscrizione dell’abbonamento il consumatore non è stato informato in maniera chiara, esplicita e comprensibile che dopo il periodo iniziale gratuito l’abbonamento diventa a pagamento, egli disporrà di un nuovo diritto di recesso dopo tale periodo.