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Efficienza e processo amministrativo

di Francesco Tallaro • 14 settembre 2023

(Rielaborazione della relazione orale pronunciata nel corso dell’incontro di studi su Riforme legislative ed efficienza del processo, organizzato dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato a Catanzaro il 23 giugno 2023)


Accanto alla riconosciuta capacità del giudice amministrativo di soddisfare elevati standard di efficienza ed effettività della tutela nella risoluzione di controversie amministrative, vi deve essere la consapevolezza, da parte di tutti gli operatori della Giustizia Amministrativa – magistrati, avvocati del libero Foro e delle Amministrazioni pubbliche, personale amministrativo –, che solo una costante opera di aggiornamento culturale può consentire di continuare ad assicurare ai cittadini un servizio di elevata qualità, in un contesto storico che è connotato da un impetuoso cambiamento.

Invero, i pubblici poteri – e, di conseguenza, il sistema della Giustizia Amministrativa in sede di sindacato sull’operato di questi – sono già alle prese con le sfide che derivano dal progresso degli strumenti tecnologici. Alla mente viene, in particolare, l’ampliamento delle possibilità di fare ricorso a processi decisionali automatizzati, sia attraverso l’uso – ormai definibile “classico” - di algoritmi predeterminati, sia sfruttando le possibilità fornite dai sistemi di intelligenza artificiale (AI), connotati dalla capacità di autoapprendimento (il machine learning; ancor di più, il deep learning), e dunque capaci di giungere a decisioni percorrendo vie che il programmatore non aveva già in origine predeterminato. 

Non meno importanti sono poi gli elementi di novità che si profilano nel contesto economico, dominato - allo stato - dall’impellente necessità per le amministrazioni di dare attuazione al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, più suggestivamente denominato in ambiente dell’Unione europea come NextGenerationEU. D’altra parte, i tempi che viviamo sono altresì caratterizzati dalla riscoperta delle reciproche interferenze tra il perseguimento dello sviluppo economico e le esigenze di sicurezza nazionale, accentuate sia dall’invasione dell’Ucraina da parte delle forze militari russe, sia dalla crisi dei rapporti tra la Cina da un lato e degli Stati Uniti e i loro alleati dall’altro; interferenze che, a titolo di esempio, inducono sempre più spesso i governi ad introdurre e, quindi, ad esercitare il c.d. golden power [1].

Né va sottovalutata l’emersione, nel tessuto sociale, di nuove pretese e nuovi interessi, che poi ricercano tutela in giudizio.

Tali complesse sfide necessitano non solo e non tanto della continua revisione delle strutture giuridiche che regolano i fenomeni sociali e i contrasti che li possono caratterizzare; ma, soprattutto, dell’adeguamento culturale degli operatori giuridici, in primis di coloro che intervengono nel momento di crisi delle capacità di mediazione degli interessi da parte dell’amministrazione, e dunque di contenzioso d’innanzi al giudice amministrativo.

D'altro canto, resta necessario riflettere sull’ecosistema processuale amministrativo, individuando quali siano gli elementi che, sino ad ora, hanno consentito di rendere un buon servizio. Ciò, non solo al fine di consentirne la conservazione a fronte delle perenni pretese riformatrici del legislatore; ma anche per offrirli alla riflessione degli operatori degli altri sistemi processuali, come possibili elementi utili al miglioramento dell’efficienza delle altre giurisdizioni.

Va, però, sgombrato il campo da un possibile equivoco.

Il modello processuale amministrativo non è tout court esportabile negli altri ambiti del diritto. Esso, infatti, presenta degli elementi strutturali – non tanto del processo in sé, quanto delle modalità di intervento del giudice nel flusso dell’esercizio del potere amministrativo – che sono del tutto peculiari.

Innanzitutto, va evidenziato come l’ambito di contenzioso su cui il giudice amministrativo interviene sia estremamente ridotto.

Sul piano numerico, certamente, giacché negli ultimi anni le sopravvenienze medie d’innanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali sono state di meno di 49.000 affari per anno [2], a fronte di sopravvenienze civili nei soli Tribunali di oltre 1.850.000 affari per anno [3], con un rapporto di 1 su 37 [4].

Sul piano qualitativo, in maniera ancora più marcata: il giudice amministrativo si occupa esclusivamente delle controversie che sorgono quando il cittadino si rapporta l’esercizio di poteri pubblici [5], mentre il giudice ordinario deve fronteggiare la conflittualità che si produce nei più disparati ambiti della vita di relazione, dal concepimento alla morte, passando dalla formazione e dalla possibile disgregazione della famiglia, dall’acquisto di beni e servizi, alla loro sorte dopo la morte del titolare; e deve giudicare dei reati che in tali varie e multiformi realtà vengono commessi.

In secondo luogo, meritano di essere sottolineati i profili di specificità che caratterizzano da un lato l’intervento del giudice amministrativo nella realtà, dall’altra l’operato del giudice civile e del giudice penale. Costoro, quanto meno nei gradi di merito, hanno il compito di svolgere attività istruttoria per accertare il fatto controverso, assai raramente vertendo – la controversia portata all’attenzione dell’Autorità giudiziaria – su questioni di puro diritto. E, accertato il fatto, individuata la legge applicabile, ne fanno applicazione, ponendo fine alla res litigiosa o accertando definitivamente la penale responsabilità di un soggetto rispetto a un fatto qualificato come reato. In sostanza, pongono definitivamente conclusione, quanto meno sul piano giuridico, alla vicenda umana sottoposta alla loro attenzione.

Al contrario, l’intervento del giudice amministrativo si pone come una parentesi tra l’azione amministrativa precedente e quella successiva [6]. In sostanza, l’intervento del giudice amministrativo si pone a un livello in cui l’amministrazione ha già istruito l’affare, selezionando i fatti ritenuti rilevanti per l’esercizio del potere pubblico. Il giudice, pur disponendo dell’accesso al fatto, attraverso un completo ventaglio di poteri istruttori, in realtà spesso non necessita di accertare quale sia la realtà fattuale su cui si innesta l’esercizio di poteri pubblicistici, ma – più modestamente – di valutare se l’attività, anche istruttoria, compiuta dall’amministrazione sia stata corretta e completa. Infatti, il difetto di istruttoria è elemento sintomatico del vizio dell’eccesso di potere, che conduce all’annullamento del provvedimento amministrativo, così soddisfacendo pienamente, in molti casi, l’interesse soggettivo che ha indotto il ricorrente a sollecitare l’intervento del giudice amministrativo, senza la necessità di approfondire quale sia la realtà fattuale.

A valle di ciò, la pronuncia del giudice amministrativo è di regola seguita dal rinnovato esercizio del potere amministrativo, pur conformato dai rilievi contenuti nelle pronunce giurisdizionali. Quindi, sarà l’amministrazione, con un proprio provvedimento, a dare un definitivo assetto agli interessi in gioco.

Si tratta di un modus operandi così interiorizzato, che addirittura il legislatore, nel disciplinare l’azione risarcitoria avanzata nei confronti dell’amministrazione davanti al giudice amministrativo, ha previsto, art. 34, comma 4 c.p.a. che il giudice, anziché liquidare il danno, possa limitarsi a stabilire i criteri in base ai quali l’amministrazione debitrice debba proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine.

Se il processo amministrativo non è, per ragioni strutturali, modello universalmente utilizzabile, esso nondimeno opera in un milieu di elementi culturali che, invece, ben potrebbero arricchire gli altri universi processuali.

È dato di evidenza che difese delle parti di buona qualità semplificano l’attività giurisdizionale. Se già i difensori svolgono adeguatamente il compito di selezionare, nel fluire della realtà, i fatti rilevanti per la lite, attribuendo loro un’adeguata veste giuridica, il giudicante potrà concentrare il suo operato nell’individuazione della soluzione giuridicamente corretta.

Ebbene, è esperienza comune l’elevata qualità della classe forense che opera d’innanzi alla giurisdizione amministrativa, sia essa del libero Foro ovvero si tratti di avvocature pubbliche. 

Altrettanto evidente è che i vari attori del processo amministrativo adottano un approccio collaborativo, che agevola la gestione del carico di affari e migliora complessivamente il sistema. Questa collaborazione si è sublimata quando – in piena pandemia da Covid-19 – sono stati redatti e quindi confermati quei protocolli operativi che hanno consentito di continuare ad assicurare ai consociati un adeguato livello di tutela giurisdizionale, nel pieno rispetto del diritto di difesa, pur in un contesto di forte emergenza [7].

La professionalità della classe forense e l’approccio collaborativo sono emersi anche con riferimento a un tema che presenta possibili profili di problematicità, quale i limiti dimensionali agli atti processuali.

Infatti, nel contesto del processo civile, l’adozione ai sensi dell’art. 46 disp. att. c.p.c. del decreto del Ministro della Giustizia [8] che li definisce è stata accompagnata da voci fortemente critiche [9],  benché la violazione dei limiti possa comportare soltanto possibili esiti sulla regolamentazione delle spese di lite. Contestazioni altrettanto ferme non si ricordano allorché il Presidente del Consiglio di Stato adottò, ai sensi dell'art. 13-ter delle norme di attuazione del c.p.a., la disciplina dei criteri di redazione e dei limiti dimensionali dei ricorsi e degli altri atti difensivi nel processo amministrativo [10], benché il diritto processuale amministrativo consenta addirittura al giudice di omettere l’esame delle questioni contenute nella parte degli atti eccedente i limiti dimensionali, senza che ciò costituisca motivo di impugnazione.

Al netto delle differenze su specifici aspetti previste dalle due discipline processuali, può desumersi che gli avvocati amministrativisti abbiano avuto un approccio al tema maggiormente orientato al perseguimento del complessivo miglior funzionamento del sistema di Giustizia amministrativa.

Va poi sottolineato, quale elemento che contribuisce a una maggiore efficienza del processo amministrativo, la disciplina sui c.d. carichi esigibili, adottata dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa [11] a garanzia della qualità del lavoro giurisdizionale.

Come noto, tale regolamentazione prevede che al singolo magistrato amministrativo non possa essere affidato un carico di lavoro che superi dei limiti specificamente determinati.

L’affermazione che tale disciplina assicuri maggiore efficienza è controintuitiva: secondo una logica semplicistica, l’aumento del carico di lavoro assegnato ai magistrati dovrebbe comportare un aumento della produttività e, conseguentemente, un aumento dell’efficienza del sistema di Giustizia Amministrativa.

Al contrario, è solo garantendo un carico di lavoro non eccessivo che si migliorano, al contempo, la qualità media delle pronunzie e l’efficienza del sistema.

Infatti, decisioni più ponderate producono orientamenti giurisprudenziali più stabili nel tempo, che guidano le scelte processuali delle parti, scoraggiano le liti temerarie e le resistenze pretestuose.

D’altra parte, non si deve dimenticare che le sentenze del giudice amministrativo hanno l’intrinseca capacità di conformare l’attività dell’amministrazione pubblica con riferimento alla singola vicenda controversa, e, più in generale, di orientare le scelte dei pubblici poteri.

Non è dunque azzardata la conclusione per cui il tasso di litigiosità è inversamente proporzionale alla qualità delle decisioni del giudice amministrativo, sicché il concentrare gli sforzi sul miglioramento qualitativo del servizio-giustizia ha effetti benefici anche a livello di efficienza quantitativa.

Nella stessa ottica, e cioè di migliorare l’efficienza del sistema di giustizia migliorando la prevedibilità delle decisioni giurisdizionali [12], sì da orientare la condotta dei consociati, non va sottovalutato il tema dell’accessibilità della giurisprudenza.

Il panorama, tra i vari plessi giurisdizionali, è vario.

La Corte di Cassazione rende disponibili al pubblico le proprie pronunzie a partire dall’anno 2018, ma non c’è una banca dati pubblica delle sentenze di merito civili e penali. Per quanto riguarda il solo processo civile, esiste una banca dati di giurisprudenza interna all’applicativo Consolle del Magistrato, ma essa, accessibile ai soli magistrati, è alimentata su base sostanzialmente volontaria.

Il SIGIT, il Sistema Informativo della Giustizia Tributaria consente ai giudici tributari l’accesso alla giurisprudenza di merito, ma la banca dati non è, allo stato, accessibile al pubblico.

Sul sito della Corte dei Conti è disponibile solo una selezione delle pronunce del giudice contabile.

Al contrario, tutte le decisioni, non solo del Consiglio di Stato, ma anche dei Tribunali amministrativi regionali, sono rese disponibili per esteso al pubblico, che può giovarsi anche di un semplice motore di ricerca.

Dunque, tutti i cittadini e gli operatori giuridici interessati possono facilmente, senza fare ricorso a servizi privati a pagamento, indagare sugli orientamenti del giudice amministrativo, anche quello di primo grado a lui più prossimo, al fine di determinarsi sulla propria condotta.

Vi sono, ovviamente, anche alcune caratteristiche della disciplina legislativa del processo amministrativo che contribuiscono al buon funzionamento del sistema e che sarebbero agevolmente esportabili.

Innanzitutto, va posto l’accento sulla stabilità della disciplina processuale amministrativa.

In disparte i due correttivi al codice del processo amministrativo, il d.lgs. 15 novembre 2011, n. 195, e il d.lgs. 14 settembre 2012, n. 160, l’impianto processuale complessivo, delineato nel 2010, è rimasto inalterato, anche allorché, nel 2016, vi è stata la transizione dal regime cartaceo a quello digitale.

Tale stabilità, sorprendente se solo si consideri la bulimia di riforme processuali che ha caratterizzato l’approccio del legislatore al processo civile e al processo penale, ha consentito una rapida stabilizzazione degli orientamenti giurisprudenziali sulle questioni processuali, riducendo i profili di incertezza.

Un esame empirico dei repertori di giurisprudenza, infatti, denota che i giudici amministrativi si occupano marginalmente di questioni processuali, salve quelle relative alla giurisdizione, inevitabili in un ordinamento con criteri di riparto così complessi, e quelle che si pongono al crocevia tra diritto sostanziale e diritto processuale, come la legittimazione al ricorso e l’interesse all’azione.

Perfino il passaggio epocale al processo telematico non ha alimentato, grazie anche a un approccio sostanzialista condiviso dall’intero plesso giurisdizionale, grandi contrasti giurisprudenziali.

Il legislatore, dal canto suo, ha inteso assicurare al giudice amministrativo uno strumentario estremamente flessibile.

Si parte da una fase cautelare, che è un vero crocevia nella gestione del processo.

Qui il ventaglio di opzioni attribuite al giudice è amplissima: l’atipicità delle misure cautelari gli consente di adottare una misura meramente conservativa, di optare per una misura propulsiva o, addirittura, di concedere, ove ne ricorrano i presupposti, un provvedimento anticipatorio degli effetti della decisione finale; se il contraddittorio è integro, il thema decidendum è definito e non ci sono attività istruttorie da svolgere, il giudice può definire il giudizio con sentenza, ai sensi dell’art. 60 c.p.a.; anche il tempo processuale è uno strumento cautelare, posto che l’art. 55, comma 10 c.p.a. consente la fissazione in tempi brevi dell’udienza di merito, quando ciò possa soddisfare adeguatamente l’interesse presupposto alla richiesta di tutela cautelare.

La flessibilità non viene meno quando si passa dalla fase cautelare a quella a cognizione piena e alla successiva fase esecutiva

Infatti, con la sentenza che definisce il giudizio il giudice, ai sensi dell’art. 34, comma 1, lett. e), dispone le misure idonee ad assicurare l'attuazione del giudicato e delle pronunce non sospese, compresa la nomina di un commissario ad acta, con effetto dalla scadenza di un termine assegnato per l'ottemperanza. Quindi, viene anticipata alla fase di cognizione piena la tutela esecutiva.

D’altra parte, è noto che il giudizio di ottemperanza di pronunzie del giudice amministrativo apre non di rado parentesi di cognizione, producendo l’effetto di un giudicato a cognizione progressiva [13].

L’idea di fondo, pare di poter concludere, è che “giusto processo regolato dalla legge” significa che è il legislatore a dover fissare le regole processuali, ma non anche che la legge debba azzerare lo spazio di discrezionalità del giudice nella gestione del processo.

In altri ambiti processuali, invece, si assiste a un progressivo irrigidimento. Sia sufficiente fare cenno all’abrogazione del rito sommario nel processo civile, previsto dagli artt. 702-bis ss. c.p.a., che consentiva al giudice di procedere «omessa ogni formalità non essenziale per il contraddittorio»: esso è stato sostituito dal rito semplificato, che prevede adempimenti processuali molto più puntuali.

L’irrigidimento processuale, invero, si avverte non solo nell’intervento legislativo, ma anche nella prassi: la proliferazione dei protocolli di buona pratica e delle linee guida ingessano, da un lato, la discrezionalità del giudice, mentre dall’altro lato rischiano di frammentare il rito civile in ragione dell’esistenza di una pluralità di micro-codici locali.

Anche il processo amministrativo è suscettibile di interventi migliorativi, tra i quali, però, non sembra utile l’introduzione del giudice monocratico, strada percorsa invece prima dalla giustizia civile e, più di recente, dalla giustizia tributaria [14].

La sua introduzione nel processo civile e in quello penale non ha prodotto i risultati sperati in termini di miglioramento dell’efficienza, ed anzi, alimenta il rischio di moltiplicazione delle occasioni di contrasto occulto di giurisprudenza.

Piuttosto, si potrebbe immaginare di arricchire lo strumentario processuale amministrativo con un modello di trattazione semplificata, senza comparizione delle parti in camera di consiglio – se non ritenuto necessario dal giudice –, per tutte quelle decisioni accessorie (liquidazione dei compensi agli ausiliari del giudice o ai difensori della parti ammesse al patrocinio a spese dello Stato, concessione della proroga dei termini per il deposito della consulenza tecnica d’ufficio, sostituzione del Commissario ad acta risposta alla richiesta di chiarimenti formulata dalle parti in sede esecutiva) che oggi impegnano, a volte in maniera numericamente consistente, l’udienza camerale.

Interessante, infine, è immaginare una standardizzazione (ovviamente non come contenuti, ma in termini di template, non difformemente da quanto accaduto con i provvedimenti del giudice amministrativo e del giudice tributario) degli atti processuali, attraverso la predisposizione di un software modellatore.

Ciò agevolerebbe non solo la lettura degli atti, ma consentirebbe anche la gestione automatizzata degli stessi, in modo da instradare ogni atto processuale verso l’iter processuale che gli è proprio. Così, per esempio, il ricorso contenente un’istanza di abbreviazione dei termini verrebbe inoltrato automaticamente al presidente, mentre potrebbe essere automaticamente fissata l’udienza camerale per i ricorsi corredati da un’istanza cautelare.

Questo consentirebbe di liberare preziose risorse amministrative per adibirle ad attività più qualificanti e preziose, quale, per esempio, la composizione di uno stabile ufficio del processo.






[1] Il d.l. 15 marzo 2012, n. 21, conv. con mod. con l. 1 maggio 2012, n. 56, attribuisce al Governo poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale nonché in alcuni ambiti ritenuti di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni (in particolare, le comunicazioni elettroniche a banda larga basati sulla tecnologia 5G), consentendogli l’esercizio del potere di veto o la formulazione di prescrizioni e condizioni alle acquisizioni di posizioni di controllo di imprese ritenute strategiche.

[2]  Secondo le statistiche allegate alla Relazione di insediamento del Presidente del Consiglio di Stato, Avv. Luigi Maruotti, e relazione sulla attività della Giustizia amministrativa, anno 2023, le sopravvenienze in primo grado nell’ultimo quinquennio sono state le seguenti: 49.968 nel 2018; 50.874 nel 2019; 42.049 nel 2020; 48.112 nel 2021; 51.576 nel 2022.

[3] Secondo i dati statistici riportati nella Relazione sullo stato della giustizia nell’anno 2022, presentata da Primo Presidente della Corte di Cassazione, Piero Curzio, le sopravvenienze nei Tribunali sono state le seguenti: 2.015.188 nel periodo dall’1 luglio 2019 al 30 giugno 2020; 1.853.198 dall’1 luglio 2020 al 30 giugno 2021; 1.683.910 dall’1 luglio 2021 al 30 giugno 2020.

[4] Anche la giustizia tributaria riguarda un numero d’affari di gran lunga più elevato. Secondo le appendici statistiche allegate alla Relazione annuale sullo stato del contenzioso tributario, redatta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze per l’anno 2022, nell’ultimo quinquennio la serie dei ricorsi sopravvenuti è la seguente: 153.349 nel 2018; 142.160 nel 2019; 108.650 nel 2020; 77.558 nel 2021; 145.972 nel 2022; con una sopravvenienza media di 125.538 affari per anno.

[5] Peraltro, le peculiari regole di riparto dell’ordinamento italiano sottraggono alla cognizione del giudice amministrativo affari che, secondo molte tradizioni giuridiche, appartengono al sindacato del giudice amministrativo, ed in particolare quelli relativi al diritto d’asilo, o comunque alla protezione internazionale, e alle sanzioni amministrative.

[6] M. Nigro, Giustizia Amministrativa, Bologna, 1976, 18.

[7] Si vedano: a) il Protocollo di intesa tra Consiglio di Stato, Avvocatura Generale dello Stato, Consiglio Nazionale Forense, Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, Camera Amministrativa Romana, Unione Nazionale degli Avvocati Amministrativisti, Società Italiana degli Avvocati Amministrativisti, Organismo Congressuale Forense, Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici e Associazione dei Giovani Amministrativisti, per le udienze da remoto ex art. 4 D.L. 28/2020 nel periodo di emergenza Covid-19 del 26 maggio 2020; b) il Protocollo di intesa tra Consiglio di Stato, Avvocatura Generale dello Stato, Consiglio Nazionale Forense, Organismo Congressuale Forense, Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma, Camera Amministrativa Romana, Unione Nazionale degli Avvocati Amministrativisti, Società Italiana degli Avvocati Amministrativisti, Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici e Associazione dei Giovani Amministrativisti, sullo svolgimento delle udienze “in presenza” nel periodo feriale presso le sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato del 24 luglio 2020; c) il Protocollo di intesa tra Consiglio di Stato, Avvocatura Generale dello Stato, Consiglio Nazionale Forense, Organismo Congressuale Forense, Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma, Camera Amministrativa Romana, Unione Nazionale degli Avvocati Amministrativisti, Società Italiana degli Avvocati Amministrativisti, Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici e Associazione dei Giovani Amministrativisti, sullo svolgimento delle udienze presso le sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e presso il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana dal 16 settembre al 15 ottobre 2020 del 15 settembre 2020; d) il Protocollo di intesa tra Consiglio di Stato, Avvocatura Generale dello Stato, Consiglio Nazionale Forense, Organismo Congressuale Forense, Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma, Camera Amministrativa Romana, Unione Nazionale degli Avvocati Amministrativisti, Società Italiana degli Avvocati Amministrativisti, Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici e Associazione dei Giovani Amministrativisti, sullo svolgimento delle udienze e delle camere di consiglio “in presenza” presso gli uffici giudiziari della Giustizia amministrativa alla cessazione dello stato di emergenza del 20 luglio 2021; e) il Protocollo di intesa tra Consiglio di Stato, Avvocatura Generale dello Stato, Consiglio Nazionale Forense, Organismo Congressuale Forense, Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma, Camera Amministrativa Romana, Unione Nazionale degli Avvocati Amministrativisti, Società Italiana degli Avvocati Amministrativisti, Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici e Associazione dei Giovani Amministrativisti, sullo svolgimento delle udienze e delle camere di consiglio “in presenza” presso il Consiglio di Stato e il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana nella fase di superamento dello stato di emergenza per l'epidemia da covid-19 del 10 gennaio 2021.

[8] Avvenuta con d.m. 7 agosto 2023, n. 110.

[9] Francesco Greco, presidente del Consiglio Nazionale Forense, intervistato sull’edizione del 9 giugno 2023 del quotidiano Il Domani (articolo riportato alla pagine Internet https://www.consiglionazionaleforense.it/web/cnf-news/-/24697-193) ha dichiarato che il regolamento (all’epoca ancora allo stato di proposta) «non tiene in considerazione il diritto dei nostri assistiti ad una difesa che sia piena. Se io come avvocato ritengo di aver bisogno di un certo spazio per argomentare al meglio la posizione del mio cliente, non può esistere un regolamento che mi impone di usarne di meno».

[10] Si veda il decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 22 dicembre 2016.

[11] Si veda la Delibera del Consiglio di Presidenza del 18 gennaio 2013, recante Disposizioni per assicurare la qualità, la tempestività e l’efficientamento della giustizia amministrativa.

[12] M. Weber, in Die Wirtschaft und die Ordnungen, capitolo VI della seconda parte di Wirtschaft und Gesellschaft, Tubinga, 1921, scrive che l’economia «esige un funzionamento del diritto calcolabile secondo regole razionali». Di interessante lettura è il recente volume a cura di A. Carleo, Calcolabilità giuridica, Bologna, 2017, e, in particolare, il capitolo di N. Irti, Per un dialogo sulla calcolabilità giuridica.

[13] Si veda, da ultimo, Cons. Stato, Sez. V, 8 luglio 2021, n. 5196.

[14] L’art. 4-bis d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, introdotto dalla l. 31 agosto 2022, n. 130, prevede ora la competenza del giudice monocratico nelle controversie di valore sino ad € 5.000,00.


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