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Fusione di società e riporto delle perdite

aggiornamento a cura di Alma Chiettini • 29 gennaio 2023

Cass. Civile, Sez. V, 16 gennaio 2023, n. 1035


L’operazione straordinaria di fusione societaria è un evento fiscalmente neutro: in tal senso il comma 1 dell’art. 172 del d.P.R. n. 917 del 1986 recita: “la fusione tra più società non costituisce realizzo né distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni delle società fuse o incorporate, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento”, e il successivo comma 4 stabilisce che: “dalla data in cui ha effetto la fusione la società risultante dalla fusione, o incorporante, subentra negli obblighi e nei diritti delle società fuse o incorporate relativi alle imposte sui redditi, salvo quanto stabilito nei commi 5 [disciplina delle riserve in sospensione di imposta] e 7 [disciplina delle perdite]”.

È questa seconda eccezione che qui interessa e che è stata bene esposta e chiarita dalla sentenza segnalata, la quale ha innanzitutto ricordato come il Legislatore, dopo aver riscontrato “fenomeni di rincorsa e quasi di incetta di società in perdita” coinvolte in operazioni di fusione, abbia posto un argine al pericolo di diffusione di operazioni di fusione con società decotte. Ecco, dunque, la ratio del comma 7 dell’art. 172, secondo cui le perdite di una società che partecipa a una fusione possono essere portate in diminuzione dei redditi della società risultante dalla fusione a condizione che dal conto economico della società le cui perdite si vogliono riportare, nell’esercizio precedente a quello in cui la fusione è deliberata:

- risulti un ammontare di ricavi e proventi dell’attività caratteristica superiore al 40% di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori;

- risulti un ammontare di spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi superiore al 40% di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori.

In presenza di questi due parametri, che costituiscono il c.d. test di vitalità, le perdite si possono utilizzare, ma limitatamente a un prescritto importo massimo: solo per la parte che non eccede il patrimonio netto della società le cui perdite si vogliono riportare, come risulta dall’ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale ex art. 2501 quater c.c., senza tenere conto dei conferimenti e dei versamenti fatti negli ultimi ventiquattro mesi anteriori alla data cui si riferisce il bilancio o la situazione stessa.

Con riguardo a questo punto, è stato bene specificato che “il c.d. patrimonio netto inferiore va individuato tra quello dell’ultimo bilancio di esercizio e quello risultante dalla situazione patrimoniale aggiornata, previa rettifica in diminuzione dei conferimenti e versamenti eventualmente eseguiti nel biennio precedente alla data cui detto patrimonio si riferisce”.

In assenza di questi due parametri le perdite non si possono utilizzare. 

Il Legislatore ha pertanto riconosciuto puntuali limiti al riporto delle perdite delle società partecipanti alla fusione quale meccanismo di tutela da fenomeni elusivi, di commercio di perdite fiscali, così evitando la fusione di “scatole vuote” cariche solo di perdite da portare “in dote” all’incorporante ma ormai prive di ogni concreta operatività, di c.d. “bare fiscali” utilizzabili al solo scopo di abbattere gli utili tassabili.

Il comma 7 in esame è una norma antielusiva specifica che colpisce una certa situazione il cui verificarsi comporterebbe un determinato effetto elusivo: il vantaggio derivante dalla compensazione tra le perdite di una società che non produceva più utili (oppure ne produceva in misura insufficiente a compensare le perdite) e il reddito di un’altra società. La norma è applicazione del più generale principio secondo cui un soggetto non può compensare perdite con i redditi di un altro soggetto in quanto ogni compensazione deve avvenire in capo allo stesso soggetto fiscale. E per le persone giuridiche societarie questo non comporta affatto divieto di fusione ma impossibilità di conseguire benefici fiscali dalla compensazione intersoggettiva di perdite laddove l’attività che ha prodotto queste perdite non è più in grado di riassorbirle.

La disposizione in esame contiene dunque “una regola circolare costruita dal Legislatore a tutela dal rischio di operazioni finalizzate al raggiungimento di obiettivi esclusivamente oppure prevalentemente elusivi, mediante l’identificazione di criteri preventivi, legalmente presuntivi ma specificamente predeterminati, entro cui l’operatore economico è in grado di conoscere come deve muoversi e cosa aspettarsi sotto il profilo fiscale”. Trattasi, in altri termini, di una presunzione legale perché individua sulla base di due parametri presuntivi – condizioni minime di vitalità economica – i casi in cui vi può essere un vantaggio fiscale indebito, ovvero la compensazione intersoggettiva. Parametri presuntivi perché la norma, in concreto, rileva solo se una società è stata depotenziata in prossimità dell’operazione di fusione, posto che confronta i due parametri considerati rilevanti (ricavi e proventi dell’attività caratteristica e spese per prestazioni di lavoro subordinato) nell’esercizio precedente la fusione rispetto ai due esercizi antecedenti. Parametri presuntivi perché la vitalità di una società può essere rilevata anche da parametri diversi da quelli previsti dal comma 7; per esempio: - in base alla composizione dell’attivo patrimoniale; - in base al valore economico della società che può essere superiore al suo patrimonio netto contabile; - tenendo conto che una società può operare senza costi del personale (ad esempio una società costituita con la sola finalità di acquisire la partecipazione totalitaria in un’altra società e che quindi non svolge alcuna altra attività – cfr., sul punto, Cass. civ., sez. V, 4.3.2021, n. 5953, e risoluzioni A.d.E. n. 337/E del 29.10.2002 e n. 143/E del 10.4.2008).

Da quanto sin qui esposto emerge l’oggetto della prova che compete al contribuente per superare la presunzione di legge:

- la dimostrazione che gli effetti elusivi “non possono verificarsi” perché la società le cui perdite si vogliono riportare non era una “bara fiscale” nonostante l’applicazione della disposizione del comma 7 dell’art. 172 l’abbia fatto presumere;

- la dimostrazione della perdurante attività della società le cui perdite si vogliono riportare, attività che può essere valutata anche con parametri diversi da quelli codificati dal comma 7 in esame.

Ne deriva che quando la disciplina antielusiva presenta dei limiti nel caso concreto, tali limiti possono essere superati mediante il ricorso all’istanza di interpello prevista dall’art. 11, comma 2, della l. n. 212 del 2000. In tal modo al contribuente è assicurato uno strumento con cui, controbilanciando lo schema rigido del comma 7 in esame, può richiedere all’Amministrazione la disapplicazione della norma (sul punto vedasi la risoluzione A.d.E. n. 337/E del 29.10.2002 e la circolare A.d.E. n. 9/E del 9.3.2010 che riconoscono la disapplicabilità della norma qualora la società dimostri che, pur con perdite fiscali pregresse, ostative al superamento dei limiti di deducibilità imposti dall’art. 172, comunque non è una “bara fiscale”). 

Peraltro, la mancata attivazione della relativa procedura non implica la decadenza dalla possibilità di ottenere la disapplicazione della norma antielusiva perché la giurisprudenza ha pure chiarito che il contribuente che intende far valere l’illegittimità dell’operato dell’Amministrazione in ordine al mancato riconoscimento della possibilità di utilizzare perdite pregresse in un’operazione di fusione “non è tenuto obbligatoriamente ad avanzare istanza di interpello disapplicativo … ma può far valere la medesima pretesa direttamente in sede giudiziale, con correlativo obbligo del giudice di pronunciarsi in merito” (Cass. civ., n. 5953 del 2021, cit.).

In conclusione, la Corte ha pronunciato il seguente principio di diritto: “in tema di reddito imponibile delle società che partecipano a un’operazione di fusione, la disciplina contenuta nell’art. 172, comma 7, del d.P.R. n. 917 del 1986, posta a tutela dal rischio di operazioni finalizzate al raggiungimento di obiettivi esclusivamente o prevalentemente elusivi, costituisce una regola circolare, che, mediante l’identificazione di criteri legali presuntivi ma specificamente predeterminati, assicura all’operatore economico la conoscenza degli effetti della fusione sotto il profilo fiscale ed è in ogni caso disapplicabile, mediante il ricorso all’interpello previsto dall’art. 11 della L. n. 212 del 2000, qualora sia dimostrato che la società partecipante all’operazione, pur con perdite fiscali incompatibili con la deducibilità dal reddito della società risultante dalla fusione, non è una ‘scatola vuota’”.

Ed ha osservato che tale conclusione sulla “disciplina antielusiva non assoluta” apprestata dall’art. 172, comma 7, è del tutto compatibile con i principi eurounitari, in forza dei quali “uno Stato membro può rifiutare di applicare in tutto o in parte le disposizioni [sulle fusioni e scissioni societarie] o di revocarne il beneficio, qualora risulti che una delle operazioni ha come obiettivo principale o come uno degli obiettivi principali l’elusione o l’evasione fiscale; il fatto che l’operazione non sia effettuata per valide ragioni economiche, quali la ristrutturazione o la razionalizzazione delle attività delle società partecipanti all’operazione, può costituire la presunzione che quest’ultima abbia come obiettivo principale o come uno degli obiettivi principali l’elusione o l’evasione fiscali” (art. 15 della direttiva 19.10.2009, n. 2009/133/CE, già art. 11 della direttiva 23.7.1990, n. 90/434/CEE).



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