IL CASO E LA DECISIONE
Un tifoso della Fiorentina, al termine dell’incontro di calcio tra Fiorentina - Juventus disputato il 3 settembre 2022 presso lo stadio “A. Franchi” di Firenze, si è reso protagonista di un accadimento che ha creato parecchio scalpore, specie dopo che una foto - che lo ritraeva accanto al figlio minore, con indosso la maglia e la sciarpa della squadra del Liverpool, mentre gesticolava animatamente sotto il settore occupato dai tifosi juventini - è stata pubblicata in rete da diverse testate giornalistiche, così divenendo “virale”.
L’episodio, secondo il Questore di Firenze, era stato chiaramente connotato da un intento provocatorio nei confronti dei tifosi juventini per via del richiamo alla strage dell’Heysel (avvenuta il 29 maggio 1985 in occasione della finale di Coppa dei Campioni fra Juventus e Liverpool), nella quale avevano perso la vita 39 tifosi juventini.
In ragione di tale condotta, ritenuta indice di pericolosità per l’ordine e la sicurezza pubblica, il Questore di Firenze ha emesso nei confronti del tifoso fiorentino "incriminato" il provvedimento di DASPO (acronimo di “Divieto di Accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni SPOrtive”), misura introdotta, essenzialmente, al fine di contrastare il fenomeno della violenza negli stadi dove si disputano gare calcistiche, dall’art. 6, L. 13 dicembre 1989, n. 401, anche in vista dei campionati mondiali che si svolsero in Italia nel 1990.
Nella specie è stato disposto a carico del tifoso fiorentino il divieto sia di accedere ai luoghi ove si svolgono incontri di calcio per due anni sia di accedere, le due ore prima e fino a due ore dopo lo svolgimento degli incontri di calcio, nei luoghi circostanti lo stadio Franchi di Firenze, nonchè in tutti i luoghi interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle predette manifestazioni.
Secondo il ricorrente, però, il comportamento addebitatogli non avrebbe integrato i presupposti stabiliti dall’art. 6 della legge n. 401 del 1989 per l’applicazione della misura irrogata (condotte di “partecipazione attiva ad episodi di violenza, minaccia, intimidazione, tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica o creare turbative per l’ordine pubblico in occasione ed a causa” della manifestazione sportiva, ovvero di “incitamento, di inneggiamento o di induzione alla violenza”) in quanto l’aver indossato una maglia del Liverpool (squadra di cui il ricorrente sarebbe tifoso e che in quel giorno giocava il derby contro l’Everton) non avrebbe avuto alcuna concreta incidenza sulla gestione dell’ordine pubblico della partita, né avrebbe potuto configurare una partecipazione attiva ad episodi di violenza o una specifica istigazione alla violenza.
Il Tribunale amministrativo regionale di Firenze ha dapprima accolto la domanda cautelare sulla base del rilievo per cui “i fatti posti in essere dal ricorrente, pur censurabili sotto un profilo di scorrettezza, non sembrano essere qualificabili come episodi di violenza né sembrano integrare un incitamento, inno o induzione alla violenza”; e, tuttavia, in fase di merito, ha ritenuto di rivedere il proprio pronunciamento cautelare, avvalorando la legittimità del provvedimento questorile sulla base del ragionamento di seguito esposto.
La premessa è che “In base al primo comma dell’art. 6 della legge n. 401 del 1989, il Questore può disporre il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive “nei confronti di: a) coloro che risultino denunciati per aver preso parte attiva a episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza…”.
Il provvedimento di divieto è dunque connotato da ampia discrezionalità, spettando all'autorità amministrativa la valutazione in concreto dell'inaffidabilità del soggetto in forza di un equo bilanciamento tra il prevalente interesse pubblico alla tutela dell'ordine e della sicurezza dei cittadini e l'interesse privato ad accedere liberamente negli stadi (Consiglio di Stato, sez. III, n. 8381/2022).
Sotto il profilo probatorio, la giurisprudenza ha qualificato la fattispecie come tipicamente appartenente al diritto amministrativo della prevenzione per l'inequivoca volontà del legislatore di anticipare la soglia della prevenzione stessa alle situazioni di pericolo concreto, per le quali vale la logica del "più probabile che non", non richiedendosi anche per questa misura amministrativa di prevenzione (al pari di quelle adottate in materia di prevenzione antimafia) la certezza, ogni oltre ragionevole dubbio, della lesione del bene giuridico della sicurezza e dell'ordine pubblico, ma, appunto, una dimostrazione fondata su "elementi di fatto" gravi, precisi e concordanti, secondo un ragionamento causale di tipo probabilistico improntato ad una elevata attendibilità (Consiglio di Stato, sez. III, n. 866/2019).
Il divieto, dunque, stante la finalità spiccatamente preventiva che lo caratterizza, può essere irrogato dall'autorità amministrativa non solo nel caso di accertata lesione, in ottica di repressione penalmente accertata, ma anche in caso di pericolo di lesione dell'ordine pubblico, in evidente ottica di prevenzione, come appunto nel caso di condotte che comportino o agevolino situazioni di "allarme" o di "pericolo" (Consiglio di Stato, sez. III, n. 730/2023).”.
Sulla base di tale quadro normativo e giurisprudenziale, il Tribunale ha ritenuto che il tifoso viola avesse posto in essere una condotta “particolarmente odiosa e fortemente provocatoria nei confronti della tifoseria juventina” e che il gesto sopra descritto, vagamente apologetico dei tragici fatti dell’Heysel e della violenza cieca espressa in quell’occasione dagli hooligans ai danni dei tifosi juventini, avrebbe potuto scatenare una reazione violenta da parte della curva juventina, con conseguenti disordini e potenziali conflitti.
Tale approdo decisionale appare senz’altro condivisibile, dovendo la decisione giudiziaria essere calata in un contesto come quello delle competizioni sportive-calcistiche in cui le emozioni emergono a un livello di massima intensità e in cui basta una scintilla per farle degenerare in violenza pura. E, d’altro canto, come osserva il Tribunale, la stessa legge n. 401 del 1989, che è diretta alla tutela della sicurezza nello svolgimento delle manifestazioni sportive, è stata adottata proprio per evitare il ripetersi di episodi di violenza come quello dell’Heysel “così avventatamente e pericolosamente evocato dall’odierno ricorrente, in modo stridente con il peso storico di quella tragedia, la quale peraltro poteva aver attinto direttamente la famiglia di qualcuno dei tifosi juventini presenti quel giorno allo stadio Franchi di Firenze”.
I NUOVI DASPO E LA LORO COMPATIBILITA’ CON I PRINCIPI FONDAMENTALI
Il DASPO è un istituto che gravita nell’orbita dell’universo delle misure di prevenzione, da valutare astrattamente in modo senz’altro positivo, avendo avuto nel tempo un ruolo di forte deterrenza nei confronti della verificazione di fenomeni di violenza all’interno degli stadi, anche perché l’autorità di polizia ne ha fatto in genere un uso conforme alla legge (che ne fissa con precisione presupposti e contenuti) e alla giurisprudenza che nel tempo si è stratificata. Il successo dell’istituto è peraltro testimoniato dal progressivo ampliamento del suo raggio di azione, essendo divenuto uno strumento amministrativo di prevenzione diretto a tutelare tout court l’odine pubblico in modo praeter o ante delictum, con alcune espansioni che tuttavia potrebbero ingenerare dubbi di legittimità costituzionale, specie laddove tali misure di prevenzione “aggirano” le garanzie sostanziali e procedurali che presidiano l’applicazione delle sanzioni penali in senso stretto (pene e misure di sicurezza), pur andando in molti casi ad incidere su beni giuridici personali fondamentali come la libertà personale e la libertà di circolazione.
Ci si riferisce ad esempio alle misure introdotte dai “decreti sicurezza” e in particolare alle “Disposizioni a tutela della sicurezza delle città e del decoro urbano” di cui al d.l. n. 14 del 20 febbraio 2017, convertito dalla L. n. 48 del 18 aprile 2017 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città), in cui si prevedono alcune misure di prevenzione, volte a garantire il miglioramento della sicurezza urbana, impropriamente definite “DASPO urbano”. Ivi, ad esempio, agli art. 9 e 10 si prevedono ordini di allontanamento e di divieto di accesso a determinate aree cittadine, a tutela del decoro urbano e a carico di chi ponga in essere condotte che impediscono l'accessibilità e la fruizione di determinate infrastrutture o di determinati luoghi pubblici, condotte poste in essere “in violazione dei divieti di stazionamento o di occupazione di spazi”, mentre all’art. 13 si conferisce al Questore il potere di vietare l’accesso a, ovvero lo stazionamento nelle immediate vicinanze di, determinati locali pubblici o aperti al pubblico, scuole e università, nei confronti persone anche semplicemente denunciate per i delitti di vendita o cessione di stupefacenti.
E al successivo art. 13 bis si prevede che Questore possa disporre il divieto di accesso a pubblici esercizi o locali di pubblico trattenimento “nei confronti delle persone denunciate, negli ultimi tre anni, per reati commessi in occasione di gravi disordini avvenuti in pubblici esercizi o in locali di pubblico trattenimento ovvero nelle immediate vicinanze degli stessi, o per delitti non colposi contro la persona o il patrimonio ovvero aggravati ai sensi dell'articolo 604-ter del codice penale, qualora dalla condotta possa derivare un pericolo per la sicurezza...”.
Ora, se per un verso l’assenza di previo accertamento della responsabilità penale rappresenta il proprium delle misure personali di prevenzione, per altro verso tali scelte legislative hanno l’effetto di aumentare il potere e la discrezionalità dell’autorità di pubblica sicurezza e di spingere il punto di equilibrio fra autorità e libertà in favore della prima.
Ne consegue che, in presenza di tali disposizioni normative - che sono già al limite della costituzionalità -, un’applicazione estensiva delle misure rapportate alle fattispecie concrete, magari fondata sull’esistenza di semplici elementi di sospetto a carico del destinatario, difficilmente potrebbe reggere ad una stringente verifica in termini di necessità e proporzionalità.
Il riferimento è anche alla nuova disciplina, introdotta con il D.L. 14 giugno 2019, n. 53 - convertito con L. 8 agosto 2019, n. 77 -, del cosiddetto DASPO “fuori contesto”.
La legge 13 dicembre 1989, n. 401, all’art. 6, comma 1, lett. c), come modificato dal D.L. 14 giugno 2019, n. 53, convertito con modificazioni dalla L. 8 agosto 2019, n. 77, prevede attualmente, infatti, la possibilità di adottare i provvedimenti amministrativi di divieto di accesso ai luoghi destinati a ospitare manifestazioni sportive e la sottoposizione all'obbligo di presentazione all'autorità di polizia in concomitanza con tali manifestazioni anche nei confronti di “coloro che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso dei cinque anni precedenti per alcuno dei reati di cui alla L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 4, commi 1 e 2, alla L. 22 maggio 1975, n. 152, art. 5, al D.L. 26 aprile 1993, n. 122, art. 2, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 giugno 1993, n. 205, all'art. 6-bis, commi 1 e 2 e art. 6-ter della presente legge, per il reato di cui al D.L. 8 febbraio 2007, n. 8, art. 2-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 aprile 2007, n. 41, o per alcuno dei delitti contro l'ordine pubblico o dei delitti di comune pericolo mediante violenza, di cui al libro secondo, titoli V e VI, capo I, del codice penale o per il delitto di cui all'art. 588, ovvero per alcuno dei delitti di cui all'art. 380 c.p.p., comma 2, lett. f) e h), anche se il fatto non è stato commesso in occasione o a causa di manifestazioni sportive”.
Si tratta appunto del cosiddetto DASPO “fuori contesto”, cioè adottato indipendentemente dalla realizzazione di condotte violente in occasione o a causa di manifestazioni sportive, qualora, per effetto della precedente condanna o anche solo della denuncia per uno dei reati indicati nella disposizione, venga formulato, a seguito della realizzazione di condotte violente, un giudizio di pericolosità nei confronti del soggetto precedentemente condannato o denunciato e che si sia reso nuovamente autore di condotte violente, rispetto al quale sia necessario, proprio per la sua pericolosità (desunta da tali condanne o denunce e dalla nuova realizzazione di condotte violente), l'impedimento dell'accesso ai luoghi destinati a ospitare manifestazioni sportive e l'imposizione anche della misura di prevenzione atipica dell'obbligo di presentazione alla P.G..
E ciò, allo scopo sostanziale di evitare che all'interno delle tifoserie si verifichino infiltrazioni di soggetti sospettatati di terrorismo o comunque ritenuti pericolosi, e anche di prevenire, in tal modo, la realizzazione di attentati in luoghi ad alta densità sociale (v. Cass. pen. Sez. III, Sent. n. 2278 del 20 gennaio 2021).
Di conseguenza, al fine di disporre il divieto di accesso ai luoghi destinati allo svolgimento di manifestazioni sportive e la sottoposizione all’obbligo di presentazione, non è più dirimente che il reato commesso nel quinquennio precedente - denunciato o accertato anche con sentenza non definitiva - sia stato commesso in un contesto sportivo, perché possono essere rilevanti anche tutte quelle condotte violente, che integrano gli illeciti espressamente previsti, avvenute in circostanze avulse dall’ambito sportivo.
Si viene così ad estremizzare l’anticipazione della tutela dell’ordine pubblico e in particolare la preservazione del pacifico e corretto svolgimento degli eventi sportivi, portandola ad una soglia in cui il soggetto colpito dal DASPO potrebbe non aver mai messo piede all’interno di uno stadio, e tuttavia verrebbe sottoposto anche all’obbligo di presentazione alla P.G. nei giorni delle manifestazioni sportive.
Anche in tal caso occorre perciò porre particolare attenzione alla concreta applicazione dell’istituto, affinché siano salvaguardate le garanzie difensive e, più in generale, i principi cardine del nostro ordinamento, con il dovuto rispetto dei consolidati canoni di necessità e proporzionalità.