Tar Lombardia, Milano, sentenze n. 3002/2023, n. 3003/2023 e n. 3004/2023, pubblicate il 11/12/2023
IL CASO E LA DECISIONE
Tre immobili siti nel cuore cittadino di Milano, che ospitano un negozio di abbigliamento, una gioielleria e un albergo, vengono posti sotto tutela culturale diretta dalla Soprintendenza competente, in quanto facenti parte di un più generale complesso urbano divenuto col tempo espressione della vita sociale e artistica post-unitaria.
È il salotto di Milano, ricomprensivo della Galleria Vittorio Emanuele II e dei Portici settentrionali, testimonianza architettonica e artistica del mutare del volto neoclassico e risorgimentale della città meneghina nelle prime espressioni eclettiche, fino ad intrecciarsi in modo più vasto e dinamico con la cultura sociale ed economica della città.
Ma le società titolari dei tre beni coinvolti nel più ampio disegno di tutela contestano in giudizio la sussistenza dei presupposti, nel loro caso, per la dichiarazione di interesse di particolare importanza.
Le motivazioni della contestazione sono plurime, e vanno dalla particolare ubicazione dell'immobile nello spazio vincolato (strade limitrofe alla galleria o fuori dai Portici) all'assenza di pregio storico e architettonico all'interno degli edifici, fino alla mancanza di proporzione del tipo di vincolo adottato.
In particolare, i ricorrenti - ciascuno dei quali ha proposto un singolo atto di impugnazione contro i provvedimenti ritenuti lesivi - hanno ricordato le vicende che hanno caratterizzato nel tempo la vita dei propri immobili, evidenziandone il rifacimento totale o parziale esterno e interno in seguito ad eventi bellici o di ristrutturazione radicale.
Sullo sfondo, la contestata non appartenenza dei beni allo storico progetto dell'architetto Mengoni - da cui hanno preso origine le determinazioni di vincolo della Soprintendenza -, nonostante fosse pacifica la situazione di omogeneità stilistica di tutti gli edifici coinvolti - compresi quelli dei ricorrenti -, rispetto a tale progetto.
Il Giudice di primo grado ha tuttavia respinto tutte le censure, individuando il seguente percorso argomentativo:
- la linea di continuità estetica e culturale degli isolati urbani di rilievo ha reso ragionevole un vincolo unitario e prescindente da singole diversità di ubicazione o di caratteristiche interne degli specifici edifici;
- tale continuità non ha rilievo soltanto tra un bene e l'altro ma anche in relazione all'iniziale progetto dell'architetto Mengoni, che ha senz'altro ispirato nella sua struttura di base tutte le costruzioni inserite all'interno del contesto viario di riferimento;
- l'indice di importanza assegnato al valore estetico e culturale dell'intero complesso immobiliare vincolato è da ritenersi adeguato al particolare contesto cittadino.
In definitiva, secondo il Tar, il binomio costituito da straordinario scenario metropolitano e armonioso e coerente inserimento degli edifici all'interno di tale scenario è di per sé sufficiente a rendere legittima l'apposizione del massimo vincolo culturale possibile, e prevale su ogni diversa considerazione dei privati proprietari in ordine alle radicali modificazioni intervenute, nel frattempo, negli impianti originari degli edifici stessi, e al di là dunque della trasformazione che ne è derivata del bene culturale da proteggere.
APPUNTI SULLA DICHIARAZIONE DI INTERESSE CULTURALE PARTICOLARMENTE IMPORTANTE
Ai sensi dell'art. 10, comma 3, lett. a) e d), e dell’art. 13 del d.lgs. n. 42 del 2004 (c.d. codice dei beni culturali), il bene appartenente a un privato che sia stato dichiarato di interesse particolarmente importante, e che abbia determinate caratteristiche “culturali”, viene sottoposto al c.d. vincolo monumentale o di tutela diretta.
L’interesse da proteggere deve fare quanto meno “riferimento” alla storia politica e militare, alla letteratura, all'arte, alla scienza, alla tecnica, all'industria o alla cultura in genere, ovvero rappresentare testimonianza dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose.
Completato il procedimento di dichiarazione di cui all’art. 14 del codice, i “beni culturali” privati in questione sono sottoposti a tutta una serie di misure di protezione, per il vero molto pervasive, tra cui l’impossibilità della loro distruzione o della loro adibizione ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione.
Inoltre, qualsiasi intervento edilizio (anche minimo) sui beni vincolati è soggetto ad autorizzazione preventiva, mentre il mutamento di destinazione d’uso è sottoposto ad un vaglio di “compatibilità” successivo.
Si tratta di vincolo sicuramente più esteso e pregnante della tutela indiretta, tanto è vero che le parti delle sentenze in commento hanno provato a illustrare i motivi per cui, nel loro caso, sarebbe stata più proporzionata e adeguata ai luoghi e allo stato degli immobili una diversa e più attenuata forma di protezione.
Quando tuttavia si tratta – come nel caso del “salotto di Milano” – di dichiarare l’interesse particolarmente importante di aree urbane di notevole estensione, la prima questione da porsi è la possibilità per l’amministrazione procedente di omettere una specifica osservazione su ciascuno dei fabbricati collocati nelle strade limitrofe alla Galleria e ai Portici settentrionali, e di apporre il vincolo storico-artistico anche a un complesso di immobili aventi caratteristiche comuni, e che esprimono nel loro complesso un valore unitario.
Secondo il Tar meneghino, tanto è possibile, quando il vincolo si innesti su di una situazione di omogeneità urbana tale da non consentire limitazioni di intervento o specifiche distinzioni tra un immobile e un altro.
Nello statuire ciò, il Giudice di primo grado ha richiamato il suo stesso precedente, che secondo le parti avrebbe dovuto invece costituire un ostacolo ad una pronuncia ad esse sfavorevole.
Invero, nel caso trattato dalla sentenza n. 2630 del 2021 emessa sempre dalla III Sezione del Tar Milano, era stato ritenuto illegittimo il vincolo apposto a un intero quartiere; tuttavia, lo stesso Giudice di quel precedente aveva precisato che, pur non dovendo necessariamente il vincolo monumentale colpire beni specificamente individuati, era in ogni caso necessaria, per fare ciò, un’omogeneità di fondo tra gli immobili ricompresi nella stessa area, di modo che sia proprio la pluralità, nel suo complesso ed in maniera unitaria, ad esprimere il valore di interesse storico e culturale.
Altra questione delicata affrontata dal Giudice di primo grado attiene alla gradualità del vincolo da adottare, con particolare riferimento alla maggiore congruità, nel caso di specie, e secondo i ricorrenti, del vincolo paesaggistico.
Tale diversa tipologia di vincolo è contemplata in linea generale dell’art. 136 del codice dei beni culturali, e può essere apposta, tra le altre fattispecie ivi previste, anche ai complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici.
Si tratta dunque di un regime che la Soprintendenza avrebbe potuto applicare anche al “salotto di Milano”, in quanto sia “centro” che “nucleo storico”.
Con quali conseguenze pratiche?
Secondo il Tar, il vincolo paesaggistico non avrebbe nella sostanza provocato effetti molto diversi sulla gestione dei singoli immobili (imponendo l'art. 146, comma 1 del d.lgs. n. 42 del 2004 divieti radicali di modificazioni e obbligo di astensione dagli interventi da intraprendere sul bene protetto, fino al rilascio della necessaria autorizzazione), ma avrebbe concorso parallelamente, in questo caso, quanto ad ammissibilità e congruità, con la tutela diretta “monumentale”.
La relativa scelta era dunque connessa semplicemente al diverso presupposto valorizzato dall’ente procedente, presupposto costituito dall’innegabile natura degli interessi culturali di tipo storico-artistico e storico-identitario riconosciuti nel complesso monumentale, “che sono un dato ontologico di partenza e non un punto di arrivo delle valutazioni operate”.
Al contrario, il Giudice meneghino ha ritenuto del tutto inadeguata rispetto al complesso e alla monumentalità dei beni da tutelare la mera prescrizione di distanze e altre misure ai sensi dell'art. 45 del d.lgs. n. 42 del 2004, mentre è stato ribadito che la comunicazione del mutamento di destinazione d'uso del bene culturale, prevista dall'art. 20 comma 4 del codice, è finalizzata semplicemente ad evitare la distruzione, il deterioramento, il danneggiamento o l'adibizione ad usi non compatibili con il suo carattere storico o artistico, o ancora pregiudizievoli alla sua conservazione, del bene medesimo, e dunque non costituisce di per sé un limite inesigibile e assoluto al potere privato di gestione della cosa.
Ultima questione di ordine generale affrontata dal Tar è la possibilità giuridica di apporre il vincolo monumentale non sull’intero bene ma soltanto su una parte di esso (nel caso di specie, evitando la tutela diretta sugli interni degli immobili, anche in considerazione degli importanti lavori che erano stati compiuti su di essi e dell’assenza di pregio culturale “distintivo”).
Il Giudice di prime cure non ha escluso in linea di principio tale possibilità, ma ha contestualmente rimarcato l’amplissima discrezionalità che resta in capo all’amministrazione in ordine all’eventuale “frammentazione” dell’intervento da operare.
Sotto quest’ultimo profilo, il principio di diritto espresso dal Tribunale amministrativo è il seguente: l’apposizione di un vincolo che non riguardi solo la facciata di un edificio può essere ritenuta sproporzionata “soltanto qualora tale mancata limitazione dell’intervento debba essere considerata come abnorme”.