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Inefficacia del vaccino anti-covid e fatto notorio: offensività e stato di necessità nel reato

30 aprile 2023

Tribunale militare di Napoli - GUP, sentenza n. 20 del 10 marzo 2023


IL CASO E LA DECISIONE

Un militare è imputato del reato di forzata consegna, previsto dall'art. 140 del codice penale militare, secondo cui è punita con la reclusione da sei mesi a due anni la condotta costituita dalla violazione, in qualsiasi modo, di una consegna.

La consegna militare, a sua volta, è costituita dalle prescrizioni generali o particolari, permanenti o temporanee, scritte o verbali impartite per l’adempimento di un particolare servizio.

Il militare, secondo l'accusa, aveva commesso tale reato entrando nella palazzina della caserma di assegnazione, nonostante il contrario avviso del personale di guardia, che gli aveva intimato di attendere al varco l'arrivo dei superiori, in forza della regola, all'epoca vigente, che consentiva l'accesso soltanto ai soggetti provvisti di green pass (certificazione verde covid-19).

In sede di richiesta di rinvio a giudizio, il Tribunale militare adito ha pronunciato il non luogo a procedere, per insussistenza del fatto determinata dall'assenza di offensività della condotta.

Il Giudice dell'udienza preliminare, in particolare, pur avendo ritenuto provati i fatti storici addotti dall'accusa (l'imputato era effettivamente sprovvisto di green pass ed era entrato in caserma per pochi minuti nonostante l'ordine contrario ricevuto) ha ritenuto che l'ingresso nel luogo di lavoro di un soggetto non vaccinato non aveva determinato alcun rischio maggiore per la salute pubblica rispetto all'ingresso di soggetti vaccinati.

La pronuncia ha preso le mosse, per arrivare a questa conclusione, da un'interpretazione delle norme che hanno introdotto l'obbligo del green pass, tale da far derivare, sotto il profilo penalistico, una irrilevanza della condotta contestata all'imputato.

Nello specifico, il Giudice adito ha rilevato che i vaccini in commercio contro il virus Sars-CoV-2 non sarebbero strumenti idonei in alcun modo a prevenire il contagio dal virus in questione, e ciò in ragione dell'osservazione empirica - ricondotta dal Giudice stesso a fatto notorio - secondo cui è dato di esperienza incontrovertibile la circostanza che i soggetti vaccinati per SARS-Cov-2 possono contrarre e trasmettere il contagio esattamente come i non vaccinati, con equiparazione tra i due gruppi dal punto di vista epidemiologico.

Ne consegue dunque, nel ragionamento deduttivo del Tribunale, che la non sussistenza in fatto del presupposto normativo dell'obbligo vaccinale e della necessità di esibizione del green pass nei luoghi di lavoro determini l'inoffensività delle condotte contrarie a tale disposto normativo, tra cui anche, nel caso di specie, la condotta di rispettare la consegna militare di divieto di accesso in caserma senza certificazione attestante l'avvenuto ciclo di vaccinazione obbligatoria.

In particolare, non sarebbe stato leso, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata della norma di riferimento, il bene penalmente protetto, che è quello della "tutela del servizio", con svuotamento a priori, nel caso di specie, della finalità garantita di assicurare il corretto svolgimento del servizio comandato.

Finalità che, in questo caso, sarebbe stata quella di ridurre il rischio per la salute pubblica.

Sotto altro profilo, il Giudice adito ha ritenuto sussistente, nella concreta fattispecie dallo stesso esaminata, anche lo stato di necessità, integrato dall'esigenza ineludibile di salvare se stessi dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, rappresentato dal rischio di insorgenza di un evento avverso, anche grave, a seguito della vaccinazione.

Da questo punto di vista, il Tribunale militare di primo grado ha ritenuto, in difforme avviso rispetto alle recenti pronunce della Corte costituzionale, che un trattamento sanitario obbligatorio che può provocare effetti gravi - anche fatali -, in un numero non del tutto marginale di casi, come sicuramente è quello relativo alla somministrazione degli attuali vaccini in commercio per SARS-Cov-2, violerebbe i limiti imposti dal rispetto della persona umana, così come tutelato dall'art. 32 della Costituzione.


OFFENSIVITA' E STATO DI NECESSITA'

Il principio di necessaria offensività della condotta astrattamente configurata dalla legge come delittuosa postula, ai sensi artt. 25 e 27 della Cost., e dell’art. 49 c.p., che il fatto, per essere penalmente rilevante, risulti non solo conforme al modello legale, ma anche effettivamente e concretamente lesivo e offensivo del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.

Nel caso del reato militare di forzata consegna - di cui si è occupata la pronuncia in commento – è dunque necessaria, per la punibilità del fatto, una effettiva lesione del bene penalmente protetto della tutela del servizio, con necessità per il Giudice adito di valutare se tutte le prescrizioni impartite siano, nei singoli casi, finalizzate al corretto svolgimento del servizio comandato, e se l’inadempimento del militare ad una di tali prescrizioni sia idonea a pregiudicare l’integrità del bene protetto.

Se dunque, a monte, il legislatore non può prevedere fattispecie penali oggettivamente prive di offensività, spetta poi all’autorità giudiziaria, a valle, impedire una arbitraria ed illegittima dilatazione della sfera dei fatti da ricondurre al modello legale.

Nel caso di specie, la condotta contestata all’imputato, di per sé violativa della ipotesi delittuosa configurata dal legislatore (forzare una “consegna”), ha costretto il Giudice penale a un previo vaglio dell’idoneità dell’ordine impartito (e del comportamento rispettoso dello stesso) a prevenire un rischio “ulteriore” per la salute pubblica rispetto a quello ordinario, con connesso e indiretto sindacato della ragionevolezza della norma che ha imposto la necessaria vaccinazione dei militari per accedere al posto di lavoro, in quanto la consegna di non accedere alla caserma di appartenenza era conseguenza inevitabile della mancata ottemperanza all’obbligo vaccinale.

Il Tribunale militare ha preso le mosse, per la decisione del caso concreto, dalle sentenze n. 14, 15 e 16 con cui la Corte costituzionale, con decisione del 1 dicembre 2022, ha dichiarato inammissibili o comunque infondate le questioni di costituzionalità sollevate con riferimento alla disciplina introduttiva dell’obbligo di sottoporsi a vaccinazione per SARS-Cov-2 di cui al decreto-legge n. 44 del 2021.

Il Giudice speciale di primo grado ha premesso che alla Corte delle leggi non spetta alcuna funzione nomofilattica con riguardo all’interpretazione delle norme esaminate, essendo riservata tale funzione, che consiste nell’assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, oltre che “l’unità del diritto oggettivo nazionale”, soltanto alla Corte di Cassazione.

Conseguentemente, il Tribunale militare ha potuto fare propria un’interpretazione autonoma delle norme che fungono da presupposto alla contestazione penale sottoposta al suo vaglio e ha affermato di non condividere l’impostazione seguita dalla Corte costituzionale, che avrebbe recepito acriticamente, secondo il Giudice di merito, il punto di vista, peraltro qualificato, dell’Istituto Superiore di Sanità.

Secondo l’ISS – e dunque anche secondo la Corte costituzionale -, la vaccinazione di massa anti-covid avrebbe avuto l’effetto di ridurre la circolazione del virus, mentre secondo il Giudice militare tale “verità” sarebbe stata smentita, anche ad esito di un vaglio critico dei dati offerti dalle autorità nazionali e internazionali preposte alla ricerca scientifica, dall’osservazione del naturale accadimento dei fatti (id quod plerumque accidit), secondo cui anche i soggetti vaccinati possono contrarre e trasmettere il virus.

Il Tribunale adito ha dedotto così che l’assunto di partenza nell’interpretazione di conformità a Costituzione fornita dalla Corte, in merito all’imposizione per legge dell’obbligo vaccinale, sarebbe erroneo, e ciò sulla base di un doppio passaggio logico.

In particolare, il Giudice di primo grado aderisce all’orientamento giurisprudenziale di merito secondo cui l’inidoneità dei vaccini in commercio a costituire strumenti di prevenzione del contagio costituirebbe in realtà fatto notorio, e tale adesione gli consente di conseguenza di definire irragionevole sia l’obbligo vaccinale che l’obbligo di esibizione del green pass per accedere ai luoghi di lavoro, in quanto strumenti inidonei a rallentare la diffusione del virus.

Essendo peraltro la presunta efficacia del vaccino anti-covid nel ridurre il contagio alla base del disposto normativo che ha stabilito tali obblighi, o comunque alla base degli atti amministrativi fondati sul disposto medesimo, la constatazione dell’erroneità del presupposto rende le condotte contrarie ai precetti conseguenti come prive di reale offensività.

Degno di interesse è infine l’excursus sulla rilevanza dello stato di necessità nella fattispecie concreta esaminata, quale causa di giustificazione che rende non punibile il reato.

Secondo l’art. 54 del codice penale, “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”.

Il Tribunale militare arretra la valutazione della condotta tenuta dall’imputato al momento della decisione di non vaccinarsi, da cui sarebbe scaturita poi la “forzata consegna”.

In altri termini, lo stato di necessità è stato ravvisato non con riferimento alla condotta in concreto contestata (urgenza qualificata di accedere all’alloggio), ma con riferimento alla condotta presupposta a quella (necessità di non correre un rischio grave o fatale vaccinandosi).

Rispetto a tale diverso segmento dell'azione, il Giudice adito critica nuovamente l’impostazione seguita dalla Corte costituzionale nelle ultime pronunce, affermando che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 della Costituzione solo se gli unici effetti negativi prevedibili siano temporanei, di scarsa entità e tollerabili, ma non quando ci siano effetti avversi gravi, irreversibili o fatali già prevedibili al momento dell’imposizione, dovendo la previsione dell’indennizzo riguardare gli eventi avversi imponderabili, che non potevano essere previsti dal legislatore in quel dato momento storico, e che quindi servono a ristorare il danno “ulteriore” imprevedibile.

In altri termini, secondo il Tribunale militare, con affermazione di principio che non può che essere condivisa – sulla base di un’interpretazione corretta dell’art. 32 della Costituzione, che configura la salute prima come fondamentale diritto dell’individuo e solo successivamente come interesse della collettività – nel nostro ordinamento “nessuno può essere semplicemente chiamato a sacrificare la propria salute per quella degli altri, fossero pure tutti gli altri”. 


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