Corte giust. Ue 2^, 13.7.23, causa C-765/21
Un’infermiera professionale, dipendente presso il reparto di neurochirurgia-degenze dell’Azienda ospedaliera-Università di Padova, ha promosso ricorso di urgenza ex art. 700 c.p.c. per impugnare la decisione del suo datore di lavoro di sospenderla dal servizio – senza retribuzione – fino all’adempimento dell’obbligo vaccinale, ai sensi dell'art. 4 del d.l. n. 44 del 2021.
In particolare, è stata contestata la decisione dell’Azienda ospedaliera convenuta di non potere adibire la ricorrente a mansioni diverse che non implicassero il rischio di diffusione del contagio.
L’infermiera ha dunque chiesto la riammissione in servizio, deducendo l’illegittimità dell’art. 4 sopra citato sotto vari profili, sia per contrarietà alla Costituzione della Repubblica italiana che per contrasto con la normativa dell’Unione europea.
Il Giudice interno adito ha innanzitutto ricordato che, secondo la disposizione da applicare alla concreta fattispecie a lui sottoposta, la
vaccinazione costituisce requisito essenziale per lo svolgimento della professione e delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati, e che solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale, la vaccinazione
de qua non è obbligatoria e può essere omessa o differita.
Il Tribunale di Padova ha quindi specificato che la ricorrente, a fondamento della sua tesi – illegittimità dell’interruzione del rapporto di lavoro nei suoi confronti -, ha invocato sia molteplici argomenti di natura in senso stretto medico-sanitaria, tra cui l’intervenuta immunizzazione naturale derivante dal pregresso contagio e guarigione, sia argomenti giuridici di diritto costituzionale ed europeo.
Sotto il profilo della maggiore rischiosità del vaccino rispetto al contagio, e della preferibilità di cure diverse – oggi disponibili in ambiente ospedaliero – il Giudice del lavoro ha rimarcato che le autorizzazioni alla messa in commercio dei vaccini anti-Covid, sia pure condizionate ai sensi del
Regolamento n. 507 del 2006, sono atti di diritto dell’Unione europea e, come tali, valutabili, quanto a legittimità, solo dalla Corte di Giustizia UE.
Di conseguenza, laddove il giudice nazionale dovesse ravvisare seri dubbi di validità di un atto comunitario, e intendesse attribuire una tutela cautelare nel contenzioso dinanzi a lui instaurato, dovrebbe contestualmente investire la Corte di Giustizia di tale questione.
Nel caso di specie, il Giudice adito, alla luce delle nuove “emersioni mediche” e delle nuove conoscenze in termini di medicinali a disposizioni per fronteggiare il Covid-19, ha dubitato della
validità delle autorizzazioni condizionate rilasciate dalla Commissione europea, previo parere di EMA, ai sensi dell’art. 4 del Regolamento n. 507 sopra citato, in relazione al valore giuridico dell’integrità fisica e della salute, posizioni soggettive che sono protette, tra l’altro, dagli
artt. 3 e 35 della Carta europea dei diritti fondamentali, parametri di legittimità degli atti nazionali e comunitari in sede di attuazione dell’ordinamento UE.
Il Tribunale di Padova, in particolare, ha chiesto alla Corte di Giustizia di chiarire se tali autorizzazioni condizionate possano ancora considerarsi valide, alla luce delle cure alternative efficaci e meno pericolose che nel frattempo sarebbero state approvate nei singoli Stati membri.
Il Giudice ordinario ha domandato inoltre alla Corte adita di chiarire se, nel caso di sanitari sottoposti all’obbligo vaccinale ma già contagiati e guariti, i vaccini approvati dalla Commissione in forma condizionata debbano essere somministrati lo stesso, senza alcuna deroga.
Quesiti conseguenti sono poi quelli afferenti al dubbio sulla legittimità della somministrazione obbligatoria dei nuovi vaccini senza alcun tipo di procedimentalizzazione con finalità cautelativa, e al dubbio sulla legittimità della sospensione immediata, con perdita della retribuzione, dal posto di lavoro, senza la previsione di una gradualità delle misure sanzionatorie.
Il Giudice ordinario si è inoltre interrogato sugli effetti che può avere rispetto alla causa trattata la diretta applicabilità del
Regolamento dell’Unione Europea n. 953 del 2021.
Secondo tale regolamento, avente ad oggetto il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati COVID UE, le limitazioni alla libera circolazione delle persone devono essere applicate conformemente ai principi generali della
proporzionalità e della
non discriminazione; tali principi, a detta del Tribunale di Padova, sembrano messi in crisi da una normativa, come quella italiana di cui all’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, secondo cui, mentre il medico o l’infermiere che non possa, per una qualsiasi ragione, essere assoggettato al vaccino, può continuare a praticare la professione, sia pure nel rispetto delle regole di sicurezza, chi non vuole assoggettarsi al vaccino non può esercitare l’attività sanitaria, sia come dipendente che come libero professionista, anche se sia disposto a seguire rigorosamente le stesse regole di sicurezza.
Il giudizio è stato pertanto sospeso, in attesa del responso sui quesiti proposti dal giudice nazionale alla Corte di Giustizia UE, la quale si è infine pronunciata con la decisione in commento.
Il Giudice europeo non è peraltro sceso nel merito delle questioni a lui sottoposte, ma ha "bocciato" in rito la domanda di rinvio pregiudiziale, specificando che il giudice nazionale, nel sottoporre una questione pregiudiziale con la quale mette in discussione la validità delle autorizzazioni all’immissione in commercio condizionate di un vaccino e dubita della validità di tali autorizzazioni in rapporto all’obbligo vaccinale contro la pandemia da Covid-19, deve fornire tutti gli elementi necessari previsti dall’art. 94 del regolamento di procedura della Corte. In caso contrario (così si ritiene sia accaduto con il "rinvio" operato dal Tribunale di Padova), il ricorso va dichiarato irricevibile.
Anche con riguardo alle questioni collegate alla libera circolazione, l’autorità nazionale è tenuta a indicare l’elemento di transnazionalità che viene in rilievo, fermo restando il diritto degli Stati membri di determinare la propria politica sanitaria, anche nei casi in cui l’autorizzazione all’immissione in commercio si basi su un regolamento Ue.
In assenza dunque del rispetto scrupoloso dei requisiti relativi al contenuto di una domanda di pronuncia pregiudiziale, e in assenza altresì di qualsiasi spiegazione da parte del giudice del rinvio circa i motivi per cui lo stesso ha posto in discussione la validità delle autorizzazioni all’immissione in commercio condizionate, nonché circa quelli relativi all’eventuale nesso tra, da un lato, la validità di tali autorizzazioni e, dall’altro, l’obbligo vaccinale previsto all’articolo 4 del decreto legge n. 44/2021, la domanda di pronuncia pregiudiziale è stata dichiarata irricevibile.
Allo stesso modo, il Giudice eurounitario ha ritenuto che il Tribunale nazionale non avesse spiegato in cosa sarebbe consistito il collegamento tra il principio generale giuridico dell’Unione relativo al diritto a una buona amministrazione e l’attuazione dell’obbligo vaccinale previsto all’articolo 4 del decreto legge n. 44/2021, non avendo dimostrato che tale ultima disposizione costituisca un’attuazione del diritto stesso dell’Unione.
Infine, dall’ordinanza di rinvio non sarebbe risultato, a dire della Corte di Giustizia, un collegamento utile tra il regolamento 2021/953 e la controversia di cui al procedimento principale, nel senso che l'interpretazione richiesta delle disposizioni del diritto dell’Unione non avrebbe risposto ad una necessità oggettiva ai fini della decisione che avrebbe dovuto essere infine adottata dal giudice del rinvio.