Blog Layout

Piste ciclabili e lavori pubblici

dalla Redazione • 15 novembre 2023

Tribunale di Milano, VII Sezione civile, sentenza n. 7382/2023, pubblicata il 28 settembre 2023


IL CASO E LA DECISIONE

Il Tribunale ordinario di Milano ha dovuto occuparsi di una rilevante controversia tra il Comune meneghino e una società privata aggiudicataria di un appalto pubblico volto alla manutenzione e al miglioramento delle piste ciclabili esistenti.

Il contratto, stipulato per un importo complessivo di più di 2 milioni di euro, era stato risolto di diritto dalla stazione appaltante per asserito inadempimento dell'impresa appaltatrice (interruzione anticipata dei lavori), con la conseguenza che, da un lato, l'esecutrice aveva chiesto la condanna del Comune al pagamento dei lavori fin lì eseguiti (secondo SAL, pari a circa 250.000 euro), dall'altro, l'amministrazione aveva negato la titolarità di qualsiasi credito in capo alla controparte, e in ogni caso domandato il risarcimento dei danni subiti a seguito dell'inadempimento di questa.

Il Giudice di primo grado ha graduato le questioni (preliminari e di merito) sottoposte dalle parti, così decidendole:

- infondatezza dell'eccepito difetto di rappresentanza del Comune;

-     accertamento dell'avvenuta risoluzione di diritto del contratto di appalto per sospensione ingiustificata dei lavori (secondo la clausola contenuta nel capitolato speciale d'appalto), in quanto la condotta dell'appaltatrice era da considerarsi arbitraria, posto che la pretesa anticipazione di importo (acconto del 20%) era già stata conseguita con la liquidazione del primo SAL;

- fondatezza della domanda di condanna proposta dalla società privata, in quanto l'effettivo compenso per le lavorazioni già eseguite, prima della risoluzione - e a prescindere da essa - era da considerarsi provato e non poteva decurtarsi in ragione dell'importo complessivo determinato dai danni asseritamente subiti dalla stazione appaltante a seguito dell'inadempimento nell'esecuzione dei lavori;

- carenza di prova entro i termini di rito delle ragioni risarcitorie del Comune opponente - e dunque infondatezza della relativa domanda -, in quanto il Comune stesso si era da un lato limitato ad una mera allegazione di presunte poste risarcitorie, dall'altro aveva depositato in giudizio una produzione documentale senza che tali documenti avessero mero contenuto chiarificatore di allegazioni già compiutamente svolte.


LA RAPPRESENTANZA IN GIUDIZIO DEL COMUNE E LA SOSPENSIONE DEL PAGAMENTO

Due questioni affrontate dal Giudice di primo grado meritano uno speciale focus.

La convenuta in giudizio aveva eccepito l'assenza di previa autorizzazione da parte della Giunta comunale ai fini dell'instaurazione della lite, e dunque il difetto di rappresentanza in giudizio dei difensori.

Sotto altro profilo, anche la  successiva delibera autorizzativa di Giunta depositata successivamente sarebbe stata inidonea, in tesi, a sanare tale originaria mancanza, di modo che tale delibera sarebbe stata da disapplicare in quanto affetta da eccesso di potere per difetto dei presupposti, ovvero emessa sulla scorta di fatti “infondati” e “non veritieri” rappresentati alla Giunta medesima da parte dell’apparato amministrativo comunale.

Al riguardo, il Giudice adito ha ricordato alcuni insegnamenti di natura giurisprudenziale atti a smentire la tesi della convenuta:

- ai fini della rappresentanza in giudizio del Comune, l'autorizzazione alla lite da parte della Giunta comunale non costituisce più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all'azione, mentre se lo Statuto comunale prevede l'autorizzazione della Giunta, ovvero la necessità di richiedere una preventiva determinazione del competente dirigente, in virtù del principio generale dell'autonomia statutaria, l'autorizzazione

giuntale o la determinazione dirigenziale devono essere considerati atti necessari ai fini della legittimazione processuale dell'organo titolare della rappresentanza;

- dal momento dunque che l’autorizzazione giuntale a proporre un determinato giudizio attiene al profilo della “legittimazione processuale dell’organo titolare della rappresentanza” dell’Ente e, dunque, in definitiva, al profilo della rappresentanza processuale dell’Ente medesimo (e non al diverso profilo relativo alla rappresentanza tecnica della parte ad opera del difensore), la mancanza di tale autorizzazione può essere sanata, con efficacia ex tunc, ai sensi dell’art. 182 c.p.c..

- non può il Giudice ordinario sindacare la correttezza dei motivi sottesi a tale deliberazione autorizzatoria, in quanto lo stessa ha “connotazione latamente politica” e caratterizzata da “ampi spazi di discrezionalità politica”.

Sotto altro profilo, il Tribunale di Milano ha ribadito un ulteriore insegnamento della Corte di Cassazione in materia di sospensione di pagamento, secondo cui tale sospensione - istituto originariamente previsto dall’art. 118, terzo comma, del codice degli appalti del 2006 -, nel rapporto tra la stazione appaltante e l’appaltatore, si traduce in concreto in una eccezione di inadempimento che la stazione appaltante è legittimata ad opporre all'appaltatore, che a sua volta si è reso inadempiente all'obbligo di dimostrare il pagamento al subappaltatore.

Tuttavia, la proponibilità della suddetta eccezione postula che il rapporto contrattuale sia in corso, poiché è solo nella fase esecutiva del rapporto in essere che è consentito alle parti far valere reciprocamente adempimenti e inadempimenti contrattuali.

Nel caso di specie, trattandosi di contratto di appalto risolto dalla stessa stazione appaltante, non può poi essere invocata anche la disciplina prevista dall'art. 1460 c.c., in tema di eccezione di inadempimento, la quale, implicando la sospensione della prestazione della parte non inadempiente, presuppone un contratto non ancora sciolto e quindi eseguibile.


Share by: