IL CASO E LA DECISIONE
Un medico pediatra ha chiesto al Tribunale amministrativo competente per territorio l’esecuzione della sentenza, passata in giudicato, con cui la Sezione Lavoro del Tribunale civile di Reggio Calabria ha condannato l’Azienda Speciale della Provincia omonima a corrispondergli una somma superiore ad € 11.000 a titolo di emolumenti contrattuali previsti dagli Accordi collettivi nazionali applicabili al caso di specie.
Prima di verificare la fondatezza della domanda giudiziale, il Giudice amministrativo di primo grado ha sottoposto alla parte ricorrente la questione di improcedibilità del ricorso per ottemperanza a seguito dell’entrata in vigore, in data 21.12.2021, della L. 17 dicembre 2021 n. 215 di conversione del d.l. 21 ottobre 2021 n. 146, il cui art. 16 septies, comma 2 lett. g) così disponeva: “al fine di coadiuvare le attività previste dal presente comma, assicurando al servizio sanitario della Regione Calabria la liquidità necessaria allo svolgimento delle predette attività finalizzate anche al tempestivo pagamento dei debiti commerciali, nei confronti degli enti del servizio sanitario della Regione Calabria di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive. I pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalla Regione Calabria agli enti del proprio servizio sanitario regionale effettuati prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto non producono effetti dalla suddetta data e non vincolano gli enti del servizio sanitario regionale e i tesorieri, i quali possono disporre, per il pagamento dei debiti, delle somme agli stessi trasferite durante il suddetto periodo. Le disposizioni della presente lettera si applicano fino al 31 dicembre 2025”.
Il Tar Calabria, sezione staccata di Catanzaro, ha ritenuto però di potere disapplicare la norma sopra citata, e di entrare così nel merito del ricorso, come se la “sospensione” delle azioni esecutive non fosse sussistente.
La disapplicazione dell’art. 16 septies, comma 2 lett. g) del d.l. 21 ottobre 2021 n. 146 è stata così motivata, quanto alle norme e ai principi violati:
- violazione del principio dell’effettività della tutela giurisdizionale, ai sensi dell’art. 47 CDFUE (“Carta di Nizza”) e art. 19.1. TUE, secondo periodo;
- violazione del principio della libertà d’impresa (art. 16 CDFUE) nel mercato interno;
- violazione del principio di libera circolazione dei lavoratori (art. 45 TFUE, già art. 39 TCE), dei pagamenti (art. 63, comma 2 TFUE, già art. 106 TCE), di libertà di stabilimento (art. 49 TFUE, già art. 43 TCE) e di libera prestazione dei servizi (art. 56 TFUE, già art. 49 TCE);
- violazione del principio di leale collaborazione tra gli Stati membri, ex art. 4.3. TUE.
In sostanza, secondo il Giudice reggino, la norma da disapplicare avrebbe avuto, da un lato, un “apprezzabile interesse comunitario transfrontaliero”, in ragione del tipo di attività che anche le ASP calabresi svolgono, ricorrendo spesso a forniture di servizi e beni ricadenti nelle Direttive appalti e prestando cure mediche e sanitarie in genere di cui possono usufruire cittadini provenienti anche da altri Stati membri; d’altro canto, tale norma, non interpretabile se non nel suo senso letterale direttamente ostativo della prosecuzione delle azioni esecutive, si porrebbe in diretto contrasto con il principio per cui ad ogni soggetto giuridico, i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati, spetta un “ricorso effettivo” dinanzi ad un giudice, a cui si affianca la necessità che la causa sia esaminata “entro un termine ragionevole”, in quanto l’art. 16 septies citato paralizza per un tempo eccessivo e sproporzionato rispetto agli obiettivi prefissati dal legislatore nazionale la tutela processuale di crediti verso le aziende sanitarie calabresi.
Sotto altro profilo, per l’ipotesi in cui si voglia negare che la disciplina comunitaria possa trovare applicazione a situazioni qualificabili in apparenza come fattispecie meramente interne, il Giudice amministrativo di primo grado ha ritenuto di potere escludere l’applicazione della norma de qua ai sensi dell’art. 53 della L. 24 dicembre 2012, n. 234 (“Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea”), secondo cui “nei confronti dei cittadini italiani non trovano applicazione norme dell'ordinamento giuridico italiano o prassi interne che producano effetti discriminatori rispetto alla condizione e al trattamento garantiti nell'ordinamento italiano ai cittadini dell'Unione europea".
Il TAR Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, ha quindi accolto nel merito il ricorso, affermando l’obbligo dell’ASP di Reggio Calabria di ottemperare a quanto stabilito dalla sentenza favorevole al medico pediatra, ed ordinando a tale Azienda sanitaria di adottare i provvedimenti necessari a prestare ottemperanza alla sentenza del Giudice ordinario, entro novanta giorni dalla comunicazione nelle forme di legge nella presente pronuncia, con nomina quale Commissario ad acta del Prefetto di Reggio Calabria, per il caso di ulteriore inadempienza.
L’ASP di Reggio Calabria ha però impugnato la sentenza, chiedendone preliminarmente la sospensione dell’esecutività.
Secondo la difesa dell’ente pubblico economico, la pronuncia dei Giudici reggini male interpreterebbe la normativa disapplicata, che invece cerca, in tesi, di trovare un difficile equilibrio il diritto alla salute (art. 32 Cost.), e l’indispensabile equilibrio di bilancio (art. 81 Cost.).
Inoltre, nella vicenda afferente all’esecuzione del diritto di credito del medico pediatra non verrebbero in diretta applicazione norme attributive di diritti di fonte comunitaria, con la conseguenza che, per estraneità della materia da tale ambito, sarebbe in via preliminare da escludere una verifica pregiudiziale di compatibilità della normativa nazionale da applicare con i principi eurounitari, anche perché la richiamata Carta di Nizza non può costituire di per sé uno strumento di tutela dei diritti fondamentali oltre le competenze dell’Unione europea.
Il Consiglio di Stato, in sede di appello, ha dapprima sospeso l’esecutività della sentenza di primo grado, ricordando che la Corte Costituzionale aveva nel frattempo fissato l’udienza del 18 ottobre 2022, per esaminare le questioni di costituzionalità sollevate nei confronti della disposizione di legge sopra richiamata; successivamente, ha respinto l’appello dell’amministrazione, avendo la Corte Costituzionale dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 16 septies, comma 2, lettera g) del d.l. 21 ottobre 2021 n. 146, in considerazione del fatto che tale appello si era basato “integralmente sulla portata applicativa di una disposizione di legge ormai dichiarata incostituzionale”.
LA PROCEDIBILITA’ DELLE CAUSE DI OTTEMPERANZA E LA QUESTIONE DI COSTITUZIONALITA’
La norma prima disapplicata dal Giudice reggino, nel caso commentato, e poi dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale, a seguito di ordinanze di remissione di altri Tribunali ordinari e amministrativi - tra cui la Seconda Sezione della sede principale dello stesso TAR Calabria -, aveva introdotto una particolare causa di inammissibilità/improcedibilità applicabile ai giudizi di esecuzione nei confronti degli enti sanitari della Regione Calabria fino al 31 dicembre 2025.
Era stata infatti prevista l’impossibilità di intraprendere o proseguire le relative “azioni esecutive”, con conseguente blocco non solo delle procedure di pignoramento ma anche dell’efficacia degli atti giudiziari che avessero – o volessero – disporre tali procedure.
La disposizione era sostanzialmente riproduttiva, quanto agli effetti, all’articolo 117, comma 4, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito in legge con modificazioni dalla L. 17 luglio 2020, n. 77 (che aveva disposto la paralisi delle azioni esecutive fino al 31 dicembre 2020), che era stato a sua volta ritenuto, in precedenza, da un lato applicabile anche ai giudizi di ottemperanza dinanzi al Giudice amministrativo, dall’altro non precludente - sulla base di un precedente specifico del Consiglio di Stato, su fattispecie analoga del 2013 – la pronuncia nel merito sulla proposta domanda.
In particolare, le Corti territoriali che avevano ritenuto di non pronunciare l’inammissibiltà o l’improcedibilità dell’eventuale ricorso volto ad ottenere il pagamento del credito vantato nei confronti delle Aziende sanitarie calabre, avevano statuito che l’eccezionale sospensione dell’azione esecutiva nel processo amministrativo dovesse venire in rilievo solo nella fase propriamente esecutiva affidata al Commissario ad acta.
Ci si era poi divisi tra chi, come il TAR Calabria, sezione di Reggio Calabria, aveva deciso di assegnare all’ente debitore un termine decorrente dalla pronuncia di ottemperanza per adottare i provvedimenti necessari per dare integrale esecuzione alla sentenza da eseguire, così facendo carico al Commissario ad acta il coordinamento tra l’esercizio del proprio incarico e le priorità fissate dalla previsione emergenziale (cfr. tra le altre, sentenza n. 480 del 2020) e chi, come il Tar Lombardia, aveva ritenuto che le finalità sottese al blocco delle procedure esecutive avrebbero potuto essere adeguatamente salvaguardate ancorando la decorrenza del termine per provvedere, da assegnarsi in prima battuta all’Amministrazione, alla scadenza del periodo di sospensione (cfr., tra le altre, sentenza n. 1723 del 2020).
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 228 dell'11 novembre 2022, ha tuttavia bocciato la nuova disposizione operante la paralisi delle azioni esecutive, indicando le seguenti ragioni di illegittimità dell’art. 16 septies, comma 2 lett. g) del d.l. 21 ottobre 2021 n. 146:
- pur non essendo irragionevole, a fronte di una situazione straordinaria come quella calabra, che le iniziative individuali dei creditori muniti di titolo esecutivo si arrestino per un certo lasso di tempo, mentre si svolge il complesso procedimento di circolarizzazione obbligatoria dei crediti e si programmano le operazioni di cassa, la discrezionalità del legislatore, nello stabilire una misura del genere, non può tuttavia trascendere in un'eccessiva compressione del diritto di azione dei creditori e in un'ingiustificata alterazione della parità delle parti in fase esecutiva, in quanto, posto che la garanzia della tutela giurisdizionale assicurata dall'art. 24 Cost. comprende anche la fase dell'esecuzione forzata, in quanto necessaria a rendere effettiva l'attuazione del provvedimento giudiziale, una misura legislativa che incida sull'efficacia dei titoli esecutivi di formazione giudiziale è legittima soltanto se limitata ad un ristretto periodo temporale e compensata da disposizioni sostanziali che prospettino un soddisfacimento alternativo dei diritti portati dai titoli, giacché altrimenti la misura stessa vulnera l'effettività della tutela in executivis garantita dall'art. 24 Cost., determinando inoltre uno sbilanciamento tra l'esecutante privato e l'esecutato pubblico, in violazione del principio di parità delle parti di cui all'art. 111 Cost.;
- di conseguenza, la misura introdotta dall'art. 16-septies, comma 2, lettera g) oggetto di esame manca l'obiettivo di un equilibrato contemperamento degli interessi in gioco, non essendo giustificata l'equiparazione, agli effetti dell'improcedibilità, fra i titoli esecutivi aventi ad oggetto crediti commerciali e quelli aventi ad oggetto crediti di natura diversa (in particolare: diritti di risarcimento dei danneggiati da fatto illecito e diritti retributivi dei prestatori di lavoro), e non essendo possibile, per i crediti di natura commerciale, che la durata del blocco esecutivo sia protratta per un intero quadriennio, senza che ne risulti violato il canone di proporzionalità, anche perché, per quanto complesse, le operazioni di riscontro devono essere svolte in un lasso di tempo più breve, magari mediante un adeguato impiego di risorse umane, materiali e finanziarie, che lo Stato deve garantire alla struttura commissariale, e il congelamento di tutti i pagamenti per quattro anni può porre il fornitore, specie se non occasionale, in una situazione di grave illiquidità, fino ad esporlo al rischio di esclusione dal mercato;
- d’altra parte, il difetto di proporzionalità è ancora più evidente considerando che il blocco esecutivo è destinato a persistere pure nel caso in cui la sanità calabrese esca dal regime commissariale «in considerazione dei risultati raggiunti», né la liquidità generata in favore della Regione Calabria, sia tramite il rinvio della compensazione del saldo di mobilità, sia in virtù dell'erogazione del contributo di solidarietà, reca alcun vincolo di destinazione, neppure pro quota, a beneficio dei creditori muniti di titolo.
La Corte costituzionale ha dunque bocciato, senza appello o quasi, la disposizione oggetto di rinvio pregiudiziale, così “troncando” ogni ulteriore dilazione di pagamento ex lege in favore della sanità calabrese, ma contemporaneamente suggerendo tutta una serie di accorgimenti – in costanza di efficacia della restante normativa straordinaria introdotta dall’art. 16- septies del d.l. n. 146 del 2021 – che avrebbero potuto rendere “proporzionale” un blocco limitato e selettivo delle procedure esecutive.
Il legislatore, sfruttando questo margine di discrezionalità che la Corte gli aveva lasciato, è dunque nuovamente intervenuto, in sede di conversione del decreto-legge 8 novembre 2022, n. 169, introducendo la seguente disposizione (articolo 2, comma 3-bis, con norma entrata in vigore a partire dal 28 dicembre 2022): “In ottemperanza alla sentenza della Corte costituzionale n. 228 dell'11 novembre 2022, al fine di concorrere all'erogazione dei livelli essenziali di assistenza nonché di assicurare il rispetto della direttiva europea sui tempi di pagamento e l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari della regione Calabria, non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti degli enti del servizio sanitario della regione Calabria di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118. I pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalla regione Calabria agli enti del proprio servizio sanitario regionale effettuati prima della data di entrata in vigore della legge 17 dicembre 2021, n. 215, di conversione in legge del decreto-legge 21 ottobre 2021 n. 146, non producono effetti dalla suddetta data e non vincolano gli enti del servizio sanitario regionale e i tesorieri, i quali possono disporre, per il pagamento dei debiti, delle somme agli stessi trasferite a decorrere dalla medesima data. Le disposizioni del presente comma si applicano fino al 31 dicembre 2023 e non sono riferite ai crediti risarcitori da fatto illecito e retributivi da lavoro”.