Corte di Giustizia (Grande Sezione), sentenza del 22 dicembre 2022 nella causa C-61/21
IL CONTESTO NORMATIVO E LA DECISIONE
La direttiva 2008/50/CE stabilisce, ai sensi del suo secondo considerando, che «ai fini della tutela della salute umana e dell’ambiente nel suo complesso, è particolarmente importante combattere alla fonte l’emissione di inquinanti nonché individuare e attuare le più efficaci misure di riduzione delle emissioni a livello locale, nazionale e comunitario. È opportuno pertanto evitare, prevenire o ridurre le emissioni di inquinanti atmosferici nocivi e definire adeguati obiettivi per la qualità dell’aria ambiente che tengano conto delle pertinenti norme, orientamenti e programmi dell’Organizzazione mondiale della sanità».
L’articolo 1 della medesima direttiva, ai suoi punti da 1 a 3, enuncia quanto segue:
«La presente direttiva istituisce misure volte a:
1) definire e stabilire obiettivi di qualità dell’aria ambiente al fine di evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi per la salute umana e per l’ambiente nel suo complesso;
2) valutare la qualità dell’aria ambiente negli Stati membri sulla base di metodi e criteri comuni;
3) ottenere informazioni sulla qualità dell’aria ambiente per contribuire alla lotta contro l’inquinamento dell’aria e gli effetti nocivi e per monitorare le tendenze a lungo termine e i miglioramenti ottenuti con l’applicazione delle misure nazionali e comunitarie».
L’articolo 2 di tale direttiva, intitolato «Definizioni», ai suoi punti 5, 7, 8, da 16 a 18 e 24 fissa alcuni paletti fondamentali.
Per “valore limite” si intende il livello fissato in base alle conoscenze scientifiche al fine di evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi sulla salute umana e/o per l’ambiente nel suo complesso, che deve essere raggiunto entro un termine prestabilito e in seguito non deve essere superato, e per “margine di tolleranza” la percentuale di tolleranza del valore limite consentita alle condizioni stabilite dalla direttiva.
Sono inoltre definiti “piani per la qualità dell’aria” i piani che stabiliscono misure per il raggiungimento dei valori limite o dei valori-obiettivo, e “agglomerato” una zona in cui è concentrata una popolazione superiore a 250000 abitanti o, allorché la popolazione è pari o inferiore a 250000 abitanti, con una densità di popolazione per km quadrato definita dagli Stati membri.
Infine, “PM10” è il materiale particolato che penetra attraverso un ingresso dimensionale selettivo conforme al metodo di riferimento per il campionamento e la misurazione del PM10, norma EN 12341, con un’efficienza di penetrazione del 50% per materiale particolato di un diametro aerodinamico di 10 μm, e “ossidi di azoto” sono la somma dei rapporti in mescolamento in volume (ppbv) di monossido di azoto (ossido nitrico) e di biossido di azoto espressa in unità di concentrazione di massa di biossido di azoto (μg/m3).
D’altra parte, l’articolo 13 della direttiva 2008/50, rubricato «Valori limite e soglie di allarme ai fini della protezione della salute umana», al paragrafo 1 stabilisce che gli Stati membri provvedono affinché i livelli di biossido di zolfo, PM10, piombo e monossido di carbonio presenti nell’aria ambiente non superino, nell’insieme delle loro zone e dei loro agglomerati, i valori limite stabiliti nell’allegato XI della direttiva in questione.
L’articolo 23 della direttiva in esame, intitolato «Piani per la qualità dell’aria», al paragrafo 1 dispone che «se in determinate zone o agglomerati i livelli di inquinanti presenti nell’aria ambiente superano un valore limite o un valore-obiettivo qualsiasi, più qualunque margine di tolleranza eventualmente applicabile, gli Stati membri provvedono a predisporre piani per la qualità dell’aria per le zone e gli agglomerati in questione al fine di conseguire il relativo valore limite o valore-obiettivo specificato negli allegati XI e XIV.
In caso di superamento di tali valori limite dopo il termine previsto per il loro raggiungimento, i piani per la qualità dell’aria stabiliscono misure appropriate affinché il periodo di superamento sia il più breve possibile. I piani per la qualità dell’aria possono inoltre includere misure specifiche volte a tutelare gruppi sensibili di popolazione, compresi i bambini.
Tali piani per la qualità dell’aria contengono almeno le informazioni di cui all’allegato XV, punto A, e possono includere misure a norma dell’articolo 24. Detti piani sono comunicati alla Commissione senza indugio e al più tardi entro due anni dalla fine dell’anno in cui è stato rilevato il primo superamento.
Qualora occorra predisporre o attuare piani per la qualità dell’aria relativi a diversi inquinanti, gli Stati membri, se del caso, predispongono e attuano piani integrati per la qualità dell’aria riguardanti tutti gli inquinanti interessati».
Per concludere, l’articolo 33 della direttiva 2008/50 prevede che gli Stati membri adottano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva anteriormente all’11 giugno 2010, comunicando immediatamente alla Commissione il testo di dette disposizioni.
La Corte di Giustizia UE, a seguito dell’avvio della procedura per infrazione ex art. 258 TFUE, ha condannato l’Italia per aver superato il valore limite delle concentrazioni di particelle inquinanti (PM 10) in modo continuato dal 2008 al 2017 (Corte UE, Grande Sezione, sentenza 10 novembre 2020 - C-644/18). L’Italia è stata poi ulteriormente condannata per il superamento sistematico e continuato dei valori limite di biossido di azoto (NO2), in alcune zone e città del Paese, a partire dal 2010 (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Settima Sezione, sentenza 12 maggio 2022 (C-573/19, Commissione/Italia)).
Questione aperta, così nel diritto interno come a livello sovranazionale europeo, è se i valori limite per gli inquinanti nell'aria e gli obblighi di migliorare la qualità dell'aria stabiliti dalle direttive UE siano idonei a conferire diritti ai singoli.
Occorre cioè capire se i singoli cittadini (o le singole persone giuridiche) possano far valere innanzi a un Giudice la violazione qualificata delle norme relative alla protezione della qualità dell'aria, laddove i valori limite applicabili siano stati superati senza che sia stato predisposto dalle amministrazioni competenti un piano di miglioramento della qualità dell'aria.
Nel caso in commento, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea è intervenuta sull’argomento pronunciandosi in senso negativo sulla sussistenza del diritto di un cittadino al risarcimento dei danni alla salute derivanti dalla violazione da parte dello Stato membro delle direttive europee sulla qualità dell'aria.
La vicenda era nata dalla contestazione di un cittadino parigino, il quale sosteneva che lo Stato francese non avesse rispettato limiti individuati a livello eurounitario per gli inquinanti di biossido di azoto e PM10, che gli avevano provocato dei problemi di salute. Lo stesso aveva pertanto adito il tribunale amministrativo competente al fine di ottenere l'annullamento della decisione implicita con la quale il prefetto aveva rifiutato di adottare le misure necessarie a contenere l'inquinamento atmosferico, come imposte dalla direttiva 2008/50. Egli aveva quindi chiesto anche un risarcimento da parte dello Stato francese per il pregiudizio arrecato alla sua salute, dovuto al grave peggioramento della qualità dell’aria a Parigi.
La causa era giunta in Corte di appello, la quale aveva rimesso alla Corte di Giustizia la questione del se le disposizioni di cui all’articolo 13, paragrafo 1 e all’articolo 23, paragrafo 1 della direttiva 2008/50, dovessero essere interpretate nel senso di attribuire ai singoli, in caso di violazione sufficientemente qualificata da parte di uno Stato membro dell’Unione europea degli obblighi che ne derivano, un diritto a ottenere dallo Stato membro in questione il risarcimento dei danni causati alla loro salute che presentano un nesso di causalità diretto e certo con il deterioramento della qualità dell’aria.
La Corte ha osservato che gli obblighi imposti dalle direttive 2008/50, 96/62, 1999/30, 80/779 e 85/203 perseguono, come risulta dagli articoli 1 delle citate direttive, nonché, in particolare, dal secondo considerando della direttiva 2008/50, un obiettivo generale di protezione della salute umana e dell’ambiente nel suo complesso.
Pertanto, oltre al fatto che le disposizioni di cui trattasi della direttiva 2008/50 e delle direttive che l’hanno preceduta non contengono alcuna attribuzione esplicita di diritti ai singoli a tale titolo, gli obblighi previsti da tali disposizioni, nell’obiettivo generale summenzionato, non consentono di ritenere che, nel caso di specie, a singoli o a categorie di singoli siano stati implicitamente conferiti, in forza di tali obblighi, diritti individuali la cui violazione possa far sorgere la responsabilità di uno Stato membro per danni causati ai singoli.
Ciò non toglie tuttavia che i singoli interessati devono poter ottenere dalle autorità nazionali, eventualmente agendo dinanzi ai giudici competenti, l’adozione delle misure richieste da tali direttive. In particolare, per quanto riguarda l’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2008/50, la Corte ha dichiarato che le persone fisiche o giuridiche direttamente interessate dal superamento dei valori limite devono poter ottenere dalle autorità nazionali, eventualmente agendo dinanzi ai giudici competenti, la predisposizione di un piano per la qualità dell’aria conforme alla direttiva.
Conseguentemente, la Corte ha concluso nel senso che l’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva 2008/50 e le precedenti analoghe disposizioni delle direttive precedenti devono essere interpretate nel senso che “non sono preordinate a conferire diritti individuali ai singoli che possono attribuire loro un diritto al risarcimento nei confronti di uno Stato membro, a titolo del principio della responsabilità dello Stato per i danni causati ai singoli da violazioni del diritto dell’Unione ad esso imputabili”.
Tale conclusione, ha osservato la Corte, non esclude che la responsabilità dello Stato possa sorgere a condizioni meno restrittive sulla base del diritto interno, né esclude l’eventuale pronuncia, da parte dei giudici dello Stato membro interessato, di ingiunzioni accompagnate da penalità volte a garantire il rispetto, da parte di tale Stato, degli obblighi derivanti dall’articolo 13, paragrafo 1, e dall’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva 2008/50, e dalle disposizioni analoghe delle direttive precedenti.
RESPONSABILITA’ DELLO STATO MEMBRO E RISARCIMENTO DEL DANNO
Secondo una costante giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, il principio della responsabilità dello Stato per danni causati ai singoli da violazioni del diritto dell’Unione ad esso imputabili è inerente al sistema dei trattati sui quali quest’ultima è fondata e si applica a qualsiasi caso di violazione del diritto dell’Unione da parte di uno Stato membro, indipendentemente dall’autorità pubblica responsabile di tale violazione.
Per quanto riguarda i presupposti per il sorgere di tale responsabilità, i soggetti lesi hanno diritto al risarcimento qualora siano soddisfatte tre condizioni, vale a dire che la norma giuridica dell’Unione violata sia preordinata a conferire loro diritti, che la violazione di tale norma sia sufficientemente qualificata e che esista un nesso causale diretto tra tale violazione e il danno subito da detti soggetti.
Ne consegue che solo una violazione di una norma del diritto dell’Unione preordinata a conferire diritti ai singoli può, conformemente alla prima delle tre condizioni sopra citate, far sorgere la responsabilità dello Stato.
Secondo una giurisprudenza granitica, tali diritti sorgono non solo nei casi in cui disposizioni del diritto dell’Unione espressamente li attribuiscono, ma anche in relazione agli obblighi positivi o negativi che le medesime impongono in maniera ben definita sia ai singoli che agli Stati membri e alle istituzioni dell’Unione.
Invero, la violazione di siffatti obblighi positivi o negativi, da parte di uno Stato membro, può ostacolare l’esercizio in capo ai singoli interessati dei diritti implicitamente conferiti loro in virtù delle disposizioni del diritto dell’Unione in questione, che si suppone essi possano invocare a livello nazionale, e quindi alterare la situazione giuridica che tali disposizioni sono destinate a creare per tali singoli.
Per questo motivo, la piena efficacia di tali norme del diritto dell’Unione e la tutela dei diritti da esse riconosciuti richiede che i singoli abbiano la possibilità di ottenere un risarcimento, e ciò indipendentemente dalla questione se le disposizioni interessate abbiano un effetto diretto, dato che tale qualità non è né necessaria, né sufficiente di per sé sola a soddisfare la prima delle tre condizioni sopra citate per ottenere il diritto al risarcimento del danno.
Nel caso in commento, le direttive che si sono succedute in materia di prevenzione dell’inquinamento ambientale hanno imposto agli Stati membri, da un lato, un obbligo di garantire che i livelli di alcune fonti di inquinamento - in particolare, di PM10 e di NO2 - non superino, nel loro rispettivo territorio e a decorrere da talune date, i valori limite fissati da tali direttive, e, dall’altro, qualora tali valori limite siano ciò nonostante superati, un obbligo di prevedere misure appropriate per rimediare a tali superamenti, in particolare nell’ambito di piani per la qualità dell’aria.
E se è vero che la Corte di Giustizia ha considerato che l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 96/62, il quale prevedeva un obbligo analogo a quello previsto all’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva 2008/50, non avrebbe imposto agli Stati membri l’obbligo di adottare misure che consentono di garantire che non si verifichi alcun superamento, ma soltanto di adottare misure tali da ridurre al minimo il rischio di superamento e la sua durata, tenuto conto dell’insieme delle circostanze del momento e degli interessi in gioco, è altresì vero che tale disposizione comportava limiti all’esercizio di tale potere discrezionale, che possono essere invocati dinanzi ai giudici nazionali, per quanto riguarda l’adeguatezza delle misure che il piano d’azione deve comportare all’obiettivo della riduzione del rischio di superamento e della limitazione della sua durata, tenuto conto dell’equilibrio che occorre garantire tra tale obiettivo e i diversi interessi pubblici e privati in gioco.
D’altra parte, la Corte di Giustizia è stata chiara nell’affermare che l’articolo 13, paragrafo 1, e l’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva 2008/50 prevedono, al pari delle disposizioni analoghe delle direttive 96/62, 1999/30, 80/779 e 85/203, obblighi abbastanza chiari e precisi quanto al risultato che gli Stati membri devono assicurare.
Tuttavia, dal momento che tali obblighi perseguono un
obiettivo generale di protezione della salute umana e dell’ambiente nel suo complesso, e non consentono dunque di ritenere che a singoli o a categorie di singoli siano stati implicitamente conferiti, in forza di tali obblighi, diritti individuali la cui violazione possa far sorgere la responsabilità di uno Stato membro per danni causati ai singoli, la prima delle tre condizioni necessarie affinché i soggetti lesi abbiano diritto al risarcimento non è stata ritenuta, nel caso di specie, sussistente.