Tribunale di Nocera Inferiore, Sezione Penale, sentenza n. 1073 del 3 giugno 2022, depositata il 14 giugno 2022
IL CASO E LA DECISIONE
Un soggetto aveva denunciato di non avere mai ricevuto un rimborso di quasi quattromila euro da parte di Enel, emesso in suo favore a mezzo di assegno bancario non trasferibile spedito al suo indirizzo.
Tale assegno risultava peraltro riscosso da diversa persona, la cui firma era presente sia sul fronte che sul retro del titolo.
A fronte dell’accusa di riciclaggio nei confronti del soggetto che aveva incassato l’assegno a lui non intestato, dall’istruttoria dibattimentale è stato innanzitutto accertato, seppure incidentalmente, che l’incasso è stato preceduto dal delitto di furto dell’assegno incassato.
Il Tribunale penale adito ha dedotto tale circostanza dal fatto che il titolo, nonostante fosse stato inviato al suo legittimo beneficiario, tramite posta ordinaria, non era però mai arrivato all'indirizzo di quest'ultimo, e ciò era spiegabile logicamente soltanto ipotizzando una sottrazione del titolo stesso nel corso del trasporto.
Una volta rubato, il titolo è stato cambiato nella sua intestazione – con l’individuazione di un beneficiario diverso da quello originario – e portato all’incasso dall’imputato.
Secondo il Giudice di primo grado, nel caso di specie non si è concretizzato però il delitto di riciclaggio – che è un reato a forma libera il cui elemento materiale è costituito da qualunque attività di trasformazione della cosa finalizzata ad impedire o a rendere più difficoltosa l'identificazione della sua provenienza illecita - bensì un'ipotesi di ricettazione, perché, se è vero che è stato versato sul conto dell’imputato un assegno di provenienza illecita, previa sostituzione delle generalità del beneficiario con le proprie, è altresì innegabile che non sono stati manomessi gli elementi identificativi dell'istituto bancario emittente né i numeri di serie del titolo, giacché, in tal caso, non risulta concretamente occultata l'origine illecita dello stesso.
In altri termini, secondo il Giudice adito, non era ravvisabile, nel caso di specie, alcuna condotta volta a mascherare l'origine delittuosa del bene, cosicché è risultato carente l'elemento caratterizzante il delitto di riciclaggio.
Quanto alla piena responsabilità dell’imputato per il reato di ricettazione e non anche per il reato presupposto di furto – la cui commissione avrebbe a quel punto impedito la punibilità per il reato susseguente -, il Tribunale di Nocera Inferiore, anche in considerazione della mancata comparizione dell’interessato, non ha rinvenuto nell’istruttoria dibattimentale elementi per affermare che a rubare il titolo fosse stato proprio l'imputato, mentre, al contrario, era stato provato al di là di ogni ragionevole dubbio che il soggetto accusato avesse ricevuto l'assegno in questione, avendone avuto la disponibilità, come dimostrato dal fatto di avere poi provveduto a versarlo sul suo conto.
E’ stato inoltre accertato in modo inequivoco che colui che aveva versato l’assegno era proprio l’imputato in prima persona, in quanto costui era stato identificato, all’atto dell’incasso, tramite la sua patente di guida registrata nell'anagrafica clienti della banca, e vi era perfetta coincidenza tra i dati anagrafici (incluso l'indirizzo di residenza) del soggetto incassatore e quelli del titolare del conto su cui era stato versato il titolo.
Inoltre, le due firme apposte sull'assegno erano del tutto analoghe a quella in calce alla nomina del difensore dell'imputato, ritualmente autenticata dal legale e acquisita agli atti, elemento che, così come la titolarità del conto, aveva consentito di escludere che a incassare il titolo fosse stato un soggetto che aveva impropriamente speso il nome dell'incolpato.
Dal punto di vista dell’elemento soggettivo del reato, poi, il Giudice adito ha ritenuto sufficiente che l'imputato non avesse fornito alcuna spiegazione circa la provenienza del bene ed il motivo per cui lo deteneva; la sua buona fede andava senz’altro esclusa con certezza, posto che l’imputato stesso aveva sicuramente ben presente di non essere il legittimo intestatario di un assegno versato e contraffatto con riferimento al nome del beneficiario.
Il fine specifico di conseguire un profitto, poi, nel caso di specie, sarebbe coinciso con l'intenzione di incassare l'assegno originariamente intestato ad altro soggetto al fine di ottenere indebitamente la relativa somma di denaro.
L’imputato è stato dunque condannato per ricettazione e non per riciclaggio, con riqualificazione giuridica dell’originaria contestazione.
RICETTAZIONE E FATTI DI RICICLAGGIO: REATI A CONFRONTO
La condotta penale di ricettazione (art. 648 c.p.) consiste nell’acquisto, nella ricezione o nell’occultamento di cose o denaro provenienti da un qualunque delitto.
E’ un delitto con dolo specifico (fine di procurare a sé o ad altri un profitto) e senza evento materiale, che tende a proteggere il bene-patrimonio in senso ampio (ma anche, in taluni casi, i beni protetti dal diverso delitto presupposto), introducendo un (ulteriore) ostacolo alla circolazione della refurtiva.
La condicio sine qua non perché il ricettatore sia punibile a titolo di ricettazione, sta nel non avere commesso o essere stato concorrente nel reato presupposto, ovvero quello da cui è scaturito il possesso della refurtiva.
O l’uno o l’altro.
Il reato di riciclaggio è invece previsto dall’art. 648-bis c.p., e si configura quando un soggetto sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni che ostacolino l'identificazione della loro provenienza delittuosa.
Anche in questo caso non deve esserci previa commissione o concorso da parte del riciclatore nel reato presupposto, mentre il dolo è generico.
I beni giuridici protetti sono plurimi (si parla infatti di delitto plurioffensivo), in quanto le condotte di riciclaggio non offendono solo l'ambito patrimoniale, ma incidono anche sull'interesse all'accertamento dei fatti e inquinano il mercato, falsandone la libera concorrenza; sono così tutelati, oltre al patrimonio, anche l’amministrazione della giustizia, l’ordine pubblico e l’ordine economico.
Rispetto all’ipotesi “confinante” e similare di autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.), che però punisce proprio e solo lo stesso soggetto che ha commesso il reato presupposto e poi prova con operazioni economiche ad ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa, la giurisprudenza si è consolidata nel senso di ritenere ipotizzabile l’ipotesi di riciclaggio – e non di concorso in autoriciclaggio – per le condotte di coloro che, non avendo concorso nel delitto-presupposto, contribuiscano alla realizzazione del reato di cui all'art. 648-ter.1 c.p..
Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, poi, il delitto di riciclaggio si distingue da quello di ricettazione in relazione all'elemento materiale, che si connota per l'idoneità ad ostacolare l'identificazione della provenienza del bene, e all'elemento soggettivo, costituito dal dolo generico di trasformazione della cosa per impedirne l'identificazione.
A tale riguardo, peraltro, in presenza di una condotta idonea ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa, il concreto intento di lucro può valere a rafforzare, ma non certo ad escludere, il dolo generico del riciclaggio.
L’occultamento dell’origine illecita non viene ravvisata, dalla giurisprudenza prevalente, nella condotta di chi versi sul proprio conto corrente o libretto di deposito assegni di provenienza illecita, previa sostituzione delle generalità del beneficiario con le proprie, ma senza manomettere gli elementi identificativi dell'istituto bancario emittente, né i numeri di serie dei titoli, come avvenuto nel caso affrontato dal Tribunale di Nocera Inferiore.
In tale ipotesi, è invece possibile in concreto una condotta di ricettazione, qualora sia certa la provenienza delittuosa del bene, senza che sia congiuntamente necessario l'accertamento giudiziale della commissione del delitto presupposto, né dei suoi autori, né dell'esatta tipologia del reato, potendo il giudice affermarne l'esistenza attraverso prove logiche; stesso concetto è stato espresso dalla giurisprudenza con riferimento ai reati di riciclaggio e autoriciclaggio, rispetto ai quali non è necessario che la sussistenza del delitto presupposto sia stata accertata da una sentenza di condanna passata in giudicato, essendo sufficiente che il fatto costitutivo di tale delitto non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo, e che il giudice procedente per i fatti di riciclaggio ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza.
D’altra parte, ai fini della configurabilità del delitto successivo – concetto ribadito dal Tribunale di Nocera Inferiore con particolare riferimento all’ipotesi di ricettazione - non occorre la prova positiva che il soggetto attivo non sia stato concorrente nel delitto presupposto, essendo sufficiente che non emerga la prova del contrario, e una condotta dibattimentale di “silenzio” da parte dell’imputato, con omessa prospettazione da parte sua di una ricostruzione alternativa e plausibile dei fatti in addebito, pur non potendo essere valutata come prova a carico, ben può essere valorizzata dal giudice come argomento di supporto della assenza di ipotesi suscettibili di minare il giudico di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio già espresso sulla base delle prove acquisite.
Quanto infine all'elemento soggettivo del reato ravvisato nel caso di specie dal Giudice di primo grado, il dolo specifico di ricettazione, consistente nella volontà di acquistare, ricevere o occultare al fine di profitto, si deve accompagnare alla generica consapevolezza della provenienza delittuosa della cosa, con una conoscenza che non deve estendersi alla precisa e completa cognizione delle circostanze di tempo, di luogo e di modo del reato principale, essendo invece sufficiente la consapevolezza di acquistare cose provenienti da delitto.
La prova di tale consapevolezza può ricavarsi anche dalla mancanza di adeguata giustificazione sull'origine e provenienza del bene.