Spigolature 37. L'itinerario filosofico di Giorgio Del Vecchio
Il maggiore esponente della filosofia del diritto in senso ampio e insieme del neokantismo giuridico italiano fu Giorgio Del Vecchio (1878-1970).
Questi liquidò il positivismo filosofico già in una serie di scritti del primo decennio del secolo, noti come la Trilogia: I presupposti filosofici della nozione di diritto (1905), Il concetto del diritto (1906), Il concetto della natura e il principio del diritto (1908). Come i neokantiani tedeschi del periodo, e diversamente dallo stesso Kant, anche Del Vecchio considerò il concetto di diritto come una categoria a priori, o trascendentale, della conoscenza giuridica; detto altrimenti, il materiale empirico – norme, sanzioni, istituzioni – non sarebbe giuridico di per sé, ma solo perché conosciuto in base al concetto di diritto...
(Mauro Barberis La filosofia del diritto nel primo Novecento in Il Contributo italiano alla storia del Pensiero: Diritto (2012) Enc. Treccani)
Sul pensiero del prof. Giorgio Del Vecchio segnalo i seguenti scritti rinvenibili sul WEB:
a) Jacopo Volpi “Struttura giuridica e ordine inter-soggettivo in Giorgio Del Vecchio” pubblicato in data 20 Marzo 2020 sulla rivista Filodiritto (rinvenibile online all'indirizzo: Struttura giuridica e ordine inter-soggettivo in Giorgio Del Vecchio );
b) Vittorio Frosini “Del Vecchio Giorgio” in “Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 38 (1990)” Enc. Treccani (rinvenibile online all'indirizzo:https://www.treccani.it/enciclopedia/giorgio-del-vecchio_(Dizionario-Biografico)/ );
c) Mauro Barberis “La filosofia del diritto nel primo Novecento”, in Il Contributo italiano alla storia del Pensiero: Diritto (2012) Enc. Treccani (rinvenibile online all'indirizzo: https://www.treccani.it/enciclopedia/la-filosofia-del-diritto-nel-primo-novecento_(Il-Contributo-italiano-alla-storia-del-Pensiero:-Diritto)/ ).
Da quest'ultimo saggio, come sempre a soli fini meramente illustrativi per sollecitare la curiosità del lettore, si estraggono alcuni passaggi:
La prima conseguenza fu il recupero del diritto naturale, dato per morto ai tempi del duplice predominio del positivismo filosofico e del positivismo giuridico; l’adozione della filosofia neokantiana permise allo stesso Del Vecchio di tornare ad ammettere la giuridicità del diritto naturale: la cui esistenza verrà da lui sempre ritenuta «puramente deontologica e normativa, cioè equivale[nte] a un dover essere e non ad un essere di fatto» (Presupposti, concetto e principio del diritto, 1959, p. 22). Già nel 1920, nella sua prolusione al corso di filosofia del diritto presso l’Università di Roma, egli aveva scatenato un pandemonio sostenendo un’interpretazione giusnaturalistica dell’art. 3 c. c. 1865: per il quale qualora una controversia non si possa decidere con una precisa disposizione di legge, si avrà riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; ove il caso rimanga tuttavia dubbio, si deciderà secondo i principi generali del diritto.
L’espressione principi generali del diritto, per lui, rinviava al diritto naturale.
Nell’ambiente statalista e giuspositivista dello Stato fascista, inaugurato dalla marcia su Roma (1922), questa interpretazione suonerà eretica; per non lasciare adito a equivoci, peraltro, ancora i redattori del codice civile italiano del 1942 si sarebbero sentiti in dovere di sostituire a ‘principi generali del diritto’ la locuzione – molto più faticosa, e in cui si sente l’eco di Romano – ‘principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato’ (art. 12 disp. prel. c.c. 1942). Del Vecchio, sinché lo lasciarono insegnare all’università, continuò a ragionare in termini di diritto naturale; così nelle pagine della «Rivista internazionale di filosofia del diritto», da lui fondata nel 1921, e che sino alla trasformazione in organo della Fondazione Capograssi ha offerto una tribuna autorevole a filosofi del diritto italiani e stranieri; così in La giustizia (1922-1923), espressione importante del cattolicesimo liberale.
...conseguenza della svolta neokantiana impressa da Del Vecchio alla filosofia del diritto italiana fu la rivendicazione del primato della filosofia del diritto, unica autorizzata a conoscere il quid ius, ossia il concetto di diritto, sulla dottrina giuridica: alla quale restava il compito di accertare il quid iuris, ossia di studiare i vari sistemi giuridici (italiano, tedesco, e simili).
… Alla filosofia del diritto, in effetti, Del Vecchio conferisce tre compiti: uno logico, secondo lui tipico della teoria generale, che consisterebbe nell’elaborare il concetto e/o la definizione del diritto; un compito fenomenologico, svolto dalla sociologia del diritto, e consistente nello studiare il diritto come fenomeno empirico; infine, e soprattutto, un compito deontologico, da lui ritenuto tipico della filosofia del diritto in senso stretto, e consistente nel «ricercare e vagliare la giustizia, ossia il diritto quale dovrebbe essere» (Lezioni di filosofia del diritto, 1930, 1965, pp. 192-94).