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Trasporto irregolare di stranieri e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina

27 marzo 2023

Tribunale civile e penale di Gorizia, sentenza n. 649, depositata il 18/11/2022


IL CASO E LA DECISIONE

Un soggetto viene accusato di avere commesso il reato previsto e punito dall'art. 12 commi 1 e 3 lett. a), b), c) ed e), comma 3-bis e comma 3-ter lett. b) d.lgs. 286/98, in quanto imputato di avere effettuato il trasporto di 12 sedicenti cittadini pakistani nel territorio dello Stato, tutti privi di documenti di identificazione e di titolo per soggiornare in Italia.

Secondo l’accusa, l’imputato, dopo aver prelevato gli extracomunitari in una località boschiva a circa sei ore di auto dal confine nazionale, si era posto alla guida di una vettura con vetri oscurati e targa registrata in Germania e aveva fatto ingresso nel nostro Paese, giungendo infine in un parcheggio dove aveva fatto scendere i dodici clandestini.

Proprio in quel frangente, peraltro, il guidatore veniva controllato dalle forze dell'ordine sopraggiunte sul posto sulla base di una “soffiata”, nell'atto di armeggiare sul motore della vettura, tenendo in mano una tanica di olio.

Il Giudice adito ha ritenuto provata la fattispecie di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina – seppure non accogliendo integralmente la prospettazione dell’accusa -, evidenziando che il dolo del reato e la consapevolezza dell'illegittimità del trasporto erano desumibili senza incertezze dalle modalità della condotta, quali il recupero degli stranieri in un bosco, il numero di passeggeri nettamente superiore alla capienza del mezzo e la prospettazione di un compenso economico da parte di altro soggetto per svolgere il trasporto.

In particolare, il Giudice di primo grado ha valorizzato le dichiarazioni rese da uno dei clandestini, secondo cui l’imputato aveva recuperati i trasportati in un bosco e da lì avevano viaggiato per sei ore stipati nell'autovettura da lui condotta: due dei cittadini stranieri erano seduti al posto del passeggero davanti, sei sui sedili posteriori e quattro nel vano bagagli.

La polizia giudiziaria aveva inoltre estrapolato un video dal cellulare di uno dei trasportati, da cui si evinceva chiaramente che la vettura usata per il trasporto era stata condotta dall'imputato, il quale era riconoscibile dall'esteso tatuaggio presente sul dorso della mano destra.

D’altra parte, lo stesso imputato aveva ammesso di aver trasportato in Italia i soggetti stranieri al fine di profitto, poiché un soggetto a lui praticamente sconosciuto (secondo le dichiarazioni auto-accusatorie) aveva organizzato il viaggio, e gli aveva promesso in cambio la somma di € 200,00 per ogni straniero trasportato.

L’accusato aveva peraltro negato di essere stato a conoscenza del fatto che gli stranieri fossero privi di documenti, e che il loro trasporto fosse illegale; il Tribunale di Gorizia ha però ritenuto superate e contraddette sul punto le affermazioni dell’imputato, in relazione alle evidenze derivanti dalle prove acquisite, secondo cui nessuno dei trasportati era in possesso di documenti idonei alla legale permanenza nel territorio dello Stato, il trasporto era stato effettuato ininterrottamente da un bosco lontano dal confine e con modalità più che sospette.

Inoltre, la promessa di denaro - al termine del trasporto -, proveniente da un soggetto pressoché sconosciuto, avrebbe deposto per una consapevolezza da parte dell'imputato dell’illegalità del trasporto stesso da effettuare, e attestato il dolo specifico di avere agito per procurarsi il profitto promesso, ad integrazione della fattispecie aggravante prevista dal comma 3-ter, lett. b) dell’art. 3 del d.lgs. n. 286/1998.

Nonostante l’applicazione dei minimi edittali e il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, e in conseguenza del regime di bilanciamento imposto dall’art. 3, comma 3-quater della norma sanzionatoria “(Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 del codice penale, concorrenti con le aggravanti di cui ai commi 3-bis e 3-ter, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti”), la pena finale inflitta è stata di anni 4 e mesi 8 di reclusione, oltre a € 220.000.00 di multa.


FAVOREGGIAMENTO E AGGRAVANTI

L’art. 12 del testo unico sull’immigrazione contiene una fattispecie di base, definita comunemente di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, che punisce alternativamente diverse condotte (promozione, direzione, organizzazione, finanziamento o effettuazione concreta del trasporto di stranieri nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del testo unico stesso), e sempre che tali condotte non costituiscano di per sé un diverso più grave reato.

L’altra fattispecie (anch’essa alternativa) prevista dall’art. 12 è costituita dal compiere “altri atti diretti a procurare illegalmente l'ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente”.

E’ un’ipotesi delittuosa che si pone soltanto apparentemente sulla scia del reato di favoreggiamento personale, in quanto, mentre quest’ultimo punisce chiunque aiuta taluno a eludere le investigazioni dell'autorità, o a sottrarsi alle ricerche effettuate, ma dopo la commissione di un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione, nel caso del cosiddetto favoreggiamento dell’immigrazione clandestina l’aiuto viene prestato prima o durante la commissione (peraltro soltanto eventuale) del reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 (Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato).

D’altra parte, nonostante un precedente isolato della Corte di cassazione, la giurisprudenza di legittimità (ivi comprese le Sezioni unite della stessa Corte di cassazione, con sentenza del 21 giugno 2018, n. 40982), confortata dalla Corte costituzionale, ha sposato un orientamento ormai consolidato, secondo cui le ipotesi aggravate di cui al comma 3 non sarebbero strutturate quali reati di danno, e dunque non implicherebbero l’effettivo ingresso dello straniero nel territorio dello Stato, in quanto, stante l’inequivoco tenore letterale del comma 3, tutte le fattispecie previste dall’art. 12 del testo unico sull'immigrazione sono definibili come reati “a consumazione anticipata”, che si perfezionano cioè con il solo compimento di «atti diretti a procurare l’ingresso illegale di stranieri», senza che tale scopo debba necessariamente essere conseguito dall’agente.

E’ un delitto che ha fatto la sua comparsa nell’ordinamento italiano in sede di conversione del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, con la previsione di una fattispecie delittuosa base che era già configurata all’epoca a guisa di reato a consumazione anticipata, caratterizzata dal compimento di attività «dirette» a favorire l’ingresso illegale di stranieri nel territorio dello Stato, e che era sanzionata con la reclusione «fino a due anni».

Erano poi previste due ipotesi aggravate, integrate dal fine di lucro e dalla commissione da parte di tre o più persone, sanzionate con l’autonomo quadro edittale della reclusione da due a sei anni e da una multa assai più severa rispetto a quella prevista per il fatto base.

Il delitto di favoreggiamento dell’immigrazione è poi confluito nell’art. 12 t.u. immigrazione, con un immediato innalzamento di pena, e l’inserimento di numerose altre circostanze aggravanti al comma 3.

L’art. 12 del testo unico sull'immigrazione fu poi incisivamente modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (cosiddetta “legge Bossi-Fini”), con integrale riscrittura del comma 3 e aggiunta di altri due commi, che contemplavano ulteriori ipotesi aggravanti.

Di fronte al dato letterale del nuovo comma 3, che – subordinatamente a una clausola espressa di sussidiarietà rispetto ad altri più gravi reati – reiterava pressoché integralmente la descrizione della condotta contenuta nel comma 1 arricchendola di ulteriori requisiti, la giurisprudenza si orientò in prima battuta a considerare le fattispecie ivi previste come figure autonome di reato, mentre la commissione da parte di tre o più persone passò a integrare l’ipotesi aggravata prevista dal nuovo comma 3-bis, accanto a quella dell’ingresso o della permanenza illegale di cinque o più persone e a quelle, di nuova introduzione, dell’esposizione della persona trasportata a pericolo per la vita o l’incolumità, ovvero a trattamento inumano o degradante. Per queste ipotesi veniva disposto che le pene previste dal comma 3 fossero ulteriormente aumentate.

Un autonomo e più severo quadro edittale (comprensivo, in particolare, della pena della reclusione da cinque a quindici anni) veniva invece previsto per le nuove circostanze aggravanti di cui al comma 3-ter, integrate dal fine di destinare le persone trasportate alla prostituzione, allo sfruttamento sessuale o allo sfruttamento di minori.

Ulteriori modifiche furono apportate all’art. 12 in questione dall’art. 1-ter del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, con l’aumento della pena detentiva per la fattispecie di cui al comma 1 (da uno a cinque anni) e la conservazione nel comma 3 soltanto del fine di trarre profitto, anche indiretto.

La circostanza aggravata dell’utilizzo di servizi internazionali di trasporto e di documenti contraffatti, alterati o comunque illecitamente ottenuti fu a questo punto trasferita nel comma 3-bis, accanto a quelle che già erano state collocate in quest’ultimo comma dalla “legge Bossi-Fini” (fatto concernente l’ingresso o permanenza illegale di cinque o più persone; pericolo alla vita o all’incolumità fisica della persona trasportata; sottoposizione della stessa a trattamenti inumani o degradanti), prevedendosi per tutte queste ipotesi l’aumento della pena stabilita dai commi 1 e 3.

Conseguentemente, ai fini della determinazione del quadro edittale applicabile, decisivo divenne il discrimine tra fatto commesso senza fine di lucro (rilevante ai sensi del comma 1, e punito con la reclusione da uno a cinque anni, su cui operare l’aumento sino a un terzo ex art. 64 cod. pen.) e fatto commesso con fine di lucro (rilevante ai sensi del comma 3, e punito con la reclusione da cinque a quindici anni, su cui operare l’ulteriore aumento sino a un terzo).

Infine, per le ipotesi di cui al comma 3-ter, rimaste inalterate nella loro definizione rispetto alla “legge Bossi-Fini”, fu previsto l’aumento da un terzo alla metà delle pene detentive stabilite dal comma 3.

L’art. 12 t.u. immigrazione ha infine acquisito l’attuale fisionomia dopo la riformulazione operata dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, ed è stato recentissimamente “ritoccato” dal cosidetto decreto-migranti (d.l. n. 20 del 10 marzo 2023), approvato in fretta e furia dopo i fatti di Cutro.

E’ stata confermata – in relazione alla fattispecie base di cui al primo comma – la cornice edittale da uno a cinque anni di reclusione già introdotta dalla legge n. 271 del 2004 (cornice allo stato aumentata da due a sei anni), mentre nel riformulato comma 3 sono state ricollocate cinque diverse ipotesi, di cui la quinta, descritta alla lettera e), di nuovo conio (caso in cui gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti). Per tutte queste ipotesi la pena è stata ulteriormente innalzata, prevedendosi una nuova cornice edittale da cinque a quindici anni di reclusione (allo stato attuale da sei a sedici anni), oltre alla multa di 15.000 euro "per ogni persona".

Il comma 3-bis riformulato dispone che, in caso di concorso tra due o più delle ipotesi di cui al comma precedente, la pena ivi prevista sia aumentata.

Il comma 3-ter, parimenti riformulato, prevede poi che la pena detentiva è aumentata da un terzo alla metà e si applica la multa di 25.000 euro per ogni persona se i fatti di cui ai commi 1 e 3:

a) sono commessi al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale o lavorativo ovvero riguardano l'ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento;

b) sono commessi al fine di trarne profitto, anche indiretto.

Ai sensi del nuovo comma 3-quater, infine, eventuali circostanze attenuanti (diverse da quelle previste dagli artt. 98 e 114 cod. pen.) non possono essere ritenute prevalenti o equivalenti rispetto alle circostanze aggravanti di cui ai commi 3-bis e 3-quater, le relative diminuzioni di pena dovendosi operare sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti.

Risolvendo peraltro un contrasto giurisprudenziale sul punto, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno riconosciuto natura di circostanze aggravanti anche alle ipotesi descritte dal comma 3, così come oggi formulato (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, sentenza 21 giugno 2018, n. 40982), rendendo così possibile il loro bilanciamento con eventuali circostanze attenuanti ai sensi dell’art. 69 cod. pen., e la conseguente commisurazione della pena – in caso di equivalenza o prevalenza delle attenuanti – a partire dal più mite quadro edittale previsto dal comma 1, e ciò sempre che non ricorrano due o più di tali aggravanti ovvero il fine di profitto, operando in tal caso il divieto di equivalenza o prevalenza delle attenuanti stabilito dal comma 3-quater.

D’altra parte, l’art. 12 del testo unico sull'immigrazione, e in particolare i suoi commi 1, 3, 3-bis e 3-ter, investono una materia interessata da obblighi assunti in sede di diritto internazionale e imposti dal diritto dell’Unione europea.

Viene anzitutto in considerazione il Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata per combattere il traffico illecito di migranti via terra, via mare e via aria (cosiddetto Protocollo di Palermo), il cui art. 6, paragrafo 1, obbliga gli Stati parte a criminalizzare tra l’altro, allorché il fatto sia commesso intenzionalmente e a scopo di profitto, il «traffico di migranti» («smuggling of migrants»).

L’indicato art. 6, al paragrafo 3, impone poi a ciascuno Stato parte di adottare le misure legislative e di altra natura che si rendano necessarie a conferire il carattere di circostanze aggravanti, tra l’altro, del reato di traffico di migranti alla messa in pericolo della vita o dell’incolumità dei migranti interessati (lettera a), ovvero alla loro sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti, incluso lo sfruttamento (lettera b).

Gli obblighi di criminalizzazione stabiliti dal Protocollo in parola sono, dunque, limitati a condotte commesse a scopo di profitto, mentre l’obbligo di prevedere specifici aggravamenti di pena sussiste solo per le ipotesi coperte oggi, nel diritto italiano, dall’art. 12, comma 3, lettere b) e c), t.u. immigrazione, relative rispettivamente all’esposizione a pericolo per la vita o l’incolumità del migrante e alla sua sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti.

Quanto al diritto dell’Unione europea, gli obblighi di incriminazione in materia sono essenzialmente quelli stabiliti dal combinato disposto della decisione quadro 2002/946/GAI del Consiglio, del 28 novembre 2002, relativa al rafforzamento del quadro penale per la repressione del favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali, e dalla direttiva, adottata in pari data, 2002/90/CE del Consiglio, volta a definire il favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali (che assieme formano il cosiddetto “Facilitators Package”).

Secondo questi obblighi, le correlative sanzioni penali devono essere “effettive, proporzionate e dissuasive”.

Quanto al bene-interesse protetto dalla norma penale, l’intera gamma delle ipotesi delittuose descritte dall’art. 12 t.u. immigrazione ha quale comune oggetto di tutela l’ordinata gestione dei flussi migratori, interesse definibile quale bene giuridico “strumentale”, attraverso la cui salvaguardia il legislatore attua una protezione in forma avanzata del complesso di beni pubblici “finali”, di sicuro rilievo costituzionale, potenzialmente a rischio nel caso di fenomeni di immigrazione incontrollata, quali, in particolare, gli equilibri del mercato del lavoro, le risorse (limitate) del sistema di sicurezza sociale, l’ordine e la sicurezza pubblica.

I forti aumenti di pena previsti – che in termini percentuali sono notevolmente superiori a quelli che ordinariamente connotano le fattispecie aggravate rispetto alle corrispondenti figure base di reato – si ricollegano chiaramente, nella prospettiva del legislatore, alla dimensione plurioffensiva delle ipotesi ivi contemplate, il cui orizzonte di tutela trascende di gran lunga quello dell’ordinata gestione dei flussi migratori, e che sono volte anzitutto, anche se non esclusivamente, a tutelare le persone trasportate, che spesso versano in stato di bisogno, anche estremo.

Ciò appare evidente, ad esempio, rispetto alle due ipotesi aggravate previste dalle lettere b) e c) del comma 3, integrate dall’essere stata la persona trasportata esposta rispettivamente a un pericolo per la propria vita o incolumità, e addirittura a trattamenti inumani o degradanti.

Nel caso affrontato dal Tribunale di Gorizia, ad esempio, entrambe le fattispecie sono state contestate all’imputato, anche se è stata ritenuta sussistente soltanto l’ipotesi dell’esposizione a pericolo per la propria incolumità, in quanto i dodici stranieri trasportati avevano viaggiato in due sul sedile anteriore, in sei su quello posteriore e in quattro nel vano bagagli,  senza dunque alcun presidio di sicurezza e con estremo pericolo in caso di incidente o anche semplice urto dell'automobile.

L’altra aggravante, invece (trattamento inumano), è stata esclusa, in quanto il viaggio era durato sei ore in tutto ed era avvenuto a bordo di un mezzo comunque da considerarsi "piuttosto comodo".

D’altra parte, tornando alla fattispecie astratta, anche la fattispecie aggravata di cui al comma 3-bis, lettera a) – caratterizzata dal fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione ovvero allo sfruttamento sessuale o lavorativo, e confinante con la fattispecie di tratta di persone di cui all’art. 601 cod. pen., quest’ultima punita con la reclusione da otto a venti anni – appare calibrata sulle esigenze di tutela dello straniero assai più che sul controllo dei flussi migratori, che pure resta sullo sfondo dell’incriminazione come in ogni altra ipotesi disciplinata dall’art. 12 t.u. immigrazione.

Così come le altre ipotesi aggravanti previste dalla norma in questione (fatto riguardante l’ingresso o la permanenza illegale di cinque o più persone, disponibilità di armi o materie esplodenti da parte degli autori del fatto e fatto commesso da tre o più persone in concorso tra loro) appaiono tutte evocare, secondo le verosimili intenzioni del legislatore, scenari di coinvolgimento di organizzazioni criminali attive nel traffico internazionale di migranti.

Restano invece sullo sfondo di tale intento punitivo – come visto avallato anche dalle disposizioni internazionali vigenti in materia – le due ipotesi dell’utilizzazione di servizi internazionali di trasporto o di documenti contraffatti, alterati o comunque illegalmente ottenuti. [1]

Nel primo caso, la Corte costituzionale non ha ravvisato alcun ragionevole surplus di disvalore rispetto alla generalità dei fatti riconducibili alla fattispecie base descritta nel comma 1.

Nel secondo caso, sempre la Corte costituzionale, pur riconoscendo alla condotta una connotazione offensiva ulteriore rispetto a quella propria della fattispecie base, per lesione del bene delle “fede pubblica”, ha ritenuto non giustificabile l’entità dello scarto tra la pena prevista per la fattispecie base e quella derivante dall’applicazione delle circostanza medesima, anche in considerazione del fatto che la generalità dei delitti di falsità in atti e personali previsti dai Capi III e IV del Titolo VII del Libro II del codice penale è punita con pene che, nel minimo, non oltrepassano la soglia di un anno di reclusione, e che lo stesso art. 6, comma 6-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, che incrimina la contraffazione o alterazione di permessi di soggiorno o di altri documenti correlati alla presenza legittima dello straniero nel territorio nazionale, prevede una cornice edittale da uno a tre anni di reclusione.

D’altra parte, nel tempo, la norma incriminatrice su cui si è incardinato il contrasto all’immigrazione clandestina ha progressivamente differenziato, con sempre maggiore nettezza, il trattamento sanzionatorio di due distinte classi di condotte: da un lato, l’aiuto all’ingresso illegale nel territorio dello Stato compiuto in favore di singoli stranieri, per finalità in senso lato altruistiche; dall’altro, l’attività posta in essere a scopo di lucro da gruppi criminali organizzati nei confronti di un numero più o meno ampio di migranti destinati a essere trasportati illegalmente nel territorio dello Stato.

Il ben maggiore rigore sanzionatorio previsto per la seconda classe di condotte riflette l’evidente distinzione, sul piano criminologico, tra due fenomeni radicalmente diversi, in quanto un sodalizio internazionale, rigidamente strutturato e dotato di ingenti mezzi, che specula abitualmente sulle condizioni di bisogno dei migranti, senza farsi scrupolo di esporli a pericolo di vita, è da considerarsi, ragionevolmente, una situazione del tutto distinta dall’illecito commesso una tantum da singoli individui o gruppi di individui, che agiscono per le più varie motivazioni, anche semplicemente solidaristiche, in rapporto ai loro particolari legami con i migranti agevolati.




[1] Con sentenza n. 63 del 2022 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 3, lettera d), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), limitatamente alle parole «o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti».

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