Il "vincolo di destinazione d’uso del bene culturale" può essere imposto quando il provvedimento risulti funzionale alla conservazione della integrità materiale della cosa o dei suoi caratteri storici o artistici, sulla base di una adeguata motivazione da cui risulti l’esigenza di prevenire situazioni di rischio per la conservazione dell’integrità materiale del bene culturale o del valore immateriale nello stesso incorporato.
Tale vincolo può altresì essere imposto a tutela di beni che sono espressione di identità culturale collettiva, non solo per disporne la conservazione sotto il profilo materiale, ma anche per consentire che perduri nel tempo la condivisione e la trasmissione della manifestazione culturale immateriale, di cui la cosa contribuisce a costituirne la testimonianza.
L’Adunanza plenaria aderisce così all’orientamento che propugna la maggiore ampiezza possibile con riguardo al potere di tutela del bene culturale, e che non tipizza la legittimità del vincolo di destinazione d’uso sulla base di fattispecie derogatorie predeterminate in via astratta, ma CHE ha semplice riguardo all’adeguatezza della motivazione alla base della decisione amministrativa concretamente assunta.
Tale orientamento è basato sulla legislazione vigente ed è anche maggiormente conforme agli obiettivi di interesse generale sottesi alla tutela dei beni culturali, oltre che coerente con il quadro costituzionale di riferimento.
Invero, il potere di imporre limiti all’uso del bene culturale discende dal combinato disposto degli articoli 18, comma 1, 20, comma 1, e 21, comma 4, del Codice approvato con il decreto legislativo n. 42/04, che valorizza l’uso del bene culturale quale strumento per consentirne la conservazione materiale, mentre negare la possibilità di imporre vincoli culturali di destinazione d’uso - come il limitare un tale potere a fattispecie eccezionali, predeterminate in via astratta o correlate all’avvenuta trasformazione della res in relazione ad eventi culturali di particolare importanza - vanificherebbe le esigenze di tutela alla base delLO STESSO D. Lgs. n. 42/04, in tutte le ipotesi in cui un mutamento di destinazione d’uso possa comunque, tenuto conto delle particolarità concrete, essere pregiudizievole per la conservazione del bene e del relativo valore culturale che esso esprime.
D’altra parte, l’impostazione sposata dall’Adunanza plenaria non produce neanche un’irragionevole o sproporzionata limitazione del diritto di proprietà o della libertà di iniziativa economica, dal momento che i vincoli culturali hanno natura non espropriativa, bensì conformativa, e POSTO che gli stessi non POSSONO IMPORRE alcun obbligo di esercizio o prosecuzione dell’attività commerciale e imprenditoriale, né l’attribuzione di una riserva di attività in favore di un determinato gestore, al quale non può essere attribuita una sorta di “rendita di posizione”.
Di conseguenza, il provvedimento di imposizione di un vincolo che giunga a individuare un solo uso compatibile sarebbe illegittimo per sviamento ove venisse apposto, qualora mirasse non alla conservazione ed alla salvaguardia della res in cui è incorporato il valore storico culturale particolarmente importante, ma a far continuare la prosecuzione di una specifica attività commerciale o imprenditoriale.
Premesso dunque che quel che può essere imposto è un divieto di usi diversi da quello attuale, a tutela tanto del bene culturale quanto dei valori in esso incorporati, la motivazione del provvedimento dovrà essere adeguata e sorretta dalla rappresentazione delle ragioni per le quali il valore culturale espresso dalla res non possa essere salvaguardato e trasmesso se non attraverso la conservazione del suo pregresso uso, che, compenetratosi nelle cose che ne costituiscono il supporto materiale, è divenuto ad esso ‘consustanziale’.
Tali valutazioni potranno poi essere oggetto di sindacato giurisdizionale nei consueti limiti previsti per gli atti implicanti esercizio di discrezionalità tecnica riservata all’Amministrazione in merito alla qualitas di bene culturale (Adunanza Plenaria n. 5 del 2023)
La nozione di bene culturale, in una visione dinamica e moderna, deve essere intesa in senso ampio: essa, pur presupponendo res quae tangi possunt, può anche ricomprendervi un quid pluris di carattere immateriale.
A fronte di tale ampiezza di significato deve corrispondere la maggior estensione possibile, a legislazione vigente, delle forme di tutela previste dall’ordinamento, che consentano una protezione "elastica" ed efficace al bene culturale, senza limitarsi alla sua consistenza materiale, ma considerandolo globalmente, per i valori culturali che esso esprime e reca in sé.
Il bene culturale viene così integralmente salvaguardato nell’insieme unitario e inscindibile dei suoi specifici aspetti: il valore culturale ‘estrinseco’, correlato a fatti della storia e della cultura, ma anche quello ‘intrinseco’, che, immedesimatosi con la cosa stessa, rende necessario tutelare non soltanto il ‘contenente’ ma anche il ‘contenuto’ del bene culturale, materiale o immateriale che esso sia.
Infatti, declinando i principi di diritto enunciati dalla Corte Costituzionale, la legislazione vincolistica non può che essere interpretata se non facendo riferimento al concetto di ‘compenetrazione’ del valore culturale con i beni che ne costituiscono il supporto materiale, trasformati, per l’effetto, nelle loro stesse intrinseche caratteristiche.
Pertanto, come l’avviamento di un’azienda non è un bene a sé stante, ma una sua qualità, che non può essere trasferita separatamente dall’azienda stessa e dal complesso di beni da cui questa è costituita, così in tali ipotesi, l’uso pregresso che contribuisce al valore culturale immateriale insito nella cosa non può venir meno, perché altrimenti andrebbe dispersa l’essenza del bene protetto e la sua stessa ragione di tutela.
Nel complesso di tali beni, tangibili e intangibili, si concretizza e si esplica anche l’“espressione di identità culturale collettiva”, tutelato dal Codice del 2004 per la conservazione del bene materiale e per la continua condivisione e trasmissione della manifestazione culturale di cui la cosa costituisce testimonianza.
Qualora un bene abbia il valore che gli è proprio anche per il collegamento con una determinata attività, la sola conservazione del bene materiale mediante il provvedimento di vincolo è condizione necessaria, ma non sufficiente per la sua adeguata protezione, in quanto la destinazione a un uso incompatibile o diverso da quello cui esso è stato nel tempo stabilmente destinato finirebbe per obliterare proprio il valore storico-culturale che è alla base del provvedimento di vincolo, vanificando gli interessi pubblici che ne sono alla base.
Un tale vincolo di destinazione può operare soltanto sul piano oggettivo, regolando l’uso della res, senza disporre alcun obbligo di prosecuzione dell’attività svolta né la riserva di una tale attività, a prescindere dagli accordi conclusi tra le parti, in favore dell’attuale gestore.
Così intesa, la previsione di un vincolo di destinazione finalizzata alla conservazione dell’uso del bene - riferito alla sola res e inidoneo ad imporre obblighi di prosecuzione dell’attività o a riservarne soggettivamente la gestione - da un lato, non viola la libera iniziativa economica (stante l’assenza di obblighi di esercizio), dall’altro, limita in maniera proporzionata e ragionevole il diritto di proprietà, perché, senza svuotare le facoltà dominicali, ne assicura la funzione sociale per la tutela di interessi pubblici prevalenti, correlati alla salvaguardia ed alla conservazione del patrimonio culturale della Nazione.