IL CASO ESAMINATO E LA SOLUZIONE ADOTTATA
Il proprietario di un’area ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza con cui il Comune competente gli ha ordinato (in solido con il precedente proprietario), ai sensi dell'art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, di provvedere alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti speciali, pericolosi e non, presenti presso la suddetta area.
Secondo l’interessato, il Comune convenuto avrebbe fatto discendere l’obbligo di rimozione dei rifiuti dal mero accertamento della proprietà del terreno ove essi sono collocati, senza fornire, in concreto, alcuna dimostrazione dell’imputabilità soggettiva della sua condotta, come invece richiesto dalla citata norma. Sarebbe dunque stato violato il principio “chi inquina paga”, che individuerebbe quale soggetto obbligato alla rimozione unicamente il responsabile materiale dell’inquinamento.
Il ricorrente ha evidenziato inoltre che i rifiuti erano stati abbandonati in loco dal precedente proprietario, cosicché sarebbe da escludere ogni suo coinvolgimento nel fatto contestato, non avendo avuto materialmente possesso dell’area all’epoca dell’accadimento.
Il Tribunale adito ha disatteso la tesi del ricorrente articolando il seguente ragionamento:
- l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 3 del 26 gennaio 2021, nell’affrontare la problematica riguardate gli obblighi di carattere ambientale che fanno capo al curatore, dopo aver preso atto che quest’ultimo non è avente causa del fallito, ha stabilito che egli assume comunque l’obbligo di rimozione dei rifiuti abbondonati sul fondo entrato a far parte della massa attiva fallimentare, in quanto detentore del fondo stesso;
- questa soluzione giuridica, a parere dell’Adunanza plenaria, è fondata sull’art. 14, paragrafo 1, della direttiva n. 2008/98/CE, secondo cui, in base al principio chi “inquina paga”, i costi della gestione dei rifiuti, compresi quelli per la necessaria infrastruttura e il relativo funzionamento, sono sostenuti, fra l’altro, “dai detentori del momento”;
- la norma citata, pur riferendosi in realtà specificamente al detentore dei rifiuti, è stata interpretata come facente riferimento anche al detentore del fondo sul quale i rifiuti sono stati abbandonati;
- in questa prospettiva, soltanto chi non è detentore dei rifiuti, come il proprietario incolpevole del terreno su cui gli stessi siano collocati, può invocare la cd. 'esimente interna' prevista dall'art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006”;
- successivamente all’Adunanza plenaria sopra citata, altre pronunce si sono specificamente occupate della problematica riguardante la possibilità di addossare all’acquirente di un fondo già inquinato, o già oggetto di abbandono rifiuti, l’obbligo di provvedere alla bonifica o alla rimozione di quanto abbandonato, e hanno affermato che la normativa nazionale deve essere interpretata in chiave europea e in maniera compatibile con canoni di assoluto rigore a tutela dell'ambiente;
- la tutela dell’ambiente deve dunque essere incentrata intorno al fondamentale cardine della responsabilità del proprietario in chiave dinamica, ossia nel senso di ritenere responsabile degli oneri di bonifica e di riduzione in pristino anche il soggetto non direttamente responsabile della produzione del rifiuto, il quale sia tuttavia divenuto proprietario e detentore dell’area o del sito in cui è presente, per esservi stato in precedenza depositato, stoccato o anche semplicemente abbandonato, il rifiuto in questione;
- la responsabilità del proprietario del sito, in tal caso, non rinviene necessariamente la propria causa nel cd. fattore della produzione, bensì anche, eventualmente, in quello della detenzione o del possesso (corrispondenti, rispettivamente, al contenuto di un diritto personale o reale di godimento) dell’area sulla quale è oggettivamente presente il rifiuto, dal momento che grava su colui che è in relazione con la cosa l’obbligo di attivarsi per fare in modo che la cosa medesima non rappresenti più un danno o un pericolo di danno (o anche di aggravamento di un danno già prodotto).
Sulla base di queste ragioni, pertanto, i Giudici di primo grado hanno respinto il ricorso, sostenendo che il Comune procedente aveva correttamente individuato il ricorrente, acquirente di un fondo già interessato da abbandono rifiuti, quale soggetto obbligato ad eseguire l’intervento di cui all’art. 192 del d.lgs. n. 152 del 2006, anche in considerazione del fatto che, nel caso concreto, l’area era stata acquistata corrispondendo un prezzo di molto inferiore al suo reale valore, circostanza da considerarsi indice di un mancato uso dell’ordinaria diligenza nel verificare quale fosse la causa o la concausa di tale forte abbattimento del prezzo, in relazione alla oggettiva presenza nell’area, al momento dell’acquisto, dei rifiuti abbandonati.
BREVI OSSERVAZIONI
Rimandando per una più ampia disamina all'articolo pubblicato su questo sito in ordine ai "doveri ambientali del proprietario-detentore" (*), è utile riepilogare un breve quadro normativo e giurisprudenziale della fattispecie esaminata dal Giudice adito.
L’art. 192, d.lgs. n. 152 del 2006 (c.d. TUA), recante “divieto di abbandono”, ai commi 1 e 2, vieta l'abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo, nonché l'immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee.
Il comma 3 della disposizione stabilisce che, fatta salva l'applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti predetti è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate .
Quindi, la norma, oltre a imporre la rimozione, l’avvio a recupero o lo smaltimento dei rifiuti e il ripristino dello stato dei luoghi all’autore della violazione – colui, cioè, che ha abbandonato e depositato in modo incontrollato i rifiuti sul suolo e nel suolo, o ha immesso rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee -, ha anche “coinvolto” espressamente il proprietario o il titolare non solo di diritti reali, ma anche “personali di godimento”, sull’ ”area” – quindi pure il comodatario, o il locatario – purché a questi ultimi la violazione sia “imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati in contraddittorio con i soggetti interessati”.
Evidentemente, quindi, la norma non impone una responsabilità oggettiva al proprietario/possessore/detentore dell’ ”area” interessata dall’abbandono o dal deposito incontrollato dei rifiuti, ma richiede uno specifico accertamento, peraltro nel rispetto del contraddittorio con l’interessato, da parte dell’Amministrazione procedente, in ordine alla sussistenza, quantomeno, di un profilo di “colpa” – da intendersi, evidentemente, come colpa generica, negligenza, imprudenza, imperizia, ovvero violazione di specifiche norme di cautela previste dall’ordinamento.
L’interpretazione e applicazione della norma in esame, con particolare riferimento al proprietario/detentore, pone, quindi, un problema di specifica declinazione del c.d. principio “chi inquina paga”, problema che per vero può dirsi “trasversale” in materia di c.d. responsabilità ambientale.
L’Adunanza plenaria, con le sentenze 25 settembre 2013, n. 21 e 13 novembre 2013, n. 25, è intervenuta a dirimere i contrasti in ordine alla latitudine degli obblighi che possono incombere sul proprietario incolpevole del sito inquinato in forza del combinato disposto degli artt. 240, 242, 244 e 245 TUA, sottolineando che Il proprietario non responsabile è gravato di una specifica obbligazione di facere che riguarda, però, soltanto l'adozione delle misure di prevenzione di cui all'art. 242, di modo che non ricadono su di lui gli interventi di messa in sicurezza d'emergenza e di bonifica; secondo tale impostazione, nell'ipotesi di mancata individuazione del responsabile, o di mancata esecuzione degli interventi in esame da parte dello stesso - e sempre che non provvedano spontaneamente né il proprietario del sito né altri soggetti interessati - le opere di recupero ambientale sono eseguite dall'amministrazione competente (art. 250), che potrà rivalersi sul proprietario del sito, nei limiti del valore dell'area bonificata.
Successivamente, la CGUE con la sentenza sez. III, 4 marzo 2015, causa C - 534/13 ha affermato che la direttiva 2004/35 deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale come quella italiana, la quale, nell'ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest'ultimo le misure di riparazione, non consente all'autorità competente di imporre l'esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall'autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l'esecuzione di tali interventi.
E' infine intervenuta la decisione dell’Adunanza plenaria 26 gennaio 2021, n. 3, la quale ha avuto modo di affermare, sia pure con un incedere motivazionale non sempre del tutto lineare, il principio per cui <<ricade sulla curatela fallimentare l'onere di ripristino e di smaltimento dei rifiuti di cui all'art. 192 d.lgs. n. 152-2006 e i relativi costi gravano sulla massa fallimentare>> .
La decisione esaminata del Tar Lombardia si pone dichiaratamente nel solco di tale ultima pronuncia (oltre che della giurisprudenza successiva a tale pronuncia, che ha di fatto esteso gli obblighi a carico del proprietario delle aree interessate dalla condotta di abbandono dei rifiuti), e valorizza il fatto che la tutela dell’ambiente, improntata come deve essere a canoni di assoluto rigore, comporta la responsabilità del proprietario per gli oneri di bonifica e di riduzione in pristino, anche se il soggetto non sia direttamente responsabile della produzione del rifiuto.
In quest'ottica, il divenire proprietario e detentore dell’area o del sito in cui è presente - per esservi stato in precedenza depositato, stoccato o anche semplicemente abbandonato, il rifiuto de quo -, viene ritenuto sufficiente ai fini dell'applicazione a carico del proprietario subentrante della disposizione di cui al comma 3 dell'art. 192, d.lgs. n. 152 del 2006.
Un'altra strada percorribile, per arrivare alla stessa conclusione, avrebbe potuto essere quella di considerare il nuovo detentore del bene come concorrente nella condotta di abbandono di rifiuti antecedente, seppure originariamente non conosciuta, valorizzando l'ipotesi dell' "abbandono" non solo in chiave dinamica ma anche in chiave statica, come volontà o consapevolezza di far persistere l'illecito in modo permanente, a cui possono "agganciarsi" condotte dolose o colpose successive a quella iniziale, da ritenere comunque e sempre rilevanti, quanto meno fino al momento in cui i rifiuti non siano stati effettivamente rimossi dalla superficie occupata.