Stato di emergenza
Il termine emergenza richiama, nella sua accezione più intuitiva, una circostanza imprevista, eccezionale, o anche una particolare situazione critica, che richiede un intervento immediato.
Lo stato di emergenza è qualcosa di diverso dallo "stato di eccezione" e dallo stato di guerra.
Si distingue dall’auto-sospensione dell’ordine giuridico vigente di schmittiana memoria, ma anche dalla condizione di fatto attributiva in modo anomalo di tutti i “poteri necessari” al Governo, che è propria di un conflitto armato (art. 78 della Costituzione).
Nel nostro ordinamento lo stato di emergenza non è stato previsto né regolato dalla Carta fondamentale, verosimilmente per evitare che da una definizione sfuggente, indeterminata e rimessa alle sensibilità politiche del momento potesse derivare una compressione duratura delle libertà fondamentali (in primis, il ritorno di fenomeni di natura fascista).
Eppure, esistono situazioni in cui l’applicazione delle norme “ordinarie” rischia di portare al collasso, per il sopravvenire di eventi esterni sfavorevoli, il sistema della convivenza “civil and safe”, o addirittura di favorire il dilagare di fenomeni apertamente negativi per la salute e la vita delle persone.
Esistono situazioni – la pandemia che abbiamo conosciuto negli ultimi due anni è senz’altro una di queste – in cui pare opportuno affidarsi, per mitigare con efficacia e immediatezza gli effetti sfavorevoli dell’evento calamitoso esterno sulla popolazione, ad un diritto emergenziale, che non si limiti a sospendere per un periodo di tempo determinato l’efficacia di una o più norme cronologicamente precedenti, ma che addirittura disciplini una serie di fattispecie “normali” in modo diverso da quello che ordinariamente ci si dovrebbe aspettare.
Ma qual è il fondamento costituzionale del diritto emergenziale? Esistono dei presupposti di legalità formale e sostanziale che devono essere rispettati nell’emanazione, adozione e applicazione di atti extra ordinem che comprimono per un tempo non irrisorio i diritti di libertà costituzionalmente tutelati?
E’ necessaria una dichiarazione formale dello stato di emergenza o l’emergenza è semplicemente una condizione di fatto che, una volta accertata o ritenuta accertata, permea di sé l’intero ordinamento giuridico, deviandolo, a prescindere dalle fonti del diritto utilizzate, verso una dimensione “restrittiva” e “contenitiva”, seppure temporanea?
Una prima risposta ci viene fornita dal cosiddetto codice della protezione civile (che, è bene ricordarlo, è una legge ordinaria dello Stato), il quale, unico, contiene espressamente una definizione e una disciplina dello “stato di emergenza”.
Si tratta di una disciplina, quella del d.lgs. n. 1 del 2018, pensata astrattamente per eventi calamitosi naturali riconducibili a terremoti, eruzioni, inondazioni e condizioni metereologiche particolarmente avverse, come evincibile da alcune disposizioni, riferibili essenzialmente, se non esclusivamente, ad attività di primo soccorso e assistenza materiale ed economica (tipiche di eventi dal grande e violento impatto innanzitutto sui beni fisici), tra cui sono espressamente ricomprese le attività di “gestione dei rifiuti, delle macerie, del materiale vegetale o alluvionale o delle terre e rocce da scavo prodotti dagli eventi”.
E, tuttavia, lo stato di emergenza è stato dichiarato, per sei mesi, con delibera del Consiglio dei Ministri dell’ormai lontano 31 gennaio 2020, anche in conseguenza del rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili.
Il potenziale contagio da coronavirus è stato dunque considerato alla stregua di uno degli eventi calamitosi di rilievo nazionale di origine naturale – peraltro strettamente connesso anche al fattore umano, come veicolo di infezione – contemplati dal codice di protezione civile.
All’epoca, furono valorizzate la dichiarazione di emergenza internazionale di salute pubblica per il coronavirus ad opera dell'Organizzazione mondiale della sanità del 30 gennaio 2020, la situazione di diffusa crisi determinata dalla insorgenza di rischi per la pubblica e privata incolumità e la necessità, in tale contesto di rischio, di realizzare una compiuta azione di previsione e prevenzione, con l'assunzione immediata di iniziative di carattere straordinario ed urgente, per fronteggiare adeguatamente possibili situazioni di pregiudizio per la collettività presente sul territorio nazionale, supportando l’attività del Ministero della Salute e del Servizio sanitario nazionale.
In origine, le tipologie di intervento finanziate erano state quelle di cui alle lettere a) e b) dell'articolo 25, comma 2, del decreto legislativo n. 1 del 2018 (organizzazione ed effettuazione degli interventi di soccorso e assistenza alla popolazione interessata dall'evento, ripristino della funzionalità dei servizi pubblici, e misure volte a garantire la continuità amministrativa nei comuni e territori interessati, anche mediante interventi di natura temporanea), nella misura determinata all'esito della valutazione svolta dal Dipartimento della protezione civile, sulla base dei dati e delle informazioni disponibili, mentre la situazione di emergenza veniva già considerata, per intensità ed estensione, non fronteggiabile con mezzi e poteri ordinari.
Più in particolare, in data 31 gennaio 2020, il Consiglio dei Ministri ha ritenuto ricorressero i presupposti previsti dall’articolo 7, comma 1, lettera c) e dall’articolo 24, comma 1 del d.lgs. n. 1 del 2018 per la dichiarazione di emergenza.
Vediamo quali sono questi presupposti.
Ai sensi dell’art. 7, comma 1, lettera c), ai fini dello svolgimento delle attività di protezione civile (ovvero di quelle attività volte alla previsione, prevenzione e mitigazione dei rischi, alla gestione delle emergenze e al loro superamento), sono rilevanti le emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall'attività dell'uomo, che, in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d'intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo ai sensi dell'articolo 24.
A sua volta, l’art. 24 del d.lgs. n. 1 del 2018 stabilisce che il Consiglio dei Ministri delibera lo stato d'emergenza di rilievo nazionale, fissandone la durata e determinandone l'estensione territoriale con riferimento alla natura e alla qualità degli eventi, e autorizza l'emanazione delle ordinanze di protezione civile di cui all'articolo 25 (ordinanze finalizzate agli interventi di soccorso, sostegno e ripristino, da adottarsi in deroga ad ogni disposizione vigente, nei limiti e con le modalità indicati nella deliberazione dello stato di emergenza e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico e delle norme dell'Unione europea).
Sempre secondo l’art 24, “la durata dello stato di emergenza di rilievo nazionale non può superare i 12 mesi, ed è prorogabile per non più di ulteriori 12 mesi”.
Soffermiamoci su due aspetti di tale disciplina.
Innanzitutto, a cosa corrisponde il concetto di “eventi calamitosi di origine naturale”?
Secondo una pronuncia di marzo 2021 emessa dal Giudice monocratico di Pisa (vedi sentenza), impegnato ad accertare l’illiceità penale della condotta di allontanamento da casa senza giustificato motivo (durante il primo lockdown), le situazioni disciplinate dal codice di protezione civile non avrebbero nulla a che vedere con la situazione di "rischio sanitario" quale è quella derivata dal COVID-19.
In particolare, secondo questa tesi, la pandemia, che pure viene espressamente qualificata in sentenza come evento “certamente” calamitoso/funesto, è un fattore di pericolo diverso rispetto a quelli pensati e disciplinati dal d.lgs. n. 1 del 2018.
Ne consegue, portando l’assunto alle sue estreme conseguenze, che la delibera dichiarativa dello stato di emergenza adottata dal Consiglio dei Ministri il 31.1.2020 sarebbe illegittima per essere stata emanata in assenza dei presupposti legislativi, non essendo rinvenibile alcuna fonte avente forza di legge, ordinaria o costituzionale, che attribuisca al Consiglio dei Ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario.
Si tratta di una tesi in parte opinabile e in parte inconferente rispetto al reale oggetto del contendere, come si vedrà.
Secondo aspetto su cui soffermarsi: è proprio necessaria la dichiarazione dello stato di emergenza per affrontare la pandemia?
Secondo la Corte costituzionale – che ha affrontato nel 2021 il tema della legislazione di emergenza “covid” in due importanti pronunce (1) -, malgrado il punto di intersezione rappresentato dalla dichiarazione dello stato di emergenza, le misure attuative del d.l. n. 19 del 2020 non coincidono con le ordinanze di protezione civile, l’emanazione delle quali compete pure al Presidente del Consiglio dei ministri, a norma degli artt. 5 e 25 del d.lgs. n. 1 del 2018.
Quali atti a contenuto tipizzato, infatti, i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri “autorizzati” dal d.l. n. 19 del 2020 si distaccano concettualmente dal modello delle ordinanze contingibili e urgenti, e, pur richiamando nella premessa la dichiarazione dello stato di emergenza, definiscono le proprie disposizioni come «attuative» dello stesso decreto legge n. 19, e non del codice della protezione civile.
L’alternatività dei modelli di regolazione non solleva tuttavia un problema di legittimità costituzionale, in quanto il modello tradizionale di gestione delle emergenze affidato alle ordinanze contingibili e urgenti, culminato nell’emanazione del codice della protezione civile, non costituisce l’unica attuazione possibile del disegno costituzionale, restando nella discrezionalità del legislatore statale – a cui spetta in via esclusiva il contenimento della pandemia, in quanto materia attinente alla «profilassi internazionale» ex art. 117, secondo comma, lettera q), Cost. -, la scelta di introdurre, una volta posto a confronto con un’emergenza sanitaria dai tratti del tutto peculiari, nuove risposte normative e provvedimentali ad hoc, specie nel momento in cui la rapidità e la imprevedibilità con cui il contagio si diffonde implica l’impiego di “strumenti capaci di adattarsi alle pieghe di una situazione di crisi in costante divenire”.
D’altra parte, prosegue la Corte, la legislazione sulle ordinanze contingibili e urgenti e lo stesso codice della protezione civile non assurgono al rango di leggi “rinforzate”, di modo che il legislatore ha potuto coniare in modo lecito un modello alternativo costituito dai decreti legge convertiti dal Parlamento, che hanno rinviato la propria esecuzione ad atti amministrativi tipizzati.
E allora, direte voi, a cosa serve la dichiarazione dello stato di emergenza? Se lo Stato può direttamente disciplinare la risposta agli eventi eccezionali da fronteggiare tramite la strumentazione normativa ordinaria e straordinaria prevista in Costituzione (decreti legge e leggi di conversione), perché usare lo stato di emergenza come una sorta di “attacapanni”?
La risposta potrebbe rinvenirsi nel fatto che la dichiarazione di stato di emergenza fornisce una cornice temporale (12 mesi prorogabili fino a 24), entro la quale soltanto possono conservare efficacia le misure contenitive “straordinarie” previste per fronteggiare la pandemia (obbligo di mascherine al chiuso e distanziamento sociale, ad esempio).
In effetti, l’art. 1 del d.l. n. 19 del 2020 aveva originariamente disposto che le misure eccezionali non potessero essere mantenute oltre il 31 luglio 2020, “termine dello stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020”.
Poi le parole “dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020” sono scomparse e il termine finale di efficacia è stato di volta in volta spostato in avanti, fino al 31 dicembre 2021, ma sempre in quanto connesso con la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza.
D’altra parte, è una cosa del tutto logica stabilire un termine finale allo stato di emergenza: si tratta di uno stato per sua natura determinato da un fatto imprevedibile, che non è più tale, una volta trascorso un intervallo temporale idoneo a consolidare il “fattore sorpresa” in una fattispecie ormai conosciuta, disciplinata e adeguatamente affrontata.
Nel caso della pandemia da virus SARS-Cov-2, si parla, ad esempio, di processo di endemizzazione della pandemia.
Tuttavia, e qui residua il problema giuridico più grave, la dichiarazione dello stato di emergenza, come anticipato, non è disciplinata da una fonte di natura costituzionale bensì dalla legge ordinaria, con la conseguenza che una legge (anch'essa) ordinaria, cronologicamente successiva, potrebbe modificare il termine stesso dello stato di emergenza, con riguardo ad un determinato evento, protraendo tale termine per un arco temporale indefinito, e comunque superiore ai 24 mesi.
Ciò è già accaduto.
Il d.l. 7 ottobre 2020, n. 125, convertito con modificazioni dalla L. 27 novembre 2020, n. 159, ha infatti disposto (con l'art. 1, comma 4-duodevicies) che "In considerazione delle difficoltà gestionali derivanti dall'emergenza epidemiologica da COVID-19, in deroga al limite di cui all'articolo 24, comma 3, del codice della protezione civile, di cui al decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, lo stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri dell'8 novembre 2018, relativo agli eccezionali eventi meteorologici verificatisi a partire dal 2 ottobre 2018, è prorogato di ulteriori dodici mesi (…)”.
Tradotto: c’è un evento, collegato ad eccezionali eventi meteorologici verificatisi nel mese di ottobre del 2018, che ancora oggi, dopo più di 24 mesi, dà vita ad uno specifico stato di emergenza.
Nel nostro caso (stato di emergenza connesso alla pandemia) la dichiarazione dello stato di emergenza è richiamata da una norma primaria ma sembra allo stato soltanto recepire, facendosi condizionare da esse, le deliberazioni in materia del Consiglio dei Ministri.
Ma cosa avverrebbe se fosse direttamente la legge a prorogare oltre i 24 mesi lo stato di emergenza, indipendentemente dalla proroga della delibera prevista dal d.lgs. n. 1 del 2018?
La dichiarazione dello stato di emergenza (e il permanere delle condizioni di esso), in quanto atto amministrativo, dovrebbe essere sempre sindacabile dal giudice di merito, ma la proroga per legge costringerebbe il giudice territoriale ad adire pregiudizialmente la Corte costituzionale, con un meno tempestivo controllo di legalità, in relazione all'incidentalità del sindacato sulle leggi ritenute illegittime.
D’altra parte, continuare ad emanare norme collegate ad uno stato di emergenza protratto oltre i 24 mesi canonici significa connotare di eccezionalità una legislazione che concerne invece fatti ormai conosciuti da tempo in tutte le loro potenzialità e sfumature, anche se non ancora posti sotto controllo.
Si pensi alle norme con cui sono stati affrontati terrorismo e mafia.
Sono fenomeni non più imprevedibili e sconosciuti ma che richiedono una legislazione eccezionale.
Anche il COVID-19 lo è?
Ecco allora che il Governo e il Parlamento devono fare una scelta difficile ma ormai ineludibile.
Prendere atto che lo stato di emergenza è finito e che le future misure da adottare o non possono più coincidere con quelle emergenziali o devono diventare, se assimilabili a queste, strutturate e costituzionalmente compatibili.
Per fare un esempio, pare impensabile continuare ad applicare un meccanismo giuridico in cui coesistono un d.P.C.M. che stabilisce l'obbligo sull'intero territorio nazionale di avere non solo sempre con sé dispositivi di protezione delle vie respiratorie ma anche quello di indossare tali dispositivi negli spazi all'aperto, e un'ordinanza del Ministero della Salute, di volta in volta prorogata, che deroga a tale ultimo obbligo nelle «zone bianche».
Dilemmi simili, d’altra parte, sono drammaticamente alle porte nella lotta contro un’altra catastrofe (stavolta) annunciata, quella ambientale. Secondo qualcuno ci “adatteremo”, se non ci adegueremo per tempo. Ma, nel frattempo, sarà forte la compressione dei diritti di libertà tradizionali rispetto agli obblighi green.
In fondo, la Costituzione repubblicana non poteva prevedere scenari come quelli attuali. E il "modello Inghilterra", dove si accetta il rischio di un maggiore numero di decessi per “influenza” all’anno, pur di non cambiare un consolidato stile di vita, non sembra riscuotere consensi nell’opinione pubblica europea maggioritaria.
Molta acqua è passata sotto i ponti. Il sistema sanitario nazionale è andato in apnea e sono morte centinaia di migliaia di persone a seguito della pandemia. E’ stato nominato il Comitato tecnico scientifico e si sono succeduti due Commissari straordinari per l’emergenza; sono arrivati i vaccini, un nuovo Governo e il Green pass.
L’efficacia protettiva del vaccino, per colpa del “waning” (*), rischia di diventare inversamente proporzionale alla durata (burocratica) del green pass. Bisognerà fare molta attenzione a non trasformare un sacrosanto salvacondotto di libertà (la vaccinazione) nella tessera di affiliazione a un inutile circolo esclusivo.
(1) Corte costituzionale, sentenze n. 37 e n. 198 del 2021.