1. I PRINCIPI COMUNITARI IN GIOCO
La materia ambientale è informata ad una serie di principi comunitari dalla cui concreta declinazione dipende poi anche l’interpretazione e applicazione della normativa interna.
L’art. 191, par. 2, TFUE, prevede che la politica dell'Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell'Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga».
La direttiva 2004/35/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, al considerando 18, prevede che <<secondo il principio «chi inquina paga», l'operatore che provoca un danno ambientale o è all'origine di una minaccia imminente di tale danno dovrebbe di massima sostenere il costo delle necessarie misure di prevenzione o di riparazione. Quando l'autorità competente interviene direttamente o tramite terzi al posto di un operatore, detta autorità dovrebbe far sì che il costo da essa sostenuto sia a carico dell'operatore. È inoltre opportuno che gli operatori sostengano in definitiva il costo della valutazione del danno ambientale ed eventualmente della valutazione della minaccia imminente di tale danno>>.
L’art. 1 della direttiva definisce «operatore»: qualsiasi persona fisica o giuridica, sia essa pubblica o privata, che esercita o controlla un'attività professionale oppure, quando la legislazione nazionale lo prevede, a cui è stato delegato un potere economico decisivo sul funzionamento tecnico di tale attività, compresi il titolare del permesso o dell'autorizzazione a svolgere detta attività o la persona che registra o notifica l'attività medesima.
L’art. 8 stabilisce, da un lato, che l'operatore sostiene i costi delle azioni di prevenzione e di riparazione adottate in conformità della presente direttiva, dall’altro, precisa che non sono a carico dell'operatore i costi delle azioni di prevenzione o di riparazione adottate conformemente alla presente direttiva se egli può provare che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno: a) è stato causato da un terzo, e si è verificato nonostante l'esistenza di opportune misure di sicurezza, o b) è conseguenza dell'osservanza di un ordine o istruzione obbligatori impartiti da una autorità pubblica, diversa da un ordine o istruzione impartiti in seguito a un'emissione o a un incidente causati dalle attività dell'operatore [1].
In tali casi gli Stati membri adottano le misure appropriate per consentire all'operatore di recuperare i costi sostenuti.
Inoltre, gli Stati membri hanno facoltà di consentire che l'operatore non sia tenuto a sostenere i costi delle azioni di riparazione intraprese conformemente alla direttiva qualora dimostri che non gli è attribuibile un comportamento doloso o colposo e che il danno ambientale è stato causato da:
a) un'emissione o un evento espressamente autorizzati da un'autorizzazione conferita o concessa ai sensi delle vigenti disposizioni legislative e regolamentari nazionali recanti attuazione delle misure legislative adottate dalla Comunità di cui all'allegato III, applicabili alla data dell'emissione o dell'evento e in piena conformità delle condizioni ivi previste;
b) un'emissione o un'attività o qualsiasi altro modo di utilizzazione di un prodotto nel corso di un'attività, che l'operatore dimostri non essere state considerate probabile causa di danno ambientale secondo lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento del rilascio dell'emissione o dell'esecuzione dell'attività.
Secondo il tredicesimo considerando della direttiva 2004/35/Ce <<a non tutte le forme di danno ambientale può essere posto rimedio attraverso la responsabilità civile. Affinché quest'ultima sia efficace è necessario che vi siano uno o più inquinatori individuabili, il danno dovrebbe essere concreto e qualificabile e si dovrebbero accertare nessi causali tra il danno e gli inquinatori individuati. La responsabilità civile non è quindi uno strumento adatto per trattare l'inquinamento a carattere diffuso e generale nei casi in cui sia impossibile collegare gli effetti ambientali negativi ad atti o omissioni di taluni soggetti>>.
Tale considerando, evidenziando l'insufficienza in materia ambientale della responsabilità civile (sia pure con riferimento all'inquinamento a carattere diffuso e generale) mostra, comunque, l'esigenza di individuare criteri di imputazione del danno ambientale che prescindano dagli elementi costitutivi dell'illecito civile e, dunque, non solo dall'elemento soggettivo, ma anche dal rapporto di causalità.
Il considerando n. 24 della citata direttiva 2004/35/Ce afferma la necessità di "assicurare la disponibilità di mezzi di applicazione ed esecuzione efficaci, garantendo un'adeguata tutela dei legittimi interessi degli operatori e delle altre parti interessate", conferendo "alle autorità competenti compiti specifici che implicano appropriata discrezionalità amministrativa, ossia il dovere di valutare l'entità del danno e di determinare le misure di riparazione da prendere".
L’art. 3.5. della direttiva 2008/98/CE, poi, definisce «produttore di rifiuti» la persona la cui attività produce rifiuti (produttore iniziale di rifiuti) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti; l’art. 3.6. definisce «detentore di rifiuti» il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che ne è in possesso.
L’art. 14 della direttiva stabilisce che s"econdo il principio «chi inquina paga», i costi della gestione dei rifiuti sono sostenuti dal produttore iniziale o dai detentori del momento o dai detentori precedenti dei rifiuti. (...) Gli Stati membri possono decidere che i costi della gestione dei rifiuti siano sostenuti parzialmente o interamente dal produttore del prodotto causa dei rifiuti e che i distributori di tale prodotto possano contribuire alla copertura di tali costi".
Questa regola costituisce un'applicazione del principio "chi inquina paga" (v. il 'considerando' n. 1 della citata direttiva n. 2008/98/CE [2]), nel cui ambito solo chi non è detentore dei rifiuti, come il proprietario incolpevole del terreno su cui gli stessi siano collocati, può, in definitiva, invocare la cd. 'esimente interna' prevista dall'art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006.
Tale principio costituisce una regola giuridica precettiva, su cui si fonda tutto il sistema di responsabilità ambientale.
Oltre al principio "chi inquina paga", vengono poi in rilievo i principi di precauzione, di prevenzione e di correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, anch'essi esplicitamente richiamati dall'art. 191, paragrafo 2, TFUE, come fondamenti della politica dell'Unione in materia ambientale.
I principi di precauzione e di prevenzione rendono legittimo un approccio "anticipatorio" rispetto ai problemi ambientali, sulla base della considerazione che molti danni causati all'ambiente possono essere di natura irreversibile.
Per prevenire il rischio del verificarsi di tali danni, il principio di precauzione legittima l'adozione di misure di prevenzione, riparazione e contrasto in una fase nella quale il danno non solo non si è ancora verificato, ma non esiste neanche la piena certezza scientifica che si verificherà. In altri termini, la ricerca di livelli di sicurezza sempre più elevati porta ad un consistente arretramento della soglia dell'intervento delle Autorità a difesa della salute dell'uomo e del suo ambiente: la tutela diviene "tutela anticipata" e oggetto dell'attività di prevenzione e di riparazione diventano non soltanto i rischi conosciuti, ma anche quelli di cui semplicemente si sospetta l'esistenza.
Il principio di prevenzione presenta tratti comuni con il principio di precauzione, in quanto entrambi condividono la
natura anticipatoria rispetto al verificarsi di un danno per l'ambiente. Il principio di prevenzione si differenzia da quello di precauzione perché si occupa della prevenzione del danno rispetto a rischi già conosciuti e scientificamente provati relativi a comportamenti o prodotti per i quali esiste la piena certezza circa la loro pericolosità per l'ambiente.
Se la ratio dei principi di precauzione e di prevenzione è quella di legittimare un intervento dell'autorità competente anche in condizioni di incertezza scientifica (sulla stessa esistenza del rischio o delle sue ulteriori conseguenze), sul presupposto che il trascorrere del tempo necessario per acquisire informazioni scientificamente certe o attendibili potrebbe determinare danni irreversibili all'ambiente, allora non appare peregrino sostenere che la medesima ratio consenta l'intervento in via precauzionale o preventiva non solo quando l'incertezza da dipanare riguardi l'evento di danno, ma anche quando concerna il nesso causale e, quindi, l'individuazione del soggetto responsabile di un danno certo.
2. LO STATO DELLA GIURISPRUDENZA PRIMA DI CONS. STATO, A.P. 26 GENNAIO 2021, N. 3.
L’art. 192, d.lgs. n. 152 del 2006 (c.d. TUA), recante “divieto di abbandono”, ai commi 1 e 2, vieta l'abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo, nonché l'immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee.
Il comma 3 della disposizione stabilisce che, fatta salva l'applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti predetti è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate [3].
Quindi, la norma, oltre a imporre la rimozione, l’avvio a recupero o lo smaltimento dei rifiuti e il ripristino dello stato dei luoghi all’autore della violazione – colui, cioè, che ha abbandonato e depositato in modo incontrollato i rifiuti sul suolo e nel suolo, o ha immesso rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee -, ha anche “coinvolto” espressamente il proprietario o il titolare non solo di diritti reali, ma anche “personali di godimento”, sull’”area” – quindi pure il comodatario, o il locatario – purché a questi ultimi la violazione sia “imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati in contraddittorio con i soggetti interessati”.
Evidentemente, quindi, la norma non impone una responsabilità oggettiva al proprietario/possessore/detentore dell’”area” interessata dall’abbandono o dal deposito incontrollato dei rifiuti, ma richiede uno specifico accertamento, peraltro nel rispetto del contraddittorio con l’interessato da parte dell’Amministrazione procedente, in ordine alla sussistenza, quantomeno, di un profilo di “colpa” – da intendersi, evidentemente, come colpa generica, negligenza, imprudenza, imperizia, ovvero violazione di specifiche norme di cautela previste dall’ordinamento.
L’interpretazione e applicazione della norma in esame, con particolare riferimento al proprietario/detentore, pone, quindi, un problema di specifica declinazione del c.d. principio “chi inquina paga”, problema che per vero può dirsi “trasversale” in materia di c.d. responsabilità ambientale.
Infatti, l’Adunanza plenaria, con le sentenze 25 settembre 2013, n. 21 e 13 novembre 2013, n. 25, è intervenuta a dirimere i contrasti in ordine alla latitudine degli obblighi che possono incombere sul proprietario incolpevole del sito inquinato in forza del combinato disposto degli artt. 240, 242, 244 e 245 TUA.
In tali fattispecie, il Consiglio di Stato ha ricordato che:
- l'art. 242 TUA (in tema di "procedure operative ed amministrative") disciplina con un certo livello di dettaglio gli oneri ricadenti sul soggetto responsabile dell'inquinamento al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito [4], ma non individua alcun obbligo in capo al proprietario del sito, la cui posizione, in effetti, non viene mai richiamata nell'ambito della disposizione in esame;
- l'articolo 244 (rubricato "ordinanze") disciplina il caso in cui sia stato accertato che la contaminazione verificatasi nel caso concreto abbia superato i valori di concentrazione della soglia di contaminazione e, in tal caso, la Provincia diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione all'adozione delle misure di cui agli articoli 240 e seguenti;
- i commi 3 e 4 dell’art. 244, prevedono che l'ordinanza di cui sopra è comunque notificata anche al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell'articolo 253 e che, se il responsabile non sia individuabile o non provveda e non provveda il proprietario del sito né altro soggetto interessato, gli interventi che risultassero necessari ai sensi delle disposizioni di cui al presente titolo sono adottati dall'amministrazione competente in conformità a quanto disposto dall'art. 250 TUA;
- l’art. 245 TUA ("Obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione"), se, da un lato, attribuisce agli “interessati non responsabili” la facoltà al proprietario di attivare le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale, dall’altro lato, stabilisce che <<fatti salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui all'articolo 242, il proprietario o il gestore dell'area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all'articolo 242. La provincia, una volta ricevute le comunicazioni di cui sopra, si attiva, sentito il comune, per l'identificazione del soggetto responsabile al fine di dar corso agli interventi di bonifica. È comunque riconosciuta al proprietario o ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica necessari nell'ambito del sito in proprietà o disponibilità>>;
- l’art. 250 TUA (rubricato "bonifica da parte dell'amministrazione") stabilisce che, <<qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi di cui all'articolo 242 sono realizzati d'ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione, secondo l'ordine di priorità fissati dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate, avvalendosi anche di altri soggetti pubblici o privati, individuati ad esito di apposite procedure ad evidenza pubblica. Al fine di anticipare le somme per i predetti interventi le regioni possono istituire appositi fondi nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio>>.
- infine, l'art. 253 TUA (rubricato "Oneri reali e privilegi speciali"), ai primi quattro commi, stabilisce quanto segue: "1.Gli interventi di cui al presente titolo costituiscono onere reale sui siti contaminati qualora effettuati d'ufficio dall'autorità competente ai sensi dell'articolo 250. L'onere reale viene iscritto a seguito della approvazione del progetto di bonifica e deve essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica". "2.Le spese sostenute per gli interventi di cui al comma 1 sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2748, secondo comma, del codice civile. Detto privilegio si può esercitare anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull'immobile". "3.Il privilegio e la ripetizione delle spese possono essere esercitati, nei confronti del proprietario del sito incolpevole dell'inquinamento o del pericolo di inquinamento, solo a seguito di provvedimento motivato dell'autorità competente che giustifichi, tra l'altro, l'impossibilità di accertare l'identità del soggetto responsabile ovvero che giustifichi l'impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità". "4.In ogni caso, il proprietario non responsabile dell'inquinamento può essere tenuto a rimborsare, sulla base di provvedimento motivato e con l'osservanza delle disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, le spese degli interventi adottati dall'autorità competente soltanto nei limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito dell'esecuzione degli interventi medesimi. Nel caso in cui il proprietario non responsabile dell'inquinamento abbia spontaneamente provveduto alla bonifica del sito inquinato, ha diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell'inquinamento per le spese sostenute e per l'eventuale maggior danno subito".
Quindi, in ordine agli obblighi gravanti sul proprietario non responsabile, lAdunanza plenaria ha sottolineato che, in sintesi e per quanto in questa sede di interesse:
- Il proprietario non responsabile è gravato di una specifica obbligazione di facere che riguarda, però, soltanto l'adozione delle misure di prevenzione di cui all'art. 242, (che, all'ultimo periodo del comma 1, ne specifica l'applicabilità anche alle contaminazioni storiche che possono ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione);
- quindi, a carico del proprietario dell'area inquinata, che non sia altresì qualificabile come responsabile dell'inquinamento, non incombe alcun ulteriore obbligo di facere, in particolare non essendo tenuto a porre in essere gli interventi di messa in sicurezza d'emergenza e di bonifica, ma ha solo la facoltà di eseguirli per mantenere l'area libera da pesi (art. 245);
- nell'ipotesi di mancata individuazione del responsabile, o di mancata esecuzione degli interventi in esame da parte dello stesso - e sempreché non provvedano spontaneamente né il proprietario del sito né altri soggetti interessati - le opere di recupero ambientale sono eseguite dall'Amministrazione competente (art. 250), che potrà rivalersi sul proprietario del sito, nei limiti del valore dell'area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi (art. 253);
- quindi, solo dopo che gli interventi siano eseguiti d'ufficio dall'autorità competente, le conseguenze sono poste a carico del proprietario anche incolpevole, posto che vi è la specifica previsione di un onere reale sulle aree che trova giustificazione proprio nel vantaggio economico che il proprietario ricava dalla bonifica dell'area inquinata.
- la scelta del legislatore di evocare la figura obsoleta dell'onere reale può spiegarsi solo ammettendo che il proprietario "incolpevole" non sia tenuto ad una prestazione di facere (di cui è gravato solo il responsabile), ma sia tenuto solo a garantire, nei limiti del valore del fondo, il pagamento delle spese sostenute dall'Amministrazione che abbia eseguito direttamente gli interventi di messa in sicurezza e di bonifica. Conclusione esplicitata dall'art. 253, comma 4, che testualmente prevede che "il proprietario non responsabile dell'inquinamento può essere tenuto a rimborsare, sulla base di provvedimento motivato e con l'osservazione delle disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, le spese degli interventi adottati all'autorità competente soltanto nei limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito dell'esecuzione degli interventi medesimi".
- diversamente, il proprietario sarebbe gravato non semplicemente di una responsabilità oggettiva, ma di una vera e propria "responsabilità di posizione", in quanto sarebbe tenuto ad eseguire le opere di messa in sicurezza e di bonifica a prescindere non solo dall'elemento soggettivo (dolo o colpa) ma anche di quello oggettivo (nesso eziologico). Verrebbe, quindi, chiamato a porre rimedio in forma specifica, attraverso la messa in sicurezza d'emergenza o la bonifica, a situazioni di contaminazione che non gli sono imputabili né oggettivamente, né soggettivamente.
L’Adunanza plenaria, quindi, ha indicato le seguenti regole:
1) il proprietario, ai sensi dell'art. 245, comma 2, è tenuto soltanto ad adottare le misure di prevenzione di cui all'art. 240, comma 1, lett.1), ovvero "le iniziative per contrastare un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia";
2) gli interventi di riparazione, di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino gravano esclusivamente sul responsabile della contaminazione, cioè sul soggetto al quale sia imputabile, almeno sotto il profilo oggettivo, l'inquinamento (art. 244, comma 2);
3) se il responsabile non sia individuabile o non provveda (e non provveda spontaneamente il proprietario del sito o altro soggetto interessato), gli interventi che risultassero necessari sono adottati dall'Amministrazione competente (art. 244, comma 4);
4) le spese sostenute per effettuare tali interventi possono essere recuperate, sulla base di un motivato provvedimento (che giustifichi tra l'altro l'impossibilità di accertare l'identità del soggetto responsabile ovvero che giustifichi l'impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità), agendo in rivalsa verso il proprietario, che risponde nei limiti del valore di mercato del sito a seguito dell'esecuzione degli interventi medesimi (art. 253, comma 4);
5) a garanzia di tale diritto di rivalsa, il sito è gravato di un onere reale e di un privilegio speciale immobiliare (art. 253, comma 2).
La CGUE con la sentenza sez. III, 4 marzo 2015, causa C - 534/13 ha affermato che la direttiva 2004/35 deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale come quella italiana [5], la quale, nell'ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest'ultimo le misure di riparazione, non consente all'autorità competente di imporre l'esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall'autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l'esecuzione di tali interventi.
D’altronde, la giurisprudenza successiva, anche nella materia della bonifica/messa in sicurezza dei siti inquinati - differente da quella disciplinata dall’art. 192 in esame – si è espressa in termini non così restrittivi come indicato dall’Adunanza plenaria nn. 21 e 25 del 2013.
In particolare, con specifico riferimento alla posizione rivestita dal proprietario del sito contaminato, in conformità alla più recente giurisprudenza [6], è stato affermato che:
a) alla stregua del principio "chi inquina paga", che si ricava sia dalla normativa nazionale che eurounitaria, "L'Amministrazione non può imporre al proprietario di un'area inquinata, che non sia anche l'autore dell'inquinamento, l'obbligo di porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza e bonifica, di cui all'art. 240, comma 1, lett. m) e p), D.Lgs. n. 152 del 2006, in quanto gli effetti a carico del proprietario incolpevole restano limitati a quanto espressamente previsto dall'art. 253, stesso D.Lgs. n. 152 del 2006, in tema di oneri reali e privilegio speciale immobiliare. Le disposizioni contenute nel Titolo V della Parte IV, del D.Lgs. n. 152 del 2006 (artt. da 239 a 253) operano, infatti, una chiara e netta distinzione tra la figura del responsabile dell'inquinamento e quella del proprietario del sito, che non abbia causato o concorso a causare la contaminazione" [7];
b) resta fermo che il proprietario del terreno sul quale sono depositate sostanze inquinanti, che non sia responsabile dell'inquinamento (c.d. proprietario incolpevole), è tenuto solo ad adottare le misure di prevenzione, mentre gli interventi di riparazione, messa in sicurezza, bonifica e ripristino gravano sul responsabile della contaminazione, ossia su colui al quale sia imputabile l'inquinamento; la P.A. competente, qualora il responsabile non sia individuabile o non provveda agli adempimenti dovuti, può adottare d'ufficio gli accorgimenti necessari e, se del caso, recuperare le spese sostenute attraverso un'azione di rivalsa verso il proprietario, il quale risponde nei soli limiti del valore di mercato del sito dopo l'esecuzione degli interventi medesimi [8]);
c) tuttavia, si è pure affermato che, ai sensi dell'art. 245, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, la messa in sicurezza di un sito inquinato non ha di per sé natura sanzionatoria, ma costituisce una misura di prevenzione dei danni e rientra, pertanto, nel genus delle precauzioni, in una col principio di precauzione vero e proprio e col principio dell'azione preventiva, che gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all'ambiente, e, non avendo finalità ripristinatoria, non presuppone l'accertamento del dolo o della colpa in capo al proprietario [9].
- il proprietario non responsabile dell'inquinamento è tenuto, ai sensi dell'art. 245, comma 2, ad adottare le misure di prevenzione di cui all'art. 240, comma 1, lett. i) (ovvero "le iniziative per contrastare un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia") e le misure di messa in sicurezza d'emergenza, non anche la messa in sicurezza definitiva, né gli interventi di bonifica e di ripristino ambientale.
Peraltro, è stato anche puntualizzato come non sia configurabile una successione a titolo particolare degli obblighi in capo al responsabile dell’inquinamento, ma solo la successione a titolo universale, allorché si sia verificata l'estinzione soggettiva del cedente (si pensi all'incorporazione): in tali ipotesi, la responsabilità per l'inquinamento e, quindi, il connesso dovere di bonifica passano in capo al successore in universum jus [10].
Con riferimento specifico all’interpretazione e applicazione dell’art. 192, comma 3, TUA in giurisprudenza si è affermato che, ad esempio, l'omessa recinzione del suolo non costituisce ex se un indice di negligenza nella vigilanza sul fondo da parte del proprietario, essendo oltre tutto le recinzioni scarsamente dissuasive in determinati contesti [11].
È stato sottolineato [12] che nel nostro sistema (art. 841 c.c.) la recinzione è una facoltà (ossia un agere licere) del dominus: come tale, la scelta di non fruirne non può tradursi in un fatto colposo (art. 1127, comma primo, c.c.) ovvero in un onere di ordinaria diligenza (art. 1227, comma secondo, c.c.), che circoscrive (recte, elide) il diritto al risarcimento del danno.
A fortiori, la mancata implementazione di un sistema di video-sorveglianza, connotato da alti costi di acquisto e manutenzione, non rientra nell'onere di tutela della res esigibile dal proprietario. Una volta avvenuta l'illecita occupazione, poi, la negligenza del proprietario (impossibilitato dall'ordinamento a rientrare in possesso del bene invito detentore - cfr. articoli 392 e 393 c.p.) non può desumersi dal fatto che lo stesso non abbia proposto azione di spoglio nei confronti degli abusivi, giacché tale azione, tenuto conto della natura di questi ultimi, sarebbe stata con ogni evidenza priva di effetti utili [13].
Per contro, anche la giurisprudenza civile ha sottolineato come, pur corrispondendo al vero che la responsabilità del proprietario che non sia anche l'autore materiale della condotta illecita risponde solo a titolo di colpa, non essendo quella posta a suo carico una responsabilità oggettiva - come confermato dalla pressoché costante giurisprudenza amministrativa [14] e civile [15], il requisito della colpa postulato dal d.lgs. n. 152 del 2006, art. 192, va riferito all'omissione di tutti gli accorgimenti e le cautele che l'ordinaria diligenza suggerisce per realizzare un'efficace custodia e protezione dell'area, così impedendo che possano essere in essa indebitamente depositati rifiuti nocivi [16].
Il Consiglio di Stato, all’inizio dell’anno in corso [17], sottolineava come fosse “indubbio che la responsabilità del proprietario postuli l'accertamento di una sua condotta dolosa o colposa, essendo da escludere un'ipotesi legale di responsabilità oggettiva o di responsabilità per fatto altrui, ma è altrettanto indubbio che la responsabilità dell'inquinamento, per dolo o per colpa, possa sorgere anche a seguito di una condotta omissiva, oltreché di una condotta attiva" [18].
A tal fine, è necessario condurre un rigoroso accertamento per individuare il responsabile dell'inquinamento, che abbia posto in essere una condotta attiva o omissiva, nonché il nesso di causalità che lega il comportamento del responsabile all'effetto consistente nella contaminazione e tale accertamento presuppone un'adeguata istruttoria, non essendo configurabile, come detto, una sorta di responsabilità oggettiva facente capo al proprietario o al possessore dell'immobile in ragion e di tale sua qualità.
La configurabilità della culpa in vigilando, come condotta omissiva colposa del proprietario cui è ascrivibile la responsabilità in solido per lo sversamento di rifiuti in una propria area, quindi, concreta una forma di responsabilità soggettiva (e, in tal senso, diretta) e sussiste laddove la res, come nel caso di specie, sia nel pieno ed esclusivo godimento del proprietario.
La giurisprudenza [19] ha escluso che possa integrare la sussistenza della culpa in vigilando la richiesta di un impegno di entità tale da essere in concreto inesigibile ed implicare una responsabilità oggettiva che esula dal dovere di custodia di cui all'art. 2051 c.c., che consente sempre la prova liberatoria in presenza di caso fortuito, da intendersi in senso ampio, comprensivo anche del fatto del terzo.
3. L'ADUNANZA PLENARIA 26 GENNAIO 2021, N. 3 E I SUCCESSIVI ARRESTI GIURISPRUDENZIALI
Nel contesto sopra esposto, si è d’altronde inserita prepotentemente la decisione dell’Adunanza plenaria 26 gennaio 2021, n. 3 [20], la quale ha, sia pure con un incedere motivazionale non sempre del tutto lineare, ha avuto modo di affermare il principio per cui <<ricade sulla curatela fallimentare l'onere di ripristino e di smaltimento dei rifiuti di cui all'art. 192 d.lgs. n. 152-2006 e i relativi costi gravano sulla massa fallimentare>> e ciò in quanto:
- deve escludersi che il curatore possa qualificarsi come avente causa del fallito nel trattamento di rifiuti, salve le ipotesi in cui la produzione dei rifiuti sia ascrivibile specificamente all'operato del curatore, non dando vita il Fallimento ad alcun fenomeno successorio sul piano giuridico [21];
- la presenza dei rifiuti in un sito industriale e la posizione di detentore degli stessi, acquisita dal curatore dal momento della dichiarazione del fallimento dell'impresa, tramite l'inventario dei beni dell'impresa medesima ex artt. 87 e ss. L.F., comportano la sua legittimazione passiva all'ordine di rimozione;
- la responsabilità alla rimozione è connessa alla qualifica di detentore acquisita dal curatore fallimentare non in riferimento ai rifiuti (che sotto il profilo economico a seconda dei casi talvolta si possono considerare 'beni negativi'), ma in virtù della detenzione del bene immobile inquinato (normalmente un fondo già di proprietà dell'imprenditore) su cui i rifiuti insistono e che, per esigenze di tutela ambientale e di rispetto della normativa nazionale e comunitaria, devono essere smaltiti;
- l'unica lettura del decreto legislativo n. 152 del 2006 compatibile con il diritto europeo, ispirati entrambi ai principi di prevenzione e di responsabilità, è quella che consente all'Amministrazione di disporre misure appropriate nei confronti dei curatori che gestiscono i beni immobili su cui i rifiuti prodotti dall'impresa cessata sono collocati e necessitano di smaltimento;
- nell'ottica del diritto europeo (che non pone alcuna norma esimente per i curatori), i rifiuti devono comunque essere rimossi, pur quando cessa l'attività, o dallo stesso imprenditore che non sia fallito, o in alternativa da chi amministra il patrimonio fallimentare dopo la dichiarazione del fallimento;
- nell'ottica del diritto europeo (che non pone alcuna norma esimente per i curatori), i rifiuti devono comunque essere rimossi, pur quando cessa l'attività, o dallo stesso imprenditore che non sia fallito, o in alternativa da chi amministra il patrimonio fallimentare dopo la dichiarazione del fallimento.
- l'art. 3, par. 1 punto 6, della direttiva n. 2008/98/CE definisce, infatti, il detentore, in contrapposizione al produttore, come la persona fisica o giuridica che è in possesso dei rifiuti (rectius: dei beni immobili sui quali i rifiuti insistono [22]);
- non rilevano le nozioni nazionali sulla distinzione tra il possesso e la detenzione: ciò che conta è la disponibilità materiale dei beni, la titolarità di un titolo giuridico che consenta (o imponga) l'amministrazione di un patrimonio nel quale sono compresi i beni immobili inquinati;
- neppure rileva un approfondimento della nozione della detenzione, perché è sufficiente la sussistenza di un rapporto gestorio, inteso come 'amministrazione del patrimonio altrui', ciò che certamente caratterizza l'attività del curatore fallimentare con riferimento ai beni oggetto della procedura.
- per le finalità perseguite dal diritto comunitario, quindi, è sufficiente distinguere il soggetto che ha prodotto i rifiuti dal soggetto che ne abbia materialmente acquisito la detenzione o la disponibilità giuridica, senza necessità di indagare sulla natura del titolo giuridico sottostante;
- solo chi non è detentore dei rifiuti, come il proprietario incolpevole del terreno su cui gli stessi siano collocati, può, in definitiva, invocare la cd. 'esimente interna' prevista dall'art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006.
- la curatela fallimentare, che ha la custodia dei beni del fallito, tuttavia, anche quando non prosegue l'attività imprenditoriale, non può evidentemente avvantaggiarsi dell'esimente di cui all'art. 192, lasciando abbandonati i rifiuti risultanti dall'attività imprenditoriale dell'impresa cessata.
- ciò in quanto, nella qualità di detentore dei rifiuti, sia secondo il diritto interno, ma anche secondo il diritto comunitario (quale gestore dei beni immobili inquinati), il curatore fallimentare è obbligato a metterli in sicurezza e a rimuoverli, avviandoli allo smaltimento o al recupero;
- la detenzione dei rifiuti risultanti dall'attività produttiva pregressa, a garanzia del principio "chi inquina paga", giustifica la sopportazione del peso economico della messa in sicurezza e dello smaltimento da parte dell'attivo fallimentare dell'impresa che li ha prodotti [23];
- diversamente, i costi della bonifica finirebbero per ricadere sulla collettività incolpevole, in antitesi non solo con il principio comunitario "chi inquina paga", ma anche in contrasto con la realtà economica sottesa alla relazione che intercorre tra il patrimonio dell'imprenditore e la massa fallimentare di cui il curatore ha la responsabilità che, sotto il profilo economico, si pone in continuità con detto patrimonio;
- anche il fatto che il fallimento sia, in tutto o in parte, incapiente rispetto ai costi della bonifica, è un’evenienza di mero fatto irrilevante [24], perché ciò che rileva è l'affermazione dell'imputabilità al fallimento dell'obbligo di porre in essere le attività strumentali alla bonifica. In caso di mancanza di risorse, si attiveranno gli strumenti ordinari azionabili qualora il soggetto obbligato (fallito o meno, imprenditore o meno) non provveda per mancanza di idonee risorse. E il Comune, qualora intervenga direttamente esercitando le funzioni inerenti all'eliminazione del pericolo ambientale, potrà poi insinuare le spese sostenute per gli interventi nel fallimento, spese che godranno del privilegio speciale sull'area bonificata a termini dell'art. 253, comma 2, d.lgs. n. 152-2006;
- nemmeno la previsione dell’art. 42, comma 3, l.f. [25], incide sul rapporto amministrativo e sui principi in materia di bonifica come sopra rappresentati, trattandosi di una mera eventualità di fatto, riguardante la gestione della procedura fallimentare e il ventaglio di scelte accordate dal legislatore al curatore, oltre al fatto che la norma non si applica ai casi in cui il bene, cioè l'immobile inquinato, risulti di proprietà dell'imprenditore al momento della dichiarazione del fallimento;
- come ha chiarito l'Adunanza plenaria, con la sentenza n. 10-2019, in tema di prevenzione il principio "chi inquina paga" non richiede, nella sua accezione comunitaria, anche la prova dell'elemento soggettivo, né l'intervenuta successione.
- al contrario, la direttiva n. 2004/35/CE configura la responsabilità ambientale come responsabilità (non di posizione), ma, comunque, oggettiva; il che rappresenta un criterio interpretativo per tutte le disposizioni legislative nazionali;
- le misure introdotte con il decreto legislativo n. 22-1997 (c.d. "decreto Ronchi"), ed ora disciplinate dagli artt. 239 ss. del codice di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, hanno nel loro complesso una finalità di salvaguardia del bene-ambiente rispetto ad ogni evento di pericolo o danno, ed è assente ogni matrice di sanzione dell'autore;
- nella bonifica emerge la funzione di reintegrazione del bene giuridico leso propria della responsabilità civile, che evoca il rimedio della reintegrazione in forma specifica ex art. 2058 c.c., previsto per il danno all'ambiente dall'art. 18, comma 8, L. n. 349-1986;
- la decisione ha citato Corte di giustizia UE, sez. II, 13 luglio 2017, C-129/16, Ungheria c. Commissione europea, che ha ritenuto compatibile con la direttiva 2004/35, una normativa nazionale che identifica, oltre agli utilizzatori dei fondi su cui è stato generato l'inquinamento illecito, un'altra categoria di persone solidamente responsabili di un tale danno ambientale, ossia i proprietari di detti fondi, senza che occorra accertare l'esistenza di un nesso di causalità tra la condotta dei proprietari e il danno constatato, a condizione che tale normativa sia conforme ai principi generali di diritto dell'Unione, nonché ad ogni disposizione pertinente dei Trattati UE e FUE e degli atti di diritto derivato dell'Unione;
- così, la responsabilità della curatela fallimentare - nell'eseguire la bonifica dei terreni di cui acquisisce la detenzione per effetto dell'inventario fallimentare dei beni (come è già stato messo in luce), ex artt. 87 e ss. L.F. - può analogamente prescindere dall'accertamento dell'esistenza di un nesso di causalità tra la condotta e il danno constatato.
A seguito di questa decisione Il Consiglio di Stato [26] ha avuto modo di affermare che le coordinate esegetiche disegnate dal legislatore europeo e recepite dal legislatore interno si basano su criteri estremamente precisi, chiari e rigorosi nell’attribuzione della responsabilità per danno ambientale, e segnatamente:
- il quadro giuridico europeo risultante dai principi generali del Trattato e dal diritto derivato non esige lo stretto accertamento dell’elemento psicologico e del nesso di causalità fra la condotta di detenzione del rifiuto in ragione della disponibilità dell’area e il rischio ambientale dell’inquinamento;
- la normativa nazionale deve essere interpretata in chiave europea e in maniera compatibile con canoni di assoluto rigore a tutela ambiente. Nella sostanza, la sentenza della Adunanza Plenaria n. 3 del 2021 ha incentrato la tutela dell’ambiente intorno al fondamentale cardine della responsabilità del proprietario in chiave dinamica, ossia nel senso di ritenere responsabile degli oneri di bonifica e di riduzione in pristino anche il soggetto non direttamente responsabile della produzione del rifiuto, il quale sia tuttavia divenuto proprietario e detentore dell’area o del sito in cui è presente, per esservi stato in precedenza depositato, stoccato o anche semplicemente abbandonato, il rifiuto in questione;
- la responsabilità del proprietario del sito, in tal caso, non rinviene necessariamente la propria causa nel cd. fattore della produzione, bensì anche, eventualmente, in quello della detenzione o del possesso (corrispondenti, rispettivamente, al contenuto di un diritto personale o reale di godimento) dell’area sulla quale è oggettivamente presente il rifiuto, dal momento che grava su colui che è in relazione con la cosa l’obbligo di attivarsi per fare in modo che la cosa medesima non rappresenti più un danno o un pericolo di danno (o anche di aggravamento di un danno già prodotto).
- la responsabilità in questione è pur sempre ascrivibile secondo i canoni classici, comuni alle tradizionali costituzionali degli Stati, della responsabilità per il proprio fatto personale colpevole, dal momento che la personalità e la rimproverabilità dell’illecito risiedono nel comportamento del soggetto che volontariamente sceglie di sottrarsi o, il che è lo stesso, di non attivarsi anche per mera negligenza, per ripristinare l’ambiente.
- la responsabilità dell’autore materiale del fatto originario generatore del danno ambientale non costituisce un’esimente, né elide, tanto meno in via successiva, la responsabilità di coloro che divengono proprietari del bene o che vantano diritti o relazioni di fatto col bene medesimo.
- l’ignoranza delle condizioni oggettive di inquinamento in cui versa il bene non esclude la responsabilità di chi ne è successivamente divenuto proprietario;
- nel caso di fallimento, rispetto al curatore fallimentare, rileveranno gli obblighi e le responsabilità di diritto pubblico, con la conseguenza che eventuali atti di dismissione dei beni, anche se legittimamente adottati in base all’art. 104-ter l.f., andranno considerati come atti privatistici, non dismissivi della responsabilità di diritto pubblico;
- da ciò ne deriva che la Curatela non può ritenersi liberata dalle responsabilità connesse alla discarica per il solo fatto di avere rinunciato a liquidarla.
Parimenti, Cons. Stato, 02/09/2021, n. 6203 ha affermato che la giurisprudenza ormai ha chiaramente delineato natura e effetti della responsabilità del proprietario ai sensi dell’art. 192 d.lgs. n. 152/2006 nel senso che “…il proprietario che volontariamente tiene una condotta incompatibile con i doveri di vigilanza, controllo e verifica dello stato in cui versano i propri beni, non può esimersi da responsabilità…(poiché essa è ravvisabile anche)…nell'omissione di quei doverosi controlli che -soli- potrebbero distogliere o impedire terzi soggetti dal compiere le condotte sanzionate dalla norma, tra cui quelle di deposito incontrollato e di abbandono…” [27].
Secondo il Consiglio di Stato, se tale principio vale per il proprietario che ometta la generale vigilanza sul proprio immobile e quindi consenta, attraverso condotta commissiva mediante omissione, l’abbandono incontrollato di rifiuti da parte di terzi, esso non può, a fortiori, non trovare piena applicazione per il proprietario che locando un immobile, e consentendone o comunque accettando e tollerando la sublocazione a terzi, sia pienamente consapevole che esso sarà destinato a ospitare rifiuti, non potendo allegare l’esistenza di autorizzazioni amministrative se e in quanto non si attivi in alcun modo per verificare la conformità dell’attività alle medesime.
Richiamando, poi, le puntualizzazioni dell’Adunanza Plenaria n. 3 del 26 gennaio [28], il Consiglio di Stato ha concluso nel senso che se tali principi fondano persino il riconoscimento della legittimità di ben più penetranti e onerosi obblighi di bonifica del sito in capo al proprietario, a fortiori, implicano l’assoggettabilità del medesimo all’obbligo di rimozione dei rifiuti.
4. Brevi osservazioni.
Se, per un verso, gli arresti giurisprudenziali anteriori alla pronuncia dell’Adunanza plenaria appaiono pienamente conformi sia con la disciplina interna che con la tutela dei principi comunitari in materia ambientali più sopra visti, l’evoluzione giurisprudenziale che si viene affermando a seguito della pronuncia medesima appare forzare il dato normativo interno, sull’assunto che quest’ultimo, diversamente interpretato, finirebbe per non essere conforme ai principi alla disciplina comunitaria.
A quest’ultimo riguardo d’altronde, più di un dubbio è possibile muovere, se solo si considera che la normativa interna ha già ricevuto l’avallo della CGUE nel 2015, e che non irragionevolmente il legislatore nazionale ha voluto esimere dagli obblighi di intervento più gravosi (siano essi la bonifica o le misure di sicurezza definitive, da un lato, la rimozione dei rifiuti, dall’altro lato) il proprietario che non versi in situazione di colpa o dolo, escludendo, in tal senso, una responsabilità oggettiva dello stesso per il solo fatto di essere proprietario o detentore delle aree inquinate o sulle quali sono collocati i rifiuti da smaltire.
In questo senso, la posizione del curatore fallimentare si pone in una situazione del tutto speciale e particolare rispetto al proprietario/detentore “comune”, in quanto esso svolge un’attività finalizzata non al godimento o allo sfruttamento nel proprio interesse delle aree inquinate o oggetto di deposito vietato, ma alla liquidazione del compendio fallimentare nell’interesse dei creditori.
Ciò rende non particolarmente agevole equiparare il curatore fallimentare al “detentore” - “possessore” nel senso inteso dalla disciplina europea, perché si tratta evidentemente di soggetto i cui compiti di custodia e gestione sono strettamente finalizzati alla liquidazione dei beni, tanto che la normativa fallimentare attraverso le disposizioni dell’art. 42, comma 3, e 104-ter, comma 8, stabilisce delle sostanziali deroghe allo spossessamento generale dei beni del fallito.
A tale ultimo riguardo, pare a chi scrive che o si ritiene che la derelictio abbia effetto liberatorio per il curatore, ciò che porta a dubitare comunque della legittimità del provvedimento che pone a carico del fallito (che si trova ad essere ontologicamente e normalmente privo dei mezzi) l’obbligo di porre in essere le attività di ripristino ambientale e di sostenerne le relative spese, trattandosi di provvedimento che viene adottato nella sostanziale certezza dell’impossibilità che il fallito vi provveda, almeno fintanto che lo stesso non ritorna “in bonis”; oppure si nega l’effetto liberatorio della derelictio, il che però, se per un verso deve portare ad escludere la legittimazione “passiva” del fallito in considerazione della permanenza dei poteri di amministrazione e della detenzione in capo al curatore, per altro verso, viene ad imporre al curatore una gestione in perdita ed antieconomica di un bene in relazione al quale potrebbe non avere nemmeno le risorse economiche per poter provvedere alle necessarie spese di ripristino ambientale.
Per quanto concerne, invece, il “comune” proprietario/detentore, tanto l’art. 192, comma 3, quanto il combinato disposto degli artt. 240 e ss. TUA, come interpretati e applicati dalla giurisprudenza antecedente all’Adunanza plenaria, consentono un bilanciamento degli interessi in gioco ragionevole, specie laddove si valorizzi, con particolare riferimento all’art. 192, comma 3, la “colpevolezza” del proprietario/detentore, valorizzando, cioè, i doveri di vigilanza, prevenzione e controllo che lo stesso deve assolvere nell’area in titolarità.
In tal senso, la forzatura “di principio” contenuta nelle affermazioni della giurisprudenza più recente sopra ricordata potrebbe non essere necessaria laddove si valorizzino gli elementi, emergenti caso per caso nelle singole fattispecie di giudizio, di colpevolezza o addirittura malafede del proprietario/detentore, come del resto avvenuto nel caso della recentissima pronuncia del TAR Lombardia, n. 2191 del 2021 (vedi nota sul sito), dove appare più che rilevante l’evidente consapevolezza e accettazione della condizione dei luoghi da parte dell’acquirente il terreno interessato dal deposito dei rifiuti, come dimostrato dal prezzo esiguo corrisposto dallo stesso per l’acquisto del terreno medesimo.
[1] Tale disposizione dà rilievo al rapporto di causalità, ma non in positivo, bensì in negativo, nel senso che la presenza del nesso di causalità (e, dunque, la necessità che esso sia dimostrato dall'autorità competente) non sembra essere condizione necessaria al fine del sorgere della responsabilità; è, al contrario, la prova, fornita dall'operatore, dell'assenza del rapporto di causalità, o meglio la dimostrazione di un nesso eziologico che permetta di ricondurre l'evento lesivo ad un soggetto terzo, che lo esonera dalla responsabilità. Sembrerebbe, quindi, confermata la possibilità di imporre misure di prevenzione e di riparazione anche senza rapporto di causalità, ferma restando la possibilità per l'operatore di recuperare i costi di tali interventi dimostrando che l'evento lesivo è eziologicamente imputabile ad un soggetto terzo.
[2] La direttiva 2006/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, relativa ai rifiuti (4), stabilisce il quadro normativo per il trattamento dei rifiuti nella Comunità. La direttiva definisce alcuni concetti basilari, come le nozioni di rifiuto, recupero e smaltimento, e stabilisce gli obblighi essenziali per la gestione dei rifiuti, in particolare un obbligo di autorizzazione e di registrazione per un ente o un’impresa che effettua le operazioni di gestione dei rifiuti e un obbligo per gli Stati membri di elaborare piani per la gestione dei rifiuti. Stabilisce inoltre principi fondamentali come l’obbligo di trattare i rifiuti in modo da evitare impatti negativi sull’ambiente e sulla salute umana, un incentivo ad applicare la gerarchia dei rifiuti e, secondo il principio «chi inquina paga», il requisito che i costi dello smaltimento dei rifiuti siano sostenuti dal detentore dei rifiuti, dai detentori precedenti o dai produttori del prodotto causa dei rifiuti.
[3] Il comma 4 precisa, poi, che, qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni.
[4] L'articolo 242 disciplina gli obblighi ricadenti sul soggetto responsabile per ciò che riguarda: i) l'adozione delle necessarie misure di prevenzione, di ripristino e di messa in sicurezza d'emergenza; ii) gli obblighi di comunicazione nei confronti dei soggetti pubblici competenti; iii) la predisposizione del piano di caratterizzazione; iv) la gestione della procedura di analisi del rischio specifico; v) l'ottemperanza agli obblighi derivanti dall'approvazione del piano di monitoraggio; vi) la presentazione dei progetti operativi degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente; vii) l'attivazione delle attività di caratterizzazione, di bonifica, di messa in sicurezza e di ripristino ambientale rese necessarie, a seconda dei casi, dalle prescrizioni impartite dai soggetti pubblici competenti.
[5] In relazione agli artt. 240 e ss. TUA.
[6] Si vedano, in particolare, Cons. Stato, Sez. V, 12 marzo 2020, n. 1759 e Consiglio di Stato sez. IV, 15/09/2020, n.5447. La prima delle due pronunce si segnala per essersi pronunciata in ordine agli obblighi e alle responsabilità gravanti sul curatore fallimentare in caso di beni “inquinati” rientranti nella massa fallimentare; la seconda pronuncia, invece, va segnalata in quanto ha trattato la questione del proprietario che, ancorché non responsabile, abbia attivato volontariamente gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale, sottolineando, in particolare, che "l'assunzione volontaria dell'obbligo di bonifica da parte del proprietario interessato non esclude né il potere/dovere dell'Amministrazione di individuare il responsabile dell'inquinamento, né, a fortiori, elide il dovere di quest'ultimo di porre rimedio all'inquinamento stesso (cfr., sul punto, i vigenti articoli 245 e 253 del codice dell'ambiente)". (Cons. Stato, Sez. IV, 1° aprile 2020, n. 2195).
[7] Cons. Stato, Ad. Plen., 13 novembre 2013, n. 25
[8] Cons. Stato, Sez. VI, 25 gennaio 2018, n. 502 e id., Sez. V, 10 ottobre 2018, n. 5604.
[9] Cons. Stato, Sez. V, 14 aprile 2016 n. 1509; id., Sez. VI, 5 ottobre 2016 n. 4119; id., Sez. V, 8 marzo 2017 n. 1089, da ultimo richiamate da Cons. Stato, Sez. VI, 3 gennaio 2019 n. 81.
[10] Cons. Stato, sez. IV, 1 aprile 2020, n. 2195 che richiama Cons. Stato, A.P. n. 10 del 22 ottobre 2019; nonché Cons. Stato, Sez. V, 23 dicembre 2019, n. 8720 e 30 dicembre 2019, n. 8912
[11] Si vedano Cons. Stato, sez. IV, 03/12/2020, n.7657; sez. IV, 15 dicembre 2017, n. 5911; id., 4 maggio 2017, n. 2027; Sez. V, 22 febbraio 2016, n. 705; quanto in sede consultiva, Cons. Stato, sez. I, 15 giugno 2020, n. 1192; id., 27 febbraio 2020, n. 496).
[12] Cons. Stato, sez. IV, 03/12/2020, n.7657, che si è pronunciata nel caso di un terreno occupato da nomadi per anni, con sversamento di rifiuti.
[13] Cons. Stato, sez. IV, 03/12/2020, n.7657.
[14] Cons. Stato 08/07/2019, n. 4781.
[15] Cass., Sez. Un., 25/02/2009, n. 4472.
[16] Cass. civ., sez. III, 09/07/2020, n.14612, la quale ha sottolineato che la responsabilità, di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 192, può essere commissiva, quella a carico dell'autore del fatto inquinamento, e omissiva, quella del proprietario o altro titolare di diritto reale cui è ascrivibile l'omessa diligenza, derivante dal fatto di essersi disinteressato a lungo del bene, permettendo colposamente che esso potesse essere scelto dall'autore materiale come luogo di discarica di rifiuti. La decisione è stata richiamata da Tar Lombardia, sez. III, 11/03/2021, n.635 che in concreto ha ritenuto sussistere in capo al proprietario la colpevolezza per omissione degli accorgimenti e delle cautele che l'ordinaria diligenza suggerisce per realizzare un'efficace custodia e protezione dell'area.
[17] Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 7 gennaio 2021, n. 172
[18] ex multis, Cons. Stato, IV, 7 settembre 2020, n. 5372
[19] cfr. Cons. Stato, V, 28 settembre 2015, n. 4504
[20] Chiamata a pronunciarsi se, a seguito della dichiarazione di fallimento, perdano giuridica rilevanza gli obblighi cui era tenuta la società fallita ai sensi dell'art. 192, d.lgs. n. 152-2006 (con la ricaduta sulla finanza pubblica e con un corrispondente vantaggio patrimoniale dei creditori della società fallita e sostanzialmente di questa), pur se il curatore fallimentare - in un'ottica di continuità - 'gestisce' proprio il patrimonio del bene della società fallita e ne ha la disponibilità materiale.
[21] Pertanto, non rileva nel caso di specie la pronuncia dell’Adunanza plenaria n. 10 del 2019 che ha riguardato la diversa fattispecie, in cui vi era stata la successione di un 'distinto soggetto giuridico' a quello su cui precedentemente gravava l'onere della bonifica, con l'affermazione del principio per cui l'acquirente del bene - anche nel caso di fusione per incorporazione - subentra negli obblighi gravanti sul precedente titolare.
[22] Tale precisazione non è corretta perché la norma comunitaria parla di detenzione dei rifiuti e non del terreno sui quali insistono.
[23] Poiché l'abbandono di rifiuti e, più in generale, l'inquinamento, costituiscono 'diseconomie esterne' generate dall'attività di impresa (cd. "esternalità negative di produzione"), appare giustificato e coerente con tale impostazione ritenere che i costi derivanti da tali esternalità di impresa ricadano sulla massa dei creditori dell'imprenditore stesso che, per contro, beneficiano degli effetti dell'ufficio fallimentare della curatela in termini di ripartizione degli eventuali utili del fallimento.
[24] Perché configurabile anche in ipotesi riferibili a un imprenditore non fallito, o al proprietario del bene o alla stessa amministrazione comunale che, in dissesto o meno, non abbia disponibilità finanziarie adeguate
[25] secondo cui "il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può rinunciare ad acquisire i beni che pervengono al fallito durante la procedura fallimentare qualora i costi da sostenere per il loro acquisto e la loro conservazione risultino superiori al presumibile valore di realizzo dei beni stessi"
[26] Cons. Stato, sez. IV, 06 giugno 2021, n. 4383.
[27] Cons. Stato, sez. IV, 19 marzo 2021, n. 239.
[28] In particolare, il fatto che <<non sono pertanto in materia rilevanti le nozioni nazionali sulla distinzione tra il possesso e la detenzione: ciò che conta è la disponibilità materiale dei beni, la titolarità di un titolo giuridico che consenta (o imponga) l’amministrazione di un patrimonio nel quale sono compresi i beni immobili inquinati”; “…la direttiva n. 2004/35/CE configura la responsabilità ambientale come responsabilità (non di posizione), ma, comunque, oggettiva; il che rappresenta un criterio interpretativo per tutte le disposizioni legislative nazionali”; “…in tema di prevenzione il principio "chi inquina paga" non richiede, nella sua accezione comunitaria, anche la prova dell'elemento soggettivo, né l’intervenuta successione”.