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Accisa sull'energia elettrica e legittimazione passiva a fronte della richiesta di rimborso

Alma Chiettini • 9 settembre 2024

Cass. Civile, Sezione V, 2 agosto 2024, n. 21883


Con l’art. 6 del d.l. n. 511 del 1988 fu istituita, a favore delle esigenze finanziarie delle province, una addizionale all’accisa sull’energia elettrica per tutte le utenze e per l’uso effettuato in locali e luoghi diversi dalle abitazioni. Inoltre, alle province fu anche riconosciuta la facoltà di incrementare, entro dati limiti, la misura dell’addizionale, che era liquidata e riscossa con le stesse modalità dell’accisa sull’energia elettrica a cura dei soggetti che procedevano alla fatturazione dell’energia elettrica ai consumatori finali.

La disposizione normativa prevedeva che le addizionali relative a forniture di energia elettrica con potenza disponibile non superiore a 200 kW fossero versate direttamente alle province nel cui territorio erano ubicate le utenze. Le addizionali relative a forniture di energia elettrica con potenza disponibile superiore a 200 kW erano invece versate direttamente all’Erario il quale ripartiva successivamente l’entrata sulla base di individuati criteri.

L’art. 6 fu abrogato: - con decorrenza 1 gennaio 2012 per le Regioni a statuto ordinario dall’art. 2, comma 6, del d.lgs. n. 23 del 2011; - con decorrenza 1 aprile 2012 per le Regioni a statuto speciale dal comma 10 dell’art. 4 del d.l. n. 16 del 2012.

L’abrogazione fu decisa per evitare la conclusione - verosimilmente sfavorevole - di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea per violazione della direttiva 2008/118/CE (armonizzatrice delle accise sull’energia elettrica), poiché tale addizionale non aveva una “finalità specifica” ma solo quella di implementare le finanze degli Enti locali e ciò, appunto, in contrasto con la previsione di cui all’art. 1, par. 2, della citata direttiva.

La Corte di cassazione ritenne che le addizionali corrisposte prima dell’abrogazione dell’articolo che le aveva istituite erano comunque illegittime perché incompatibili con la direttiva 2008/118/CE. Segnatamente, in base al diritto dell’Unione Europea le imposte addizionali richiedono “la sussistenza di una finalità specifica, intendendosi come tale una finalità che non sia puramente di bilancio. Perché un’imposta possa garantire la finalità specifica invocata occorre che il gettito di tale imposta sia obbligatoriamente utilizzato ‘al fine di ridurre i costi ambientali specificamente connessi al consumo di energia elettrica su cui grava l’imposta in parola nonché di promuovere la coesione territoriale e sociale, di modo che sussista un nesso diretto tra l’uso del gettito derivante dall’imposta e la finalità dell’imposizione in questione’ (Corte di giustizia UE, 25 luglio 2018, causa C-528/16, punto 38 - 39; id., 27 febbraio 2014, Causa C-336/22, punto 30; id., 5 marzo 2015, causa C‑553/13, punto 41). Tra queste finalità specifiche non può rientrare la generica previsione che una parte del gettito di una imposta addizionale si risolva in una contribuzione al bilancio interno di uno Stato, come di un ente locale, poiché ogni Stato membro può decidere di imporre, a prescindere dalla finalità perseguita, l’assegnazione del gettito di un’imposta al finanziamento di determinate spese” (cfr., Cass. civ., sez. V, 4.6.2019, n. 15198 e n. 15199; id., 23.10.2019, n. 27101).

Pertanto, data l’assenza dell’indicazione di uno scopo specifico per l’addizionale provinciale all’accisa sul consumo di energia elettrica, la Corte di cassazione ha riconosciuto il contrasto della norma interna di cui al citato art. 6 con quella unionale, con conseguente disapplicazione della prima.

La Corte precisò anche che un’imposizione indiretta e aggiuntiva sul consumo di energia elettrica, già colpito dalle accise armonizzate, è possibile “ove tale imposizione aggiuntiva sia, da un lato, rispondente a una o più finalità specifiche e dall’altro, rispetti le regole di imposizione dell’unione applicabili ai fini delle accise o dell’IVA per la determinazione della base imponibile, del calcolo, dell’esigibilità e del controllo dell’imposta, ciò in quanto occorre evitare che le imposizioni indirette supplementari ostacolino indebitamente gli scambi”. E ha dichiarato “non applicabile” la disciplina di cui alla direttiva 2003/96/CE (che aveva ristrutturato il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, ed esteso, con l’art. 3, il campo di applicazione della direttiva 92/12/CEE, a “tutti i prodotti energetici e l’elettricità”) relativamente alle annualità successive al 1° gennaio 2004, data di entrata in vigore delle disposizioni contenute nella direttiva 2003/96/CE (Cass. civ., sez. V, 14.4.2022, n. 12142 e n. 12143).

Quanto alla azione di ripetizione dell’indebito, la Corte di legittimità precisò che:

1) obbligato al pagamento delle accise nei confronti dell’Amministrazione doganale è unicamente il fornitore;

2) il fornitore può addebitare integralmente le accise pagate al consumatore finale;

3) i rapporti tra fornitore e Amministrazione doganale e fornitore e consumatore finale sono autonomi e non interferiscono tra loro;

4) in ragione della menzionata autonomia, il consumatore finale, anche in caso di addebito del tributo da parte del fornitore, non ha diritto a chiedere direttamente all’Amministrazione finanziaria il rimborso delle accise indebitamente corrisposte;

5) il diritto al rimborso spetta unicamente al fornitore, che può esercitarlo nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, nel caso in cui non abbia addebitato l’imposta al consumatore finale, entro due anni dalla data del pagamento, mentre nel caso in cui il consumatore finale abbia esercitato vittoriosamente nei suoi confronti azione di ripetizione di indebito, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza;

6) nel caso di addebito delle accise al consumatore finale e delle addizionali, quest’ultimo può esercitare l’azione civilistica di ripetizione di indebito direttamente nei confronti del fornitore, salvo chiedere eccezionalmente il rimborso anche nei confronti dell’Amministrazione finanziaria allorquando alleghi che l’azione esperibile nei confronti del fornitore si riveli oltremodo gravosa (come accade, ad esempio, nell’ipotesi di fallimento del fornitore).

Fu così enunciato il seguente principio di diritto: “le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui al d.l. n. 511 del 1988 sono dovute, al pari delle accise, dal fornitore al momento della fornitura dell’energia elettrica al consumatore finale e, nel caso di pagamento indebito, unico soggetto legittimato a presentare istanza di rimborso all’Amministrazione finanziaria, ai sensi del d.lgs. n. 504 del 1995, art. 14, e della l. n. 428 del 1990, art. 29, comma 2, è il fornitore. Il consumatore finale, a cui sono state addebitate le imposte addizionali da parte del fornitore, può normalmente agire nei confronti di quest’ultimo con l’ordinaria azione di ripetizione di indebito e, solo nel caso in cui alleghi che tale azione si riveli oltremodo gravosa, può direttamente chiedere il rimborso nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, nel rispetto del principio unionale di effettività” (Cass. civ., sez. V, 24.5.2019, n. 14200).

In seguito, ai soggetti fornitori di energia elettrica, che in forza di sentenze passate in giudicato sono stati condannati a titolo di ripetizione di indebito a rimborsare l’accisa ai soggetti cessionari-consumatori finali, si presentò il problema della titolarità passiva dell’obbligazione restitutoria e della relativa legittimazione processuale passiva. In altri termini: il rimborso deve essere chiesto alla provincia competente alla quale fu versata l’addizionale o all’Agenzia delle dogane e dei monopoli?

Quest’ultima questione è stata risolta dalla Corte di legittimità con la sentenza qui segnalata (n. 21883 del 2024): la legittimazione passiva – esclusiva – è dell’Agenzia fiscale. E ciò perché “l’accisa sull’energia elettrica è un tributo statale, del quale l’addizionale de qua non è che una maggiorazione, secondo un modulo usuale per il legislatore fiscale italiano … basti pensare alle comunissime addizionali IRPEF comunali e regionali”; perché tale “supplemento impositivo” non modifica “la natura esclusivamente statale dell’accisa, anche sovradeterminata”; perché l’art. 63, comma 1, del d.lgs. n. 300 del 1999 prevede la competenza dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli “a svolgere i servizi relativi all’amministrazione, alla riscossione e al contenzioso ... delle accise sulla produzione e sui consumi”; perché l’unica competenza delle province era limitata “a ricevere il pagamento per le forniture (non abitative) di energia elettrica per potenze inferiori ai 200 Kw … è evidente che si trattava di una mera funzione di tesoreria nell’ambito di detto trasferimento di risorse”.

Giova anche segnalare che la pronuncia in esame è stata emessa in sede di esame di un rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis c.p.c., disposto da una Corte di giustizia tributaria di primo grado. Con tale novella disposizione processuale, introdotta con l’art. 3, comma 27, lett. c), del d.lgs. n. 149 del 2022, il giudice del merito può disporre con ordinanza, sentite le parti costituite, il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di cassazione per la risoluzione di una questione esclusivamente di diritto quando concorrono date condizioni, fra cui, come nel presente caso, “la serialità del contenzioso sulla questione devoluta”. La Prima Presidente della Corte ha ritenuto ammissibile il rinvio pregiudiziale e ha assegnato la questione alla Sezione tributaria per l’enunciazione del principio di diritto che, ex art. 363 bis, è vincolante nel procedimento nell’ambito del quale è stata rimessa la questione. 

E giova anche ricordare che la possibilità per le Corti di giustizia tributaria di utilizzare il nuovo strumento del rinvio pregiudiziale non è stata chiarita dal legislatore ma dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, secondo cui “la funzione nomofilattico-deflattiva assegnata al rinvio pregiudiziale ne avvalora la riferibilità anche al giudizio tributario di merito, non potendosi disconoscere l’utilità di tale strumento proprio in una materia come quella tributaria, nell’ambito della quale si rivela particolarmente pressante l’esigenza di assicurare l’uniforme interpretazione del diritto, anche al fine di contenere la proliferazione di un contenzioso notoriamente assai consistente sotto il profilo quantitativo e spesso connotato da caratteri di serialità, nonché di consentire una più rapida definizione delle controversie pendenti”.

Tale premessa ha condotto la Corte ad affermare che anche il giudice tributario di merito può disporre il rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis c.p.c. visti:

-“il generale rinvio alle norme del c.p.c. contenuto nel d.lgs. n. 546 del 1992, n. 546, art. 1, comma 2, che ne consente l’applicazione anche al processo tributario, per quanto non disposto dalle relative disposizioni e nei limiti della compatibilità con le stesse”;

- “l’unicità della disciplina del giudizio di cassazione, applicabile anche al processo tributario, in virtù del rinvio contenuto nell’art. 62, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992”;

- “la collocazione topografica dell’art. 363 bis c.p.c., inserito proprio tra le disposizioni che disciplinano il giudizio di cassazione, nonchè del tenore letterale della norma in esame, che nell’individuare l’organo legittimato a sollevare la questione pregiudiziale d’interpretazione fa riferimento al ‘giudice di merito’ senza ulteriori specificazioni”;

- “la comune individuazione, quale organo di vertice dell’ordinamento processuale, della Corte di cassazione, cui è attribuita la funzione di giudice di legittimità, con il compito di assicurare l’esatta osservanza, l’uniforme interpretazione della legge e l’unità del diritto oggettivo: finalità, queste, alla cui realizzazione contribuisce indubbiamente anche l’istituto del rinvio pregiudiziale, in quanto volto a sollecitare un responso anticipato della Corte in ordine ad una questione di diritto, sostanziale o processuale, non ancora risolta dalla giurisprudenza di legittimità ed avente carattere seriale, che presenti gravi difficoltà interpretative ed appaia rilevante ai fini della decisione della controversia sottoposta all’esame del giudice remittente” (Cass. civ., Sez. Unite, 13.12.2023, n. 34851).





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