Una recente decisione del Tribunale di Treviso, in data 9 gennaio 2022, si è inserita in un filone giurisprudenziale che, in materia, ha visto pronunciarsi in vario modo sia giudici ordinari che giudici tributari, e, soprattutto, la Corte di Cassazione.
Si tratta della problematica connessa alla c.d. “addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica”, così come disciplinata dall'art. 6 d.l. 28 novembre 1988, n. 511, sostituito, a decorrere dal 10 giugno 2007, dall'art. 5 d.lgs. 2 febbraio 2007, n. 26, nonché dagli artt. 52,53,53-bis e 54, d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 [1].
Tale disciplina è stata abrogata dal d.l. n. 16 del 2012, ed è stata specificamente interessata da alcune decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea [2].
Come emerge dalla giurisprudenza che si è andata stratificando in materia, al “consumatore” finale è data la possibilità di esperire la propria azione nei confronti del proprio fornitore di energia, ovvero, a determinate condizioni, direttamente dell’Amministrazione finanziaria, con due azioni giuridicamente distinte in relazione alle quali viene a configurarsi la giurisdizione di Autorità Giurisdizionali differenti.
La fattispecie in esame, infatti, vede coinvolti più soggetti, ovverosia il soggetto erogatore dell'energia elettrica che riscuote l'accisa, il consumatore finale che rimane inciso dal tributo e l'erario quale destinatario finale del tributo stesso.
Si tratta di due distinti rapporti: il primo di tipo privatistico, riferito alla fornitura dell'energia da parte del soggetto erogatore e al pagamento, da parte dell'utilizzatore, del prezzo corrispettivo del servizio ricevuto comprensivo dell'accisa; il secondo rapporto, di tipo tributario, prevede l'esercizio del potere impositivo dell'erario nei confronti del soggetto erogatore [3].
In caso di lite tra i soggetti del rapporto privatistico, quindi, le controversie relative al legittimo e corretto esercizio del diritto di rivalsa dei tributi inclusi nel prezzo di cessione, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario perché non riconducibili né allo schema tipico di un rapporto tributario [4], né al catalogo degli atti impugnabili previsto dall'art. 19, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 [5]. Il consumatore finale, in tal caso, non esercita un'azione tributaria di rimborso, ma chiede all'altro contraente la restituzione della parte del prezzo non dovuta.
La richiesta di rimborso di un tributo derivante dall'esercizio del potere impositivo da parte dell'erario rientra, invece, nello schema della potestà-soggezione tipico del rapporto tributario [6], con conseguente giurisdizione del giudice tributario [7].
La legittimazione del consumatore finale ad avanzare la richiesta di rimborso delle accise versate direttamente all'erario, e, quindi, ad agire in giudizio, anche nei confronti della P.A. e avanti al giudice tributario, è stata riconosciuta non solo dalla giurisprudenza tributaria [8], ma anche dalla Suprema Corte, ancorché, in via eccezionale, a determinate condizioni.
Gli obbligati al pagamento dell'accisa sull'energia elettrica sono, tra gli altri, "i soggetti che procedono alla fatturazione dell'energia elettrica ai consumatori finali, di seguito indicati come venditori" (art. 53, comma 1, lett. a), mentre "i crediti vantati dai soggetti passivi dell'accisa verso i cessionari dei prodotti per i quali i soggetti stessi hanno assolto tale tributo possono essere addebitati a titolo di rivalsa" (art. 16, comma 3); all'art. 56 si precisa, altresì, che le società fornitrici "hanno diritto di rivalsa sui consumatori finali" (art. 56).
Ai sensi dell'art. 14, "l'accisa è rimborsata quando risulta indebitamente pagata", ma il rimborso [9] deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento, e, qualora al termine di un procedimento giurisdizionale il soggetto obbligato al pagamento dell'accisa sia condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell'accisa, il rimborso è richiesto dal predetto soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme.
Il diritto al rimborso è, dunque, regolato, in via generale, dall'art. 14 TUA, mentre il D.L. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, comma 1, conv. con modif. in L. 27 novembre 1982, n. 873 [10], è applicabile unicamente "quando i tributi riscossi non rilevano per l'ordinamento comunitario" [11].
Per il rimborso dei tributi rilevanti per l'ordinamento comunitario l’art. 29, comma 2, l. n. 428 del 1990, stabilisce che: "i diritti doganali all'importazione, le imposte di fabbricazione, le imposte di consumo, il sovrapprezzo dello zucchero e i diritti erariali riscossi in applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie sono rimborsati a meno che il relativo onere non sia stato trasferito su altri soggetti, circostanza che non può essere assunta dagli uffici tributari a mezzo di presunzioni".
Pertanto, il primo soggetto passivo del rapporto tributario è il fornitore di energia, tenuto verso il fisco per il pagamento dell'accisa ovvero della relativa addizionale.
La Corte di Cassazione, con riferimento al gas metano, ha affermato che "il rapporto tributario inerente al pagamento dell'imposta si svolge solo tra la Amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente il gas metano ai consumatori e ad esso è del tutto estraneo l'utente consumatore" [12], sicché "il solo soggetto obbligato verso l'amministrazione finanziaria è l'ente comunale che immette in consumo il gas e riscuote l'accisa inglobata nel prezzo (è una peculiarità che non incide sulla natura del tributo che resta distinto dal prezzo del gas) (...)" [13].
Uno schema del tutto analogo è seguito per il versamento delle imposte addizionali di cui al D.L. n. 511 del 1988, art. 6, comma 3, secondo cui dette imposte sono dovute, dai soggetti obbligati di cui all'art. 53 TUA (società fornitrici), al momento della fornitura dell'energia elettrica ai consumatori finali e che "le addizionali sono liquidate e riscosse con le stesse modalità dell'accisa sull'energia elettrica".
L'imposta è dovuta dai soggetti che forniscono direttamente il prodotto ai consumatori, sicché soggetto passivo dell'imposta è il fornitore del prodotto; quanto all’utilizzatore finale, l'onere corrispondente all'imposta è su di lui traslato in virtù e nell'ambito di un fenomeno meramente economico.
Ne deriva che il rapporto tributario inerente al pagamento dell'imposta si svolge soltanto tra l'Amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente i prodotti, essendo ad esso estraneo l'utente consumatore.
Come sopra detto, "i due rapporti, quello fra fornitore ed amministrazione finanziaria e quello fra fornitore e consumatore, si pongono quindi su due piani diversi: il primo ha rilievo tributario, il secondo civilistico" [14].
Vi è quindi una separazione tra il rapporto di imposta (corrente tra erario e fornitore) e il rapporto di rivalsa (corrente tra fornitore e consumatore), e l'art. 14 TUA prevede implicitamente la possibilità per il consumatore di far valere l'illegittima traslazione del tributo nei confronti del fornitore.
Infatti, una volta esercitata vittoriosamente da parte del consumatore finale l'azione di rimborso nei confronti del fornitore, è quest'ultimo che ha novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza per far valere il diritto al rimborso nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, attribuendosi, quindi, espressamente l'azione di rimborso al fornitore che abbia traslato l'imposta sul consumatore all'esito dell'azione da questi vittoriosamente esercitata nei suoi confronti.
Come sottolineato dalla Corte di Cassazione [15], pertanto:
1) obbligato al pagamento delle accise nei confronti dell'Amministrazione doganale è unicamente il fornitore;
2) il fornitore può addebitare integralmente le accise pagate al consumatore finale;
3) i rapporti tra fornitore e Amministrazione doganale e fornitore e consumatore finale sono autonomi e non interferiscono tra loro;
4) in ragione della menzionata autonomia, il consumatore finale, anche in caso di addebito del tributo da parte del fornitore, non ha diritto a chiedere direttamente all'Amministrazione finanziaria il rimborso delle accise indebitamente corrisposte;
5) il diritto al rimborso spetta unicamente al fornitore, che può esercitarlo nei confronti dell'Amministrazione finanziaria: a) nel caso in cui non abbia addebitato l'imposta al consumatore finale, entro due anni dalla data del pagamento; b) nel caso in cui il consumatore finale abbia esercitato vittoriosamente nei suoi confronti azione di ripetizione di indebito, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza;
6) nel caso di addebito delle accise al consumatore finale e delle addizionali, quest'ultimo può esercitare l'azione civilistica di ripetizione di indebito direttamente nei confronti del fornitore, salvo chiedere eccezionalmente il rimborso anche nei confronti dell'Amministrazione finanziaria allorquando alleghi che l'azione esperibile nei confronti del fornitore si riveli oltremodo gravosa (come accade, ad esempio, nell'ipotesi di fallimento del fornitore).
La Suprema Corte, quindi, ha avuto modo di precisare che <<le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui al D.L. n. 511 del 1988, art. 6, comma 3 (nel testo applicabile ratione temporis) sono dovute, al pari delle accise, dal fornitore al momento della fornitura dell'energia elettrica al consumatore finale e, nel caso di pagamento indebito, unico soggetto legittimato a presentare istanza di rimborso all'Amministrazione finanziaria ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 14 e della L. n. 428 del 1990, art. 29, comma 2 è il fornitore>>; <<il consumatore finale dell'energia elettrica, a cui sono state addebitate le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui al D.L. n. 511 del 1988, art. 6, comma 3 (nel testo applicabile ratione temporis) da parte del fornitore, può agire nei confronti di quest'ultimo con l'ordinaria azione di ripetizione di indebito e, solo nel caso in cui tale azione si riveli impossibile o eccessivamente difficile con riferimento alla situazione in cui si trova il fornitore, può eccezionalmente chiedere il rimborso nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, nel rispetto del principio unionale di effettività e previa allegazione e dimostrazione delle circostanze di fatto che giustificano tale legittimazione straordinaria>>[16].
La ripetibilità delle somme pagate a titolo di addizionale sull’accisa, priva di una finalità specifica, è stata affermata dalla Suprema Corte con una serie di decisioni [17] che, sulla scorta delle citate sentenze della CGUE, ha affermato che "l'addizionale provinciale alle accise sull'energia elettrica di cui al D.L. n. 511 del 1988, art. 6, nella sua versione, applicabile ratione temporis, ...... va disapplicata per contrasto con l'art. 1, par. 2, della direttiva 2008/118/CE, per come interpretato dalla Corte di Giustizia U.E. con le sentenze 5 marzo 2015, in causa C-553/13, e 25 luglio 2018, in causa C-103/17" [18].
Perché le addizionali provinciali siano legittime ai sensi della direttiva 2008/118/CE occorre il cumulativo riscontro di due requisiti, cioè: 1) il rispetto delle regole di imposizione dell'Unione applicabili ai fini delle accise o dell'IVA per la determinazione della base imponibile, il calcolo, l'esigibilità e il controllo dell'imposta; 2) la sussistenza di una finalità specifica.
Sotto il primo profilo, il D.L. n. 511 del 1988, art. 6, comma 3, ultimo periodo, chiarisce che "Le addizionali sono liquidate e riscosse con le stesse modalità dell'accisa sull'energia elettrica", sicché è rispettata la prima condizione.
Con riguardo al secondo profilo, per il diritto eurounitario, una imposizione indiretta, aggiuntiva sul consumo di energia elettrica, consumo già colpito dalle accise armonizzate, è possibile, a termini dei paragrafi 1 e 2 della Direttiva 2008/118/CE, ove tale imposizione aggiuntiva sia, da un lato, rispondente a una o più finalità specifiche e, dall'altro, rispetti le regole di imposizione dell'unione applicabili ai fini delle accise o dell'IVA per la determinazione della base imponibile, del calcolo, dell'esigibilità e del controllo dell'imposta, ciò in quanto occorre evitare che le imposizioni indirette supplementari ostacolino indebitamente gli scambi [19].
Occorre una finalità specifica, intendendosi come tale una finalità che non sia puramente di bilancio [20].
Perché un'imposta possa garantire la finalità specifica invocata, occorre che il gettito di tale imposta sia obbligatoriamente utilizzato "al fine di ridurre i costi ambientali specificamente connessi al consumo di energia elettrica su cui grava l'imposta in parola nonché di promuovere la coesione territoriale e sociale, di modo che sussista un nesso diretto tra l'uso del gettito derivante dall'imposta e la finalità dell'imposizione in questione" [21].
Tra queste finalità specifiche non può rientrare la generica previsione che una parte del gettito di una imposta addizionale si risolva in una contribuzione al bilancio interno di uno Stato, come di un Ente Locale, "poiché ogni Stato membro può decidere di imporre, a prescindere dalla finalità perseguita, l'assegnazione del gettito di un'imposta al finanziamento di determinate spese" [22].
Come sottolineato dalla Corte di Cassazione, le addizionali alle accise sull'energia elettrica, già disciplinate dal D.L. 28 novembre 2011, n. 511, art. 6, conv. con l. 27 gennaio 1989, n. 20, dal D.Lgs. n. 504 del 1995, artt. 52, 56 e 60 come modificati dal D.Lgs. 2 febbraio 2007, n. 26, art. 1, non hanno finalità specifiche a termini dell'art. 1, par. 2, Dir. 2008/118/CE, avendo come finalità una mera esigenza di bilancio degli Enti locali [23].
Ne consegue che il D.L. n. 511 del 1988, art. 6, comma 2, va disapplicato in ossequio al principio per cui l'interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte di Giustizia della UE è immediatamente applicabile nell'ordinamento interno ed impone al giudice nazionale di disapplicare le disposizioni di tale ordinamento che, sia pure all'esito di una corretta interpretazione, risultino in contrasto o incompatibili con essa [24].
Né la disposizione di cui all'art. 6, né il decreto 11 giugno 2007 del capo del Dipartimento per le politiche fiscali del Ministero dell'Economia e delle Finanze, previsto dal comma 2 del medesimo articolo, chiariscono in alcun modo le specifiche finalità che le addizionali dovrebbero soddisfare.
In particolare, tenuto conto delle sentenze della Corte di Giustizia in materia, non può essere ritenuta finalità specifica la destinazione (evincibile dalla premessa del D.L. n. 511 del 1988) delle imposte addizionali ad "assicurare le necessarie risorse agli enti della finanza regionale e locale, al fine di garantire l'assolvimento dei compiti istituzionali", non essendo tale finalità realmente distinta dalla generica finalità di bilancio. Altrettanto deve dirsi per quanto riguarda i riferimenti alla L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 54, al D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 149 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, T U.E.L.) ovvero all'art. 19 T U.E.L.: le indicazioni che si traggono da tali norme sono infatti del tutto generiche e non in grado di distinguere la finalità specifica cui l'addizionale provinciale intende soddisfare. Ancora, la circostanza che in tema di bilancio degli enti locali non sia possibile destinare o vincolare a spese analiticamente individuate i proventi dell'addizionale, da un lato, non giustifica la violazione del diritto unionale e, dall'altro, non impedisce al legislatore di individuare una finalità specifica che i proventi dell'addizionale debbano soddisfare, indipendentemente dalla diretta correlazione tra entrata e spesa in sede di bilancio.
Il D.L. n. 511 del 1988, art. 6, comma 2, indipendentemente da qualsiasi questione sul carattere self-executing della direttiva 2008/112/CE, peraltro integralmente recepita dalla normativa interna, va disapplicato in ossequio al principio per cui l'interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte di Giustizia U.E. è immediatamente applicabile nell'ordinamento interno e impone al giudice nazionale di disapplicare le disposizioni di tale ordinamento che, sia pure all'esito di una corretta interpretazione, risultino in contrasto o incompatibili con essa [25].
La Corte di Giustizia UE, con le sentenze 5 marzo 2015, in causa C-553/13, e 25 luglio 2018, in causa C-103/17, ha affermato che le norme interne che istituiscono, come ha fatto l'art. 6, comma 2, DL 511/88, un'imposta addizionale priva di finalità specifica, si pongono in contrasto con il diritto unionale e, in particolare, con la Direttiva 2008/118/CE, in tal modo sancendo l'illegittimità dell'addizionale provinciale all'accisa.
Il principio di diritto sancito dalla Corte di Giustizia UE è di per sé idoneo e sufficiente ad imporre al giudice nazionale di disapplicare, anche nell'ambito di controversie che coinvolgono soltanto soggetti privati, l'art. 6, comma 2, DL 551/88, in quanto norma interna che si pone, in base ai principi enunciati dalla Corte, in contrasto con il diritto dell'Unione.
Tuttavia, se il rimborso da parte del soggetto passivo risultasse impossibile o eccessivamente difficile, segnatamente in caso d'insolvenza di quest'ultimo, il principio di effettività impone che l'acquirente debba essere in grado di agire per il rimborso direttamente nei confronti delle autorità tributarie e che, a tal fine, lo Stato membro preveda gli strumenti e le modalità procedurali necessari." (CGUE sentenza del 20.10.2011, nella causa C-94/10, punti 28 e 29; evidenza della scrivente).
Il versamento del corrispettivo della prestazione, comprensivo dell'addizionale, non configura una condotta che può essere interpretata come rinuncia a far valere il diritto alla restituzione di quanto indebitamente corrisposto, in applicazione della disciplina in materia di indebito oggettivo, mentre il nostro ordinamento giuridico prevede che un diritto si possa estinguere, per effetto del suo mancato esercizio, soltanto nelle specifiche ed espresse ipotesi in cui la legge sanziona l'omesso esercizio con la prescrizione o la decadenza.
Dalla necessaria disapplicazione dell'art. 6, comma 2, del d.l. 511/1988, su cui si fonda l'addebito a titolo di addizionale provinciale all'accisa, consegue il diritto dell’utente finale a vedersi restituite le somme pagate a tale titolo.
[1] Sulla natura del tributo e sulle problematiche costituzionali relative, si veda Fedele, Progressività del tributo, progressività del sistema tributario e principi costituzionali, in Giur. Cost., fasc.2, 2019, 1182, in commento a, Cass. Civ., sez. trib., 12 febbraio 2019, n. 4037.
[2] In particolare, 5 marzo 2015, causa C-555/13 e 25 luglio 2018, causa C-103/17.
[3] Mauro Tortorelli, Soggetti legittimati alla richiesta del rimborso delle accise non dovute e giudizio di equità, in Iltributario.it, fasc., 26 LUGLIO 2016.
[4] Cass. civ., ss.uu., 8 aprile 2010, n. 8312; Cass. civ., ss.uu., 26 giugno 2009, n. 15032; Cass. civ., ss.uu., 28 gennaio 2011, n. 2064
[5] Cass. civ., ss.uu., 19 dicembre 2009, n. 26820.
[6] Cass. civ., ss.uu., 16 gennaio 2015, n. 640, v. art. 2, D.Lgs. n. 546/1992, c.d. “limite esterno” alla giurisdizione; Il rigetto espresso della richiesta di rimborso è inserito nel catalogo degli atti impugnabili innanzi al giudice tributario (v. art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, c.d. “limite interno” alla giurisdizione).
[7] Cass. civ., ss.uu., 1 febbraio 2016, n. 1837, Cass. civ., 6 agosto 2014, n. 17627, Cass. civ., ss.uu., 25 maggio 2009, n. 11987, Cass. civ., 23 febbraio 2006, n. 3994.
[8] Tra le altre, Comm. trib. reg. Basilicata, sez. III, 24/03/2016, n.119, secondo la quale, ai sensi dell'art. 14 del D.Lgs. n. 504/1995, il diritto al rimborso dell'accisa erroneamente versata non compete al solo produttore di energia, ma deve intendersi esteso al soggetto che in concreto, quale consumatore finale, abbia assolto all'obbligo fiscale. Da parte dell'ente impositore, la contestazione della pretesa di rimborso limitata al solo difetto di prova del “quantum”, comporta che deve ritenersi non controverso lo stato di creditore del contribuente. Il giudice è legittimato alla quantificazione del credito in via equitativa in forza delle prove acquisite al processo. Contra, Comm. Trib. Venezia, sez. VI, 13 aprile 2018, n.444.
[9] Previsto in via generale dall'art. 9, par. 2, della direttiva n. 2008/118/CE, che fa riferimento alle modalità stabilite dai singoli Stati membri.
[10] Secondo cui "chi ha indebitamente corrisposto diritti doganali all'importazione, imposte di fabbricazione, imposte di consumo o diritti erariali (...) ha diritto al rimborso delle somme pagate quando prova documentalmente che l'onere non è stato in qualsiasi modo trasferito su altri soggetti, salvo il caso di errore materiale".
[11] L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 29, comma 3.
[12] Cass. S.U. 25 maggio 2009, n. 11987.
[13] Cass. S.U. 19 marzo 2009, n. 6589.
[14] Cass. n. 9567 del 2013, cit..
[15] Cass. Civ. sez. trib., 23 ottobre 2019, n. 27099.
[16] Cass. Civ. sez. trib., 23 ottobre 2019, n. 27099; Cass. Civ., sez. trib., 19 novembre 2019, n.29980.
[17] In particolare, Cass. civ., sez. trib., 04 giugno 2019, n.15198, in Giust. civ. mass., 2019 e n. 27101/2019
[18] Si vedano, Cass. 22343/2020; Cass. 16142/2020; Cass. 10691/2020; Cass. 27101/2019; Cass. 15198/2019. L'art. 3, par. 2, della direttiva 92/12/CEE afferma che "I prodotti di cui al paragrafo 1", tra i quali rientra anche l'energia elettrica in ragione dell'estensione di cui all'art. 3 della direttiva 2003/96/CE del 27 ottobre 2003, "possono formare oggetto di altre imposizioni indirette aventi finalità specifiche, nella misura in cui esse rispettino le regole di imposizione applicabili ai fini delle accise o dell'IVA per la determinazione delle base imponibile, il calcolo, l'esigibilità e il controllo dell'imposta". Tale disposizione è pressoché sovrapponibile alla formulazione dell'art. 1, par. 2, della direttiva 2008/118/CE, nella specie applicabile ratione temporis, per la quale "Gli Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette aventi finalità specifiche, purché tali imposte siano conformi alle norme fiscali comunitarie applicabili per le accise o per l'imposta sul valore aggiunto in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell'imposta; sono escluse da tali norme le disposizioni relative alle esenzioni". Perché gli Stati membri possano prevedere sul consumo di energia elettrica altre imposte indirette oltre alle accise devono, pertanto, essere rispettate due condizioni, applicabili cumulativamente [....] 1) le imposte addizionali devono rispettare le regole di imposizione dell'Unione applicabili ai fini delle accise o dell'IVA per la determinazione della base imponibile, il calcolo, l'esigibilità e il controllo dell'imposta; 2) le imposte addizionali devono avere una finalità specifica, intendendosi come tale una finalità che non sia puramente di bilancio (C.G.U.E., 24 febbraio 2000, in causa C¬434/97, Commissione/Francia, punto 19; C.G.U.E., 9 marzo 2000, in causa C437/97, EKW e Wein & Co., punto 31; C.G.U.E., 27 febbraio 2014, in causa C-82/12, Transportes Jordi Besora, punto 23). La già citata sentenza della Corte di Giustizia del 25 luglio 2018, punti 38 e 39, chiarisce poi che affinché un'imposta possa garantire la finalità specifica invocata, occorre che il gettito di tale imposta sia obbligatoriamente utilizzato "al fine di ridurre i costi ambientali specificamente connessi al consumo di energia elettrica su cui grava l'imposta in parola nonché di promuovere la coesione territoriale e sociale, di modo che sussiste un nesso diretto tra l'uso del gettito derivante dall'imposta e la finalità dell'imposizione in questione" [...]. Peraltro, "un'assegnazione predeterminata del gettito di una tassa rientrante in una semplice modalità di organizzazione interna del bilancio di uno Stato membro, non può, in quanto tale, costituire una condizione sufficiente a siffatto riguardo, poiché ogni Stato membro può decidere di imporre, a prescindere dalla finalità perseguita, l'assegnazione del gettito di un'imposta al finanziamento di determinate spese" [...]. La direttiva 2003/96/CE, che ha sottoposto anche l'energia elettrica ad accisa armonizzata secondo le previsioni della direttiva 92/12/CEE, è stata recepita in Italia dal D.Lgs. 2 febbraio 2007, n. 26, il cui art. 5 ha sostituito il D.L. n. 511 del 1988, art. 6, istituendo in favore dello Stato e delle province imposte addizionali alle accise, stabilendo che le stesse "sono liquidate e riscosse con le stesse modalità dell'accisa sull'energia elettrica" (comma 3). La direttiva 2008/118/CE è stata invece recepita dallo Stato italiano con D.Lgs. 29 marzo 2010, n. 48 [...]. Successivamente, con decorrenza 1 gennaio 2012, il D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 2, comma 6, ha abrogato l'addizionale provinciale per le regioni a statuto ordinario e, a far data dal 1 aprile 2012, il D.L. n. 511 del 1988, art. 6 è stato abrogato dal D.L. 2 marzo 2012, n. 16, conv. con modif nella L. 26 aprile 2012, n. 44. [...]
[19] Corte di Giustizia UE, 5 marzo 2015, C-553/13, Statoil Fuel & Retail, punti 35 - 36; analogamente Corte di Giustizia UE, 25 luglio 2018, C-103/17, La Messer France SAS, punti 35 ss.; Corte di Giustizia UE, 27 febbraio 2014, C82/12, Transportes Jordi Besora, punto 22.
[20] Corte di Giustizia UE, 24 febbraio 2000, C-434/97, Commissione/Francia, punto 19; Corte di Giustizia UE, 9 marzo 2000, C-437/97, EKW e Wein & Co., punto 31; Corte di Giustizia UE, 27 febbraio 2014, C-82/12, Transportes Jordi Besora, cit., punto 23.
[21] Corte di Giustizia UE, 25 luglio 2018, cit., punto 38 - 39; Corte di Giustizia UE, 27 febbraio 2014, cit., punto 30; Corte di Giustizia UE, 5 marzo 2015, cit., punto 41
[22] Corte di Giustizia UE, 27 febbraio 2014, cit., punto 29.
[23] Cass 15198 del 2019 cit.
[24] ex multis, Cass., Sez. V, 31 ottobre 2018, n. 27822; Cass., Sez. V, 10 agosto 2016, n. 16923.
[25] Corte Cost., 8 giugno 1984, n. 170 e successive; C.G.U.E., 22 giugno 1989, in causa C103/88, Fratelli Costanzo, punti 30 e 31; in materia tributaria, Sez. U, 12 aprile 1996, n. 3458.