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Il diritto a ripetere l’addizionale provinciale alle accise sull’energia

Paolo Nasini • 16 marzo 2022

Tribunale di Treviso, SEZ. I, 9 gennaio 2022, n. 18, Estensore CIVIERO


IL CASO

Con ricorso ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., la società “VIA” s.p.a. [1] ha agito in giudizio, avanti il Tribunale di Treviso richiedendo, ai sensi dell’art. 2033 cod. civ., la condanna di AS s.p.a. – quale soggetto destinatario finale delle somme corrisposte dalla ricorrente – ovvero, in subordine, di IFI s.p.a – quale soggetto percettore dei pagamenti – alla restituzione delle somme dalla prima indebitamente pagate a titolo di addizionali provinciali alle accise sull’energia elettrica per il biennio 2010-2011.

A fondamento del ricorso la società ricorrente ha dedotto:

- di essersi rivolta, per l’approvvigionamento energetico necessario ai fabbisogni del proprio impianto produttivo, ad A.S. S.p.A. (già SUM s.p.a.), concludendo con la stessa un contratto di fornitura di energia elettrica;

- che, in forza di tale contratto, per la fornitura di energia elettrica eseguita nel biennio 2010-2011, Via aveva pagato il complessivo importo di € 1.202.241,90, di cui € 54.537,60 a titolo di addizionali provinciali;

- di aver versato la suddetta somma a IFI s.p.a., nella sua qualità di cessionaria dei relativi crediti.

- che, a distanza di qualche anno dai predetti pagamenti, a seguito di alcune pronunce della Corte di Cassazione in materia, era stata affermata, in giurisprudenza, la non debenza delle somme corrisposte a titolo di addizionali provinciali alle accise sull’energia elettrica nel biennio 2010-2011.

- di aver, quindi, richiesto sia a AS s.p.a. che, successivamente, a IFI s.p.a., la restituzione di quanto corrisposto a tale titolo nel predetto biennio;

- che la richiesta era stata rifiutata sia da AS che da IFI.

Tali due società, costituendosi in giudizio, hanno eccepito, in via preliminare, il proprio difetto di legittimazione passiva; nel merito, l’infondatezza delle argomentazioni difensive di parte ricorrente in ordine alla richiesta disapplicazione della norma che prevedeva, ante 2012, l’applicazione delle addizionali sull’energia elettrica per contrasto con la normativa comunitaria; inoltre, hanno eccepito la prescrizione delle pretese restitutorie di parte ricorrente.

A tal riguardo, Via ha ridotto il quantum delle proprie domande restitutorie limitandole alle somme in relazione alle quali, pacificamente, non era maturata alcuna prescrizione.

Il Tribunale di Treviso, ritenuto pacifico, in quanto non contestato, l’avvenuto pagamento da parte di VIA, in relazione alle forniture di energia elettrica eseguite in suo favore negli anni 2010-2011, della somma di € 2.272,40, oltre i.v.a., a titolo di addizionali provinciali alle accise sull’energia elettrica, ha:

- dichiarato il difetto di titolarità passiva del rapporto giuridico controverso in capo a IFI;

- condannato AS. a restituire Via la somma di € 38.630,80 oltre i.v.a. e interessi al tasso legale di cui all’art. 1284 cod. civ. - come novellato nel 2014 - a decorrere dalla data di ricezione della messa in mora al saldo effettivo.


LA SOLUZIONE DEL GIUDICE DI PRIMO GRADO

Il Tribunale ha, preliminarmente, ricostruito la cornice normativa nell’ambito della quale deve essere sussunta la controversia in esame, rammentando che:

- le addizionali provinciali alle accise sull’energia elettrica sono state istituite con l’art. 6, D.L. 511/1988, convertito in L. 20/1989;

- successivamente, la materia è stata regolata, a livello europeo, dalla Direttiva n. 2008/118/CE la quale, all’art. 1, prevede che “gli Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette aventi finalità specifiche, purché tali imposte siano conformi alle norme fiscali comunitarie applicabili per le accise o per l’imposta sul valore aggiunto in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell’imposta”;

- l’art. 48 di tale Direttiva, inoltre, ha individuato il 1.1.2010 quale termine ultimo entro cui ciascuno Stato membro avrebbe dovuto adottare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformare il proprio diritto interno alle previsioni ivi contenute;

- in Italia, tale Direttiva è stata recepita nel 2011, con due anni di ritardo, con l’emanazione del D.Lgs. n. 23/2011, il cui art. 2, comma sesto, dispone che “a decorrere dall’anno 2012 l’addizionale all’accisa sull’energia elettrica di cui all’articolo 6, comma 1, lettere a) e b), del decreto legge 28 novembre 1988, n. 511, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 gennaio 1989, n. 20, cessa di essere applicata nelle regioni a statuto ordinario”.

Il Tribunale, quindi, ha sottolineato come gli Stati membri, se intendono gravare il consumo di energia elettrica di imposte indirette ulteriori oltre alle accise, devono soddisfare due condizioni, che devono sussistere cumulativamente: 1) le imposte addizionali devono rispettare le regole di imposizione dell’Unione applicabili ai fini delle accise o dell’IVA per la determinazione della base imponibile, il calcolo, l’esigibilità e il controllo dell’imposta; 2) le imposte addizionali devono avere una finalità specifica, intendendosi come tale una finalità che non sia puramente di bilancio.

La Corte di Giustizia, con la sentenza del 25 luglio 2018, punti 38 e 39, inoltre, ha chiarito che, affinché un’imposta possa garantire la finalità specifica invocata, il gettito di tale imposta deve essere obbligatoriamente destinato a ridurre i costi ambientali specificamente connessi al consumo di energia elettrica su cui grava l’imposta in parola nonché a promuovere la coesione territoriale e sociale, con conseguente nesso diretto tra l’uso del gettito derivante dall’imposta e la finalità dell’imposizione in questione.

Nel caso delle addizionali regionali in esame, tali requisiti non ricorrevano, essendo esse unicamente finalizzate ad assicurare una ulteriore fonte di finanziamento per soddisfare le esigenze di bilancio degli enti locali beneficiari: pertanto, il legislatore italiano le ha sostanzialmente abrogate a far data dal 1.1.2012.

Prima di tale intervento, d’altronde, in particolare con riferimento al biennio 2010-2011, gli utilizzatori finali di energia elettrica, come Via, hanno corrisposto somme a titolo di addizionali, la cui normativa di riferimento risultava illegittima per contrasto con il diritto comunitario.

Di qui l’affermazione, nella giurisprudenza più recente, che la normativa recante la disciplina e l’imposizione dell’addizionale provinciale sulle accise per l’energia elettrica di cui al D.L. n. 511 del 1988, art. 6 deve essere disapplicata per contrasto con l’art. 1, dir. 2008/118/CE, per come interpretato dalla C.G.U.E. con le sentenze 5 marzo 2015, in causa C-553/13, e 25 luglio 2018, in causa C-103/17.

Al riguardo, il giudice trevigiano ha precisato che:

- l’omesso avvio, da parte degli Organi eurounitari di un procedimento di infrazione a carico dello Stato italiano, non condiziona il potere del giudice dello Stato membro di disapplicare una normativa interna contrastante con il diritto comunitario;

- ogni indagine sul carattere self-executing della Direttiva 2008/118/CE (peraltro ormai interamente recepita nel nostro ordinamento), è irrilevante nel caso di specie, dal momento che la disapplicazione dell’art. 6, D.Lgs. n. 511/1988, discende non già dall’applicazione immediata di tale Direttiva ai rapporti tra privati, ma dall’applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza della C.G.U.E.;

- l’interpretazione del diritto comunitario fornita dalla C.G.U.E., infatti, è immediatamente applicabile nell’ordinamento interno e impone al giudice nazionale di disapplicare le disposizioni di tale ordinamento che, sia pure all’esito di una corretta interpretazione, risultino in contrasto o incompatibili con essa [2].

- la distinzione tra gli effetti della disapplicazione di una norma e quelli della sua modifica o abrogazione è del tutto irrilevante, dal momento che la disapplicazione della norma interna è conclusione obbligata ed ineludibile a fronte del contrasto tra questa e le fonti del diritto unionale;

- l’intervenuta abrogazione della norma interna contrastante con il diritto comunitario è parimenti irrilevante, poiché la domanda restitutoria ha ad oggetto le somme pagate a titolo di addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica per i soli anni 2010-2011, prima della modifica operata dal legislatore: l’esistenza del contrasto tra norma interna e diritto comunitario doveva dunque essere verificata in relazione al quadro normativo vigente nel biennio indicato.

Il Tribunale, quindi, ha affermato la non debenza delle addizionali provinciali alle accise sull’energia elettrica nel biennio 2010-2011, sicché, a fronte dei pagamenti effettuati da parte ricorrente, quest’ultima risulta creditrice a titolo di indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2033 c.c..

A tal riguardo, il Tribunale ha sottolineato come il meccanismo di rimborso previsto dall’art. 14, d.lgs. n. 504/1995 (Testo Unico sulle Accise), preveda che solo il fornitore di energia fosse legittimato a chiedere il rimborso diretto all’Amministrazione delle somme indebitamente pagate, mentre l’utente finale – legato al primo da un rapporto di natura privatistica – dovrà proporre l’ordinaria azione di indebito oggettivo ex art. 2033 cod. civ. nei confronti del proprio fornitore di energia, il quale poi – una volta passata in giudicato la pronuncia di sua condanna alla restituzione dell’indebito – potrà a sua volta formulare istanza di rimborso all’Amministrazione [3].

In tal senso, il Ministero dell’economia e delle Finanze nella risposta all’interrogazione parlamentare del 10.6.2020 ha dato conto del fatto che <<il consumatore finale dell’energia elettrica potrebbe avanzare un’istanza di rimborso unicamente nei confronti del suo fornitore di elettricità. Per il meccanismo di funzionamento dell’imposta sopra delineato risulta, infatti, la sussistenza di due diversi rapporti giuridici: quello intercorrente fra fornitore e Amministrazione Finanziaria (rapporto tributario vero e proprio ai sensi dell’articolo 26, comma 4 del decreto legislativo n. 504 del 1995 – TUA, le cui controversie sono devolute alla giurisdizione tributaria) e quello intercorrente fra il fornitore ed il consumatore finale (rapporto di natura civilistica). Il fornitore di energia elettrica che avesse rimborsato il consumatore finale a fronte della sopravvenienza di una sentenza del giudice ordinario civile, potrebbe, a sua volta, avanzare istanza di rimborso all’Amministrazione Finanziaria, come previsto dal citato articolo 26, comma 4 del predetto TUA. Anche la stessa Corte di cassazione ha confermato, nelle sentenze summenzionate, che il consumatore finale, fatti salvi rari e particolari casi, non è legittimato ad attivarsi direttamente nei confronti dello Stato, della Provincia o del Comune beneficiari, a seconda dei casi, del tributo in parola, ma deve, mediante l’esperimento del giudizio succitato, richiedere la restituzione delle somme in questione al suo fornitore. L’utente consumatore può pertanto esclusivamente esercitare nei confronti del fornitore l’azione di ripetizione della parte di prezzo corrispondente al tributo indebitamente corrisposta, laddove non avrebbe potuto essere compresa nel prezzo medesimo. L’accertamento in giudizio del caso concreto pare peraltro ineludibile nel momento in cui deve essere verificato se il rimborso vantato dal consumatore finale sia effettivamente dovuto, verificando l’effettivo pagamento delle bollette e della corretta esposizione in esse del tributo in questione>>.

In ordine al soggetto passivo della pretesa restitutoria, il Tribunale ha accertato che il rapporto negoziale intercorso tra AS e IFI, in forza del quale Via ha eseguito i pagamenti in favore di quest’ultima, non possa qualificarsi come una mera cessione di credito, bensì come un vero e proprio contratto di factoring, in base al quale IFI ha agito quale mandataria per l’incasso e non quale effettiva nuova titolare del credito ceduto.

In tal senso, la stessa AS s.p.a. ha espressamente riconosciuto che le somme relative alle addizionali per cui è causa le sono state effettivamente riconsegnate da IFI s.p.a. al fine di provvedere al versamento nelle casse dell’Amministrazione: pertanto, IFI è qualificabile quale mera mandataria all’incasso dei crediti, di cui AS s.p.a. risulta il soggetto percettore effettivo e finale, come tale tenuto alla restituzione di quanto indebitamente percepito ai sensi dell’art. 2033 cod. civ.

Infine, il Tribunale ha esaminato la questione della ripetibilità della somma versata da Via a titolo di i.v.a..

A tal riguardo, il Giudice di prime cure ha rilevato che, se ad un’operazione commerciale è stata applicata l’i.v.a. e se detta operazione viene poi annullata per qualsivoglia motivo, con l’effetto che l’i.v.a. applicata diventa in realtà non dovuta ab origine, occorre parimenti annullare tutte le detrazioni e compensazioni proprie della partita di giro che connota tale imposta.

L’Amministrazione finanziaria deve annullare la detrazione compiuta, in forza di altre operazioni contestuali, sulla dichiarazione i.v.a. del soggetto che ha pagato in rivalsa, e per l’effetto quest’ultimo ha diritto di chiedere al soggetto passivo dell’imposta il quantum versato a titolo di i.v.a. Sarà infatti detto soggetto passivo (ossia AS) a dover recuperare dall’Amministrazione finanziaria il rimborso dell’i.v.a. restituita alla controparte [4].

Pertanto, secondo il Tribunale, le somme ripetibili dall’odierna attrice dovranno essere maggiorate di i.v.a. e degli interessi legali maturati e maturandi dalla data di ricezione della messa in mora al saldo.


BREVI NOTAZIONI

La decisione in commento si inserisce in un filone giurisprudenziale che, in materia, ha visto pronunciarsi in vario modo sia giudici ordinari che giudici tributari, e, soprattutto, la Corte di Cassazione. 

Viene in esame la problematica connessa alla c.d. “addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica”, così come disciplinata dall'art. 6 d.l. 28 novembre 1988, n. 511, sostituito, a decorrere dal 10 giugno 2007, dall'art. 5 d.lgs. 2 febbraio 2007, n. 26, nonché dagli artt. 52,53,53-bis e 54, d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504. 

Tale disciplina è stata abrogata dal d.l. n. 16 del 2012, ed è stata specificamente interessata da alcune decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. 

Come emerge dalla giurisprudenza che si è andata stratificando in materia, al “consumatore” finale è data la possibilità di esperire la propria azione nei confronti del proprio fornitore di energia, ovvero, a determinate condizioni, direttamente dell’Amministrazione finanziaria, con due azioni giuridicamente distinte in relazione alle quali viene a configurarsi la giurisdizione di Autorità Giurisdizionali differenti.

La fattispecie in esame, infatti, vede coinvolti più soggetti, ovverosia il soggetto erogatore dell'energia elettrica che riscuote l'accisa, il consumatore finale che rimane inciso dal tributo e l'erario quale destinatario finale del tributo stesso. 

Si tratta di due distinti rapporti: il primo di tipo privatistico, riferito alla fornitura dell'energia da parte del soggetto erogatore e al pagamento, da parte dell'utilizzatore, del prezzo corrispettivo del servizio ricevuto comprensivo dell'accisa; il secondo rapporto, di tipo tributario, prevede l'esercizio del potere impositivo dell'erario nei confronti del soggetto erogatore.

In caso di lite tra i soggetti del rapporto privatistico, quindi, le controversie relative al legittimo e corretto esercizio del diritto di rivalsa dei tributi inclusi nel prezzo di cessione, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario perché non riconducibili né allo schema tipico di un rapporto tributario, né al catalogo degli atti impugnabili previsto dall'art. 19, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 . Il consumatore finale, in tal caso, non esercita un'azione tributaria di rimborso, ma chiede all'altro contraente la restituzione della parte del prezzo non dovuta. 

La richiesta di rimborso di un tributo derivante dall'esercizio del potere impositivo da parte dell'erario rientra, invece, nello schema della potestà-soggezione tipico del rapporto tributario, con conseguente giurisdizione del giudice tributario.

La legittimazione del consumatore finale ad avanzare la richiesta di rimborso delle accise versate direttamente all'erario, e, quindi, ad agire in giudizio, anche nei confronti della P.A. e avanti al giudice tributario, è stata riconosciuta non solo dalla giurisprudenza tributaria, ma anche dalla Suprema Corte, ancorché, in via eccezionale, a determinate condizioni.

Gli obbligati al pagamento dell'accisa sull'energia elettrica sono, tra gli altri, "i soggetti che procedono alla fatturazione dell'energia elettrica ai consumatori finali, di seguito indicati come venditori" (art. 53, comma 1, lett. a), mentre "i crediti vantati dai soggetti passivi dell'accisa verso i cessionari dei prodotti per i quali i soggetti stessi hanno assolto tale tributo possono essere addebitati a titolo di rivalsa" (art. 16, comma 3); all'art. 56 si precisa, altresì, che le società fornitrici "hanno diritto di rivalsa sui consumatori finali" (art. 56).

Ai sensi dell'art. 14, "l'accisa è rimborsata quando risulta indebitamente pagata", ma il rimborso deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento, e qualora al termine di un procedimento giurisdizionale il soggetto obbligato al pagamento dell'accisa sia condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell'accisa, il rimborso è richiesto dal predetto soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme.

Il diritto al rimborso è, dunque, regolato, in via generale, dall'art. 14 TUA, mentre il D.L. 30 settembre 1982, n. 688, art. 19, comma 1, conv. con modif. in L. 27 novembre 1982, n. 873, è applicabile unicamente "quando i tributi riscossi non rilevano per l'ordinamento comunitario".

Per il rimborso dei tributi rilevanti per l'ordinamento comunitario l’art. 29, comma 2, l. n. 428 del 1990, stabilisce che: "i diritti doganali all'importazione, le imposte di fabbricazione, le imposte di consumo, il sovrapprezzo dello zucchero e i diritti erariali riscossi in applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie sono rimborsati a meno che il relativo onere non sia stato trasferito su altri soggetti, circostanza che non può essere assunta dagli uffici tributari a mezzo di presunzioni".

Pertanto, il primo soggetto passivo del rapporto tributario è il fornitore di energia, tenuto verso il fisco per il pagamento dell'accisa ovvero della relativa addizionale. 

La Corte di Cassazione, con riferimento al gas metano, ha affermato che "il rapporto tributario inerente al pagamento dell'imposta si svolge solo tra la Amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente il gas metano ai consumatori e ad esso è del tutto estraneo l'utente consumatore", sicché "il solo soggetto obbligato verso l'amministrazione finanziaria è l'ente comunale che immette in consumo il gas e riscuote l'accisa inglobata nel prezzo (è una peculiarità che non incide sulla natura del tributo che resta distinto dal prezzo del gas) (...)".

Uno schema del tutto analogo è seguito per il versamento delle imposte addizionali di cui al D.L. n. 511 del 1988, art. 6, comma 3, secondo cui dette imposte sono dovute, dai soggetti obbligati di cui all'art. 53 TUA (società fornitrici), al momento della fornitura dell'energia elettrica ai consumatori finali e che "le addizionali sono liquidate e riscosse con le stesse modalità dell'accisa sull'energia elettrica".

L'imposta è dovuta dai soggetti che forniscono direttamente il prodotto ai consumatori, sicché soggetto passivo dell'imposta è il fornitore del prodotto; quanto all’utilizzatore finale, l'onere corrispondente all'imposta è su di lui traslato in virtù e nell'ambito di un fenomeno meramente economico. 

Ne deriva che il rapporto tributario inerente al pagamento dell'imposta si svolge soltanto tra l'Amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente i prodotti, essendo ad esso estraneo l'utente consumatore.

Come sopra detto, "i due rapporti, quello fra fornitore ed amministrazione finanziaria e quello fra fornitore e consumatore, si pongono quindi su due piani diversi: il primo ha rilievo tributario, il secondo civilistico" . 

Vi è quindi una separazione tra il rapporto di imposta (corrente tra erario e fornitore) e il rapporto di rivalsa (corrente tra fornitore e consumatore), e l'art. 14 TUA prevede implicitamente la possibilità per il consumatore di far valere l'illegittima traslazione del tributo nei confronti del fornitore.

Infatti, una volta esercitata vittoriosamente da parte del consumatore finale l'azione di rimborso nei confronti del fornitore, è quest'ultimo che ha novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza per far valere il diritto al rimborso nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, attribuendosi, quindi, espressamente l'azione di rimborso al fornitore che abbia traslato l'imposta sul consumatore all'esito dell'azione da questi vittoriosamente esercitata nei suoi confronti.

Come sottolineato dalla Corte di Cassazione , pertanto:

1) obbligato al pagamento delle accise nei confronti dell'Amministrazione doganale è unicamente il fornitore;

2) il fornitore può addebitare integralmente le accise pagate al consumatore finale;

3) i rapporti tra fornitore e Amministrazione doganale e fornitore e consumatore finale sono autonomi e non interferiscono tra loro;

4) in ragione della menzionata autonomia, il consumatore finale, anche in caso di addebito del tributo da parte del fornitore, non ha diritto a chiedere direttamente all'Amministrazione finanziaria il rimborso delle accise indebitamente corrisposte;

5) il diritto al rimborso spetta unicamente al fornitore, che può esercitarlo nei confronti dell'Amministrazione finanziaria: a) nel caso in cui non abbia addebitato l'imposta al consumatore finale, entro due anni dalla data del pagamento; b) nel caso in cui il consumatore finale abbia esercitato vittoriosamente nei suoi confronti azione di ripetizione di indebito, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza;

6) nel caso di addebito delle accise al consumatore finale e delle addizionali, quest'ultimo può esercitare l'azione civilistica di ripetizione di indebito direttamente nei confronti del fornitore, salvo chiedere eccezionalmente il rimborso anche nei confronti dell'Amministrazione finanziaria allorquando alleghi che l'azione esperibile nei confronti del fornitore si riveli oltremodo gravosa (come accade, ad esempio, nell'ipotesi di fallimento del fornitore).

La Suprema Corte, quindi, ha avuto modo di precisare che <<le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui al D.L. n. 511 del 1988, art. 6, comma 3 (nel testo applicabile ratione temporis) sono dovute, al pari delle accise, dal fornitore al momento della fornitura dell'energia elettrica al consumatore finale e, nel caso di pagamento indebito, unico soggetto legittimato a presentare istanza di rimborso all'Amministrazione finanziaria ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 14 e della L. n. 428 del 1990, art. 29, comma 2 è il fornitore>>; <<il consumatore finale dell'energia elettrica, a cui sono state addebitate le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui al D.L. n. 511 del 1988, art. 6, comma 3 (nel testo applicabile ratione temporis) da parte del fornitore, può agire nei confronti di quest'ultimo con l'ordinaria azione di ripetizione di indebito e, solo nel caso in cui tale azione si riveli impossibile o eccessivamente difficile con riferimento alla situazione in cui si trova il fornitore, può eccezionalmente chiedere il rimborso nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, nel rispetto del principio unionale di effettività e previa allegazione e dimostrazione delle circostanze di fatto che giustificano tale legittimazione straordinaria>> . 

La ripetibilità delle somme pagate a titolo di addizionale sull’accisa, priva di una finalità specifica, è stata affermata dalla Suprema Corte con una serie di decisioni che, sulla scorta delle citate sentenze della CGUE, ha affermato che "l'addizionale provinciale alle accise sull'energia elettrica di cui al D.L. n. 511 del 1988, art. 6, nella sua versione, applicabile ratione temporis, ...... va disapplicata per contrasto con l'art. 1, par. 2, della direttiva 2008/118/CE, per come interpretato dalla Corte di Giustizia U.E. con le sentenze 5 marzo 2015, in causa C-553/13, e 25 luglio 2018, in causa C-103/17". 

Perché le addizionali provinciali siano legittime ai sensi della direttiva 2008/118/CE occorre il cumulativo riscontro di due requisiti, cioè: 1) il rispetto delle regole di imposizione dell'Unione applicabili ai fini delle accise o dell'IVA per la determinazione della base imponibile, il calcolo, l'esigibilità e il controllo dell'imposta; 2) la sussistenza di una finalità specifica.

Sotto il primo profilo, il D.L. n. 511 del 1988, art. 6, comma 3, ultimo periodo, chiarisce che "Le addizionali sono liquidate e riscosse con le stesse modalità dell'accisa sull'energia elettrica", sicché è rispettata la prima condizione. 

Con riguardo al secondo profilo, per il diritto eurounitario, una imposizione indiretta, aggiuntiva sul consumo di energia elettrica, consumo già colpito dalle accise armonizzate, è possibile, a termini dei paragrafi 1 e 2 della Direttiva 2008/118/CE, ove tale imposizione aggiuntiva sia, da un lato, rispondente a una o più finalità specifiche e, dall'altro, rispetti le regole di imposizione dell'unione applicabili ai fini delle accise o dell'IVA per la determinazione della base imponibile, del calcolo, dell'esigibilità e del controllo dell'imposta, ciò in quanto occorre evitare che le imposizioni indirette supplementari ostacolino indebitamente gli scambi.

Occorre una finalità specifica, intendendosi come tale una finalità che non sia puramente di bilancio.

Perché un'imposta possa garantire la finalità specifica invocata, occorre che il gettito di tale imposta sia obbligatoriamente utilizzato "al fine di ridurre i costi ambientali specificamente connessi al consumo di energia elettrica su cui grava l'imposta in parola nonché di promuovere la coesione territoriale e sociale, di modo che sussista un nesso diretto tra l'uso del gettito derivante dall'imposta e la finalità dell'imposizione in questione". 

Tra queste finalità specifiche non può rientrare la generica previsione che una parte del gettito di una imposta addizionale si risolva in una contribuzione al bilancio interno di uno Stato, come di un Ente Locale, "poiché ogni Stato membro può decidere di imporre, a prescindere dalla finalità perseguita, l'assegnazione del gettito di un'imposta al finanziamento di determinate spese".

Come sottolineato dalla Corte di Cassazione, le addizionali alle accise sull'energia elettrica, già disciplinate dal D.L. 28 novembre 2011, n. 511, art. 6, conv. con l. 27 gennaio 1989, n. 20, dal D.Lgs. n. 504 del 1995, artt. 52, 56 e 60 come modificati dal D.Lgs. 2 febbraio 2007, n. 26, art. 1, non hanno finalità specifiche a termini dell'art. 1, par. 2, Dir. 2008/118/CE, avendo come finalità una mera esigenza di bilancio degli Enti locali.

Ne consegue che il D.L. n. 511 del 1988, art. 6, comma 2, va disapplicato in ossequio al principio per cui l'interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte di Giustizia della UE è immediatamente applicabile nell'ordinamento interno ed impone al giudice nazionale di disapplicare le disposizioni di tale ordinamento che, sia pure all'esito di una corretta interpretazione, risultino in contrasto o incompatibili con essa. 

Né la disposizione di cui all'art. 6, né il decreto 11 giugno 2007 del capo del Dipartimento per le politiche fiscali del Ministero dell'Economia e delle Finanze, previsto dal comma 2 del medesimo articolo, chiariscono in alcun modo le specifiche finalità che le addizionali dovrebbero soddisfare.

In particolare, tenuto conto delle sentenze della Corte di Giustizia in materia, non può essere ritenuta finalità specifica la destinazione (evincibile dalla premessa del D.L. n. 511 del 1988) delle imposte addizionali ad "assicurare le necessarie risorse agli enti della finanza regionale e locale, al fine di garantire l'assolvimento dei compiti istituzionali", non essendo tale finalità realmente distinta dalla generica finalità di bilancio. Altrettanto deve dirsi per quanto riguarda i riferimenti alla L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 54, al D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 149 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, T U.E.L.) ovvero all'art. 19 T U.E.L.: le indicazioni che si traggono da tali norme sono infatti del tutto generiche e non in grado di distinguere la finalità specifica cui l'addizionale provinciale intende soddisfare. Ancora, la circostanza che in tema di bilancio degli enti locali non sia possibile destinare o vincolare a spese analiticamente individuate i proventi dell'addizionale, da un lato, non giustifica la violazione del diritto unionale e, dall'altro, non impedisce al legislatore di individuare una finalità specifica che i proventi dell'addizionale debbano soddisfare, indipendentemente dalla diretta correlazione tra entrata e spesa in sede di bilancio.

Il D.L. n. 511 del 1988, art. 6, comma 2, indipendentemente da qualsiasi questione sul carattere self-executing della direttiva 2008/112/CE, peraltro integralmente recepita dalla normativa interna, va disapplicato in ossequio al principio per cui l'interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte di Giustizia U.E. è immediatamente applicabile nell'ordinamento interno e impone al giudice nazionale di disapplicare le disposizioni di tale ordinamento che, sia pure all'esito di una corretta interpretazione, risultino in contrasto o incompatibili con essa. 

La Corte di Giustizia UE, con le sentenze 5 marzo 2015, in causa C-553/13, e 25 luglio 2018, in causa C-103/17, ha affermato che le norme interne che istituiscono, come ha fatto l'art. 6, comma 2, DL 511/88, un'imposta addizionale priva di finalità specifica, si pongono in contrasto con il diritto unionale e, in particolare, con la Direttiva 2008/118/CE, in tal modo sancendo l'illegittimità dell'addizionale provinciale all'accisa.

Il principio di diritto sancito dalla Corte di Giustizia UE è di per sé idoneo e sufficiente ad imporre al giudice nazionale di disapplicare, anche nell'ambito di controversie che coinvolgono soltanto soggetti privati, l'art. 6, comma 2, DL 551/88, in quanto norma interna che si pone, in base ai principi enunciati dalla Corte, in contrasto con il diritto dell'Unione.

Tuttavia, se il rimborso da parte del soggetto passivo risultasse impossibile o eccessivamente difficile, segnatamente in caso d'insolvenza di quest'ultimo, il principio di effettività impone che l'acquirente debba essere in grado di agire per il rimborso direttamente nei confronti delle autorità tributarie e che, a tal fine, lo Stato membro preveda gli strumenti e le modalità procedurali necessari." (CGUE sentenza del 20.10.2011, nella causa C-94/10, punti 28 e 29; evidenza della scrivente).

Il versamento del corrispettivo della prestazione, comprensivo dell'addizionale, non configura una condotta che può essere interpretata come rinuncia a far valere il diritto alla restituzione di quanto indebitamente corrisposto, in applicazione della disciplina in materia di indebito oggettivo, mentre il nostro ordinamento giuridico prevede che un diritto si possa estinguere, per effetto del suo mancato esercizio, soltanto nelle specifiche ed espresse ipotesi in cui la legge sanziona l'omesso esercizio con la prescrizione o la decadenza.

Dalla necessaria disapplicazione dell'art. 6, comma 2, del d.l. 511/1988, su cui si fonda l'addebito a titolo di addizionale provinciale all'accisa, consegue il diritto dell’utente finale a vedersi restituite le somme pagate a tale titolo.




[1] Si utilizzano acronimi delle società parti in causa. 

[2] Corte Cost., 8 giugno 1984, n. 170 e successive; C.G.U.E., 22 giugno 1989, in causa C103/88, Fratelli Costanzo, punti 30 e 31; in materia tributaria, Cass. civ., Sez. Un., 12 aprile 1996, n. 3458.

[3] ex multis: Cass. civ., sez. V, 21 luglio 2020, n. 15506.

[4] ex multis: Cass. civ., sez. VI, 8 giugno 2020, n. 8652; Trib. Milano, sez. XI, ord. 16 novembre 2020; Trib. Vicenza, sez. I., ord. 24 luglio 2021. 


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