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Atti di pianificazione urbanistica e accesso difensivo

3 maggio 2021

T.A.R. per il Veneto, sentenza n. 427 pubblicata in data 1 aprile 2021


IL CASO E LA SOLUZIONE

Una società privata chiede al Comune competente l’accesso ex L. n. 241 del 1990 a tutti gli atti connessi alla nuova proposta urbanistica pubblico-privato presentata da un’altra società con cui aveva in piedi un preliminare di vendita condizionato all’acquisizione dei titoli edilizi e afferente allo stesso compendio immobiliare oggetto della proposta urbanistica.

In estrema sintesi, la ricorrente sosteneva di essere stata maliziosamente estromessa dal progetto economico sottostante al citato preliminare di vendita e di avere in corso una causa civile con la proponente del progetto pubblico-privato per il risarcimento dei danni subiti a causa dell’inadempimento delle obbligazioni nate dal preliminare di vendita.

Il Comune convenuto ha respinto la domanda di accesso, sostenendo che la stessa, riguardando una proposta di accordo di pianificazione destinata, ove accolta, a divenire parte integrante dello strumento urbanistico, sarebbe stata afferente a un processo di formazione dello strumento urbanistico generale, e avrebbe dunque riguardato documenti sui quali, per effetto del combinato disposto di cui agli articoli 13 e 24, della legge 7 agosto 1990, n. 241, sarebbe assolutamente escluso l’accesso nella forma richiesta (estrazione di copia), in ragione dell’applicazione al caso di specie delle altre e diverse norme che regolano la formazione, la pubblicità ed il contraddittorio nell’ambito delle attività di pianificazione. 

Il Tribunale adito, dopo avere ricordato che la giurisprudenza si è chiesta se l’accesso difensivo a certe condizioni possa prevalere anche sulle ipotesi di esclusione previste dal comma 1, dell’articolo 24 della L. n. 241 del 1990 o solo su quella contemplata dalla lettera d) del comma 6, determinata dalla necessità di tutelare la riservatezza di terzi (persone, gruppi, imprese e associazioni), ha aderito all’orientamento prevalente, secondo cui è possibile un bilanciamento in concreto, che tenga conto (analogamente a quanto previsto per i dati personali sensibilissimi), da un lato, della indispensabilità dell’accesso rispetto alla difesa e, dall’altro, del rango comparativo degli interessi contrapposti (quello tutelato con l’esclusione dell’accesso e quello alla cui tutela in giudizio mira l’istanza ostensiva).

Secondo il TAR Veneto, dunque, non essedo l’esclusione dall’accesso degli atti contemplati dall’art. 24, comma 1, sempre assoluta - quando lo stesso sia esercitato a fini difensivi -, deve ritenersi conseguentemente insufficiente, per negare l’ostensione, la mera affermazione che l’atto oggetto dell’istanza è riconducibile ad una delle fattispecie contemplate da tale norma.

Nel caso di specie, l’art. 24, al comma 1, lett. c), contempla, tra gli atti esclusi dall’accesso, quale eccezione al principio dell’accessibilità, gli atti preparatori di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, ma al comma 7 prevede a sua volta un’eccezione alla regola dell’esclusione.

La ratio dell’esclusione dall’accesso degli atti preparatori di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione prevista all’art. 24, comma 1, lett. c), è individuabile nell’esigenza, meritevole di attenta tutela, di evitare possibili condizionamenti all'attività degli organi collegiali, soprattutto politici, ed evitare altresì la divulgazione di notizie non di pubblico dominio suscettibili di essere utilizzate al fine di ottenere indebiti vantaggi economici, attraverso l'anticipata conoscenza sia dei processi decisionali, sia dei supporti tecnici che ne sono alla base.

Peraltro, la sottrazione dall’accesso degli atti in questi casi non è prevista come divieto assoluto, ma comporta solo il differimento ad un momento in cui l’attività preparatoria abbia dato eventualmente luogo alla formazione di un atto (secondo il principio dettato dall’art. 24, comma 5).

Inoltre, l’art. 13 della di legge n. 241 del 1990 sottrae tale tipologia di atti dalla disciplina generale sul procedimento e l’art. 24, comma 1, lett. c), afferma che per tali atti è escluso l’accesso, ma entrambe le disposizioni specificano che per essi “restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione” facendo chiaro riferimento alle specifiche forme di partecipazione e di pubblicità legale previste per questa tipologia di atti se, e nella misura in cui, siano effettivamente adottati.

Ciò significa che gli atti dei procedimenti amministrativi generali volti all'approvazione degli strumenti di pianificazione urbanistica, sono accessibili agli interessati nelle particolari forme del deposito al pubblico del progetto di piano con i relativi elaborati, della pubblicazione dell'avvenuto deposito, della visione dello stesso da parte di ogni soggetto interessato: la disciplina dell'accesso a tali atti è quindi modellata sulle specificità di tali procedure amministrative, che - proprio perché interessano potenzialmente un numero indeterminato di soggetti titolari di situazioni soggettive che l’Amministrazione deve regolare in modo uniforme con efficacia generale - suggeriscono di prevedere per esse forme di conoscenza legale.

Nella valutazione del legislatore gli atti preparatori di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione che non vengano assunti e formalizzati in un provvedimento amministrativo - i quali per la loro natura endoprocedimentale sono inidonei ad incidere su posizioni giuridiche altrui - sono pertanto di regola sottratti all’accesso.

In ragione del necessario bilanciamento con il prevalente diritto di difesa sancito dall’art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990, deve ritenersi, peraltro - secondo il Giudice adito -, che le esigenze di riservatezza, che giustificano l’esclusione dall’accesso di tali atti, divengano recessive nelle ipotesi in cui l’istante dimostri l’attualità dell’interesse all’accesso difensivo con riguardo agli atti compresi nell’attività preparatoria, interesse che prescinde dall’effettiva adozione dell’atto finale, e non consiste nella mera pretesa di conoscere in via anticipata il contenuto di atti che diverrebbero potenzialmente lesivi solo nel momento in cui dovessero essere effettivamente adottati.

Ne deriva che se normalmente le istanze proposte per avere accesso alla documentazione preparatoria degli atti di pianificazione urbanistica, motivate con riferimento ad esigenze di carattere difensivo non attuali e di regola finalizzate a conoscere anticipatamente la destinazione urbanistica di un’area, rientrano nel generale divieto stabilito dall’art. 24, comma 1, lett. c), della legge n. 241 del 1990 (proprio perché non sorrette da un interesse attuale), occorre invece operare il bilanciamento sopra descritto nel caso in cui la necessità di difendere i propri interessi sia collegata ad un giudizio civile nel quale il contegno attuale del soggetto proponente il progetto urbanistico e i rapporti intercorrenti tra lo stesso ed il Comune assumono un autonomo rilievo.

Né è possibile negare l’accesso, come ha provato a fare il Comune resistente, evidenziando che il nuovo atto di pianificazione pubblico-privato in fieri non potrebbe fornire alla parte ricorrente elementi utili per la definizione del contenzioso civile pendente, in quanto, come recentemente chiarito anche dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 18 marzo 2021 n. 4, una volta che l’istante abbia motivato in modo sufficiente l’esistenza di un nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale che intende tutelare, “la pubblica amministrazione detentrice del documento e il giudice amministrativo adìto nel giudizio di accesso ai sensi dell’art. 116 c.p.a. non devono invece svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della questione e non certo alla pubblica amministrazione detentrice del documento o al giudice amministrativo nel giudizio sull’accesso”.

E ciò, salvo il caso di una evidente ed assoluta mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive, che nella controversia esaminata il TAR Veneto ha ritenuto non sussistere.

RIFLESSIONI SU ACCESSO "INFORMATIVO" E ACCESSO "DIFENSIVO"

Il riconoscimento del diritto di accesso ai documenti amministrativi costituisce lo storico esito di un complesso processo di riforma organizzativa e procedimentale della pubblica Amministrazione, in conclusione del quale si è pervenuti alla costruzione di un innovativo modello di partecipazione democratica del cittadino alle funzioni amministrative. A seguito dell’entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241, l’ordinamento ha infatti individuato nel diritto all’ostensione dei documenti detenuti dalle Amministrazioni un essenziale presidio di trasparenza e imparzialità dell’attività di cura dell’interesse pubblico.

Il percorso di conformazione dell’azione amministrativa al moderno sistema di ostensione documentale trova oggi uno stabile consolidamento normativo nelle disposizioni di cui all’articolo 22, comma 2, legge 7 agosto 1990, n. 241, secondo cui l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce “principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza”. L’osservanza degli obblighi posti a carico dell’Amministrazione dal regime di cui al Capo V della legge citata attiene inoltre ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (articolo 29, comma 2-bis, legge 7 agosto 1990, n. 241).

È innegabile sotto altro aspetto la relazione esistente tra il diritto di accesso e la tutela in giudizio delle situazioni giuridiche soggettive. Si consideri, al riguardo, che l’Adunanza plenaria, con decisione 18 aprile 2006, n. 6, ha affermato che, al di là della (controversa) natura giuridica del diritto di accesso, quest’ultimo costituisce una situazione giuridica che, più che fornire utilità finali, risulta caratterizzata per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante. Tale relazione risulta spesso confermata dalla giurisprudenza che, in più occasioni, ha stabilito regole di coordinamento tra l’accesso e i tempi di proposizione della domanda giudiziale, ferma restando l’autonomia della legittimazione all’accesso rispetto alla difesa in giudizio. L'interesse alla conoscenza dei documenti amministrativi, invero, è di suo un bene della vita autonomo, meritevole di tutela separatamente dalle posizioni sulle quali abbia poi ad incidere l'attività amministrativa.

Sin dall’originaria formulazione dell’articolo 22, la disciplina del diritto di accesso documentale ha mostrato di congiungere, da un lato, l’ampliamento degli spazi di trasparenza dell’azione amministrativa, dall’altro, i limiti soggettivi derivanti dalla necessaria dimostrazione di un inscindibile vincolo sostanziale tra l’interesse conoscitivo del richiedente e la titolarità di una situazione giuridicamente rilevante. Tale impostazione normativa è giunta a un ulteriore grado di specificazione legislativa con l’entrata in vigore della legge 11 febbraio 2005, n. 15, la quale, nel modificare la struttura fondamentale della legge generale sul procedimento, ha delineato il contenuto dei presupposti di qualificazione soggettiva richiesti per l’esercizio del diritto di accesso. Nella vigente formulazione dell’articolo 22, comma 1, lettera b), l’accoglimento delle istanze di ostensione presentate dal privato è infatti subordinato alla dimostrazione di un “interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”.

In ragione del potenziale conflitto tra le esigenze di tutela delle pretese conoscitive e la necessaria protezione di contrastanti interessi di rilevanza pubblicistica o individuale, l’articolo 24, legge 7 agosto 1990, n. 241 contempla un complesso di limiti all’esercizio del diritto di accesso, la cui determinazione è affidata non soltanto alla fonte legale (comma 1), ma anche alla potestà regolamentare del Governo (comma 6) e delle singole Amministrazioni (comma 2).

Tuttavia, in vista della realizzazione delle condizioni di effettivo godimento delle posizioni giuridiche sostanziali tutelate dall’ordinamento, l’articolo 24, comma 7, riconosce, con una clausola di chiusura del delineato sistema di conoscibilità documentale, un’ulteriore facoltà di accesso, la quale dimostra una potenziale prevalenza sulle fattispecie ordinariamente preclusive della pretesa ostensiva. Tanto si desume dallo stesso tenore letterale del citato articolo 24, comma 7, secondo cui deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi “la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.

Le esclusioni del diritto di accesso derivanti dall’apposizione del segreto di Stato o delle classifiche di segretezza e i limiti imposti dalle esigenze di mantenimento dell’ordine pubblico manifestano una differente capacità di resistenza alla portata derogatoria della clausola di chiusura prevista dall’articolo 24, comma 7, legge 7 agosto 1990, n. 241.

Come è noto, la disposizione da ultimo citata assegna al diritto di accesso una funzione autonoma ed ulteriore rispetto a quella eminentemente informativa. Le facoltà conoscitive strumentali alla tutela di una posizione giuridica soggettiva possono essere esercitate non soltanto in una logica “partecipativa”, ma anche in funzione della cura o della difesa di un interesse giuridico. Secondo l’autorevole insegnamento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, dal tenore letterale dell’articolo 24, comma 7, legge 7 agosto 1990, n. 241 deve infatti desumersi che l’utilizzo dell’avverbio comunque denota la volontà del legislatore di non "appiattire" l’istituto dell’accesso amministrativo sulla sola prospettiva della partecipazione, dell’imparzialità e della trasparenza, e corrobora la tesi che esistano, all’interno della fattispecie giuridica generale dell’accesso, due anime che vi convivono, dando luogo a due fattispecie particolari, di cui una (e cioè quella relativa all’accesso cd. difensivo) può addirittura operare quale eccezione al catalogo di esclusioni previste per l’altra (e cioè, l’accesso partecipativo), salvi gli opportuni temperamenti in sede di bilanciamento in concreto dei contrapposti interessi.

In base allo schema normativo delineato dall’articolo 24, comma 7, legge 7 agosto 1990, n. 241, ove l’istanza formulata dal privato presenti un’intrinseca preordinazione difensiva e la conoscenza del documento amministrativo risulti necessaria per la protezione di una situazione giuridicamente rilevante, l’interesse ostensivo del richiedente prevale sulle esclusioni che ordinariamente impediscono l’esercizio del diritto di accesso.

L’accesso “difensivo” si connota quindi per la combinazione tra le limitazioni derivanti dall’aggravamento degli oneri di dimostrazione posti a carico del richiedente e l’attitudine al superamento delle preclusioni generali alla divulgazione delle categorie documentali escluse. Come osservato dall’Adunanza Plenaria con la pronuncia del 25 settembre 2020, n. 19, “l’accesso difensivo è costruito come una fattispecie ostensiva autonoma, caratterizzata (dal lato attivo) da una vis espansiva capace di superare le ordinarie preclusioni che si frappongono alla conoscenza degli atti amministrativi; e connotata (sul piano degli oneri) da una stringente limitazione, ossia quella di dovere dimostrare la ‘necessità’ della conoscenza dell’atto o la sua ‘stretta indispensabilità’, nei casi in cui l’accesso riguarda dati sensibili o giudiziari”.

È evidente che la portata dell’articolo 24, comma 7, legge 7 agosto 1990, n. 241 risulta diversa a seconda delle differenti ipotesi.

Ove l’istanza abbia ad oggetto documenti coperti dal segreto di Stato, ai sensi dell’articolo 39, legge 3 agosto 2007, n. 124, si applicherà quanto stabilito dalla legge da ultimo citata, con sostanziale sterilizzazione della portata dell’articolo 24, comma 7, legge cit., e conseguentemente gli atti “sono posti a conoscenza esclusivamente dei soggetti e delle autorità chiamati a svolgere rispetto ad essi funzioni essenziali, nei limiti e nelle parti indispensabili per l'assolvimento dei rispettivi compiti e il raggiungimento dei fini rispettivamente fissati” (articolo 39, comma 2, legge cit.) e nel giudizio potrà essere opposto il segreto di Stato con le modalità e i limiti previsti agli articoli 40 e 41, legge 3 agosto 2007, n. 124.

Se invece gli atti sono vincolati dalle cosiddette classifiche di segretezza, il diritto di accesso “difensivo” può essere esercitato nelle sole forme prescritte dall’articolo 42, comma 8, legge 3 agosto 2007, n. 124, il quale, circoscrivendo l’ambito di conoscibilità delle informazioni classificate, presuppone e integra (trattandosi peraltro di norma successiva) la disciplina del meccanismo ostensivo previsto dall’articolo 24, comma 7, legge 7 agosto 1990, n. 241. Vale, al riguardo, il principio secondo cui, ai sensi dell’articolo 42, comma 8 citato, l‘interesse difensivo alla conoscenza degli atti classificati deve essere fatto valere dinanzi all’autorità giudiziaria, la quale è tenuta a valutare se, nel caso concreto, le esigenze di tutela del diritto di difesa possano giustificare l’esibizione processuale del documento vincolato.

Viceversa, ove vengano in rilievo atti sottratti all’accesso in forza di disposizioni regolamentari adottate dal Governo o dalle singole amministrazioni, il controlimite disciplinato dall’articolo 24, comma 7, legge 7 agosto 1990, n. 241 torna ad esprimere la propria ordinaria intensità derogatoria, assicurando l’ostensione dei documenti la cui conoscenza sia necessaria per la difesa degli interessi giuridici del richiedente, secondo i principi richiamati dall’Adunanza Plenaria prima citata.

D’altra parte, il c.d. accesso difensivo, stabilito dal più volte richiamato comma 7 dell’articolo 24, nell’attuale formulazione della legge ha un oggetto più ampio di quello che aveva nel testo originario.

Ed invero, l’articolo 24, comma 2, lettera d), legge 7 agosto 1990, n. 241, nel testo originario, stabiliva che l’accesso era escluso per salvaguardare “la riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese, garantendo peraltro agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici”. L’accesso difensivo dunque era riferito solo alle esclusioni legate alla necessità di salvaguardare la riservatezza e si poteva realizzare solo attraverso la “visione” del documento, senza estrazione.

Nella formulazione attuale, invece, l’accesso difensivo ha, in primo luogo, un oggetto ben più ampio (come emerge peraltro proprio dai due periodi di cui è composto il più volte citato comma 7) e, in secondo luogo, non risulta limitato alla semplice visione.

Ulteriore conferma del fatto che le ipotesi di esclusione dall’accesso diventano, in alcuni casi, recessive rispetto alle finalità difensive, è rinvenibile nell’articolo 53, comma 6, d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50, nel particolare settore delle procedure di evidenza pubblica. Anche in questa materia, la giurisprudenza afferma che al fine di esercitare, in un procedimento di gara per l'affidamento di contratti pubblici, il diritto di accesso riguardo ad informazioni contenenti eventuali segreti tecnici o commerciali, è essenziale dimostrare non già un generico interesse alla tutela dei propri interessi giuridicamente rilevanti, ma la concreta necessità (da intendersi in termini di stretta indispensabilità) di utilizzo della documentazione in uno specifico giudizio; in altra concorrente prospettiva può dirsi che l'accesso difensivo presupponga la stretta indispensabilità della documentazione richiesta al fine di curare o difendere i propri interessi giuridici, atteso che nel quadro del bilanciamento tra il diritto alla tutela dei segreti industriali ed il diritto all'esercizio del c.d. accesso difensivo risulta necessario l'accertamento dell'eventuale nesso di strumentalità esistente tra la documentazione oggetto dell'istanza di accesso e le censure formulate, con la conseguenza che l'onere della prova del suddetto nesso di strumentalità incombe, secondo il consueto criterio di riparto dell'onere della prova, su chi agisce; in definitiva il criterio normativo del bilanciamento dei contrapposti interessi, di cui all'art. 53, comma 6, richiede, da parte dell'istante, la prova dell'indispensabilità dei documenti ai quali è chiesto l'accesso, affinché possa difendersi in un determinato giudizio; il che equivale ad affermare che l'interesse difensivo all'accesso agli atti di gara va verificato in concreto.


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