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Atti vincolati e applicazione dell’art. 21 octies della l. n. 241 del 1990 in diritto tributario

aggiornamento a cura di Alma Chiettini • 21 luglio 2022

Cassazione Civile, Sez. V, 4 luglio 2022, n. 21065


La cartella di pagamento è un titolo esecutivo in forza del quale è possibile per l’Amministrazione finanziaria procedere, trascorsi sessanta giorni, all’espropriazione forzata, ossia a dare attuazione al credito tributario con una procedura speciale sostitutiva dell’adempimento del contribuente. Ma se trascorre un anno, prima di dare l’avvio all’espropriazione forzata, l’Amministrazione deve notificare un avviso di mora contenente la “intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni”, un atto formale redatto in conformità a un modello approvato con decreto del Ministero delle finanze.

Ebbene, un’intimazione di pagamento è stata impugnata lamentando che l’atto non conteneva elementi essenziali quali un’idonea motivazione, l’indicazione dei termini e dell’autorità dinnanzi alla quale ricorrere, il tasso e il metodo di calcolo degli aggi e degli interessi. E il giudice tributario di merito, sia di primo che di secondo grado, ha condiviso la posizione della parte privata, affermando che il contenuto dell’atto notificato non consentiva di comprendere le ragioni della richiesta del pagamento.

Ma la Corte di Cassazione, con la sentenza qui segnalata, ha accolto il ricorso dell’Amministrazione facendo applicazione dell’art. 21 octies, comma 2, della l. n. 241 del 1990. Sul punto, la Cassazione ha affermato: 

- che l’intimazione di pagamento è normativamente prevista dai commi 2 e 3 dell’art. 50 del d.P.R. n. 602 del 1973 e che dal contenuto delle relative disposizioni si evince che trattasi di “un atto vincolato in quanto redatto in relazione a un modello ministeriale e avente come contenuto l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni”;

- che “è esaustivo il solo riferimento alla cartella di pagamento in precedenza notificata”, contenuto capace di “rendere edotto l’interessato delle ragioni dell’emissione dell’intimazione”, idoneo “a conoscere la pretesa tributaria nell’an e nel quantum” e in grado “di garantire la difesa del contribuente e la sua effettiva possibilità di contestazione”;

- che “lo scopo dell’intimazione è rendere edotto il contribuente che per effetto della mancanza di pagamento della cartella già notificata inizia l’esecuzione coattiva, assolvendo nel caso la funzione equivalente a quella del precetto, sicché il suo contenuto, in relazione alle finalità sue proprie, può dirsi esaustivo ove non solo si dia atto del mancato pagamento del debito tributario ma anche contenga l’intimazione al contribuente di effettuare il versamento dovuto entro un termine ristretto, con l’avvertenza che in mancanza si procederà a esecuzione forzata”; 

- che è erroneo “pretendere ulteriori contenuti, peraltro già noti al contribuente proprio in virtù della precedente cartella notificata”, e da ciò deriva che “l’intimazione di pagamento non necessita di particolare motivazione oltre all’indicazione della cartella non pagata e precedentemente notificata, né va allegata la cartella precedentemente notificata, essendo sufficiente indicare gli estremi della stessa, come desumibile dal modello ministeriale”; 

- che, di conseguenza, l’intimazione di pagamento “non è annullabile a causa della insufficienza della motivazione”, ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2, della l. n. 241 del 1990, che è “norma applicabile a tutti i provvedimenti amministrativi tra cui quelli tributari, in quanto per la natura vincolata del provvedimento, è palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

La sentenza si segnala perché sia in giurisprudenza che in dottrina non è (ancora) del tutto pacifica l’applicazione dei principi dettati dal comma 2 dall’art. 21 octies al diritto tributario, e ciò per la specialità dello stesso (sebbene l’art. 13 della legge sul procedimento amministrativo non abbia incluso l’art. 21 octies tra le disposizioni che non si applicano ai procedimenti tributari), e perché l’art. 7 della l. n. 212 del 2000 sulla motivazione dell’atto tributario non menziona testualmente la presupposta istruttoria ma dispone che devono essere indicati “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche” che hanno determinato la decisione. Ed anche perché si considera che la violazione di alcune norme tributarie (anche di natura procedimentale, per esempio l’inosservanza del termine dilatorio previsto dal comma 7 dell’art. 12 della l. n. 212 del 2002 in caso di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio dell’attività del contribuente) è sanzionata con la nullità, il che esclude l’ammissibilità della prova di resistenza. 

In concreto, per gli avvisi di accertamento, o di rettifica, la Suprema Corte afferma che, se è vero che non sono frutto dell’esercizio di discrezionalità amministrativa, essi sono tuttavia emessi nell’esercizio della c.d. discrezionalità tecnica tanto che, se possono essere vincolati nell’an, non necessariamente sono emessi con contenuto dispositivo prestabilito ex lege, perché presentano margini di valutazione tecnica nella rilevazione, come pure nell’accertamento, del fatto presupposto cui la legge ricollega l’esigenza di provvedere, e perché condizionano in modo variabile il loro contenuto dispositivo in relazione alle diverse caratteristiche e qualificazioni giuridiche del fatto presupposto come in concreto rilevato (Cass. Civ., sez. V, 14.2.2019, n. 4388; id., sez. V, 11.11.2015, n. 23050).

All’opposto, la figura dell’atto vincolato ricorre se la scelta della sua emanazione e il suo contenuto sono prestabiliti da una norma, o da un altro provvedimento sovraordinato, sicché all’Amministrazione non residua alcuna facoltà di scelta tra determinazioni diverse. Sono tipici atti vincolati gli atti conseguenziali, meramente esecutivi, quali la cartella di pagamento e l’avviso di mora.

E, da ultimo, l’art. 21 octies ha trovato applicazione anche: 

- in un caso di emissione di un atto di contestazione di sanzioni da parte di un ufficio dell’Agenzia delle entrate incompetente territorialmente, in quanto “il vizio derivante dall’incompetenza territoriale dell’ufficio emittente è di natura solo formale, senza alcun riflesso sul contenuto vincolato dell’atto di contestazione delle sanzioni” (Cass. civ., sez. V, 11.11.2021, n. 33287);

- in un’omessa sottoscrizione del ruolo d’imposta, perché l’art. 12 del d.P.R. n. 602 del 1973 non prevede alcuna sanzione per tale ipotesi, sicché non può che operare la presunzione generale di riferibilità dell’atto amministrativo all’organo da cui promana (con onere della prova contraria a carico del contribuente, che non può limitarsi a una generica contestazione dell’esistenza del potere o della provenienza dell’atto ma deve allegare elementi specifici e concreti a sostegno delle sue deduzioni), e per la “natura vincolata del ruolo, che non presenta in fase di formazione e redazione margini di discrezionalità amministrativa, il che comporta l’applicazione del generale principio di irrilevanza dei vizi di invalidità del provvedimento” (Cass. civ., sez. V, 14.4.2020, n. 7800);

- nella mancata indicazione del responsabile del procedimento in un provvedimento di diniego di agevolazione, atto di natura vincolata perché il rilascio del nulla osta dipende dalla disponibilità di risorse economiche e dall’ordine cronologico di arrivo della domanda, atto perciò che, viste le dichiarate condizioni di fatto, non può avere contenuto diverso da quello adottato, per cui “va esclusa la sua annullabilità in ragione dell’inidoneità dell’intervento dei soggetti ai quali è riconosciuto un interesse a interferire sul suo contenuto” (Cass. civ., sez. V, 17.7.2018, n. 18987).




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