A) PREMESSA
L’attività di pianificazione evoca anzitutto la discrezionalità amministrativa, e dunque il potere di scelta (non vincolato) caratterizzante l’azione dei pubblici poteri: essa consiste nell’apprezzamento e nella ponderazione comparativa degli interessi coinvolti (pubblici e privati), tenuto conto del loro spessore quali-quantitativo.
Nel tradizionale sistema di classificazione, l’atto generale è quello rivolto a una collettività incerta al momento della sua emanazione, ossia a una platea di destinatari indeterminata e indeterminabile ex ante: esso è “ad effetti plurisoggettivi” e si rivolge a “gruppi indeterminati di figure soggettive”, per cui l’individuazione del singolo destinatario avviene solo attraverso un successivo concreto “atto di individualizzazione”, altrimenti definibile atto applicativo.
Nell’attuale contesto socio-economico, riveste carattere fondamentale il fattore tempo e diviene essenziale – a fronte di una sollecitazione di un privato (attore economico o utente di un servizio) – che l’amministrazione fornisca una risposta tempestiva o comunque prevedibile nella sua latitudine massima. In questo senso, l’obbligo di provvedere consacrato all’art. 2 della L. 241/90 intende porre fine alla patologia dell’inerzia pura della p.a. L’obbligo consegue a una previsione normativa e ai principi di legalità, buon andamento, correttezza, giustizia e equità sostanziale, ma la giurisprudenza ha individuato situazioni facoltizzate, come i solleciti a rimettere in discussione procedimenti già conclusi con l’emanazione di provvedimenti consolidati (non impugnati nei termini di legge), a esprimersi su pretese assurde o platealmente infondate, a estendere il giudicato oltre i confini soggettivi suoi propri ex art. 2909 del c.c..
L’art. 2 comma 1 della L. 241/90 – nel testo vigente – ravvisa l’obbligo di pronunciarsi in qualunque caso (anche con motivazione semplificata), superando l'impostazione tradizionale che riteneva, per ragioni di economicità dell'azione amministrativa, che in tali ipotesi fosse del tutto inutile provvedere (T.A.R. Campania, sez. V – 5/3/2020 n. 1024). La disposizione è infatti la seguente: “Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un'istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l'adozione di un provvedimento espresso. Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo”.
B) SILENZIO-INADEMPIMENTO E ATTI DI PIANIFICAZIONE: TESI TRADIZIONALE
Di fronte all’impulso di un privato a una procedura amministrativa normativamente prevista per l'emanazione di una determinazione autoritativa su istanza di parte, la p.a. è tenuta a provvedere entro i termini stabiliti dalla legge. L’omissione dell’adozione del provvedimento finale assume il valore di silenzio-inadempimento (o silenzio-rifiuto), ma solo nel caso in cui sussiste un obbligo giuridico di provvedere, cioè di esercitare una pubblica funzione attribuita normativamente alla competenza dell'organo amministrativo destinatario della richiesta, attivando un procedimento amministrativo in funzione dell'adozione di un atto tipizzato nella sfera autoritativa del diritto pubblico. L’azione “contra silentium” presuppone, dunque, l’esistenza di un obbligo in capo all’amministrazione di adottare un provvedimento amministrativo esplicito, volto ad incidere, positivamente o negativamente, sulla posizione giuridica e differenziata del ricorrente (Consiglio di Stato, sez. IV – 27/12/2017 n. 6096).
Con riguardo agli
atti di pianificazione, è stato di conseguenza osservato che l'istituto del silenzio “non può trovare applicazione allorquando si sia in presenza di atti a contenuto generale rimessi alla scelta discrezionale dell'Amministrazione e rispetto alla quale non sia configurabile un interesse qualificato del privato tale da poter rivendicare l'esistenza di un obbligo per l'Ente di procedere all'adozione di atti a contenuto pianificatorio (Cons. Stato Sez. IV, 11-12-2014, n. 6081)” (T.A.R. Toscana, sez. I – 31/3/2017 n. 499).
Effettivamente, con riguardo alla questione dell'ammissibilità dello speciale rito sul silenzio in relazione all'adozione di atti amministrativi generali l'orientamento prevalente in giurisprudenza è negativo (Consiglio di Stato, sez. IV – 17/12/2018 n. 7090; sez. V – 9/3/2015 n. 1182), argomentandosi sull’impossibilità di individuare specifici “destinatari” degli atti in questione (cfr. supra, definizione di atto generale) in capo ai quali possa radicarsi una posizione giuridica qualificata e differenziata definibile come di interesse legittimo.
T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I – 5/2/2021 n. 414 ha affrontato il caso di una Società (che poi ha proposto ricorso) la quale aveva diffidato la Regione Sicilia ad attivare le procedure per (ri)aprire – dopo molti anni di inerzia – i termini di presentazione delle domande e consentire a tutti gli aventi diritto di ottenere l'accreditamento istituzionale come presidio autonomo di day surgery. In fatto, una precedente istanza non era stata accolta, rinviando all’eventuale futura disponibilità di nuovi accreditamenti la soddisfazione dell'interesse legittimo dell’interessata. Ad avviso del T.A.R. “nessuna inerzia è imputabile all'amministrazione resistente, atteso che la pretesa riapertura dei termini per l'accreditamento non costituisce certamente un atto tipizzato conseguente a un procedimento amministrativo attivabile a istanza di parte, ma costituisce semmai esercizio di poteri di governo che sono tipica espressione di pianificazione e programmazione amministrativa e la cui attivazione è rimessa esclusivamente alla valutazione degli organi di amministrazione attiva”.
Sulla diffida inoltrata da un Comitato ad adottare il decreto ministeriale, previsto dal D.M. 10/7/1998, per la determinazione della figura professionale di massofisioterapista e la disciplina del relativo corso di formazione, il
T.A.R. Lazio Roma, sez. III-quater – 12/4/2017 n. 4497 ha sottolineato come sia “esclusa l'ammissibilità dello speciale rimedio processuale avverso il silenzio inadempimento della pubblica amministrazione con riguardo all'adozione di atti amministrativi generali-regolamentari come quello del quale si discute, poiché strettamente circoscritto alla sola attività amministrativa di natura provvedimentale, ossia finalizzata all'adozione di atti destinati a produrre effetti nei confronti di specifici destinatari, il che non avviene per gli atti generali, i quali sono indirizzati ad una pluralità indifferenziata di destinatari, ancorché identificabili con una intera categoria professionale da riordinare, e non sono destinati a produrre effetti nella sfera giuridica di singoli soggetti specificamente individuati”.
Con riferimento agli
atti di programmazione dell’assetto del territorio, è stato affermato (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV – 26/3/2014 n. 1460) che dal carattere ampiamente discrezionale del procedimento di pianificazione consegue che anche il suo (eventuale) avvio costituisce l'espressione di una facoltà altrettanto discrezionale, e non già il frutto dell'adempimento ad un obbligo di legge. Secondo i giudici d’appello “… agli atti di pianificazione del territorio, proprio perché atti amministrativi generali, si applica il principio enunciato con riferimento agli atti regolamentari, in relazione ai quali è esclusa l'ammissibilità dello speciale rimedio processuale avverso il silenzio - inadempimento della P.A., in quanto strettamente circoscritto alla sola attività amministrativa di natura provvedimentale, ossia finalizzata all'adozione di atti destinati a produrre effetti nei confronti di specifici destinatari. Il che non avviene per gli atti generali, i quali sono indirizzati ad una pluralità indifferenziata di destinatari e non sono destinati a produrre effetti nella sfera giuridica di singoli soggetti specificamente individuati”.
Ancora il
Consiglio di Stato, sez. V – 9/3/2015 n. 1182, pronunciandosi sulla domanda di un taxista che chiedeva al Comune di Bologna la revisione del regolamento per la gestione degli autoservizi pubblici non di linea con autovettura (servizio “taxi” e di “noleggio con conducente”), ha sostenuto che l’istituto sotteso all'art. 2 della L. n. 241 del 1990 (silenzio-inadempimento) non può trovare applicazione allorquando – come nel caso di specie – si sia in presenza di atti a contenuto generale rimessi alla scelta discrezionale dell’amministrazione e rispetto alla quale non è configurabile un interesse qualificato del privato tale da poter rivendicare l’esistenza di un “obbligo” per l'Ente di procedere all'adozione di atti a contenuto regolamentare. La sentenza richiama un caso simile, affrontato dal Consiglio di Stato, sez. IV – 5/3/2013 n. 1349.
Il giudice d’appello (cfr. sez. VI – 27/12/2017 n. 6096) ha confermato i suddetti principi nei confronti di un privato che aveva avanzato istanza di approvazione di un Piano attuativo per la zona C1, nella quale insistevano aree di sua proprietà. Il Comune intimato in giudizio aveva in precedenza respinto la domanda di permesso di costruire, in quanto le NTA subordinavano l’edificazione alla preventiva formazione di uno strumento urbanistico attuativo esteso all’intera zona. Ha affermato il Consiglio di Stato, in riforma della sentenza del giudice di prime cure, che “ricorre l'ipotesi di un atto di pianificazione attuativa del territorio comunale, che costituisce esercizio di potestà discrezionale dell'amministrazione, laddove l'art. 2 L. n. 241 del 1990 prevede che l'obbligo di concludere il procedimento amministrativo mediante provvedimento espresso ed entro un termine definito (potendosi, in caso contrario, attivare la tutela giurisdizionale avverso il silenzio-inadempimento dell'amministrazione) vi sia solo nei casi in cui "il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza ovvero debba essere iniziato d'ufficio", e nessuna delle due ipotesi ricorre nel caso di specie”. Nella sentenza si sottolinea altresì che, secondo le NTA, la doverosità della redazione di piano particolareggiato sussisteva per l'amministrazione solo nel caso in cui non fosse stato possibile raggiungere l'accordo tra proprietari, e di ciò non era stata fornita prova in corso di giudizio.
C) L’EVOLUZIONE DELLA GIURISPRUDENZA E L’ALLARGAMENTO DELLA TUTELA
Il T.A.R. Lazio Roma, sez. II-bis – 29/5/2020 n. 5723 ha premesso che in linea di principio le scelte di pianificazione, poiché vertono in ordine all'esercizio di potestà discrezionali proprie dell'amministrazione, non sono di norma avviabili su impulso o istanza di parte, e non sono coercibili in giudizio mediante il rito del silenzio (cfr., ad esempio, T.A.R. Piemonte, sez. II – 21/11/2019 n. 1160; T.A.R. Sardegna, sez. II – 21/11/2018 n. 985).
Ha precisato però che questo principio attiene all'esercizio della pianificazione generale, e la stessa giurisprudenza conosce particolari casi “… nei quali sussiste l'obbligo del Comune di provvedere alla ripianificazione dell'area, quando essa riguardi la destinazione da conferire alle c.d. "zone bianche", tali divenute a seguito della decadenza di vincoli destinati all'esproprio (si veda ad es. Cassazione civile , sez. I , 18/03/2016 , n. 5443, T.A.R. , Catania , sez. I , 23/10/2014 n. 2837)” e soprattutto “… quando il privato sollecita la definizione di una pianificazione attuativa, specie quando essa può essere proposta su istanza di parte (v. ad esempio, T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 19/09/2019, n.537; T.A.R. Lazio, Roma, II bis, 17 gennaio 2018, nr. 581; TAR Lazio, Roma, II bis, 20 novembre 2017, nr. 11417; T.A.R. Lazio, Roma, II ter, 24 maggio 2016, nr. 6094; T.A.R. Lazio, Roma, II bis, 14 gennaio 2015, nr. 561)”.
L’evocata giurisprudenza si è formata in ordine a contesti nei quali lo strumento urbanistico pone l'obbligo di dettagliare le previsioni generali con la pianificazione attuativa, con ciò legittimando i soggetti titolari di diritti reali su fondi o immobili le cui utilità sono dipendenti dal compimento della pianificazione attuativa stessa a sollecitare l'Amministrazione al compimento degli atti necessari alla pianificazione dell’area. Insomma, “Dato che trova la propria fonte nella pianificazione generale, non v'è ragione di non considerare coercibile l'obbligo di completare il procedimento di formazione della pianificazione attuativa, quando l'Amministrazione si è determinata d'ufficio ad avviarne l'iter, come accade nel caso di specie ed i proprietari di suoli ricadenti nell'ambito corrispondente ne abbiano sollecitato invano il compimento”: in tali casi, gli istanti agiscono per la definizione ed il compimento di un potere all'esercizio del quale l’amministrazione si è vincolata per effetto sia della previsione generale di piano che dell'avvio della pianificazione attuativa per il tramite della pubblicazione del piano attuativo adottato, con ciò concretizzandosi i presupposti processuali di cui all'art. 31 del c.p.a. (presenza di istanza di parte ed obbligo a provvedere).
La ragione per la quale viene esclusa la proponibilità dell'azione avverso il silenzio nei casi di pianificazione generale (e cioè che essi soggiacciono ad una determinazione latamente discrezionale della PA, avendo natura normativa) è in tali fattispecie fortemente attenuata, in quanto i margini della discrezionalità "politica" dell'Ente si sono in gran parte consumati, essendo stati esercitati "a monte", in favore di un esercizio del potere che, pur rimanendo discrezionale (nei limiti consentiti dal PRG) nel "quomodo" ovvero nei contenuti, diviene doveroso nell'"an". L'assoggettamento della proprietà fondiaria ad una procedura di pianificazione attuativa senza termine, rappresenta, di per sé solo, una illegittima compressione delle facoltà dei soggetti interessati, individuati dalla titolarità dei diritti reali sui beni immobili (valori costituzionalmente rilevanti) che sono ricompresi nelle aree oggetto di pianificazione. Il T.A.R. ha in definitiva reputato ammissibile l'azione ex artt. 31 e 117 c.p.a. avverso l'inerzia della p.a. nella pianificazione attuativa dello strumento urbanistico generale laddove quest'ultima, avviato d'ufficio o su istanza di parte il relativo procedimento, non lo abbia concluso nei termini di legge.
Sempre in tema di pianificazione urbanistica, la giurisprudenza (T.A.R. Lazio, sez. Latina, sez. I – 19/9/2019 n. 537) ha chiarito che, sebbene l'ordinamento non tuteli in modo diretto le aspettative di singoli all'ottenimento di atti ampliativi della sfera giuridica e satisfattivi, tuttavia “l'art. 2 della L. n. 241 del 1990 garantisce un vero e proprio diritto alla conclusione del procedimento nei termini indicati dalla legge”.
Nel caso di specie la proprietaria di un complesso industriale (ubicato su un’ampia area di 13 ettari) ne aveva chiesto la riconversione mediante realizzazione di un centro produttivo polifunzionale integrato, caratterizzato dalla compresenza di molteplici attività. La Conferenza di Servizi convocata per l'adozione della variante urbanistica – da zona in parte industriale e agricola a zona destinata a servizi – veniva a un certo punto interrotta, prima di definire il segmento procedimentale inerente la localizzazione. L’unica risposta pervenuta conteneva il “rinvio” a una verifica politica, contestata come meramente dilatoria a fronte di un indirizzo già chiaramente espresso dal Consiglio comunale.
Anche
T.A.R. Puglia Bari, sez. II – 21/1/2020 n. 61 si è pronunciato salvaguardando una situazione peculiare di affidamento e ha statuito che “Seppure è vero che non possa aversi silenzio-inadempimento con riguardo a un'istanza volta a modificare un atto regolamentare o amministrativo generale, qual è la pianificazione urbanistica ed edilizia (Cons. St., sez. IV, 2 settembre 2019 n. 6048), è però anche vero che, nel caso di specie, l'Amministrazione comunale … ha originato una forte aspettativa ediante il rilascio del permesso di costruire “che ha dato avvio a importanti lavori di ristrutturazione, successivamente impediti”. Nel caso esaminato è stato lo stesso Comune a generare una “situazione” edilizia, “rispetto alla quale va protetto l'interesse legittimo Società coinvolta a veder definito il regime proprietario dell'immobile in questione, il cui stato d'indefinita inutilizzabilità e, quindi, di abbandono determina un degrado territoriale, causato dall'Ente locale”. Ciò comporta ancor più, secondo il T.A.R., “la necessità in capo allo stesso di dover provvedere a "riparare" la situazione venutasi a determinare”.
Il Consiglio di Stato, sez. IV – 23/11/2020 n. 7316, si è pronunciato sul Piano degli interventi di contenimento e abbattimento del rumore, accogliendo il gravame contro il silenzio proposto dal privato.
Dopo aver ricostruito il panorama giurisprudenziale sugli atti di pianificazione, ha anzitutto superato l’assunto per il quale, in ogni caso, non sussisterebbe un obbligo di provvedere, in ragione della natura ampiamente discrezionale del potere riconosciuta alla p.a. I giudici d’appello hanno in senso contrario rilevato che, sulla scorta della decisione del Consiglio di Stato, sez. IV – 17/12/2018 n. 7090 “… la preclusione all'esperibilità del rito sul silenzio non deriva dal mero carattere regolamentare o generale dell'atto di cui si invoca l'adozione, quanto dal fatto che, in ragione dell'ordinario rivolgersi di tali atti a una pluralità indifferenziata di soggetti destinatari, non individuabili ex ante e destinati anche a cambiare nel corso del tempo, è molto complessa e delicata l'opera di individuazione dei requisiti della legittimazione e dell'interesse a ricorrere in capo a chi si attivi per l'adozione di provvedimenti di tal natura”. In sostanza, l'azione avverso il silenzio è impraticabile solo laddove manchi uno specifico e individuato destinatario dell'azione amministrativa.
Abbandonata la teoria di una preclusione teorico/normativa, si è riconosciuto che, “anche rispetto ad atti generali, possono essere individuati interessi legittimi differenziati e qualificati, in particolare nelle ipotesi di procedimenti officiosi aventi ad oggetto attività di natura generale programmatoria e pianificatoria dovuta nell'an ma discrezionale nel quomodo e nel quid (cfr., ad esempio, Cons. Stato, sez. V, n. 273 del 22 gennaio 2015 nonché, da ultimo Cons. giust. amm., n. 905 del 2020)”, rimarcando altresì che, in mancanza di una puntuale previsione normativa, l'amministrazione non può sospendere o interrompere sine die il procedimento di approvazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 2/4/2020 n. 2212). Sul punto, anche la Corte costituzionale ha da tempo affermato (cfr. sentenza 355/2002) che i principi generali di cui alla L. 241/90 – e, in particolare, quelli contemplati dall'art. 2, comma 2, che impone alla pubblica amministrazione di concludere il procedimento entro il termine all'uopo definito dalla legge – debbono essere applicati anche agli atti amministrativi generali di pianificazione e di programmazione.
Tale dovere, peraltro, prescinde dal fatto che il procedimento consegua obbligatoriamente ad un'istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio. In entrambi i casi, “l'inosservanza del termine per la definizione del procedimento, pur non comportando la decadenza dal potere, connota in termini di illegittimità il comportamento della pubblica amministrazione, con conseguente possibilità per i soggetti interessati di ricorrere in giudizio avverso il silenzio-rifiuto ritualmente formatosi, al fine di tutelare le proprie posizioni giuridiche soggettive attraverso l'utilizzo di tutti i rimedi apprestati dall'ordinamento (Corte cost., sentenze n. 176 del 2004, n. 355 del 2002, nonché n. 262 del 1997)”.
Ai fini dell'individuazione dei requisiti della legittimazione e dell'interesse a ricorrere in capo a chi si attivi per l'adozione di provvedimenti di tal natura non rileva poi l'ampiezza della discrezionalità, salvo il caso in cui quest'ultima, come in precedenza rilevato, investa anche l'"an" del provvedere (è il caso, ad esempio delle strumenti di pianificazione generale in materia urbanistica e relative varianti). Semmai, l’ampiezza del potere discrezionale comporta unicamente una limitazione dei poteri del giudice con riguardo alla portata conformativa della pronuncia sul silenzio (cfr. art. 30 comma 3 Cpa): l'azione disciplinata dall'art. 117 del c.p.a. ha natura strumentale e il giudice non può pronunciarsi sul merito della pretesa azionata, essendo tale eventualità limitata ai soli atti vincolati, ed a quelli in relazione ai quali si sia interamente esaurito lo spettro di discrezionalità riconosciuto all'amministrazione e al contempo non siano necessarie attività istruttorie, come stabilito dall'art. 31, comma 3, del c.p.a..
Facendo applicazione dei principi enunciati alla fattispecie controversa, il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello (confermando la pronuncia di accoglimento del giudice di prime cure) statuendo che:
- il Piano di contenimento acustico disciplinato dall'art. 10 comma 5 del D.P.R. n. 447/1998 non è propriamente un atto di pianificazione, volto a disciplinare in via generale l'uso del territorio, ma piuttosto “… un programma di interventi specifici da eseguire, a fini di tutela dei c.d. recettori sensibili, individuati a seguito dell'attività preliminare di mappatura acustica del territorio”;
- in tal senso, risulta dagli atti che la Società ha da tempo individuato ben precisi “recettori” all'interno del territorio comunale, tra i quali figura anche la dimora del ricorrente (l’intervento contestato - relativo alla posa di barriere fono assorbenti lungo il tracciato ferroviario - è stato quindi non solo localizzato ma anche individuato con un codice identificativo, unitamente quelli relativi ad altri recettori pure individuati nel territorio del Comune;
- la posizione di interesse legittimo azionata dal ricorrente è dunque differenziata da quella degli altri potenziali destinatari dei benefici derivanti dalle opere di contenimento acustico non individuabili ex ante, nonché qualificata dalla titolarità del diritto alla salute e ad un ambiente salubre;
- la definizione di siffatto procedimento - complesso e pluristrutturato - dipende sia dall'impegno dei gestori delle infrastrutture, cui è affidato il compito di predisporre i piani, sia da quello delle amministrazioni pubbliche cui, a vario livello, è attribuito il compito di valutarli e approvarli;
- non è stata fornita alcuna prova che la stasi del procedimento sia dovuta ad ostruzioni o ostacoli insormontabili frapposti da uno degli Enti chiamati a coordinarsi ai fini del perseguimento degli obiettivi di risanamento;
- non trova alcuna base legale la decisione di articolare l'approvazione del Piano secondo stralci successivi né, comunque, tale circostanza è idonea a giustificare il superamento del termine di conclusione del procedimento;
- è peraltro un fatto che, solo a seguito delle ripetute sollecitazioni del ricorrente, la società appellante si sia effettivamente attivata tra il 2016 e il 2018 al fine di presentare una versione aggiornata del Piano, corredata dal relativo cronoprogramma degli interventi;
- è irrilevante la circostanza che, in forza della normativa sopravvenuta, il procedimento di approvazione delle opere pubbliche, o di pubblica utilità, sia divenuto maggiormente articolato e complesso, poiché sono comunque rimasti immutati i termini, stabiliti dal D.M. del 29/11/2000, che regolano la fattispecie in esame.
Sotto altro versante, Il T.A.R. Sicilia Palermo, sez. III – 27/12/2019 n. 3004 ha preso posizione sul provvedimento con il quale un Comune si è pronunciato negativamente sulla richiesta di installazione di tre impianti pubblicitari (il diniego è stato impugnato contestualmente al regolamento comunale sulla pubblicità e sulle affissioni).
L’istanza era corredata dal preventivo parere rilasciato dalla competente Soprintendenza, e l'Ufficio Edilizia Privata del Comune aveva espresso parere favorevole: tuttavia l’amministrazione comunale ha comunicato di non potere accogliere l'istanza nelle more dell'approvazione del regolamento per l'installazione di insegne e di altri mezzi pubblicitari, e in assenza della Commissione sulla pubblicità (in quella fase non ancora costituita).
Il T.A.R. ha osservato che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, “...la mancanza del Regolamento comunale ex art. 3 comma 3, D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507 e/o del Piano generale degli impianti pubblicitari ex art. 36 comma 8, cit. D.Lgs. n. 507 del 1993, per essere compatibile con l'art. 41 Cost. e con l'art. 2, L. 7 agosto 1990, n. 241, che impone alle Pubbliche amministrazioni l'onere di determinare per ciascun procedimento il termine entro cui esso deve essere concluso, non può inibire sine die le installazioni pubblicitarie e impedire l'esercizio dell'attività economica nel settore della pubblicità, atteso che l'esercizio dell'attività economica non può essere subordinato alla condizione meramente potestativa di quando il Comune decida di adottare i suddetti strumenti programmatori”. Ha puntualizzato il T.A.R. che in tale situazione il Comune è tenuto a verificare la sussistenza dei requisiti oggettivi ed oggettivi alla stregua dei criteri e dei principi fissati dalle norme a tutela della sicurezza della viabilità, dell'ambiente e del paesaggio, come da consolidata giurisprudenza. Ha anche rilevato che il mancato esame sine die delle istanze dei privati si tradurrebbe in una limitazione del diritto di iniziativa economica di cui all'art. 41 Cost., e che conseguentemente i Comuni, nelle more di definire gli atti generali, sono tenuti ad avviare e definire l'istruttoria delle istanze presentate, rilasciando eventualmente autorizzazioni provvisorie.
In disparte la circostanza che il regolamento risultava adottato (con allegato il Piano generale degli impianti), ad avviso del T.A.R. “la duplice motivazione del diniego non può essere condivisa, in quanto - a prescindere dall'esistenza del regolamento in materia - in ogni caso il ritardo imputabile all'ente locale in ordine all'approvazione degli atti generali in tale materia (o alla modifica degli stessi) non può costituire una valida motivazione per respingere le istanze di autorizzazione”. Tra l’altro, i giudici hanno rilevato che, nonostante la precisa richiesta istruttoria, “non sono noti … i tempi dell'approvazione del regolamento per l'installazione di insegne e di altri mezzi pubblicitari, al quale si fa esplicito riferimento nell'atto impugnato”. Per le stesse ragioni, non è stato ritenuto un valido ostacolo all'esame dell'istanza la circostanza che il Comune non avesse costituito l'apposita Commissione, non potendo, all'evidenza, un contegno inerte rispetto ad un preciso adempimento amministrativo ricadere nella sfera giuridica degli operatori del settore.
Il Consiglio di Stato, sez. V – 22/1/2015 n. 273 ha poi confermato la sentenza del T.A.R. Veneto, sez. II – 17/1/2014 n. 47 (che ha richiamato lo specifico precedente reso sul medesimo punto controverso dal Consiglio di Stato, sez. IV – 19/3/2008 n. 1188) la quale ha assodato la perdurante violazione, da parte della Regione Veneto, dell'obbligo di approvare il piano regionale dell'attività di cava (PRAC) nel termine sancito dal combinato disposto degli artt. 7 e 42 della L.r. 44/82 (dodici mesi dall'entrata in vigore della legge regionale), e ha ordinato alla Regione di procedere all'approvazione del PRAC entro un anno dalla comunicazione o notificazione della sentenza. Secondo i giudici d’appello “il tenore testuale dell'art. 2, L. n. 241 del 1990 (il cui comma 8 consente il ricorso all'azione ex art. 31 c.p.a.), fa si che la norma sancita sia applicabile anche al procedimento di formazione degli atti generali, pianificatori o programmatori: infatti, l'art. 13 della medesima legge - che espressamente concerne la disciplina applicabile agli atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione … esclude per i procedimenti diretti alla emanazione dei suddetti atti unicamente l'applicazione delle disposizioni contenute nel Capo III della stessa legge (artt. da 7 a 13); a contrario, dunque, detto art. 13 conferma che le disposizioni degli altri capi della legge - e, in particolare, per quanto qui rileva quelle del Capo I, tra cui è compreso l'art. 2 - si applicano anche ai procedimenti destinati a sfociare nell'emanazione di atti generali e pianificatori”.
E’ stato osservato che la mancanza di un pregiudizio specifico – patito dal Consorzio specie per gli anni pregressi in cui l'attività di impresa è stata esercitata in virtù della disciplina transitoria (come tutt'ora accade) – non assolve la Regione dall'obbligo di provvedere all'approvazione del Piano, e che in ogni caso le imprese di settore hanno tutto l'interesse a salvaguardare de futuro gli eventuali residui margini di potenzialità estrattive delle aree nella loro disponibilità.
In applicazione di tale indirizzo T.A.R. Campania Napoli, sez. VI – 16/3/2016 n. 1434 ha affrontato il caso di un atto di diffida a un Comune, volto ad ottenere l'adozione di una “delibera consiliare che stabilisca, in concreto, i criteri di assegnazione degli immobili acquisiti al patrimonio comunale ai sensi dell'art. 1, comma 65 della L.R. Campania n. 5 del 2013, riconoscendo precedenza a coloro che, come le intimanti, anche nel tempo dell'eventuale acquisizione, occupavano il cespite”. Le ricorrenti, all’esito di un contenzioso giurisdizionale, dovevano eseguire due ordini di demolizione rimasti inottemperati. Le opere abusive sono state ipso jure acquisite al patrimonio comunale, e dunque a loro avviso sussisteva “… l'interesse a che il Comune adotti i criteri di assegnazione dei cespiti acquisiti al patrimonio comunale con precedenza per gli occupanti previsti dall'art. 1, comma 65 della L.R. n. 5 del 2013”. Essendo rimasto inerte l'ente locale, le ricorrenti hanno adito il T.A.R. per sentir dichiarare l'illegittimità della condotta omissiva tenuta dall'amministrazione.
Secondo il T.A.R., accertati la legittimazione e l'interesse ad agire delle ricorrenti, deve affermarsi che il Comune è venuto meno ad un puntuale obbligo di provvedere previsto dalle disposizioni regionali (adottare i criteri in questione entro 90 gg. dalla entrata in vigore della legge).
Il giudice di prime cure ha ritenuto superata la giurisprudenza che confinava il rimedio del silenzio inadempimento alla sola attività amministrativa di natura provvedimentale (ossia finalizzata all'adozione di atti destinati a produrre effetti nei confronti di specifici destinatari) escludendo, quindi, detto rimedio per gli atti generali (assimilati in questo senso agli atti di natura regolamentare) perché indirizzati ad una pluralità indifferenziata di destinatari. In proposito ha richiamato la pronuncia del Consiglio di Stato (n. 273/2015) e l’art. 13 della L. 241/90, il quale “conferma che le disposizioni dei capi diversi dal II° della L. 241/90 – e, in particolare per quanto qui rileva quelle del Capo I, tra cui è compreso l'art. 2 – si applicano anche ai procedimenti destinati a sfociare nell'emanazione di atti generali e pianificatori”.
In applicazione dei suddetti principi il T.A.R. ha ritenuto sussistente l'obbligo del Comune di provvedere in ordine all'adozione dei criteri previsti dall'art. 1 comma 65 della L.r. 5/2013, e ha quindi riconosciuto l'illegittimità del silenzio serbato dall'amministrazione sulla diffida inoltrata dalle ricorrenti. Ha quindi ordinato di concludere il procedimento con l'adozione dei criteri in questione nel termine di novanta giorni dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.
Può essere citato infine il caso di un operatore di infrastrutture di telecomunicazioni che, per ammodernare i propri impianti (adeguamento alla tecnologia 5G) ha avviato la ricerca di un sito per l’allocazione di una nuova Stazione Radio Base (SRB), così da garantire la copertura di rete in un Comune. Dopo aver concertato con quest’ultimo la localizzazione, otteneva nell’aprile 2020 sia il permesso di costruire che l’autorizzazione unica. Ma quel punto l’Ente locale non ha più formalizzato la concessione dell’area, e l’impresa ha preso cognizione di una deliberazione giuntale da poco pubblicata che statuiva di non concedere alcun sito di proprietà dell’Ente locale in attesa di adottare il “Piano comunale degli impianti per la telefonia mobile e servizi integrativi”, e comunque fino al mese di febbraio 2021.
Il T.A.R. Emilia Romagna Bologna, nella sentenza della sez. II – 23/3/2021 n. 287 ha ripercorso l’ampia giurisprudenza che:
• assimila – per effetto dell’art. 86 del D. Lgs. 259/2003 – le infrastrutture di reti pubbliche di TLC alle opere di urbanizzazione primaria, per cui le stesse sono in generale compatibili con ogni destinazione urbanistica e, dunque, con ogni zona del territorio comunale (Consiglio di Stato, sez. VI – 3/8/2018 n. 4794 e i precedenti ivi citati);
• esclude che i criteri per la localizzazione possano esser adoperati quale misura, più o meno surrettizia, di tutela della popolazione da immissioni elettromagnetiche, che l’art. 4 della L. 36/2001 riserva allo Stato ;
• rinviene l’interesse pubblico perseguito con la disciplina di settore nella garanzia di una costante e/o continua ed omogenea erogazione del servizio pubblico di telefonia mobile, in modo da ottenere un'uniforme copertura e/o un dimensionamento ottimale di tale servizio pubblico su tutto il territorio nazionale, capace di collegare con un livello qualitativo accettabile gli utenti in qualsiasi parte del territorio e perciò anche durante il loro movimento ed all'interno degli edifici" (T.A.R. Campania Salerno, sez. I – 30/9/2020 n. 1245, che richiama T.A.R. Basilicata –19/5/2018 n. 337; si veda anche Consiglio di Stato, sez. VI – 3/6/2019 n. 3679).
Ha rammentato, in particolare, il T.A.R. che, ai sensi dell'art. 8 comma 6 della L. 36/2001, i Comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, e dettare regole a tutela di particolari zone e beni di pregio paesaggistico o ambientale o storico-artistico o anche per la protezione di zone sensibili, ma non anche imporre limiti generalizzati all'installazione degli impianti, incompatibili con l’interesse pubblico alla copertura di rete del territorio nazionale (T.A.R. Veneto, sez. III – 11/5/2020 n. 442; T.A.R. Lombardia Milano, sez. I – 24/3/2020 n. 546; T.A.R. Abruzzo L’Aquila – 18/9/2020 n. 311): tuttavia, come ha sottolineato T.A.R. Marche – 18/1/2021 n. 42 “La pianificazione comunale deve consentire "...una sempre possibile localizzazione alternativa..." (Cons. Stato n. 2073/2017) e comunque "...a condizioni tecnicamente ed economicamente sostenibili..." (Cons. Stato n. 3853/2017); … in quanto sostanzialmente preordinato alla tutela della salute, il divieto di installazione in zone omogenee non costituisce attribuzione che l'amministrazione comunale può autonomamente esercitare”.
Da ultimo, il Tribunale adito ha richiamato l’art. 82 comma 2 del D.L. 18/2020 conv. in L. 27/2020, ai sensi del quale – per fronteggiare la crescita dei consumi dei servizi e del traffico sulle reti nel periodo di pandemia – “Le imprese che svolgono attività di fornitura di reti e servizi di comunicazioni elettroniche, autorizzate ai sensi del capo II del titolo II del codice di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, intraprendono misure e svolgono ogni utile iniziativa atta a potenziare le infrastrutture e a garantire il funzionamento delle reti e l'operatività e continuità dei servizi”.
Ha infine evocato l’art. 8 comma 6 della L. 36/2001 novellata (per effetto dell’art. 38 comma 6 del D.L. 76/2020 conv. in L. 120/2020) per cui “I comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici con riferimento a siti sensibili individuati in modo specifico, con esclusione della possibilità di introdurre limitazioni alla localizzazione in aree generalizzate del territorio di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche di qualsiasi tipologia e, in ogni caso, di incidere, anche in via indiretta o mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità, riservati allo Stato ai sensi dell'articolo 4”.
Il giudice di prime cure ha intanto osservato che “la scelta di soprassedere a ogni istanza di concessione di aree collide con lo stato avanzato del procedimento e con l’avvenuto rilascio del titolo edilizio e dell’autorizzazione unica, che individuano un preciso sito idoneo a ospitare l’impianto …”. Ha poi rilevato che la potestà di autotutela spettante in via generale alla pubblica amministrazione “… incontra il limite del rispetto dei principi di buona fede e correttezza, e della tutela dell'affidamento ingenerato” e nel caso di specie la condotta dell’amministrazione aveva suscitato in capo alla ricorrente il logico affidamento nel conseguimento del bene della vita, dal momento che erano stati rilasciati i titoli necessari e residuava la sola concessione del bene già individuato come idoneo a ospitare l’impianto.
Sul profilo della sospensione del procedimento, è stata richiamata la pronuncia del T.A.R. Sicilia Catania, sez. I – 24/12/2020 n. 3561, secondo il quale <<ferma la potestà regolamentare dei Comuni ... nelle more dell'adozione dei regolamenti, non può ritenersi sussistere un potere, generale ed assoluto, di sospensione della realizzabilità degli interventi di che trattasi (in questo senso, Cons. Stato, Sez. VI, 27 dicembre 2010, n. 9414). Non può frapporsi, quindi, al rilascio dell'autorizzazione, l'assenza di una regolamentazione ad hoc a livello comunale della materia specifica, posto che le norme di legge di riferimento, ovvero gli artt. 86 ed 87 del D.Lgs. n. 259 del 2003, sono inequivocabilmente ispirate a finalità acceleratorie di favore per la pronta e spedita realizzazione della rete di telefonia mobile. Come rilevato da costante giurisprudenza ..., le suddette norme non prevedono alcuna sospensione della funzione amministrativa autorizzatoria; sospensione peraltro non contemplata nemmeno dalle norme in materia edilizia e palesemente contrastante con i fondamentali principi di indefettibilità e di continuità della funzione pubblica. Del resto, se è vero che la pianificazione del territorio spetta agli Enti locali, la giurisprudenza già da tempo ha escluso che la realizzazione degli impianti in questione possa restare subordinata ad un espresso intervento pianificatorio del Comune, in quanto ciò costituirebbe un serio ostacolo alla realizzazione della rete" (Tar Campania, Napoli, Sez. VII, n. 2441/2019; cfr. anche Cons. Stato, sez. VI, n. 1767/2008)>>.
Il T.A.R. ha aggiunto due ulteriori considerazioni. Anzitutto, il Comune era già dotato di un regolamento che individua i criteri localizzativi degli impianti di telecomunicazioni e, in secondo luogo, l’incarico per la redazione del nuovo Piano risultava affidato con atto divenuto esecutivo l’1/2/2021, con conseguente verosimile prolungamento del termine di “salvaguardia” fissato dalla deliberazione impugnata. E’ stata quindi accolta la domanda caducatoria.
D) CONCLUSIONI
La pubblica amministrazione, anche nell’attività di programmazione, non può invocare una sconfinata libertà di azione, ma deve interfacciarsi con gli interessi dei soggetti privati che a vario titolo vantano un interesse o un’aspettativa non generica all’introduzione delle regole generali della sua azione. Anche nella prospettiva della “ripartenza” generata dagli strumenti legislativi di attuazione del PNRR, le amministrazioni sono chiamate a compiere uno sforzo, per adottare gli strumenti di pianificazione di rispettiva competenza entro i tempi predefiniti (o comunque ragionevoli).