Autogoverno dei Magistrati e rispetto della legge. Il caso dei "fuori ruolo"

dalla Redazione • 30 novembre 2022

La legge n. 190 del 2012, definita anche legge anticorruzione o legge Severino, tutt’ora vigente, all’art. 1, commi da 68 a 72, detta una prima disciplina organica in materia di incarichi che devono essere svolti dai magistrati con contestuale collocamento in posizione di fuori ruolo.

Il legislatore ha posto dei limiti volti ad evitare il maturare di carriere dei magistrati parallele a quelle istituzionali, che sottraggono risorse dall’esercizio delle funzioni giurisdizionali.

A questo fine è stato previsto che: 

- “i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, gli avvocati e procuratori dello Stato non possono essere collocati in posizione di fuori ruolo per un tempo che, nell'arco del loro servizio, superi complessivamente dieci anni, anche continuativi” (art. 1, comma 68);

- che tali limiti “si applicano anche agli incarichi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge” (art. 1, comma 69).

- che solo per una determinata categoria di incarichi (ovvero quelli relativi a funzioni non giudiziarie presso la Presidenza della Repubblica, la Corte costituzionale, il Consiglio superiore della magistratura e agli incarichi elettivi) “anche se conferiti successivamente all'entrata in vigore della presente legge, il termine di cui al comma 68 decorre dalla data di entrata in vigore della presente legge” (art.1, comma 71).

Tali disposizioni sono state interpretate sia dal Consiglio superiore della magistratura che dal Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa nel senso di computare nel termine dei 10 anni sia gli incarichi in corso alla data di entrata in vigore della legge, sia gli incarichi svolti nel periodo antecedente.

L’art. 108 (Limite decennale alla durata complessiva del collocamento fuori ruolo. Eccezioni) della circolare 13778 approvata dal CSM con delibera del 24 luglio 2014, esclude infatti dal computo dei dieci anni solo i periodi relativi allo svolgimento degli incarichi contemplati dal sopra citato comma 71 della legge Severino, disponendo che:

1. La durata complessiva del periodo fuori ruolo non può superare il periodo massimo complessivo di dieci anni, nell'arco del servizio, con esclusione degli incarichi di membri di Governo, delle cariche elettive, anche presso gli organi di autogoverno, di componenti delle Corti internazionali comunque denominate ai sensi della legge n. 190/2012. 

2. Per gli incarichi presso la Presidenza della Repubblica, la Corte Costituzionale e il CSM, il termine decennale decorre dal 28 novembre 2012, data di entrata in vigore della legge 6 novembre 2012, n. 190, ai sensi dell’articolo 1, comma 71”.

Analogamente, il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, con delibera del 10 maggio 2013 (“Recepimento della legge 6 novembre 2012, n. 190 – disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”) ha stabilito all’art 8 comma 2, che “Il termine di durata massima decennale del fuori ruolo (continuativo o meno che sia), previsto dall’art. 1, comma 68, della legge n. 190/2012, si applica agli incarichi apicali e semiapicali svolti prima dell’entrata in vigore della legge o comunque in corso di svolgimento al momento della entrata in vigore della menzionata legge (28 novembre 2012)”.

Ai successivi commi 4 e 5, viene altresì precisato che “Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano anche nei casi in cui il termine di durata massima decennale maturi dopo l’entrata in vigore della legge n. 190/2012”, e che “Non si applica alla magistratura amministrativa la disposizione di cui all’art. 1, comma 71, della legge n. 190/2012”, che è l’unica disposizione, come sopra visto, che eccezionalmente prevede solo per una determinata categoria di incarichi la non computabilità dei periodi pregressi già svolti e non più in corso alla data di entrata in vigore della legge.

Tuttavia, il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nella recente seduta del 25 novembre 2022, ha approvato una delibera con la quale ha affermato di ritenere autorizzabili (ed in base alla quale ha autorizzato) degli incarichi fuori ruolo anche per i magistrati che hanno già superato il limite di dieci anni.

Il provvedimento viene motivato con riferimento ad una situazione di mancata chiarezza del quadro normativo conseguente all’entrata in vigore della legge n. 71 del 2022, e del decreto legge n. 146 del 2021.

Questo è il testo della delibera:

Considerato che il legislatore con la l. 17 giugno 2022 n. 71 ha dato delega al Governo per la rivisitazione della disciplina relativa al collocamento fuori ruolo dei magistrati amministrativi;

rilevato che nelle more dell’esercizio della detta delega si registra una situazione di complessità del quadro normativo, in relazione ai limiti vigenti in ordine al collocamento fuori ruolo dei magistrati amministrativi;

rilevato che il legislatore ha inteso valorizzare a più riprese la necessità di centrare gli obiettivi del PNRR, introducendo disposizioni derogatorie rispetto all’utilizzo delle risorse professionali in amministrazioni diverse da quelle di servizio, consentendone un’eccezionale mobilità. Considerato quanto disposto dall’art. 12 del d.l. 21 ottobre 2021 n. 146, che introduce ampie deroghe in relazione al personale che a qualunque titolo presta servizio presso le amministrazioni titolari di interventi previsti nel PNRR.

Considerato che il Presidente del Consiglio di Stato ha adottati decreti in via d’urgenza, con i quali è stato autorizzato il fuori ruolo, decreti che spetta a questo Consiglio ratificare;

valutato, pertanto, che, in attesa delle determinazioni che il Governo e il Parlamento adotteranno rispetto alla disciplina delle autorizzazioni degli incarichi di fuori ruolo concesse e da concedere, ritiene che, allo stato, le stesse siano nei sensi sopra indicati in ragione di ciò autorizzabili.

La presente delibera trova applicazione anche ai magistrati in atto collocati fuori ruolo, ai quali va data comunicazione di quanto sopra deliberato. Si precisa che la presente delibera è assunta in relazione a questo stretto momento temporale e mantiene valore in attesa dell’esercizio della delega da parte del Governo.

Nei sensi sopra indicati il Consiglio di Presidenza decide di deliberare”.

Si tratta di un provvedimento che suscita più di un dubbio e perplessità dal punto di vista giuridico, dal momento che il quadro normativo sopra delineato è tutt’ora vigente, e non sembra per nulla scalfito dalle norme richiamate nella delibera.

Ma vediamo nel dettaglio.

L’art 12, comma 1 bis, del decreto legge n. 146 del 2021 stabilisce che “Al personale che a qualunque titolo presta servizio presso le amministrazioni titolari di interventi previsti nel PNRR, ovvero nel Piano nazionale per gli investimenti complementari di cui all'articolo 1 del decreto-legge 6 maggio 2021, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° luglio 2021, n. 101, si applicano fino al 31 dicembre 2026 anche le disposizioni di cui al comma 5-bis dell'articolo 9 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303”. 

L’art. 9, comma 5 bis, del decreto legge n. 303 del 1999 prevede a sua volta che “Il collocamento fuori ruolo, per gli incarichi disciplinati dall'articolo 18, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, è obbligatorio e viene disposto, secondo le procedure degli ordinamenti di appartenenza, anche in deroga ai limiti temporali, numerici e di ogni altra natura eventualmente previsti dai medesimi ordinamenti”.

Nella sopra citata delibera del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa del 10 maggio 2013, alla Tabella A viene chiarito che per gli incarichi presso la Presidenza del consiglio dei ministri Segretario generale, Vicesegratario generale e Capo dipartimento, si applica l’art 9, comma 5 bis, del D.lgs. n. 303 del 1999, in relazione agli incarichi di cui all’art. 18, comma 3, della legge n. 400 del 1988, e che gli stessi comportano obbligatoriamente il fuori ruolo, in deroga ai vigenti limiti numerici e temporali.

E’ tuttavia stato apposto un asterisco del seguente tenore “* Per questi incarichi rimane comunque fermo il limite temporale massimo dei dieci anni in fuori ruolo, in quanto previsto da una disciplina generale di rango primario (legge n. 190/2012), che riguarda tutte le magistrature e che, pertanto, è insensibile alla clausola derogatoria prevista dall’art. 9, co. 5 bis cit., che deroga ai soli limiti previsti dagli ordinamenti di appartenenza”. 

Di conseguenza, da sempre e senza incertezze, le norme richiamate dalla delibera del 25 novembre 2022 sono state interpretate, dallo stesso Organo di autogoverno, nel senso che per le magistrature prevale comunque il limite temporale previsto dalla legge speciale successiva (la legge n. 190 del 2012), rispetto alla disposizione antecedente applicabile in via generale al restante pubblico impiego (il d.lgs. n. 303 del 1999).

In definitiva, contrariamente a quanto affermato nella delibera de qua, alla luce dei vigenti indirizzi interpretativi dettati dallo stesso Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, non risulta esservi nessuna incertezza interpretativa o applicativa derivante dall'art 12, comma 1 bis, del decreto legge n. 146 del 2021.

Parimenti, non risulta comprensibile il riferimento contenuto nella delibera del 25 novembre 2022 alla legge 17 giugno 2022, n. 71 (c.d. riforma Cartabia).

Si tratta di una norma che, nel dettare i principi ed i criteri direttivi per l’adozione di un decreto legislativo che riordini l’istituto del "fuori ruolo" dei magistrati, ha introdotto all’art. 5, comma 1, lett. g), limiti ancora più restrittivi, riducendo il limite temporale "ordinario" da dieci a sette anni.

In conclusione, se la Legge Severino mira effettivamente “a porre un limite temporale complessivo alla possibilità del magistrato di svolgimento di funzioni non giudiziarie, a tutela dell’esigenza di salvaguardia della primazia dell’impegno professionale nell’esercizio della funzione giurisdizionale nell’arco della carriera, evitando un allontanamento complessivo del magistrato dalla giurisdizione per un periodo complessivo, anche non continuativo, superiore a quello fissato dal legislatore” (così come egregiamente sintetizzato dal T.A.R. per il Lazio, Roma, Sez. I quater, in data 22 aprile 2014, n. 4345), la delibera del 25 novembre 2022 viene adesso a confliggere in modo non adeguatamente motivato con la pregressa delibera del 10 maggio 2013, applicativa della legge tutt’ora vigente, introducendo una disciplina derogatoria, temporanea e straordinaria, di dubbio fondamento.

Si tratta di una soluzione che desta preoccupazione, perché potenzialmente idonea ad indebolire la funzione dell’autogoverno, che per essere autorevole e credibile dovrebbe limitarsi a garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura in conformità alle leggi che disciplinano lo status dei magistrati, senza invasioni di campo rispetto agli altri poteri dello Stato, e in primis rispetto al potere legislativo.

Non risulta peraltro che un’analoga intempestiva determinazione sia stata assunta dagli organi di autogoverno della magistratura ordinaria, contabile e tributaria, né che la deroga ai limiti temporali stabiliti dal legislatore costituisca un tema in discussione nell'ambito delle altre magistrature.

Resta da capire se questo discutibile "passaggio" resterà privo di risposte ufficiali da parte di chi ha - o dovrebbe - avere a cuore il rispetto della legge anche da parte dei massimi garanti del buon andamento del potere giudiziario, o se il complessivo silenzio che ha per il momento accompagnato negli ambienti vicini agli addetti ai lavori la decisione di aggirare gli ostacoli legislativi sarà rotto da una riflessione e da una presa di posizione chiara da parte delle associazioni dei magistrati amministrativi.