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Bigenitorialità e violenza domestica

27 novembre 2022

Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 10 novembre 2022 - Ricorso n. 25426/20


IL CASO

Una madre e i suoi due figli minori hanno chiesto la condanna dello Stato italiano ad un’equa riparazione per non averli protetti e assistiti dal padre violento.

La madre ha altresì denunciato la decisione degli organi giudiziari che si sono occupati del caso, per averla “sospesa” dalla potestà genitoriale, in considerazione di una presunta ostilità nei confronti del padre, che in realtà sarebbe stato il tentativo estremo di tutelare l’interesse dei minori.

Nel merito, la complessa vicenda ha avuto origine nel 2014, quanto la donna lasciò la casa di famiglia con i suoi figli a causa delle violenze subìte da parte del padre di costoro, che era tossicodipendente e alcolizzato.

Il procedimento giudiziario interno nacque con una querela della madre dei minori, la quale nel frattempo si era rifugiata in un centro antiviolenza; la Procura competente intervenne con la richiesta di adozione di una misura urgente di sospensione della responsabilità genitoriale dell’uomo a cui fu associata la possibilità, per quest'ultimo, di incontrare i figli in ambiente protetto.

Nel 2015, il Tribunale che procedeva sulle vicende dei minori constatò che il padre non vedeva più i suoi figli da molto tempo, e lo autorizzò a incontrarli in forma «rigorosamente protetta» presso i servizi sociali di Roma una volta alla settimana, in presenza di uno psicologo.

Questi incontri non furono peraltro mai organizzati per mancanza di risorse, e il Tribunale competente, dopo aver preso atto dell'impossibilità per i servizi sociali di Roma di organizzare gli incontri, dispose che questi si svolgessero alla presenza di uno psicologo nella casa di accoglienza in cui era ospitata la mamma dei bambini, rivelando così il luogo in cui l'interessata e i suoi figli si erano rifugiati.

Nel frattempo, con l'accordo dei servizi sociali e del centro antiviolenza, la donna si trasferì con i suoi figli presso i suoi genitori in altro Comune e acconsentì ad accompagnare i bambini agli incontri in ambiente protetto organizzati una volta alla settimana in un Comune situato a una sessantina di chilometri di distanza.

Tuttavia, e di ciò fu informato il Tribunale che gestiva la pratica, gli incontri si svolsero senza alcuna forma di protezione e i bambini furono testimoni del comportamento sprezzante del padre nei confronti della madre.

In particolare, ci furono una serie di incontri in presenza di un operatore dei servizi sociali, e non di uno psicologo, e l’uomo tenne in tali incontri, come da segnalazione dei servizi sociali che seguivano il caso, un comportamento inappropriato con i suoi figli, ai quali si rivolgeva con frasi denigratorie e offensive nei confronti della madre. 

La donna, che aveva nel frattempo trovato lavoro in un negozio, non accompagnò i suoi figli agli incontri successivi, di modo che il padre presentò querela contro di lei per mancata esecuzione di un provvedimento del giudice e sottrazione di minori.

Il Tribunale, a quel punto, senza sentire l'unico assistente sociale a conoscenza di tutta la vicenda – e che era stato presente ai turbolenti incontri con i bambini -, ritenendo che la donna si era opposta senza giustificazioni agli incontri del padre con i figli, decise di sospendere la responsabilità genitoriale di entrambi i genitori, e non solo dell’uomo, il quale nel frattempo era stato rinviato a giudizio per maltrattamenti e minacce contro la madre. 

Un mese dopo la sospensione della responsabilità genitoriale della donna, peraltro, altro tribunale dispose l’affidamento a quest'ultima in via esclusiva dei suoi figli, e ordinò lo svolgimento degli incontri secondo le prescrizioni del tribunale per i minorenni.

Nonostante ciò, la Corte d'appello di Roma respinse il ricorso dell'interessata contro la decisione di sospensione della sua responsabilità genitoriale, sottolineando che quest'ultima non aveva rispettato il diritto del padre dei bambini alla bigenitorialità.

Nell’anno 2017 fu inviata al tribunale una relazione sullo svolgimento degli 11 incontri, nella quale si sottolineava che l’uomo continuava ad avere degli sfoghi verbali contro la prima ricorrente, che parlava male di lei con i suoi figli e che non era disposto a conformarsi alle indicazioni degli assistenti sociali.

Fu in particolare segnalato al tribunale che il soggetto non poteva controllare la sua collera, e che ciò esponeva i bambini a un grande stress.

Subito dopo, fu archiviata la denuncia penale contro la madre dei bambini per mancata esecuzione di un provvedimento giudiziale sul presupposto che la donna non aveva boicottato gli incontri dei figli con il padre ma semplicemente preteso che gli stessi si svolgessero in luoghi e condizioni che ne garantissero l'assoluta, necessaria sicurezza.

Nell’anno 2018 fu inviata al tribunale un'altra relazione in cui si indicava che l’uomo aveva dovuto essere allontanato due volte dalla sala degli incontri perché aveva manifestato un comportamento aggressivo – anche fisicamente – contro il personale e gli oggetti che vi si trovavano. Nella relazione si riteneva che non fosse possibile proseguire gli incontri, poiché la sicurezza dei bambini e degli operatori non era garantita.

Addirittura, la psicologa che aveva redatto la relazione chiese di spostare gli incontri in un'altra stanza del piano terra affinché le persone interessate potessero fuggire facilmente per proteggersi e proteggere i bambini dalla violenza del padre.

Con decisione del maggio 2019, il tribunale reintegrò la prima ricorrente nella sua responsabilità genitoriale e dichiarò la decadenza dell’uomo dalla sua responsabilità genitoriale, con pronuncia confermata dalla Corte d’appello di Roma, la quale tenne a sottolineare che l’uomo, con i suoi comportamenti aggressivi, distruttivi e sprezzanti durante gli incontri, aveva violato il suo stesso diritto di garantire ai figli una crescita sana e serena.


LA DECISIONE

I ricorrenti hanno affermato di essere state vittime di violenze domestiche, e hanno contestato alle autorità di non aver adottato le misure necessarie e appropriate per proteggerli, sebbene le autorità stesse fossero state avvisate varie volte della mancanza di sicurezza degli incontri tra i bambini e il loro padre violento, tossicodipendente e alcolizzato.

A loro modo di vedere, gli incontri padre-figli non si sarebbero svolti nella forma protetta prescritta dal tribunale, e l'omissione delle autorità a tale riguardo li avrebbe esposti a nuove violenze.

Inoltre, la madre ha lamentato di essere stata definita «genitore non collaborativo», e di avere subito una sospensione della sua responsabilità genitoriale soltanto per aver voluto proteggere i suoi figli, evidenziando la mancanza di sicurezza degli incontri. Avrebbe dunque subìto una vittimizzazione secondaria, nel momento in cui le sue argomentazioni non erano state prese in considerazione.

La Corte adita ha preliminarmente ricordato che la sospensione della responsabilità genitoriale costituisce un’ingerenza nel diritto al rispetto della vita familiare ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione. Una tale ingerenza viola questo articolo a meno che non sia «prevista dalla legge», non persegua uno o più scopi legittimi tra quelli indicati nel paragrafo di tale disposizione, e non sia considerata una misura «necessaria in una società democratica».

La Corte ha ricordato anche che, per quanto riguarda la vita familiare di un minore, esiste attualmente un ampio consenso – anche nel diritto internazionale – intorno all’idea che in tutte le decisioni che riguardano dei minori, il loro interesse superiore deve prevalere, di modo che, nei contenziosi in cui gli interessi del minore e quelli dei suoi genitori siano in conflitto, per rispettare il suddetto articolo 8 è necessario che le autorità nazionali garantiscano un giusto equilibrio tra tutti questi interessi e che, nel farlo, attribuiscano una particolare importanza all’interesse superiore del minore che, a seconda della sua natura e complessità, può avere la precedenza su quello dei genitori Invero, secondo la Corte, la recisione del legame tra il minore e la sua famiglia, nel caso in cui in cui quest’ultima o un suo componente si siano dimostrati particolarmente indegni, siccome significa tagliare al figlio le sue radici, può essere giustificata soltanto da circostanze del tutto eccezionali, e deve comunque essere fatto il possibile per mantenere le relazioni personali e, se del caso, al momento opportuno, «ricostruire» la famiglia.

D’altra parte, per garantire al minore uno sviluppo in un ambiente sano, non è tollerabile l'esercizio da parte di uno dei genitori della facoltà di adottare misure pregiudizievoli per la salute e lo sviluppo di suo figlio, mentre, sotto un profilo procedurale, i genitori stessi devono prendere sufficientemente parte al processo decisionale, considerato complessivamente, affinché si possa ritenere che abbiano beneficiato della protezione richiesta dei loro interessi e siano pienamente in grado di "presentare" la loro causa.

Di conseguenza, le giurisdizioni nazionali devono procedere a un esame approfondito della situazione familiare nel suo complesso e di tutta una serie di elementi, in particolare di ordine fattuale, affettivo, psicologico, materiale e sanitario, e procedere ad una valutazione equilibrata e ragionevole dei rispettivi interessi di ciascuno, cercando costantemente di determinare quale sia la migliore soluzione per il minore, considerazione che assume un'importanza fondamentale in tutte le cause.

Nel caso di specie, la Corte Europea ha constatato che i minori coinvolti nel conflitto padre-madre sono stati costretti a incontrare per lungo tempo il primo in condizioni che non erano rassicuranti e non garantivano la loro tranquillità e il loro sviluppo, sebbene il tribunale fosse stato avvertito che l’uomo non seguiva più il suo programma di disintossicazione, e che il procedimento penale avviato nei suoi confronti per maltrattamenti era ancora pendente.

Tuttavia, il tribunale procedente, pur essendo stato informato anche del fatto che i minori avevano bisogno di seguire un percorso di sostegno psicologico, non ha tenuto conto del loro benessere, tanto più che gli incontri con il padre li hanno esposti sia a essere testimoni delle violenze commesse nei confronti della madre, sia a subire violenze dirette a causa dell'aggressività del loro padre.

La Corte ha ritenuto in particolare incomprensibile il motivo per cui i Giudici nazionali avevano nel caso di specie deciso di far proseguire gli incontri, sebbene il benessere e la sicurezza dei minori non fossero garantiti, senza mai bilanciare i diversi interessi in gioco, e comunque senza far prevalere l'interesse superiore dei minori  sull'interesse del padre a mantenere dei contatti con loro.

Ne è scaturito un turbamento dell'equilibrio psicologico ed emotivo dei bambini, come riconosciuto infine dalla stessa Corte d'appello di Roma nel 2019, quanto è stato definitivamente accertato che il padre, con i suoi comportamenti aggressivi, distruttivi e sprezzanti durante gli incontri, si era sottratto al suo dovere di garantire ai minori uno sviluppo sano e sereno.

Pertanto, secondo la Corte, vi è stata sicuramente violazione dell'articolo 8 della Convenzione nei confronti dei figli della ricorrente principale.

Quanto poi alla denuncia di violazione della CEDU proveniente direttamente dalla madre dei bambini, il Giudice europeo ha ritenuto che le decisioni dei giudici interni che avevano sospeso la responsabilità genitoriale della donna non avessero tenuto conto delle difficoltà che avevano caratterizzato lo svolgimento degli incontri e della mancanza di sicurezza segnalata varie volte dalle diverse parti che erano intervenute agli incontri, e che non erano stati presi in nessuna considerazione la situazione di violenza vissuta dalla donna e dai suoi figli e il procedimento penale pendente contro l’uomo per maltrattamenti.

In particolare, secondo la Corte adita, le autorità interne, nel caso di specie, non avrebbero giustificato con motivi pertinenti e sufficienti la sospensione per tre anni della responsabilità genitoriale della ricorrente, basandosi in modo apodittico sul comportamento asseritamente ostile di quest'ultima agli incontri e all'esercizio della bigenitorialità da parte del padre dei suoi figli, senza tenere conto di tutti gli elementi pertinenti del caso.

Il fatto che il Tribunale per i minorenni e la Corte d'appello che si erano occupati in prima battuta della vicenda non avessero giustificato con motivi sufficienti e pertinenti la loro decisione di sospendere la responsabilità genitoriale della prima ricorrente nel periodo compreso tra il 2016 e il 2019 aveva dunque configurato la violazione dell'articolo 8 della Convenzione anche nei confronti della madre dei due bambini.

In definitiva, dunque, il Giudice europeo, una volta ritenuta accertata la violazione della Convenzione, ha deciso che i due ricorrenti minori abbiano subìto un pregiudizio morale che non può essere riparato dalla semplice constatazione di violazione dell'articolo 8 della Convenzione (con corresponsione in loro favore di una somma di € 7.000 per danno morale), mentre, per ciò che concerne la ricorrente principale – madre dei due minori – è stato ritenuto che, essendo i suoi figli rimasti con lei per tutta la durata della misura di sospensione della responsabilità genitoriale, la constatazione di violazione fosse sufficiente per compensare il pregiudizio morale subìto dall'interessata.



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