Michel Platini è stato assolto dall'accusa di truffa a danno della Fifa. Il Tribunale penale federale di Bellinzona non ha accolto le richieste della pubblica accusa che, lo scorso 15 giugno, aveva chiesto per lui un anno e otto mesi di reclusione (con la sospensione della pena). All'imputato, dichiaratosi sempre innocente, ora verrà riconosciuto un cospicuo risarcimento.
Lo abbiamo lasciato cosi lo scorso luglio, con i suoi iconici capelli mai pettinati e con questo scarno quanto desolante comunicato diramato a tutte le Agenzie Stampa del Pianeta.
Poi il desio. Il silenzio mediatico più cupo nei confronti di una sentenza che ha lasciato tutti gli operatori del Diritto a dir poco perplessi. Non c'è stato alcun reato, alcuna volontà delittuosa, alcuna condotta illecita, alcuna responsabilità penale né alcuna colpa. Semplicemente, pare che un uomo potentissimo, stimato da almeno 4 generazioni in tutto il mondo per la sua irripetibile capacità di calciare un pallone (ma soprattutto per la sua sagacia, la sua classe e la sua intelligenza prima in campo, poi dietro la scrivania), amato da molti, probabilmente invidiato da troppi, sia stato sacrificato sull'altare dello scandalo inesistente.
Il pubblico ministero della Confederazione elvetica aveva chiesto una condanna di un anno e otto mesi con la condizionale e due anni di libertà vigilata per frode nei confronti della FIFA. A finire sotto la lente d'ingrandimento giudiziario era stato un pagamento (una consulenza) di 2 milioni di franchi intascato nel 2011, che la Fifa aveva destinato all'ex presidente e plenipotenziario della Uefa (eletto nel 2007, rieletto nel 2011 e nel marzo 2015), prima ritenuto ingiustificato, quindi sospetto, poi illegale.
A Roi Michel erano stati contestati i reati di truffa, eventuale concorso in appropriazione indebita, e in subordine, di concorso in amministrazione infedele, sotto forma di complicità con altri soggetti, nonché di falso in documenti. Il p.m. aveva adombrato che si trattasse del possibile compenso per il sostegno di Platini al quarto mandato di Sepp Blatter (anch'egli assolto nello stesso processo), allora da 17 anni alla guida della Fifa.
Accuse sostenute per anni dal procuratore federale Thomas Hildbrand, respinte per insufficienza di prove.
Tesi accusatoria confermata nella lunga requisitoria finale, dove lo stesso si era impegnato a smontare l'argomento difensivo secondo cui i 2 milioni sarebbero stati versati in virtù di un "contratto orale", concluso tra i due imputati per un lavoro di consulenza svolto da Platini tra il 1998 e il 2002.
Blatter e Platini avevano firmato un rituale accordo scritto nell'agosto 1999, il quale prevedeva un emolumento di 300.000 franchi svizzeri all'anno interamente versati dalla Fifa, ma con una clausola che prometteva un sostanzioso aumento non quantificato nel caso in cui le finanze dell'organizzazione lo avessero permesso.
Platini, nel frattempo diventato presidente dell'Uefa, presentò nel 2011 una fattura da 2 milioni di franchi svizzeri, firmata da Sepp Blatter e presentata alla Fifa come saldo dello "stipendio". Secondo Hildbrand, questo era da considerarsi alquanto "strano", come è strano e "contrario alle normali pratiche commerciali" che una somma di due milioni sia stata trasferita senza traccia scritta, senza testimoni e senza mai elencarla nella contabilità.
Ma veniamo ai fatti antecedenti che sono degni di un'avvincente cine spy story.
Platini nel 2014 era uno degli uomini più "solidi nel consenso" d'Europa, se non del Mondo. Era nel pieno dei suoi anni migliori e non aveva sbagliato mai una partita importante nel corso della sua sfolgorante carriera da massimo politico del calcio. Ma la sua aurea travalicava lo sport e arrivava a lambire addirittura i confini della realpolitique, quella dell'Eliseo. Per un noto sondaggista televisivo francese dell'epoca, Michel nel momento dell'assegnazione degli Europei di calcio del 2016 alla Francia era di gran lunga l'uomo più amato d'Oltralpe e quello a cui ogni francese si sarebbe affidato in caso di necessità. Molti addetti ai lavori in giro per il globo, anche in Italia, congetturarono neppur tanto velatamente: se lui si candida per il dopo Hollande non c'è storia per nessuno.
A corollario di questa ipotesi, i suoi biografi raccontano che già agli albori del suo esilio forzato, cominciato nel dicembre 2015 con la squalifica da dirigente (8 anni, poi ridotti a 6 e poi ancora a 4 dal Tas di Losanna) e finito appunto l'8 luglio 2022 dopo quasi 7 anni, non si dava pace non tanto per la verità che prima o poi era sicuro sarebbe venuta a galla, ma per la sua carriera spezzata di acclamato politico in pectore, quasi altrettanto notevole quanto quella di fuoriclasse dei Bleus e della Juve.
Poco prima dello stop forzato pare avesse esternato agli intimi il suo progetto per il futuro: un nuovo governo del calcio mondiale con Emmanuel Macron, allora Ministro dell'Economia e delle Finanze ed enfant prodige della politica transalpina, al vertice.
Immaginava proprio una nuova Fifa, riveduta e corretta, con una figura a lui legata, autorevole e super partes, al comando.
Quando il rieletto Macron esaurirà il secondo mandato nel 2027 e lui sarà pienamente scagionato dalle accuse, appello permettendo, a quel punto il 70enne Platini potrebbe spostare l'asticella molto in alto e rilanciare. Riabilitato dalla sentenza della magistratura svizzera insieme all'illustre coimputato Sepp Blatter, le Roi rincoronato, potrebbe accarezzare l'idea di un ritorno sulla scena da protagonista assoluto.
Assicura chi non lo ha mai abbandonato nei tempi bui, che il primo step potrebbe essere tra qualche mese la corsa alla piena riabilitazione attraverso un ruolo che gli permetta di rientrare dalla porta principale: la presidenza della Fff, la federazione calcistica francese, oggi in mano al bretone Noël Le Graët, 80 anni, principale sostenitore europeo di Infantino.
Ma per ora sta unicamente optando per la rivincita sul campo giudiziario. Lo scomodo ex che ex non si sente affatto la persegue con la stessa spavalderia che aveva prima di battere una punizione dal limite dell'area; si ritiene vittima di un complotto di Infantino e vuole fargliela pagare.
Nel novembre 2021 lo ha denunciato penalmente presso la procura di Parigi per traffico di influenze illecite e la "causa" è in corso. La tesi dei legali di Platini è che l'inchiesta della magistratura svizzera sia stata appunto influenzata da Infantino, per fare deragliare il loro assistito nella gara per il vertice della Fifa.
Tecnicamente Platini punta innanzitutto al "risarcimento politico" per la carriera falciata, come dimostrò con il gesto di indice e pollice chiusi in cerchio all'indomani della sentenza ("zero, ecco i soldi che ho avuto dal Qatar"), e per respingere definitivamente l'altra accusa mediatica, quella di avere favorito da presidente Uefa l'assegnazione del Mondiale 2022 al Qatar.
Perché, a suo sostegno, nel frattempo sembra essersi totalmente ribaltato lo scenario rispetto alle inchieste sul pranzo all'Eliseo del novembre 2010 tra l'allora presidente della Repubblica, Nicolas Sarkozy, Platini e l'allora principe ereditario del Qatar, oggi emiro, Tamin bin Hamad al-Thani, dopo che due eventi "particolari" successivi scatenarono le illazioni dei media: l'acquisizione del Paris Saint-Germain da parte del fondo sovrano qatariota, che l'ha trasformata nella squadra più ricca del mondo, e l'assunzione del figlio di Platini, Laurent, di professione avvocato, da parte di Qatar Sports Investments, società organizzatrice del Mondiale arabo.
Per quello del 2018, assegnato alla Russia, ci si spinse addirittura a ipotizzare che Platini avesse accettato in dono dall'oligarca Alisher Usmanov una litografia di Picasso. Oggi le inchieste e i retroscena, giornalistici e non, stanno spostando l'obiettivo. E' Infantino, che nel frattempo si è trasferito a Doha, a doversi difendere dalle pesanti accuse rivoltegli sull'inquietante "vicenda Lauber". È emerso infatti nella ricostruzione processuale dei legali di Michel che Rinaldo Arnold, un avvocato elvetico ex compagno di scuola dell'attuale presidente della Fifa, nel luglio 2015 organizzò e presenziò ad almeno tre incontri tra Infantino e il capo della procura federale, Michael Lauber, nel frattempo dimessosi dall'incarico proprio per aver negato che quegli incontri fossero avvenuti.
Le prossime elezioni per la presidenza della Fifa sono vicine e si svolgeranno il 16 marzo 2023 a Kigali in Ruanda.
Non appare oggi in discussione la conferma di Infantino, che nel 2016 a Zurigo dopo la destituzione anticipata di Blatter per il cosiddetto Fifagate e l'annessa e suddetta sospensione del favorito Platini, sconfisse grazie alla spaccatura del fronte africano e arabo lo sceicco del Bahrain Salman Al Khalifa. L'attuale numero uno della Fifa, confermato a Parigi nel 2019 da candidato unico, punta con solide basi al terzo mandato consecutivo, che peraltro lui ritiene il secondo, perché il Blatter V non si completò a causa delle dimissioni nel 2015 e il suo primo ciclo (2016-2019) non è durato il canonico quadriennio.
Infantino può contare su un consistente blocco di voti, certamente alimentato dall'allargamento a 48 squadre del Mondiale a partire dalla prossima edizione di Usa-Canada-Messico 202. Un'estensione particolarmente gradita alle confederazioni asiatica e africana, perché la prima raddoppierà il contingente (da 4 a 8 Nazionali) e la seconda da 5 a 9. Difficile che voltino le spalle a chi le ha premiate.
Un ruolo determinante lo giocherà ovviamente l'Europa con l'Uefa di Ceferin, e ad oggi nessun altro candidato è uscito allo scoperto, tranne il solito guascone Michel, che nel gennaio scorso rivelò a Europe 1 il suo progetto più immediato: "Fare entrare il calcio nel patrimonio immateriale dell'Unesco è qualcosa di formidabile". Facile dedurre che il duello con Infantino sia appena cominciato. E non è più soltanto una questione di meriti.
Di certo ci sono tanti lati oscuri e non illuminati ancora a sufficienza. Da una parte e dall'altra. I troppi soldi guadagnati da Platini (senza traccia contrattuale) per una consulenza in un momento fondamentale per le sorti della Fifa. Dall'altra tante ombre. E se non ombre, lampi e tuoni cattivi all'orizzonte delle presidenze Infantino e Ceferin di FIFA E UEFA. La stessa FIFA nell'occhio del ciclone per i mondiali qatarioti dei diritti negati e dei morti senza nome, la stessa UEFA della faida Superlega, delle "palline sbagliate" nei sorteggi ripetuti in Champions League, del VAR che funziona "a intermittenza".
La riflessione giuridica che si impone al riguardo, allo stato della diatriba giudiziaria, è di tipo teoretico-dottrinale, al di là delle valutazioni tecnico-processuali. La Giustizia Sportiva, nazionale o internazionale che sia, può permettersi di fare "Giustizia" prima di quella Ordinaria in casi come questi? Può esistere una Giustizia che recide i più elementari diritti della difesa facendosi beffe delle più basilari forme di garantismo? Può coesistere una Giustizia "a priori" che sottrae diritti, schiaccia i destini professionali altrui, emette condanne preventive senza valutare la consistenza delle prove su cui si basa l'accusa, permette linciaggi mediatici frutto di tifo o nella migliore delle ipotesi di approssimazione, nell'attesa che si pronunci un'altra "di lignaggio diverso"in uno Stato di Diritto?
Stavolta la Giustizia Sportiva pare che abbia superato i confini della "norma" e sia entrata nel campo minato delle vendette, delle rappresaglie, delle rivalità.
L'ultima impronta pubblica di Platini è eloquente: "I veri colpevoli non sono in aula, ci rivedremo."
Quell'ultima volta caustico, non sarcastico come amava essere l'asso transalpino. Mai banale, però, il suo ghigno inconfondibile. Chi ne conosce l'arguzia sa che è stato volutamente rivelatore il commento a caldo rilasciato a L'Équipe subito dopo l'assoluzione. "Mi hanno trattato come un corrotto, riciclatore di denaro, falsificatore... Non lascerò passare. Cosa devo dire a Infantino? Nulla. Ma sono certo che contro di me c’è stata una cospirazione. Tornare non so, ma sono giovane: ho più capelli di lui…".
Secondo la tesi difensiva, dunque, si è trattato unicamente di una macchinazione orchestrata dall'interno del gotha delle istituzioni sportive continentali con l'appoggio e la connivenza dei vertici delle massime procure elvetiche per spodestarlo e prenderne trono e scettro.
Sicuramente l'aspetto di questa faccenda che rammarica di più l'osservatore obiettivo è che il passato sportivo "dell'ultimo Re di Francia" da 7 anni sembra essere stato inghiottito dall'oblio mediatico. Senza dubbio trai più grandi di sempre nell'arte del pallone, lui non figura mai nell'olimpo degli dei del calcio nelle classifiche dei presunti esperti. Le sue gesta calcistiche inimitabili sembrano essere state divorate dalla negazione storiografica. E' il frutto della damnatio memoriae che si riserva a chi probabilmente è stato troppo scomodo, personalista, ambizioso e sfrontato.
Giudiziariamente sono previste altre partite risolutive e ci sarà solo un vincitore. Ad oggi il risultato è 1 pari.
Circa un mese fa il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) ha presentato ricorso contro l'assoluzione avvenuta la scorsa estate. La richiesta presentata alla Corte d'appello del Tribunale penale federale (TPF) mira "all'annullamento totale della sentenza di primo grado".
Chi farà il gol decisivo? In un regime pallonaro come quello attuale, senza "quadri devozionali" tanto riconoscibili, di un istrione controcorrente come Monsieur Michel ne abbiamo tutti dannatamente bisogno.
C'era una volta un Re. Les jeux sont faits, rien ne va plus. Sarà ancora Michel?