Il Ministro dell’Economia in carica ha dichiarato pubblicamente che nella legge di bilancio per il 2023 non ci sarebbero stati “condoni”.
In un Paese normale un’affermazione del genere dovrebbe passare sotto traccia ed essere confinata tra le dichiarazioni banali, quasi scontate, per un certo verso addirittura inutili.
Ma in Italia no. L’Italia si è spesso contraddistinta come il Paese della “speranza”, da questo punto di vista.
Non pagare il dovuto e sperare di farla franca.
“Aggiustarsi casa” e sperare nella clemenza del tempo e del legislatore, oltre che nella buona sorte.
Nel frattempo, tenersi buono il vicino, o magari anche il vigile di turno, evitare di recuperare la raccomandata e sperare in qualche errore materiale, se si tratta di notifiche. Nei casi più importanti, ottenere, con qualsiasi mezzo, che gli amministratori locali chiudano un occhio.
Il Presidente del Consiglio, peraltro, ci ha tenuto a smentire subito il suo Ministro dell’Economia, specificando che lo Stato che ha in mente è “uno Stato amico di famiglie e cittadini”, e che dunque in manovra finanziaria sono state inserite alcune norme che tutte insieme considerate possono definirsi alla stregua di una “tregua fiscale”.
Il condono va bene, dunque – anche se la parola in sé dà fastidio e dunque non viene mai pronunciata dal governo di turno -, se significa buon senso e vantaggi per tutti, Stato compreso.
E così, nella finanziaria per il 2023, è stato previsto, nell’ambito della cosiddetta rottamazione quater, lo “stralcio” delle singole cartelle esattoriali sotto i mille euro, ovvero l’annullamento automatico dei debiti del contribuente con le amministrazioni statali e le agenzie fiscali già affidati in riscossione tra il 2000 e il 2015.
La norma approvata con la L. n. 197 del 2022 (art. 1, commi da 222 in poi) affida invece agli altri enti pubblici (diversi dalle amministrazioni statali, fiscali e previdenziali), ovvero in particolare ai Comuni – che sono gli esattori principali del contribuente -, la facoltà di consentire l’annullamento dei propri crediti relativi alle somme dovute, al 31 dicembre 2015, a titolo di interessi per ritardata iscrizione a ruolo, di sanzioni e di interessi di mora.
D’altro canto, i debiti risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 30 giugno 2022 possono essere estinti senza corrisponderne le somme relative a interessi e sanzioni, purché si versino entro il 31 luglio 2023, o comunque in 18 comode rate, le somme dovute a titolo di capitale e quelle maturate a titolo di rimborso delle spese per le procedure esecutive e di notificazione del relativo titolo.
In definitiva, tutte le cartelle di pagamento (ovvero gli atti tramite i quali l’Agenzia delle Entrate-Riscossione richiede il pagamento delle somme risultate a debito del contribuente a seguito dell'attività di controllo dell'ente creditore) emesse fino a una certa data, possono essere saldate senza interessi e sanzioni e con un certo agio dovuto alla rateizzazione, ma quelle affidate all’Agente della Riscossione fino al 31 dicembre 2015 e di importo pari o inferiore ad € 1.000 - con la sola eccezione dei debiti verso gli enti locali - vengono cancellate in un colpo solo.
E’ o non è, da un punto di vista tecnico, un condono fiscale?
Per scoprirlo facciamo un passo indietro e indaghiamo il vero significato del termine condono.
Letteralmente, il condono è la remissione (ovvero la rinuncia a perseguire o riscuotere) di una pena o di un debito.
Nel diritto penale, la pena inflitta è “condonata”, ai sensi dell’art. 174 c.p., a seguito di indulto.
Si tratta di un provvedimento straordinario che è stato previsto in Costituzione con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale, e la cui ultima applicazione risale alla legge 31 luglio 2006, n. 241, con cui è stato concesso indulto per tutti i reati commessi fino al 2 maggio 2006 (salvo alcuni delitti di più grave allarme sociale), nella misura non superiore a tre anni per le pene detentive e non superiore a 10.000 euro per quelle pecuniarie.
Per estensione, poi, il termine condono è stato introdotto anche in materia fiscale e in materia edilizia.
Il condono fiscale è – o dovrebbe essere - una forma di transazione ex lege con cui lo Stato decide di risolvere, in via eccezionale, le pendenze tra i contribuenti e il fisco, riferite ad anni precedenti.
Il condono edilizio ha invece il fine di sanare condizioni di abusivismo nella costruzione e manutenzione degli immobili di proprietà. Posto che nel caso della cosiddetta rottamazione quater (ovvero lo “stralcio dei carichi” previsto dalla legge di bilancio per il 2023) si va probabilmente al di là del condono fiscale, perché non vi è alcuna transazione da parte dello Stato ma soltanto una cancellazione netta di alcune partite di credito, è bene soffermarsi sul condono edilizio, dal momento che ha delle caratteristiche peculiari e non interagisce solo con dinamiche meramente economiche, come tristemente evidenziato dai recenti tragici eventi di Ischia, ma anche con vissuti sociali, con particolare riferimento ad un bene primario: la casa.
In un territorio come il nostro, peraltro, il bene-casa deve fare i conti con il rischio sismico (terremoti) e il rischio idrogeologico (frane e alluvioni), e l’abusivismo edilizio, da semplice violazione delle regole (anche penali), e deprecabile fenomeno di malcostume, può diventare scelta criminale e omicida (o suicida, a seconda dei punti di vista) in quelle zone in cui esiste un vincolo di questo tipo.
Nonostante queste premesse, in Italia si possono contare, a partire dal 1985 in poi, tre condoni edilizi su scala nazionale, a cui si è aggiunta nel 2018 una disciplina ad hoc per l’isola di Ischia.
Tutto è cominciato con la legge n. 47 del 1985. I proprietari di costruzioni “e di altre opere”, ultimate entro il primo ottobre 1983, pur avendole eseguite in assenza di concessione edilizia o in difformità da tale concessione, potevano ottenere la sanatoria dell’attività illegale compiuta.
A quali condizioni? Il condono del 1985 non poneva limiti qualitativi o quantitativi, ma subordinava l’autorizzazione in sanatoria al parere dell’amministrazione competente, in caso di esistenza di vincoli (anche sismico e idrogeologico).
Erano peraltro escluse con certezza dal condono soltanto le opere di costruzione in contrasto con i vincoli che comportavano inedificabilità, e sempre che tali vincoli fossero stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse.
Con un duplice effetto pericolosissimo: si lasciava alla scelta discrezionale delle singole autorità pubbliche coinvolte la valutazione del grado di gravità dell’abuso nel caso di vincolo sorto dopo l’edificazione, e, in questi ultimi casi (vincolo successivo), si poteva sanare l’abuso perfino nel caso di vincolo di inedificabilità, ovvero nelle ipotesi in cui lo stesso Stato aveva ritenuto che in quella determinata zona fosse estremamente rischioso (o dannoso per l’ambiente/paesaggio) costruire.
E questo, tenendo presente, in linea generale, che anche una costruzione realizzata legittimamente, e non abusivamente, in un’epoca in cui l’area non era soggetta a nessun vincolo, con il tempo può diventare interessata da qualche norma di tutela: ciò accade spesso proprio con il vincolo idrogeologico, se si pensa che i piani inerenti a tale vincolo sono soggetti a continua evoluzione, specie in una fase, come quella che stiamo vivendo, di forti cambiamenti climatici.
Ma l’effetto più dirompente della disciplina del 1985 sul condono edilizio stava in un dettaglio molto importante, che prescindeva o meno dal buon esito della domanda di sanatoria: bastava presentare tale domanda entro il termine di legge, e accompagnarla con l’attestazione del versamento della somma dovuta a titolo di oblazione (un balzello che avrebbe dovuto ripagare lo Stato per l’illecito compiuto) per sospendere il procedimento penale e quello per le sanzioni amministrative aperti a seguito dell’abuso.
E siccome i tempi di istruttoria, almeno all’epoca, potevano essere anche biblici - in gran parte per l'endemica insufficienza di risorse (e inefficienza gestionale) dei Comuni, che sono gli enti che devono gestire le istanze di condono –, ciò ha comportato che dal momento in cui si presentava la domanda di condono al momento in cui si otteneva la concessione della sanatoria (o fino a quando l’iter si concludeva negativamente) avrebbero potuto passare anche anni, se non decenni, e nel frattempo era possibile continuare ad abitare o utilizzare l’immobile.
Senza dimenticare che il pagamento dell’oblazione – anche con domanda di sanatoria respinta - estingueva di per sé i reati contravvenzionali, e che poi la palla ritornava comunque nel campo di quegli stessi enti pubblici (i Comuni) che, già in difficoltà nel gestire le istanze di condono, avrebbero dovuto questa volta provvedere, a distanza di svariati anni - nei casi più gravi - alla demolizione dei manufatti abusivi non sanati, passando spesso e volentieri attraverso le forche caudine di un lungo contenzioso davanti al Giudice amministrativo.
Invece di ritenere una sconfitta dello Stato da non ripetere, e visto al contrario il successo dell’esperimento in termini di numero di domande – oltre che l’esigenza di “fare cassa” -, il Legislatore ci ha preso gusto e ha previsto un secondo condono, a distanza di circa dieci anni, con l’art. 39 della Legge n. 724 del 1994.
Il titolo più elegante della nuova disposizione (“definizione agevolata delle violazioni edilizie” al posto di “sanatoria delle opere abusive”) non impediva l’applicazione quasi integrale della legge n. 47 del 1985 alle opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993.
Unica, anche se significativa differenza, stava nella limitazione della sanatoria alle opere che non avessero comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria, o comunque un ampliamento superiore a 750 metri cubi, e alle nuove costruzioni non superiori ai citati 750 metri cubi.
Inoltre, la sanatoria degli abusi edilizi posti in essere da soggetti indagati per il reato di associazione mafiosa o per i reati connessi a riciclaggio di denaro era da considerarsi sospesa fino all'esito del relativo procedimento penale, e infine esclusa in caso di condanna definitiva.
In ultima analisi, con il secondo condono edilizio, e seppure entro i limiti sopra descritti, il legislatore aveva inteso non soltanto riaprire i termini per l'ottenimento del condono degli abusi edilizi originariamente contemplati dalla legge n. 47 del 1985 (compiuti entro il 1 ottobre 1983), o per l'integrazione della documentazione lacunosa relativa ai procedimenti pendenti, ma anche estendere la sanatoria ad abusi commessi successivamente, purché "ultimati" entro la data del 31 dicembre 1993.
Finita qui? Ancora no. Introdotto da una rubrica ancora più sintetica e asciutta della seconda (“…definizione degli illeciti edilizi”), ecco arrivare il terzo condono, con l’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003, e poi modificato dal d.l. n. 168 del 2004, che ha spostato in avanti il termine ultimo utile per la presentazione delle domande di sanatoria.
Di fatto, venivano sostanzialmente reiterate le disposizioni del secondo condono, salvo il rispetto del nuovo riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni, che avrebbe inevitabilmente portato a diversi contenziosi dinanzi alla Corte costituzionale.
Trascorrono gli anni, e il nostro fragile Paese – anche sotto il punto di vista idrogeologico – comincia a risentire sempre di più di eventi “fisici” estremi, siano essi sismi o alluvioni.
Nel 2017 una serie di scosse di terremoto interessano l’isola di Ischia, facendo danni in un’area a nord dell’isola, tra Casamicciola e Lacco Ameno.
L’anno successivo, nell’ambito delle disposizioni del cosiddetto “decreto Genova”, dopo il crollo del ponte Morandi (altra tragedia ancora sub iudice), il Governo Conte I riesuma le leggi di condono edilizio per velocizzare le pratiche ancora in trattazione nei Comuni di Ischia interessati dal sisma dell’anno prima.
Con un precetto privo di sanzione, i Comuni interessati vengono obbligati a definire entro sei mesi le istanze di condono ancora pendenti relative agli immobili distrutti o danneggiati, presentate ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2003, n. 326 (ovvero le norme dei famigerati tre condoni succedutesi nel tempo), ancora pendenti.
Piccolo ma decisivo particolare: per la definizione di queste istanze “trovano esclusiva applicazione le disposizioni di cui ai Capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47”, che, come visto, sono state in assoluto le più permissive di tutte.
Il provvedimento era senz’altro finalizzato a garantire che i contributi spettanti come misura di riparazione pubblica per il sisma andassero a chi non aveva costruito abusivamente, ma perché far regolare le procedure da norme ormai superate e prive di limitazioni plausibili? Con questa mossa il Governo rischiava, a dirne una soltanto, di “rimettere in gioco” camorristi e riciclatori di denaro sottoposti a procedimento penale, ordinariamente esclusi dalle altre due procedure di condono.
Poi ci ha pensato di nuova la natura, accanendosi sulla povera Ischia, che non ha beneficiato di nessuna misura precauzionale “forte”, nonostante, beffa nella beffa, un altro Giuseppe Conte – questa volta l’ex sindaco di Casamicciola, omonimo dell’ex Presidente del Consiglio – aveva previsto l’ennesima tragedia annunciata, inviando 23 pec quatto giorni prima della frana del 26 novembre scorso per dare l’allarme.
C’entrano i condoni? Forse. Sicuramente c’entra la più che carente gestione del territorio e del rischio idrogeologico della zona – di cui i condoni sono la spia -, frutto di mancanza di pianificazione e di prevalenza degli interessi particolari su quelli generali, come spesso accade in questo Paese.
Salvo poi ricordarsi, tutti i politici di turno, di esprimere il loro cordoglio in televisione o sui social, con una impressionante sfilza di dichiarazioni e tweet. Quegli stessi politici che hanno vissuto (e gestito) da protagonisti la cosa pubblica da almeno venti anni a questa parte.
Perfino Fiorello, che è nato per farci sorridere, si è imbufalito di fronte al walzer dell’ipocrisia.
Ricapitolando. Il condono è un istituto del tutto eccezionale, che lo Stato dovrebbe utilizzare soltanto in casi di necessaria opportunità. La sua forza sono l'imprevedibilità e la capacità di sanare situazioni che si sono incancrenite per problemi sociali rilevanti, contingenti e non dipendenti da esclusiva responsabilità dei condonati.
Nel diritto penale è un'ipotesi circoscritta all'esercizio straordinario e limitato del potere legislativo, e concerne, o almeno dovrebbe concernere, la necessità di fronteggiare, con un parziale colpo di spugna, a evenienze particolari (tipo sovraffollamento delle carceri per reati minori, che in Italia dovrebbe essere un'ipotesi peraltro risibile, visto che fino a tre anni di pena la prigione tendenzialmente non la fa nessuno).
Nel diritto finanziario pubblico, il condono è un'ipotesi connessa alla necessità dello Stato di recuperare proventi (in gergo, "fare cassa") agevolando contribuenti che si trovano in una zona grigia di responsabilità, e che spesso sono restati immuni dalla pretesa sanzionatoria oltre un limite ragionevole e per inefficienze dell'apparato burocratico.
Anche qui vale il criterio dell'imprevedibilità del beneficio, in quanto la consapevole attesa del furbetto che non vuole pagare e spera nella reiterazione dei condoni trasforma al contrario quello stesso beneficio in una regalia immeritata e prevedibile, con buona pace di ogni senso etico nel rapporto Stato-cittadino e ulteriore beffa per il contribuente onesto.
Anche nella disciplina edilizia, il condono dovrebbe essere un istituto di carattere temporaneo ed eccezionale, relativo alle opere abusive ultimate in data antecedente all’entrata in vigore della norma che dispone il condono stesso, dal quale consegue, dietro pagamento, l’estinzione dei reati di abuso edilizio e l’inapplicabilità delle sanzioni amministrative.
In Italia, essendo stato reiterato nell’arco di venti anni (dal 1985 al 2004), il condono edilizio è diventato un istituto strutturale, oltre che surreale.
In questo modo, al di fuori dell’eccezionalità del rimedio, vi è soltanto l'incentivo ad abusare del diritto proprietario in spregio ad ogni regola di buon senso e comune convivenza, fino alla inconsapevole ma pervicace tendenza a disinteressarsi della distruzione del territorio su cui si vive, e infine a diventare, gli stessi condonati, vittime e carnefici del sistema.
Nel gergo giornalistico, ricorre spesso anche l'espressione "condono tombale", che, al di là della macabra associazione tra parole ed eventi tragici di cronaca, si vuole riferire a quelle forme di condono che estinguono tutte le pendenze, di qualunque genere.
Sarà un bel giorno quello in cui non interverrà con gli strumenti del diritto penale la magistratura requirente dopo le tragedie “ambientali” (come sta avvenendo anche dopo gli ultimi fatti di Ischia), ma riuscirà la politica in via preventiva a impedire la prosecuzione e il diffondersi di un diffuso malcostume che genera soltanto discriminazione tra cittadini disonesti, cittadini onesti e poveri disgraziati, favorendo inesorabilmente i primi.
La tregua con i cittadini non si ottiene perdonandone o giustificandone alcuni, ma evitando diseguaglianze ingiuste.