Diritto amministrativo


Autore: a cura di Federico Smerchinich 11 agosto 2025
TAR Lazio, Roma, sentenza n. 9437 pubblicata il 19 maggio 2025 IL CASO E LA DECISIONE (commento di Federico Smerchinich) Tra i vari strumenti che il legislatore ha previsto per risolvere in maniera alternativa, o meglio preventiva, le controversie nell’ambito dell’esecuzione dei contratti pubblici, vi è il collegio consultivo tecnico (di seguito “CCT”), introdotto dal d.l. n. 76/2020 , il c.d. decreto “Semplificazioni”, nella vigenza del d.lgs. n. 50/2016, e confermato, oltre che aggiornato, dal d.lgs. n. 36/2023 e dal suo correttivo. Questo istituto sta riscontrando particolare successo pratico, ma è anche stato fonte di dibattito e discussione nelle aule giudiziarie, come nella sentenza in commento. Difatti, uno degli snodi cruciali dell’applicazione di questo istituto è capire chi ne possa essere membro o presidente. Il caso portato all’attenzione della giurisprudenza amministrativa prende le mosse da un ricorso proposto da alcuni avvocati in proprio e dall’Ordine degli avvocati di Roma per l’annullamento in parte qua del decreto del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili (di seguito “MIMS”) n. 12 del 17.01.2022 , di adozione delle linee guida per l’omogenea applicazione da parte delle stazioni appaltanti delle funzioni del collegio consultivo tecnico. Difatti, l’ art. 6 comma 8 bis d.lgs. n. 76/2020 ha individuato nel MIMS il soggetto che deve determinare i requisiti per accedere al ruolo di membro del CCT e tale Ministero ha predisposto un decreto contenente i requisiti e le indicazioni sulle compatibilità con tali ruoli, ma escludendo gli avvocati del libero foro da tale possibilità. Nell’ambito del giudizio in commento vi è stato anche l’intervento ad adiuvandum di un’associazione specialistica che rappresenta parte degli avvocati amministrativisti. Nella sostanza i ricorrenti hanno contestato che il decreto del MIMS avrebbe esplicitamente escluso gli avvocati del libero foro dalla possibilità di ricoprire il ruolo di presidente dei CCT. In particolare, è stato evidenziato che l’allegato A al decreto del MIMS, nel fissare i requisiti esperienziali per la nomina del "giurista", non avrebbe contemplato, tra i professionisti ivi elencati, gli avvocati del libero foro come possibili presidenti del CCT. Una soluzione che sarebbe stata contraddittoria rispetto all’art. 6 d.l. n. 76/2020 che aveva introdotto questo istituto, ma anche discriminatoria rispetto alla nomina degli avvocati in altri ruoli come quello di giudice della Corte Costituzionale, membro laico del CSM o membro della Camera Arbitrale presso l’ANAC, dove l’avvocato del libero foro è equiparato ad altre figure professionali. I ricorrenti hanno anche ricordato che la legge professionale forense n. 247/2012 riconosce agli avvocati del libero foro un ruolo di rilevanza pubblicistica e gli garantirebbe, quale prerogativa dell’istituto, un ruolo negli organi di natura tecnica. Infine, è stata contestata altresì l’assenza del parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici da parte del MIMS prima della stesura del decreto impugnato. Da parte sua, il Ministero si è difeso sostenendo che il decreto ammetterebbe comunque la partecipazione degli avvocati alla presidenza dei CCT, purché dimostrino il possesso di certi (ulteriori) requisiti. Nelle more del processo, dopo l’accoglimento dell’istanza cautelare con sospensione degli atti contestati, è mutata la disciplina sui contratti pubblici, con la pubblicazione del d.lgs. n. 36/2023 , dove l’istituto del CCT è stato riconfermato e "istituzionalizzato"; d'altra parte, la disciplina in materia di requisiti tecnici per la nomina come componente e presidente di CCT è stata resa autonoma dal decreto ministeriale del 2022 soltanto con la pubblicazione del c.d. "correttivo" al codice ( d.lgs. n. 209/2024 ). I ricorrenti hanno in ogni caso manifestato la permanenza del loro interesse alla decisione del ricorso , in quanto, pur avendo la sopravvenienza normativa eliminato la presunta discriminazione ai danni degli avvocati del libero foro, soltanto la conferma nel merito dell'illegittimità del pregresso decreto ministeriale avrebbe potuto consolidare gli effetti positivi derivanti dalla nomine nel frattempo avvenute in favore dei singoli professionisti, sulla base della sospensiva accordata dal TAR. In via preliminare, il Giudice di primo grado ha dichiarato inammissibile l’intervento ad adiuvandum di un avvocato in proprio , richiamando la giurisprudenza che non ritiene possibile l’intervento in giudizio della parte che avrebbe potuto proporre ricorso autonomo, e quello dell’associazione specialistica, rilevando in tal caso la sostanziale non omogeneità della posizione di tutti gli iscritti dell’associazione, tenuto conto che per ogni categoria professionale contemplata dal gravato punto 2.4.2., lett. c), dell’Allegato A, del d.m. n. 12/2022 era richiesto il possesso di una specifica esperienza decennale per poter assumere l’incarico di presidente del CCT, e che non fosse dunque " escluso che alcuni degli iscritti all’associazione, per ragioni di carattere temporale, non possiedano ancora tale requisito e, quindi, non possano attualmente ambire allo svolgimento dell’incarico in questione (...) ". Secondariamente, il TAR si è pronunciato sulla permanenza dell’interesse a ricorrere dei ricorrenti. In particolare, il giudice di prime cure ha concordato con i ricorrenti sul fatto che, mentre il d.lgs. n. 36/2023, con gli artt. 215-219, ha superato la fase transitoria disposta dal d.l. n. 76/2020, rinviando comunque alla disciplina del d.m. n. 12/2022 contestato, solo con il cd. correttivo si è definitivamente abbandonato tale decreto ministeriale. Da questo momento in poi, infatti, è stato lo stesso d.lgs. n. 36/2023 a divenire fonte normativa del CCT tramite il suo allegato V.2 art. 2 rubricato “Requisiti e incompatibilità”. Alla luce di questa disamina, il TAR ha accertato la permanenza dell’interesse a ricorrere relativamente agli incarichi di presidente assunti prima della novella legislativa introdotta con il correttivo d.lgs. n. 209/2024, nelle more consentita solo in virtù della sospensione cautelare richiesta e concessa con riferimento allo stesso decreto ministeriale oggetto di impugnazione. Difatti, dal correttivo in avanti è pacifico che anche gli avvocati del libero foro possono divenire presidenti del CCT in presenza dei requisiti richiesti. Inoltre, il TAR ha precisato che i requisiti di cui alle lett. da a) ad f) dell’art. 2 comma1 allegato V.2. d.lgs. n. 36/2023 possano essere cumulati. Dopo aver risolto le questioni di rito, il TAR ha proceduto all'esame di merito del ricorso, ritenendo illegittimo che gli avvocati del libero foro non fossero stati espressamente annoverati tra le figure professionali che il MIMS aveva incluso nella categoria dei giuristi di cui all’art. 2.4.2. lett. c) del d.m. 12/2022, in quanto tali idonei a divenire presidenti del CCT. Secondo il TAR, questa esclusione sarebbe irragionevole , dato che consentirebbe solo agli avvocati con esperienza ultra decennale da presidente presso le commissioni per l’accordo bonario di divenire presidente di CCT, anche considerando che ormai le commissioni per l’accordo bonario sono un istituto in disuso. Inoltre, il TAR ha rilevato un interessante profilo di illegittimità del decreto, laddove, pur escludendo gli avvocati del libero foro, giustappone a qualifiche derivanti da un rapporto di dipendenza con lo Stato, altre qualifiche prive di un vincolo funzionale con l’amministrazione statale (es. dirigenti di stazioni appaltanti con personalità giuridica di diritto privato) che agiscono iure privatorum e solo occasionalmente sono funzionali al raggiungimento di interessi pubblici. Un’equiparazione in melius di tali soggetti con i dipendenti delle amministrazioni statali che si rivela dunque anch'essa irragionevole e discriminatoria, se confrontata con la contestuale decisione di escludere da tale ambito gli avvocati. In conclusione, il TAR ritiene che la scelta del MIMS di escludere gli avvocati del libero foro dai soggetti che possono essere presidenti del CCT non risulta espressione di un corretto e ragionevole esercizio della discrezionalità riconosciuta al Ministero dall’art. 6 comma 8 bis d.l. n. 76/2020, anche considerando che questa norma al comma 1 prevede che una delle funzioni del CCT sia quella di prevenire e risolvere le controversie nella fase esecutiva dei contratti pubblici e che l’esclusione si pone in contraddizione con la possibilità di nominare gli avvocati come membri della Camera Arbitrale presso l’ANAC di cui all’art. 210 d.lgs. n. 36/2023. All’esito di tali argomentazioni, il TAR ha accolto dunque il ricorso, precisando tuttavia che, stante l’intervento del correttivo sul d.lgs. n. 36/2023 - che ha, di fatto, abrogato il d.m. n. 12/2022 -, nessuna modifica normativa deve essere apportata dal MIMS in conseguenza di tale pronuncia. I GIURISTI DI CARRIERA E IL NUOVO ISTITUTO: LIMITI E PERICOLI (annotazione a cura di Roberto Lombardi) Sembra abbastanza paradossale che il TAR Lazio abbia dovuto "sbloccare", prima con una pronuncia cautelare e poi con una decisione "confermativa" di merito, la possibilità di nomina come presidente di CCT per gli avvocati. Se infatti si guarda agli obiettivi dell'istituto, alle competenze richieste e all'effettiva vicinanza alle parti di chi presiede il Collegio, la figura dell'avvocato "esperto" pare garantire al meglio (o quasi) una buona interpretazione del ruolo. Più discutibile invece è lo sdoganamento normativo , senza se e senza ma, in favore dei magistrati , per lo svolgimento di questo ruolo. Dopo il divieto assoluto di arbitrati , stabilito nell'ormai lontano 2012 dalla Legge Severino, qualcuno si è chiesto, non senza ragioni, se il legislatore del 2020 ("decreto semplificazione" del luglio 2020), che ha introdotto i Collegi Consultivi Tecnici, non abbia di fatto aggirato il divieto. D’altra parte, posto che il Collegio Consultivo Tecnico ha la funzione di assistenza per la rapida risoluzione delle controversie, o delle dispute tecniche di ogni natura, suscettibili di insorgere nel corso dell’esecuzione del contratto di affidamento di lavori diretti alla realizzazione di opere pubbliche, ivi inclusi i lavori di manutenzione straordinaria, e che per i lavori sopra soglia l’istituzione del Collegio Consultivo Tecnico è obbligatorio , trattasi in ogni caso di attività consultiva . Ciò la distingue nettamente dall'attività degli arbitrati: il collegio consultivo, infatti, non dirime una controversia, ma previene e affianca la stazione appaltante nella fase esecutiva, ovvero – nell’ipotesi di collegi consultivi tecnici facoltativi - anche nella fase di stesura di predisposizione del bando e di scelta del contraente. Tuttavia, secondo la linea di pensiero critica nei confronti della forte apertura del nuovo istituto ai magistrati, il rischio di possibili pregiudizi alla imparzialità di questa articolare tipologia di giurista, che aveva giustificato il divieto degli arbitrati, è qui forse ancora maggiore, data la inevitabile commistione tra magistrato e stazione appaltante. Di certo, un ruolo fondamentale spetta alla disciplina interna dei singoli organi di autogoverno, a cui è devoluto il compito di meglio definire regole che la normativa ha lasciato a maglie larghe. Il sistema ideale sarebbe quello del conferimento , basato su criteri oggettivi e rigidamente predeterminati, in grado di ridimensionare la possibilità di vincoli fiduciari impropri. Tuttavia, almeno nella giustizia amministrativa - tra le cui file, specie al Consiglio di Stato, si annoverano i principali beneficiari delle presidenze dei più importanti di CCT - il sistema tipico è quello dell'autorizzazione, con richiesta nominativa da parte di stazione appaltante e impresa appaltatrice. A questo riguardo , la disciplina interna in materia di incarichi di presidente dei collegi consultivi tecnici è stata regolamentata dal CPGA con delibera n. 65 del 2020 e ha subito una sostanziale modifica nei suoi aspetti più significativi, a seguito di ulteriore delibera adottata dal Consiglio nella seduta del 5 luglio 2023. Si è passati da una incompatibilità automatica ex ante (nel caso di partecipazione, nell’anno precedente all'incarico, a un collegio che aveva deciso una controversia in cui era parte il soggetto privato o pubblico coinvolto nell'appalto) a un sistema di “disclosure” con riserva di gradimento. In pratica, una volta che l’interessato ha ricevuto l'incarico dai due soggetti coinvolti nell’esecuzione dell’appalto, la segreteria dell’Ufficio di appartenenza del magistrato destinatario di tale incarico verifica se costui ha fatto parte di un collegio che ha deciso, nei due anni precedenti alla sua designazione, un contenzioso coinvolgente una delle partiche gli hanno conferito l’incarico stesso. Se il riscontro è positivo, tale notizia viene comunicata ai due soggetti interessati, affinché gli stessi possano rideterminarsi negativamente, se lo desiderano, rispetto all'incarico già conferito. Il ragionamento sottostante a tale scelta del Consiglio di Presidenza è che le parti che attribuiscono l'incarico, prima della designazione del magistrato, potrebbero non essere a conoscenza di eventuali cause di incompatibilità; tuttavia, l'incompatibilità normalmente valorizzata dall'Organo di autogoverno è quella riferibile a una potenziale lesione dell'immagine del magistrato e a un sostanziale pregiudizio al corretto svolgimento delle sue funzioni, con interesse dei privati che dovrebbe restare sullo sfondo. Sono stati inoltre introdotti tre limiti alla maggiore elasticità della nuova disciplina: - la possibilità che il Capo dell'Ufficio possa sindacare il pregiudizio di funzionalità derivante dall'incarico (con un parere di “opportunità”); - il limite numerico massimo di tre incarichi per volta; - l'obbligo di comunicazione semestrale dei compensi ricevuti in relazione all'incarico stesso (poi diventato annuale). Da notare, a tale ultimo riguardo, che la parte fissa del compenso per la partecipazione a un CCT è soltanto eventuale, perché subordinata alla partecipazione ad almeno 4 riunioni. Il calcolo del compenso è inoltre soggetto a una serie di riferimenti matematici che lo rendono molto complesso (oltre che, come detto, presuntivo), per cui in sede di prima applicazione delle norme interne è stata ritenuta sufficiente l'indicazione del parametro principale di valutazione, che resta il valore dell'appalto da eseguire. La questione riveste comunque molta importanza in rapporto al rispetto del limite del 65% della retribuzione media della qualifica di appartenenza del magistrato, limite entro cui deve essere contenuta la remunerazione per gli incarichi extraistituzionali se l’anno successivo se ne vuole assumere un altro, e si tratta in ogni caso di somme (almeno quelle pagate dal privato) che fuoriescono dal tetto retributivo massimo stabilito per i dipendenti pubblici dal legislatore. Occorre peraltro verificare, adesso che la Corte costituzionale con la sentenza n. 135 di quest'anno ha dichiarato l'illegittimità sopravvenuta della norma sul “tetto retributivo”, se continuerà o meno, da parte dei magistrati (specie di quelli amministrativi), la preferenza per le presidenze dei CCT - dato che parte del compenso ricevuto, ovvero quello di competenza della parte privata, non soggiace al citato "tetto" -, o se si riapriranno i tradizionali percorsi verso il cumulo di incarichi governativi ben remunerati, una parte dei quali, per il livello stipendiale e retributivo raggiunto dal magistrato assegnatario dell'ulteriore incarico, era fino ad oggi, di fatto, svolta a titolo "gratuito".
Autore: a cura di Federico Smerchinich 12 luglio 2025
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 7.08.2024, n. 2353 IL CASO E LA DECISIONE Il giudizio oggetto della sentenza in commento riguarda la possibilità di realizzazione, a seguito di SCIA , di quattro nuove unità immobiliari costruite su due piani fuori terra ed un piano seminterrato ad uno cantinato, in sostituzione di un fabbricato a uso artigianale-deposito situato all’interno del cortile di un supercondominio a Milano. Infatti, una società aveva presentato una SCIA per costruire le unità immobiliari predette, ma l’amministratore del supercondominio e alcuni proprietari avevano presentato istanza al Comune per inibire i lavori di cui alla SCIA. Al riguardo, come noto, occorre ricordare che la SCIA è stata ritenuta dalla giurisprudenza “quale atto soggettivamente ed oggettivamente privato” ( ex multis Cons. Stato, Sez. IV, 02/05/2024, n. 3990; Cons. Stato, Sez. IV, 13/06/2025, n. 5154), non direttamente impugnabile. Ne consegue che il terzo che vuole contestare le attività attuate a seguito di SCIA deve fare istanza al Comune per sollecitarlo a esercitare i poteri inibitori, repressivi o conformativi (art. 19 c. 3 l. n. 241/1990) o poteri di annullamento d’ufficio (art. 19 c. 4 l. n. 241/1990). A seguito di istanza il Comune deve pronunciarsi e il terzo può contestare il provvedimento amministrativo. Qualora il Comune non si pronunci, il terzo può agire per il silenzio inadempimento. Si coglie l’occasione anche per precisare che la giurisprudenza si era interrogata sulle tempistiche dell’azione giurisdizionale del terzo (ex multis Cons. Stato, Sez. IV, 11/03/2022, n. 1737) e sulla legittimità dell’ art. 19 l. n. 241/1990 , laddove non prevede tempistiche tipiche per l’azione del terzo, che è stato ritenuta conforme a Costituzione (v. Corte Cost. 45/2019). Tornando al caso di specie, i terzi, cioè l’amministratore del supercondominio e alcuni proprietari, hanno agito avverso il silenzio del Comune sulla loro istanza inibitoria . Nelle more del processo, il Comune ha emesso un provvedimento espresso con cui ha respinto l’istanza dei terzi, impugnato con motivi aggiunti. Il TAR ha, dapprima, analizzato le eccezioni di rito proposte dalla parte resistente e dal controinteressato, ribadendo alcuni principi che meritano di essere ripresi: - nei procedimenti sul silenzio, possono essere proposti i motivi aggiunti avverso gli atti sopravvenuti; - la procura rilasciata per agire e contraddire davanti al giudice amministrativo si intende conferita anche per proporre motivi aggiunti; - l’amministratore del condominio è legittimato, senza necessità di autorizzazione assembleare, a proporre giudizio ex art. 1131 c.c. laddove l’azione avviata ricada nell’ambito delle sue competenze tra le quali, a norma dell’art. 1130 c.c. n. 4, rientra anche il compimento di atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio; - i proprietari di unità abitative collocate in prossimità di interventi pregiudizievoli sono legittimati a proporre ricorso avverso gli atti autorizzativi dell’intervento, in virtù del criterio della vicinitas ; - il singolo condomino che intende tutelare il proprio diritto di comproprietario “pro quota” dei beni comuni, ha legittimazione concorrente e aggiuntiva rispetto a quella dell’amministratore nei giudizi in cui questi abbia già assunto legittimamente la difesa; - la sussistenza dell’interesse a ricorrere comporta la sussistenza dell’interesse a dedurre qualsiasi censura che possa portare a paralizzare nella sua completezza l’intervento edilizio avversato, anche se riguardante aspetti che, in sé considerati, non incidono in maniera significativa sull’interesse dei ricorrenti. Quanto al merito, la questione principale verte sulla natura dell’intervento edilizio , cioè se esso sia una nuova costruzione o una ristrutturazione e se sia possibile eseguirlo semplicemente a seguito di SCIA. Prima di affrontare questo tema, il TAR rileva che parte della superficie relativa al nuovo intervento non parrebbe essere giustificata da titolo edilizio, rappresentando che, ai sensi dell ’art. 9 bis c. 1 bis d.P.R. 380/2001 , il principale modo per dimostrare l’effettiva consistenza volumetrica di un edificio è la produzione del titolo edilizio, dato che non assume rilievo l’omesso esercizio del potere sanzionatorio da parte del Comune. In altre parole, serve una prova positiva della legittimità della costruzione. Solo per opere realizzate in un periodo in cui non era necessario il titolo abilitativo edilizio, la legittimità delle stesse può essere provata con altre modalità (informazioni catastali di primo impianto, o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d'archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile). Il TAR ritiene, d'altra parte, che non sia stato dimostrato dai controinteressati il rispetto dell’art. 21.2 lett. b) delle norme di attuazione del Piano delle Regole del Comune di Milano, che richiede il rispetto dell’altezza dell’edificio preesistente in caso di edificazione all’interno di cortili. Venendo al tema principale della questione, il TAR afferma che l’intervento di cui si discute è una nuova costruzione e non può essere ricondotto al concetto di ristrutturazione : da ciò ne consegue l’impossibilità di realizzarlo a seguito di SCIA. In particolare, secondo l’art. 10 d.l. 76/2020, che ha modificato l’art. 3 lett. d) d.P.R. 380/2001, rientrano nell’ambito della ristrutturazione anche quegli interventi che comportano la realizzazione di un edifico diverso rispetto a quello demolito, per sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche. Tuttavia, il TAR ricorda che, come ribadito dalla giurisprudenza, non vi è ristrutturazione, bensì nuova costruzione, quando fra il precedente edificio e quello da realizzare al suo posto non vi sia alcuna continuità, producendo un rinnovo del carico urbanistico (Cass. Pen Sez. III, 10.01.2023, n. 91669; Cons. Stat, Sez. IV, 22.06.2021, n. 4791; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 18.05.2020 n. 841). Nel caso di specie, il TAR, proprio in base a quanto appena detto, ravvisa la qualità di nuova costruzione nell’intervento in questione e afferma che sarebbe stato necessario il permesso di costruire il luogo del procedimento tramite SCIA. LIBERALIZZAZIONE IN MATERIA EDILIZIA E LIMITI URBANISTICI La recente tendenza legislativa muove verso una sempre maggiore semplificazione , al fine di snellire i procedimenti amministrativi e garantire quel principio di funzionalità ed efficienza che è la stella polare dell’agire pubblicistico del nostro tempo. Proprio in nome della semplificazione, sono stati introdotti strumenti per alleggerire, senza cancellare, il procedimento amministrativo e ottenere la realizzazione degli interessi legittimi pretensivi in maniera più semplice (es. silenzio, conferenza di servizi ecc.). Accanto alla semplificazione, è stata incentivata anche la liberalizzazione , per consentire al cittadino che ha i presupposti e i requisiti per realizzare un proprio interesse di integrare la fattispecie tipica, semplicemente comunicando all’amministrazione pubblica la propria intenzione di realizzare qualcosa (es. SCIA). Mentre nel caso della semplificazione l’azione amministrativa di controllo si pone in via preventiva, costituendo un passaggio necessario prima di ottenere il bene della vita, nell’ambito della liberalizzazione il controllo amministrativo è successivo, funzionando con eventuali poteri sanzionatori o repressivi. Tutto ciò, per tratteggiare il perimetro della vicenda oggetto della sentenza in commento, dove il privato cittadino si è avvalso della SCIA, tipico modulo di liberalizzazione, laddove, secondo il TAR, sarebbe stato necessario ricorrere ad una procedimentalizzazione dinanzi all'Autorità pubblica. Non bisogna, invero, dimenticare che gli strumenti di liberalizzazione non possono essere utilizzati per aggirare il principio di legalità che deve sempre guidare il rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione. La sentenza in commento offre diversi spunti di interesse. Quello su cui è doveroso soffermarsi riguarda proprio il concetto di nuova costruzione . Difatti, come ricordato anche dal TAR, il decreto semplificazioni 2020 ha ampliato le possibilità di procedere su mera iniziativa privata, tramite ristrutturazione. Questo decreto, frutto del periodo Covid e di necessità acceleratorie, ha voluto incentivare tale attività in ottica di liberalizzazione, al fine di diminuire le lungaggini burocratiche in tutta una serie di casi limite di attività demo-ricostruttive , arrivando anche a considerare ristrutturazioni le realizzazioni di edifici diversi per sagoma, prospetti, sedime, caratteristiche planivolumetriche e tipologiche. In altre parole, il legislatore si è allontanato dal concetto di ristrutturazione classico per muovere verso un concetto più elastico, che consenta al cittadino di meglio esercitare il proprio diritto di proprietà, evitando, dove possibile, di richiedere l’esercizio del potere amministrativo. Tuttavia, ed è qui che risiede l’interesse della pronuncia, il TAR pone un limite al concetto di ristrutturazione quando non vi è continuità tra precedente edificio e nuovo edificio, producendosi un carico urbanistico nuovo che non è più correlato con l’edificio precedente. In altre parole, il punto di svolta sarebbe il seguente: finché si svolgono attività edilizie che non alterano in modo discontinuo il precedente edificio, allora si rimane nell’ambito del diritto di proprietà godibile tramite strumenti di liberalizzazione; quando si sfocia nella "discontinuità", il diritto di proprietà lascia il posto all’interesse legittimo del privato a creare qualcosa di “nuovo”, che si deve necessariamente confrontare con l’interesse pubblico della pianificazione territoriale tramite un carico urbanistico razionale e proporzionato. Il ragionamento parrebbe essere condivisibile. Ciò su cui si ravvisano delle perplessità sono i concetti di “continuità” o “discontinuità” utilizzati dalla giurisprudenza, che appaiono troppo astratti e in grado di fuorviare, in assenza di precisi indici in un senso o nell’altro. Infatti, il rischio è che gli stessi possano essere strumentalizzati dai privati o utilizzati in maniera diversa dalla pubblica amministrazione nei vari territori, risultando fonte di dubbi. Ad ogni modo, la sentenza in commento è sub iudice dinanzi al Consiglio di Stato, e sarà interessante vedere quali indicazioni darà il giudice d’appello, posto che, da un lato, il Comune interessato continua a sposare una linea interpretativa delle norme coinvolte opposta a quella del TAR sul tema della continuità (continuità che, secondo l'Amministrazione, dovrebbe necessariamente caratterizzare soltanto gli interventi di restauro e risanamento conservativo e non quelli di ristrutturazione), dall'altro, è ancora in corso, seppure attualmente in una fase di stallo, l’ iter parlamentare di un nuovo disegno di legge finalizzato a superare una giurisprudenza ritenuta troppo rigorosa in materia, anche a seguito delle numerose indagini aperte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano su una presunta gestione troppo "disinvolta" dell'uso del territorio da parte del Comune meneghino (cfr., sul tema, i due articoli comparsi sul sito, rinvenibili ai seguenti link: https://www.primogrado.com/abuso-edilizio-e-interpretazione-della-normativa-vigente-ad-opera-del-comune e https://www.primogrado.com/cosa-resta-del-covid-dai-vaccini-salva-vite-alle-leggi-salva-citta ).
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