Diritto amministrativo


Autore: a cura di Federico Smerchinich 6 ottobre 2025
TAR Lazio, Roma, Sezione Terza, sentenza n. 15284 pubblicata il 4 agosto 2025 IL CASO E LA DECISIONE L’articolata sentenza che si commenta prende posizione su un'importante tematica che riguarda il servizio di trasporto: cioè la modalità di tenuta del foglio di servizio elettronico nell’ambito del noleggio con conducente . Il giudizio ha origine da un’impugnativa di ANITRAV – Associazione Nazionale Imprese Trasporto Viaggiatori (di seguito solo “ANITRAV”) avverso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, per l’annullamento in principalità del decreto interministeriale n. 226 del 16.10.2024 , che disciplina le modalità di tenuta e compilazione del foglio di servizio elettronico di cui all'' articolo 11, comma 4, della legge n. 21 del 15.1.1992 ai fini dello svolgimento del servizio di noleggio con conducente. La ricorrente, in qualità di associazione di categoria tra le più rappresentative nel settore del trasporto di linea mediante noleggio con conducente (NCC), contesta l’atto impugnato in quanto non sarebbe stato sottoposto al controllo preventivo della Corte dei Conti; avrebbe illegittimamente reintrodotto l’obbligo di rientro in rimessa e alcune esenzioni dallo stesso che sono stati già dichiarati incostituzionali dalla sentenza n. 56/2020 della Corte costituzionale (c.d. regime dei 20 minuti e servizio nell’ambito dei contratti di durata); consentirebbe il trattamento dei dati personali tramite un’applicazione di esclusivo utilizzo del Ministero che esporrebbe i dati stessi a grandi rischi sotto il profilo della tutela alla privacy , oltre ad apparire sproporzionato quanto a modalità, finalità e durata; realizzerebbe un’invasione delle competente della potestà normativa e regolamentare delle Regioni in materia di NCC, violando, altresì, la libertà di iniziativa economica; sarebbe una violazione della direttiva servizi che impone di notificare alla Commissione Europea gli atti limitativi delle libertà in materia di servizi. Nell’ambito del giudizio, la tesi dell’associazione ricorrente è stata sostenuta dalla Regione Puglia e opposta da alcune Associazioni e Cooperative di Taxi. Nello scrutinare il giudizio, innanzitutto, il TAR respinge l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, valorizzando il fatto che ANITRAV persegue in maniera stabile e non occasionale il fine di rappresentare e tutelare le imprese piccole e medie che svolgono attività di trasporto viaggiatori su strada nonché servizi pubblici non di linea, categoria ben individuata e delimitata, della quale mira a promuovere e favorire l’attività imprenditoriale. Gli interessi dei soggetti rappresentati sarebbero dunque lesi dagli atti impugnati. Per sostenere la legittimazione attiva e l' interesse dell’associazione ricorrente, il TAR richiama alcuni indirizzi giurisprudenziali (Cons. St., n. 3932/2011 e Cons. St., V, 7.11.2014, n. 5480) che affermano la possibilità di impugnare gli atti che, anche in maniera generale e astratta, sono in grado di incidere sugli interessi, comportamenti e scelte dei destinatari senza necessità di postergare la tutela giurisdizionale a momenti futuri o a ulteriori provvedimenti attuativi. Ebbene, nel caso di specie, l’atto impugnato inciderebbe direttamente sull’attività dei vettori NCC, anche perché, spiegano i Giudici, " non v’è alcun dubbio che tale incidenza vi sia, in quanto il contenuto dispositivo del decreto impugnato e dei relativi allegati esaurisce i profili di conformazione dell’attività dei vettori NCC connessi all’introduzione del foglio di servizio elettronico, residuando esclusivamente la definizione di aspetti meramente tecnici legati all’accesso all’applicazione informatica, e ha diretta incidenza sul comportamento dei destinatari della disciplina, nonché sulla convenienza economica dei rapporti instaurati con i terzi" . Sempre in rito, il TAR ritiene non estensibile il giudizio ai rappresentanti della categoria dei taxi e inammissibile l’intervento della Regione Puglia, ritenuta un controinteressato che ha prestato acquiescenza al provvedimento lesivo. Passando al merito, viene dichiarato inammissibile il motivo di ricorso relativo al trattamento dei dati personali , dato che la posizione fatta valere con tale doglianza è, infatti, la tutela della vita privata e familiare di soggetti terzi ai conducenti, bene di cui, tuttavia, l’associazione ricorrente non può in alcun modo reputarsi titolare, né la ricorrente ha addotto la sussistenza di profili di rilevanza alla doglianza immediatamente attinenti alla propria sfera giuridica (Cons. Stato, II, 23.4.2025, n. 3496). In questo senso non potrebbe neanche ritenersi che gli operatori NCC assumerebbero la qualità di titolari del trattamento di dati personali. Il TAR ritiene, poi, infondato il motivo di ricorso secondo cui l’atto impugnato sarebbe stato assoggettabile al controllo della Corte dei Conti. Difatti, non si tratta di atto normativo, bensì di atto amministrativo assunto da un’Autorità Amministrativa alla luce dell’art. 11, co. 4, della legge 15.1.1992, n. 21, come sostituito dall’art. 10-bis del decreto-legge 14.12.2018, n. 135 (convertito con legge 12/2019). Risulta, invece, fondato il motivo di ricorso che censura la sovrapposizione di competenze e lo sconfinamento della delega legislativa , laddove consente a un organo centrale dello Stato di conservare le informazioni relative al foglio elettronico con accesso consentito a un’ampia platea di soggetti, inclusi i dipendenti comunali, gli appartenenti ad organi militari e di polizia e i dipendenti delle motorizzazioni civili, nonché per un periodo di tempo (3 anni) significativamente superiore a quello di 15 giorni previsto dalla legge per il foglio di servizio cartaceo. Per suffragare la fondatezza del motivo, il TAR ricostruisce il quadro normativo in materia, evidenziando che con il decreto-legge 14.12.2018, n. 135 (convertito, con modificazioni, dalla legge 11.2.2019, n. 12) modificativo della legge 15.1.1992, n. 21, il legislatore ha operato un complessivo riassetto del regime afferente all’esercizio dell’attività di NCC, introducendo le seguenti modifiche alla previgente disciplina contenuta nella: - possibilità di effettuare la prenotazione del servizio, oltre che presso la rimessa, anche presso la sede, e altresì mediante l’utilizzo di strumenti tecnologici (nuovo art. 3, co. 1, l. n. 21/1992); - possibilità di disporre, oltre che della rimessa situata nel comune che ha rilasciato l’autorizzazione, di ulteriori rimesse nel territorio di altri comuni della medesima provincia o area metropolitana (art. 3, co. 3, l. n. 21/1992); - possibilità, anche per i titolari di autorizzazione per l'esercizio del servizio di noleggio con conducente di autovettura ovvero di natante, in caso di malattia, invalidità o sospensione della patente, intervenute successivamente al rilascio della licenza o dell'autorizzazione, di mantenere la titolarità della licenza o dell'autorizzazione a condizione che siano sostituiti alla guida dei veicoli o alla conduzione dei natanti, per l'intero periodo di durata della malattia, dell'invalidità o della sospensione della patente, da persone in possesso dei requisiti professionali e morali previsti dalla normativa vigente (art. 10, co. 2-bis, l. n. 21/1992); - previsione dell’obbligo di compilazione e tenuta da parte del conducente di un foglio di servizio in formato elettronico, le cui specifiche sono stabilite dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con proprio decreto, adottato di concerto con il Ministero dell'interno, in sostituzione del foglio di servizio cartaceo già previsto dalla previgente normativa (art. 11, co. 4, l. n. 21/1992); - previsione dell’obbligo di rientro in rimessa al termine di ogni servizio (già precedentemente introdotto ma successivamente sospeso dall’art. 7-bis, co. 1, del D.L. n. 5/2009, con disposizione reiterata di anno in anno sino all’intervento del D.L. n. 135/2018) e delle relative deroghe, che consentivano di iniziare un nuovo servizio senza il rientro in rimessa quando: i) sul foglio di servizio sono registrate, sin dalla partenza dalla rimessa o dal pontile d’attracco, più prenotazioni di servizio oltre la prima, con partenza o destinazione all’interno della provincia o dell’area metropolitana in cui ricade il territorio del comune che ha rilasciato l’autorizzazione (art. 11, co. 4-bis, l. n. 21/1992); ii) in via transitoria, quando il servizio è svolto in esecuzione di un contratto in essere tra cliente e vettore, stipulato in forma scritta con data certa sino a quindici giorni antecedenti la data di entrata in vigore del presente decreto e regolarmente registrato (art. 10-bis, co. 9, d.l n. 135/2018); - possibilità di fermata su suolo pubblico durante l’attesa del cliente che ha effettuato la prenotazione del servizio e nel corso dell'effettiva prestazione del servizio stesso (art. 11, co. 4-ter, l. n. 21/1992); - istituzione, presso il Centro elaborazione dati del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un registro informatico pubblico nazionale delle imprese titolari di licenza per il servizio taxi effettuato con autovettura, motocarrozzetta e natante e di quelle di autorizzazione per il servizio di noleggio con conducente effettuato con autovettura, motocarrozzetta e natante (c.d. RENT, art. 10-bis, co. 3, d.l. n. 135/2018); - disciplina, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministro dello sviluppo economico, da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, dell’attività delle piattaforme tecnologiche di intermediazione che intermediano tra domanda e offerta di autoservizi pubblici non di linea (art. 10-bis, co. 8, d.l. n. 135/2018). Per quanto di interesse, poi, la Corte costituzionale, con la citata sentenza n. 56/2020 ha ritenuto ragionevoli e non sproporzionati l’obbligo di ricevere le richieste di prestazioni e le prenotazioni presso la rimessa o la sede, anche con l’utilizzo di strumenti tecnologici, l’obbligo di compilare e tenere un “foglio di servizio”, nonché la temporanea moratoria al rilascio di nuove autorizzazioni NCC fino alla completa operatività del RENT. Secondo il TAR, con l' architettura data dal decreto contestato, l’Amministrazione ha precostituito i presupposti per realizzare un controllo generalizzato dell’intera attività dei vettori NCC, per un periodo di tempo particolarmente lungo (3 anni), tramite la diretta disponibilità, accentrata in mano pubblica, di tutti i dati concernenti i servizi di tutti gli operatori attivi sull’intero territorio nazionale, con acquisizione anche delle informazioni riguardanti gli spostamenti degli utenti. Ciò considerato, il TAR ha valutato illegittime le previsioni del decreto ministeriali, in quanto la normativa primaria non consentirebbe un assetto di questo tipo e il Ministero avrebbe travalicato le proprie competenze. Ulteriormente, il TAR, analizzando la tematica del foglio di servizio elettronico che, per espressa previsione normativa sovraordinata, deve essere non solo compilato ma anche tenuto dal conducente , ha evidenziato che la normativa non prevede la possibilità di conservazione di questo foglio fino a creare un archivio digitalizzato , con un meccanismo particolarmente pervasivo che non era nelle intenzioni del legislatore, un meccanismo che reca un pregiudizio ancora maggiore, considerata la durata triennale della tenuta dello stesso. Dunque, il Ministero avrebbe superato i limiti posti dal legislatore nazionale. Da ultimo, il TAR accoglie anche i motivi relativi al “ regime dei 20 minuti ”, affermando che l’introduzione di un vincolo temporale tra la prenotazione e l’inizio del servizio non può in alcun modo essere riguardato come una specifica del foglio di servizio, costituendo a tutti gli effetti un vincolo conformativo dell’attività dei vettori NCC e, quindi, un profilo di regolazione della relativa attività. La circostanza che il suddetto vincolo sia introdotto sotto forma di un blocco dell’applicazione informatica, che consente la registrazione della bozza del foglio di servizio solo fino a 20 minuti prima dell’inizio del servizio stesso, costituisce un mero espediente finalizzato a ricondurre all’oggetto della delega un (nuovo) limite all’esercizio dell’attività non previsto, né consentito, dalla legge. Uguale considerazione viene fatta dal TAR in merito alla necessità di coincidenza tra partenza e arrivo del servizio nella medesima data. RIFLESSIONI SUL RAPPORTO TRA POTERE LEGISLATIVO E POTERE AMMINISTRATIVO Come spesso accade, l’Amministrazione, con un’attività di gold plating , ha disciplinato la materia dello strumentario di servizio di un operatore professionale privato superando il dato legislativo e arrivando a porre delle condizioni che rischiano di gravare sia sulla privacy dei clienti, sia sulla libertà d’iniziativa economica dei gestori del noleggio con conducente, richiedendo oneri eccessivi e non proporzionati, né giustificati. L’importanza di rispettare il principio di separazione dei poteri emerge tutte quelle volte in cui il confine tra potestà legislativa e potere amministrativo si assottiglia, da un lato perché la materia richiede plurimi atti attuativi, dall'altro perché le competenze tecniche dei due plessi – legislativo e amministrativo – non sono ben amalgamate. E, così, come in questo caso, si concretizza il rischio che l’amministrazione pubblica interferisca o si sovrapponga al potere legislativo andando a iper regolare una materia o a porre condizioni più gravose di quelle ammesse dalla legge. Nel caso di specie, il Giudice amministrativo evidenzia che il Ministero pare avere sbagliato in due direzioni. Da una parte, ha strumentalizzato l’attività dei NCC di tenuta dei dati, trasformandola in un controllo generalizzato della durata di ben 3 anni, a differenza dei 15 giorni ammessi dalla legge. Dall’altra, ha vincolato in maniera troppo stringente i vettori NCC al regime dei 20 minuti (da rispettare tra una corsa e l’altra). Il tutto, "fingendo" di operare sulle specifiche tecniche del foglio di servizio, m effettivamente andando a conformare l'attività di servizio, in eccedenza rispetto a quanto richiesto dal Legislatore. La sentenza in commento prova a riportare a regime il sistema partendo da due fili conduttori: la tutela della privacy (peraltro soltanto "evocata", in quanto secondo i Giudici la legittimazione a preservarla non sarebbe degli operatori) e il rispetto della libertà di iniziativa economica dei vettori. Difatti, non bisogna dimenticare che, nella ripartizione delle competenze tra potere legislativo e potere esecutivo, è il primo a porre le basi normative, mentre al secondo competono gli aspetti attuativi. Perciò, quando l’amministrazione pone dei vincoli contrastando o superando il dato normativo, ecco che allora si pone in antitesi con il potere legislativo, introducendo una norma in maniera non consentita. E, soprattutto, in un settore come quello dei trasporti – dove la tematica dei NCC è particolarmente sensibile e spinosa – l’importanza di coordinamento tra potere legislativo e potere esecutivo è un aspetto imprescindibile, considerando la portata nazionale che lo stesso ha. Tuttavia, questo non è solo un tema di antinomie di stretto diritto, bensì anche una questione pratica di rilievo. Perché se si consente un controllo generalizzato dell’attività dei vettori NCC attraverso la disponibilità accentrata in mano pubblica di tutti i dati di servizio degli operatori, si crea certamente un problema di privacy e di concorrenza, potendosi anche profilare le attività dei singoli NCC, con controllo pervasivo di un’attività imprenditoriale che per Costituzione dovrebbe essere libera. Problemi che rischiano di aggravare gli oneri dei conducenti NCC, svantaggiandoli sul mercato rispetto ad operatori di altri servizi. Peccato soltanto che il TAR adito non abbia indagato a fondo, rilevando preliminarmente un'inammissibilità del ricorso sul punto, la questione dell' aggressione alla riservatezza dei dati personali dei trasportati , quando probabilmente il preservare tale riservatezza costituisce anch'esso un diretto interesse dei conducenti, al fine di rendere più appetibile la loro offerta di trasporto.
Autore: a cura di Federico Smerchinich 11 agosto 2025
TAR Lazio, Roma, sentenza n. 9437 pubblicata il 19 maggio 2025 IL CASO E LA DECISIONE (commento di Federico Smerchinich) Tra i vari strumenti che il legislatore ha previsto per risolvere in maniera alternativa, o meglio preventiva, le controversie nell’ambito dell’esecuzione dei contratti pubblici, vi è il collegio consultivo tecnico (di seguito “CCT”), introdotto dal d.l. n. 76/2020 , il c.d. decreto “Semplificazioni”, nella vigenza del d.lgs. n. 50/2016, e confermato, oltre che aggiornato, dal d.lgs. n. 36/2023 e dal suo correttivo. Questo istituto sta riscontrando particolare successo pratico, ma è anche stato fonte di dibattito e discussione nelle aule giudiziarie, come nella sentenza in commento. Difatti, uno degli snodi cruciali dell’applicazione di questo istituto è capire chi ne possa essere membro o presidente. Il caso portato all’attenzione della giurisprudenza amministrativa prende le mosse da un ricorso proposto da alcuni avvocati in proprio e dall’Ordine degli avvocati di Roma per l’annullamento in parte qua del decreto del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili (di seguito “MIMS”) n. 12 del 17.01.2022 , di adozione delle linee guida per l’omogenea applicazione da parte delle stazioni appaltanti delle funzioni del collegio consultivo tecnico. Difatti, l’ art. 6 comma 8 bis d.lgs. n. 76/2020 ha individuato nel MIMS il soggetto che deve determinare i requisiti per accedere al ruolo di membro del CCT e tale Ministero ha predisposto un decreto contenente i requisiti e le indicazioni sulle compatibilità con tali ruoli, ma escludendo gli avvocati del libero foro da tale possibilità. Nell’ambito del giudizio in commento vi è stato anche l’intervento ad adiuvandum di un’associazione specialistica che rappresenta parte degli avvocati amministrativisti. Nella sostanza i ricorrenti hanno contestato che il decreto del MIMS avrebbe esplicitamente escluso gli avvocati del libero foro dalla possibilità di ricoprire il ruolo di presidente dei CCT. In particolare, è stato evidenziato che l’allegato A al decreto del MIMS, nel fissare i requisiti esperienziali per la nomina del "giurista", non avrebbe contemplato, tra i professionisti ivi elencati, gli avvocati del libero foro come possibili presidenti del CCT. Una soluzione che sarebbe stata contraddittoria rispetto all’art. 6 d.l. n. 76/2020 che aveva introdotto questo istituto, ma anche discriminatoria rispetto alla nomina degli avvocati in altri ruoli come quello di giudice della Corte Costituzionale, membro laico del CSM o membro della Camera Arbitrale presso l’ANAC, dove l’avvocato del libero foro è equiparato ad altre figure professionali. I ricorrenti hanno anche ricordato che la legge professionale forense n. 247/2012 riconosce agli avvocati del libero foro un ruolo di rilevanza pubblicistica e gli garantirebbe, quale prerogativa dell’istituto, un ruolo negli organi di natura tecnica. Infine, è stata contestata altresì l’assenza del parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici da parte del MIMS prima della stesura del decreto impugnato. Da parte sua, il Ministero si è difeso sostenendo che il decreto ammetterebbe comunque la partecipazione degli avvocati alla presidenza dei CCT, purché dimostrino il possesso di certi (ulteriori) requisiti. Nelle more del processo, dopo l’accoglimento dell’istanza cautelare con sospensione degli atti contestati, è mutata la disciplina sui contratti pubblici, con la pubblicazione del d.lgs. n. 36/2023 , dove l’istituto del CCT è stato riconfermato e "istituzionalizzato"; d'altra parte, la disciplina in materia di requisiti tecnici per la nomina come componente e presidente di CCT è stata resa autonoma dal decreto ministeriale del 2022 soltanto con la pubblicazione del c.d. "correttivo" al codice ( d.lgs. n. 209/2024 ). I ricorrenti hanno in ogni caso manifestato la permanenza del loro interesse alla decisione del ricorso , in quanto, pur avendo la sopravvenienza normativa eliminato la presunta discriminazione ai danni degli avvocati del libero foro, soltanto la conferma nel merito dell'illegittimità del pregresso decreto ministeriale avrebbe potuto consolidare gli effetti positivi derivanti dalla nomine nel frattempo avvenute in favore dei singoli professionisti, sulla base della sospensiva accordata dal TAR. In via preliminare, il Giudice di primo grado ha dichiarato inammissibile l’intervento ad adiuvandum di un avvocato in proprio , richiamando la giurisprudenza che non ritiene possibile l’intervento in giudizio della parte che avrebbe potuto proporre ricorso autonomo, e quello dell’associazione specialistica, rilevando in tal caso la sostanziale non omogeneità della posizione di tutti gli iscritti dell’associazione, tenuto conto che per ogni categoria professionale contemplata dal gravato punto 2.4.2., lett. c), dell’Allegato A, del d.m. n. 12/2022 era richiesto il possesso di una specifica esperienza decennale per poter assumere l’incarico di presidente del CCT, e che non fosse dunque " escluso che alcuni degli iscritti all’associazione, per ragioni di carattere temporale, non possiedano ancora tale requisito e, quindi, non possano attualmente ambire allo svolgimento dell’incarico in questione (...) ". Secondariamente, il TAR si è pronunciato sulla permanenza dell’interesse a ricorrere dei ricorrenti. In particolare, il giudice di prime cure ha concordato con i ricorrenti sul fatto che, mentre il d.lgs. n. 36/2023, con gli artt. 215-219, ha superato la fase transitoria disposta dal d.l. n. 76/2020, rinviando comunque alla disciplina del d.m. n. 12/2022 contestato, solo con il cd. correttivo si è definitivamente abbandonato tale decreto ministeriale. Da questo momento in poi, infatti, è stato lo stesso d.lgs. n. 36/2023 a divenire fonte normativa del CCT tramite il suo allegato V.2 art. 2 rubricato “Requisiti e incompatibilità”. Alla luce di questa disamina, il TAR ha accertato la permanenza dell’interesse a ricorrere relativamente agli incarichi di presidente assunti prima della novella legislativa introdotta con il correttivo d.lgs. n. 209/2024, nelle more consentita solo in virtù della sospensione cautelare richiesta e concessa con riferimento allo stesso decreto ministeriale oggetto di impugnazione. Difatti, dal correttivo in avanti è pacifico che anche gli avvocati del libero foro possono divenire presidenti del CCT in presenza dei requisiti richiesti. Inoltre, il TAR ha precisato che i requisiti di cui alle lett. da a) ad f) dell’art. 2 comma1 allegato V.2. d.lgs. n. 36/2023 possano essere cumulati. Dopo aver risolto le questioni di rito, il TAR ha proceduto all'esame di merito del ricorso, ritenendo illegittimo che gli avvocati del libero foro non fossero stati espressamente annoverati tra le figure professionali che il MIMS aveva incluso nella categoria dei giuristi di cui all’art. 2.4.2. lett. c) del d.m. 12/2022, in quanto tali idonei a divenire presidenti del CCT. Secondo il TAR, questa esclusione sarebbe irragionevole , dato che consentirebbe solo agli avvocati con esperienza ultra decennale da presidente presso le commissioni per l’accordo bonario di divenire presidente di CCT, anche considerando che ormai le commissioni per l’accordo bonario sono un istituto in disuso. Inoltre, il TAR ha rilevato un interessante profilo di illegittimità del decreto, laddove, pur escludendo gli avvocati del libero foro, giustappone a qualifiche derivanti da un rapporto di dipendenza con lo Stato, altre qualifiche prive di un vincolo funzionale con l’amministrazione statale (es. dirigenti di stazioni appaltanti con personalità giuridica di diritto privato) che agiscono iure privatorum e solo occasionalmente sono funzionali al raggiungimento di interessi pubblici. Un’equiparazione in melius di tali soggetti con i dipendenti delle amministrazioni statali che si rivela dunque anch'essa irragionevole e discriminatoria, se confrontata con la contestuale decisione di escludere da tale ambito gli avvocati. In conclusione, il TAR ritiene che la scelta del MIMS di escludere gli avvocati del libero foro dai soggetti che possono essere presidenti del CCT non risulta espressione di un corretto e ragionevole esercizio della discrezionalità riconosciuta al Ministero dall’art. 6 comma 8 bis d.l. n. 76/2020, anche considerando che questa norma al comma 1 prevede che una delle funzioni del CCT sia quella di prevenire e risolvere le controversie nella fase esecutiva dei contratti pubblici e che l’esclusione si pone in contraddizione con la possibilità di nominare gli avvocati come membri della Camera Arbitrale presso l’ANAC di cui all’art. 210 d.lgs. n. 36/2023. All’esito di tali argomentazioni, il TAR ha accolto dunque il ricorso, precisando tuttavia che, stante l’intervento del correttivo sul d.lgs. n. 36/2023 - che ha, di fatto, abrogato il d.m. n. 12/2022 -, nessuna modifica normativa deve essere apportata dal MIMS in conseguenza di tale pronuncia. I GIURISTI DI CARRIERA E IL NUOVO ISTITUTO: LIMITI E PERICOLI (annotazione a cura di Roberto Lombardi) Sembra abbastanza paradossale che il TAR Lazio abbia dovuto "sbloccare", prima con una pronuncia cautelare e poi con una decisione "confermativa" di merito, la possibilità di nomina come presidente di CCT per gli avvocati. Se infatti si guarda agli obiettivi dell'istituto, alle competenze richieste e all'effettiva vicinanza alle parti di chi presiede il Collegio, la figura dell'avvocato "esperto" pare garantire al meglio (o quasi) una buona interpretazione del ruolo. Più discutibile invece è lo sdoganamento normativo , senza se e senza ma, in favore dei magistrati , per lo svolgimento di questo ruolo. Dopo il divieto assoluto di arbitrati , stabilito nell'ormai lontano 2012 dalla Legge Severino, qualcuno si è chiesto, non senza ragioni, se il legislatore del 2020 ("decreto semplificazione" del luglio 2020), che ha introdotto i Collegi Consultivi Tecnici, non abbia di fatto aggirato il divieto. D’altra parte, posto che il Collegio Consultivo Tecnico ha la funzione di assistenza per la rapida risoluzione delle controversie, o delle dispute tecniche di ogni natura, suscettibili di insorgere nel corso dell’esecuzione del contratto di affidamento di lavori diretti alla realizzazione di opere pubbliche, ivi inclusi i lavori di manutenzione straordinaria, e che per i lavori sopra soglia l’istituzione del Collegio Consultivo Tecnico è obbligatorio , trattasi in ogni caso di attività consultiva . Ciò la distingue nettamente dall'attività degli arbitrati: il collegio consultivo, infatti, non dirime una controversia, ma previene e affianca la stazione appaltante nella fase esecutiva, ovvero – nell’ipotesi di collegi consultivi tecnici facoltativi - anche nella fase di stesura di predisposizione del bando e di scelta del contraente. Tuttavia, secondo la linea di pensiero critica nei confronti della forte apertura del nuovo istituto ai magistrati, il rischio di possibili pregiudizi alla imparzialità di questa articolare tipologia di giurista, che aveva giustificato il divieto degli arbitrati, è qui forse ancora maggiore, data la inevitabile commistione tra magistrato e stazione appaltante. Di certo, un ruolo fondamentale spetta alla disciplina interna dei singoli organi di autogoverno, a cui è devoluto il compito di meglio definire regole che la normativa ha lasciato a maglie larghe. Il sistema ideale sarebbe quello del conferimento , basato su criteri oggettivi e rigidamente predeterminati, in grado di ridimensionare la possibilità di vincoli fiduciari impropri. Tuttavia, almeno nella giustizia amministrativa - tra le cui file, specie al Consiglio di Stato, si annoverano i principali beneficiari delle presidenze dei più importanti di CCT - il sistema tipico è quello dell'autorizzazione, con richiesta nominativa da parte di stazione appaltante e impresa appaltatrice. A questo riguardo , la disciplina interna in materia di incarichi di presidente dei collegi consultivi tecnici è stata regolamentata dal CPGA con delibera n. 65 del 2020 e ha subito una sostanziale modifica nei suoi aspetti più significativi, a seguito di ulteriore delibera adottata dal Consiglio nella seduta del 5 luglio 2023. Si è passati da una incompatibilità automatica ex ante (nel caso di partecipazione, nell’anno precedente all'incarico, a un collegio che aveva deciso una controversia in cui era parte il soggetto privato o pubblico coinvolto nell'appalto) a un sistema di “disclosure” con riserva di gradimento. In pratica, una volta che l’interessato ha ricevuto l'incarico dai due soggetti coinvolti nell’esecuzione dell’appalto, la segreteria dell’Ufficio di appartenenza del magistrato destinatario di tale incarico verifica se costui ha fatto parte di un collegio che ha deciso, nei due anni precedenti alla sua designazione, un contenzioso coinvolgente una delle partiche gli hanno conferito l’incarico stesso. Se il riscontro è positivo, tale notizia viene comunicata ai due soggetti interessati, affinché gli stessi possano rideterminarsi negativamente, se lo desiderano, rispetto all'incarico già conferito. Il ragionamento sottostante a tale scelta del Consiglio di Presidenza è che le parti che attribuiscono l'incarico, prima della designazione del magistrato, potrebbero non essere a conoscenza di eventuali cause di incompatibilità; tuttavia, l'incompatibilità normalmente valorizzata dall'Organo di autogoverno è quella riferibile a una potenziale lesione dell'immagine del magistrato e a un sostanziale pregiudizio al corretto svolgimento delle sue funzioni, con interesse dei privati che dovrebbe restare sullo sfondo. Sono stati inoltre introdotti tre limiti alla maggiore elasticità della nuova disciplina: - la possibilità che il Capo dell'Ufficio possa sindacare il pregiudizio di funzionalità derivante dall'incarico (con un parere di “opportunità”); - il limite numerico massimo di tre incarichi per volta; - l'obbligo di comunicazione semestrale dei compensi ricevuti in relazione all'incarico stesso (poi diventato annuale). Da notare, a tale ultimo riguardo, che la parte fissa del compenso per la partecipazione a un CCT è soltanto eventuale, perché subordinata alla partecipazione ad almeno 4 riunioni. Il calcolo del compenso è inoltre soggetto a una serie di riferimenti matematici che lo rendono molto complesso (oltre che, come detto, presuntivo), per cui in sede di prima applicazione delle norme interne è stata ritenuta sufficiente l'indicazione del parametro principale di valutazione, che resta il valore dell'appalto da eseguire. La questione riveste comunque molta importanza in rapporto al rispetto del limite del 65% della retribuzione media della qualifica di appartenenza del magistrato, limite entro cui deve essere contenuta la remunerazione per gli incarichi extraistituzionali se l’anno successivo se ne vuole assumere un altro, e si tratta in ogni caso di somme (almeno quelle pagate dal privato) che fuoriescono dal tetto retributivo massimo stabilito per i dipendenti pubblici dal legislatore. Occorre peraltro verificare, adesso che la Corte costituzionale con la sentenza n. 135 di quest'anno ha dichiarato l'illegittimità sopravvenuta della norma sul “tetto retributivo”, se continuerà o meno, da parte dei magistrati (specie di quelli amministrativi), la preferenza per le presidenze dei CCT - dato che parte del compenso ricevuto, ovvero quello di competenza della parte privata, non soggiace al citato "tetto" -, o se si riapriranno i tradizionali percorsi verso il cumulo di incarichi governativi ben remunerati, una parte dei quali, per il livello stipendiale e retributivo raggiunto dal magistrato assegnatario dell'ulteriore incarico, era fino ad oggi, di fatto, svolta a titolo "gratuito".
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