Nuove costruzioni o ristrutturazioni? Il punto del TAR Milano

a cura di Federico Smerchinich • 12 luglio 2025

TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 7.08.2024, n. 2353

IL CASO E LA DECISIONE

Il giudizio oggetto della sentenza in commento riguarda la possibilità realizzazione, a seguito di SCIA, di quattro nuove unità immobiliari costruite su due piani fuori terra ed un piano seminterrato ad uno cantinato, in sostituzione di un fabbricato a uso artigianale-deposito situato all’interno del cortile di un supercondominio a Milano. 

Infatti, una società aveva presentato una SCIA per costruire le unità immobiliari predette, ma l’amministratore del supercondominio e alcuni proprietari avevano presentato istanza al Comune per inibire i lavori di cui alla SCIA. 

Al riguardi, come noto, occorre ricordare che la SCIA è stata ritenuta dalla giurisprudenza “quale atto soggettivamente ed oggettivamente privato” (ex multis Cons. Stato, Sez. IV, 02/05/2024, n. 3990; Cons. Stato, Sez. IV, 13/06/2025, n. 5154), non direttamente impugnabile. Ne consegue che il terzo che vuole contestare le attività attuate a seguito di SCIA deve fare istanza al Comune per sollecitarlo a esercitare i poteri inibitori, repressivi o conformativi (art. 19 c. 3 l. n. 241/1990) o poteri di annullamento d’ufficio (art. 19 c. 4 l. n. 241/1990). A seguito di istanza il Comune deve pronunciarsi e il terzo può contestare il provvedimento amministrativo. Qualora il Comune non si pronunci, il terzo può agire per il silenzio inadempimento. Si coglie l’occasione anche per precisare che la giurisprudenza si era interrogata sulle tempistiche dell’azione giurisdizionale del terzo (ex multis Cons. Stato, Sez. IV, 11/03/2022, n. 1737) e sulla legittimità dell’art. 19 l. n. 241/1990, laddove non prevede tempistiche tipiche per l’azione del terzo, che è stato ritenuta conforme a Costituzione (v. Corte Cost. 45/2019).

Tornando al caso di specie, i terzi, cioè l’amministratore del supercondominio e alcuni proprietari, hanno agito avverso il silenzio del Comune sulla loro istanza inibitoria. Nelle more del processo, il Comune ha emesso un provvedimento espresso con cui ha respinto l’istanza dei terzi, impugnato con motivi aggiunti. 

Il TAR ha, dapprima, analizzato le eccezioni di rito proposte dalla parte resistente e dal controinteressato, ribadendo alcuni principi che meritano di essere ripresi:

- nei procedimenti sul silenzio, possono essere proposti i motivi aggiunti avverso gli atti sopravvenuti;

- la procura rilasciata per agire e contraddire davanti al giudice amministrativo si intende conferita anche per proporre motivi aggiunti;

- l’amministratore del condominio è legittimato, senza necessità di autorizzazione assembleare, a proporre giudizio ex art. 1131 c.c. laddove l’azione avviata ricada nell’ambito delle sue competenze tra le quali, a norma dell’art. 1130 c.c. n. 4, rientra anche il compimento di atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio;

- i proprietari di unità abitative collocate in prossimità di interventi pregiudizievoli sono legittimati a proporre ricorso avverso gli atti autorizzativi dell’intervento, in virtù del criterio della vicinitas;

- il singolo condomino che intende tutelare il proprio diritto di comproprietario “pro quota” dei beni comuni, ha legittimazione concorrente e aggiuntiva rispetto a quella dell’amministratore nei giudizi in cui questi abbia già assunto legittimamente la difesa;

- la sussistenza dell’interesse a ricorrere comporta la sussistenza dell’interesse a dedurre qualsiasi censura che possa portare a paralizzare nella sua completezza l’intervento edilizio avversato, anche se riguardante aspetti che, in sé considerati, non incidono in maniera significativa sull’interesse dei ricorrenti.

Quanto al merito, la questione principale verte sulla natura dell’intervento edilizio, cioè se esso sia una nuova costruzione o una ristrutturazione e se sia possibile eseguirlo semplicemente a seguito di SCIA. 

Prima di affrontare questo tema, il TAR rileva che parte della superficie relativa al nuovo intervento non parrebbe essere giustificata da titolo edilizio, rappresentando che, ai sensi dell’art. 9 bis c. 1 bis d.P.R. 380/2001, il principale modo per dimostrare l’effettiva consistenza volumetrica di un edificio è la produzione del titolo edilizio, dato che non assume rilievo l’omesso esercizio del potere sanzionatorio da parte del Comune. In altre parole, serve una prova positiva della legittimità della costruzione. Solo per opere realizzate in un periodo in cui non era necessario il titolo abilitativo edilizio, la legittimità delle stesse può essere provata con altre modalità (informazioni catastali di primo impianto, o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d'archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile).

Il TAR ritiene, d'altra parte, che non sia stato dimostrato dai controinteressati il rispetto dell’art. 21.2 lett. b) delle norme di attuazione del Piano delle Regole del Comune di Milano, che richiede il rispetto dell’altezza dell’edificio preesistente in caso di edificazione all’interno di cortili. 

Venendo al tema principale della questione, il TAR afferma che l’intervento di cui si discute è una nuova costruzione e non può essere ricondotto al concetto di ristrutturazione: da ciò ne consegue l’impossibilità di realizzarlo a seguito di SCIA. In particolare, secondo l’art. 10 d.l. 76/2020, che ha modificato l’art. 3 lett. d) d.P.R. 380/2001, rientrano nell’ambito della ristrutturazione anche quegli interventi che comportano la realizzazione di un edifico diverso rispetto a quello demolito, per sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche. Tuttavia, il TAR ricorda che, come ribadito dalla giurisprudenza, non vi è ristrutturazione, bensì nuova costruzione, quando fra il precedente edificio e quello da realizzare al suo posto non vi sia alcuna continuità, producendo un rinnovo del carico urbanistico (Cass. Pen Sez. III, 10.01.2023, n. 91669; Cons. Stat, Sez. IV, 22.06.2021, n. 4791; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 18.05.2020 n. 841). 

Nel caso di specie, il TAR, proprio in base a quanto appena detto, ravvisa la qualità di nuova costruzione nell’intervento in questione e afferma che sarebbe stato necessario il permesso di costruire il luogo del procedimento tramite SCIA. 


LIBERALIZZAZIONE IN MATERIA EDILIZIA E LIMITI URBANISTICI

La recente tendenza legislativa muove verso una sempre maggiore semplificazione, al fine di snellire i procedimenti amministrativi e garantire quel principio di funzionalità ed efficienza che è la stella polare dell’agire pubblicistico del nostro tempo.

Proprio in nome della semplificazione, sono stati introdotti strumenti per alleggerire, senza cancellare, il procedimento amministrativo e ottenere la realizzazione degli interessi legittimi pretensivi in maniera più semplice (es. silenzio, conferenza di servizi ecc.). Accanto alla semplificazione, è stata incentivata anche la liberalizzazione, per consentire al cittadino che ha i presupposti e i requisiti per realizzare un proprio interesse di integrare la fattispecie tipica, semplicemente comunicando all’amministrazione pubblica la propria intenzione di realizzare qualcosa (es. SCIA).

Mentre nel caso della semplificazione l’azione amministrativa di controllo si pone in via preventiva, costituendo un passaggio necessario prima di ottenere il bene della vita, nell’ambito della liberalizzazione il controllo amministrativo è successivo, funzionando con eventuali poteri sanzionatori o repressivi.

Tutto ciò, per tratteggiare il perimetro della vicenda oggetto della sentenza in commento, dove il privato cittadino si è avvalso della SCIA, tipico modulo di liberalizzazione, laddove, secondo il TAR, sarebbe stato necessario ricorrere ad una procedimentalizzazione dinanzi all'Autorità pubblica. Non bisogna, invero, dimenticare che gli strumenti di liberalizzazione non possono essere utilizzati per aggirare il principio di legalità che deve sempre guidare il rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione. 

La sentenza in commento offre diversi spunti di interesse. Quello su cui è doveroso soffermarsi riguarda proprio il concetto di nuova costruzione. Difatti, come ricordato anche dal TAR, il decreto semplificazioni 2020 ha ampliato le possibilità di procedere su mera iniziativa privata, tramite ristrutturazione. Questo decreto, frutto del periodo Covid e di necessità acceleratorie, ha voluto incentivare tale attività in ottica di liberalizzazione, al fine di diminuire le lungaggini burocratiche in tutta una serie di casi limite di attività demo-ricostruttive, arrivando anche a considerare ristrutturazioni le realizzazioni di edifici diversi per sagoma, prospetti, sedime, caratteristiche planivolumetriche e tipologiche. In altre parole, il legislatore si è allontanato dal concetto di ristrutturazione classico per muovere verso un concetto più elastico, che consenta al cittadino di meglio esercitare il proprio diritto di proprietà, evitando, dove possibile, di richiedere l’esercizio del potere amministrativo. 

Tuttavia, ed è qui che risiede l’interesse della pronuncia, il TAR pone un limite al concetto di ristrutturazione quando non vi è continuità tra precedente edificio e nuovo edificio, producendosi un carico urbanistico nuovo che non è più correlato con l’edificio precedente. In altre parole, il punto di svolta sarebbe il seguente: finché si svolgono attività edilizie che non alterano in modo discontinuo il precedente edificio, allora si rimane nell’ambito del diritto di proprietà godibile tramite strumenti di liberalizzazione; quando si sfocia nella "discontinuità", il diritto di proprietà lascia il posto all’interesse legittimo del privato a creare qualcosa di “nuovo”, che si deve necessariamente confrontare con l’interesse pubblico della pianificazione territoriale tramite un carico urbanistico razionale e proporzionato. Il ragionamento parrebbe essere condivisibile. Ciò su cui si ravvisano delle perplessità sono i concetti di “continuità” o “discontinuità” utilizzati dalla giurisprudenza, che appaiono troppo astratti e in grado di fuorviare, in assenza di precisi indici in un senso o nell’altro. Infatti, il rischio è che gli stessi possano essere strumentalizzati dai privati o utilizzati in maniera diversa dalla pubblica amministrazione nei vari territori, risultando fonte di dubbi.

Ad ogni modo, la sentenza in commento è sub iudice dinanzi al Consiglio di Stato, e sarà interessante vedere quali indicazioni darà il giudice d’appello, posto che, da un lato, il Comune interessato continua a sposare una linea interpretativa delle norme coinvolte opposta a quella del TAR sul tema della continuità (continuità che, secondo l'Amministrazione, dovrebbe necessariamente caratterizzare soltanto gli interventi di restauro e risanamento conservativo e non quelli di ristrutturazione), dall'altro, è ancora in corso, seppure attualmente in una fase di stallo, l’iter parlamentare di un nuovo disegno di legge finalizzato a superare una giurisprudenza ritenuta troppo rigorosa in materia, anche a seguito delle numerose indagini aperte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano su una presunta gestione troppo "disinvolta" dell'uso del territorio da parte del Comune meneghino (cfr., sul tema, i due articoli comparsi sul sito, rinvenibili ai seguenti link: https://www.primogrado.com/abuso-edilizio-e-interpretazione-della-normativa-vigente-ad-opera-del-comune e https://www.primogrado.com/cosa-resta-del-covid-dai-vaccini-salva-vite-alle-leggi-salva-citta  ).