Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e assistenza umanitaria
Tribunale di Bologna, Prima sezione penale, Ordinanza del 17 luglio 2023/ Corte giustizia, Grande Sezione, sentenza del 3 giugno 2025, resa nella causa C‑460/23
IL CASO E LA DECISIONE
Un'imputata di origine congolesi è stata chiamata a rispondere, dinanzi al Tribunale di Bologna, del delitto di cui all’art. 12, comma 1 del decreto legislativo n. 286 del 25 luglio 1998, in concorso con il delitto di possesso di documenti di identificazione falsi di cui all’art. 497 bis del codice penale.
La condotta a lei contestata è stata quella di essersi presentata nell’agosto del 2019 alla frontiera aerea di Bologna in arrivo con un volo proveniente da Casablanca in compagnia, quale accompagnatrice e affidataria, di due bambine di otto e tredici anni.
Sia l’accompagnatrice che le minori aveva peraltro esibito falsi passaporti, alla frontiera, e, successivamente, in sede di convalida per l’arresto, l'imputata aveva dichiarato, da un lato, di essere fuggita dalla Repubblica Democratica del Congo per sottrarsi alle minacce di morte rivolte a lei e alla sua famiglia dall'ex compagno, in seguito dell'interruzione della loro relazione, dall’altro, che le minori che viaggiavano con lei erano, rispettivamente, la figlia e la nipote (figlia della sorella deceduta ed a lei affidata), e di averle portate con sé temendo per la loro incolumità.
Nelle more dell’esercizio dell’azione penale, tramite relazione di consulenza medico-legale disposta su ordine del Tribunale per i minorenni era stato accertato (mediante comparazione del DNA) il rapporto di maternità fra l'imputata ed una delle bambine, mentre con riferimento all’altra minore (nel frattempo allontanatasi volontariamente) i servizi sociali avevano riferito che dai colloqui intercorsi era emerso che la stessa fosse effettivamente la nipote dell'imputata e che fosse stata a lei affidata in seguito al decesso della madre.
Terminata in dibattimento l’acquisizione delle prove richieste dalle parti, il Giudice adito ha ritenuto di dovere sospendere il processo per disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, tanto sotto il profilo dell'interpretazione dell'art. 52 par. 1 della Carta in relazione all'art. 12 co. 1 T.U.I., quanto sotto il profilo della validità della normativa dettata dalla direttiva 2002/90/CE2 e dalla decisione quadro 2002/946/GAI3 (congiuntamente, "Facilitators package").
In punto di rilevanza, il Tribunale di Bologna ha evidenziato che la scelta di criminalizzare anche condotte di favoreggiamento all'ingresso sorrette da fini di assistenza umanitaria (come quella concretizzatasi nel caso di specie) indurrebbe a dubitare che la norma penale di cui all'art. 12 co. 1 T.U.I., conforme alla disciplina del Facilitators package, soddisfi anche i criteri di cui all'art. 52 par. 1 della Carta sotto i profili della necessità e della proporzionalità, ovvero del ragionevole bilanciamento dei contrapposti interessi coinvolti.
Invero, la nozione di "attività di assistenza umanitaria", contemplata all'art. 1 par. 2 della direttiva 2002/90/CE quale presupposto della scriminante che gli Stati Membri hanno la facoltà di prevedere, non sarebbe ulteriormente definita dal legislatore europeo, e lo Stato italiano, nel prevedere la causa di giustificazione per le sole ipotesi di favoreggiamento del soggiorno irregolare di stranieri già presenti sul territorio, tipizzerebbe più precisamente la nozione all'art. 12 co. 2 T.U.I. con riferimento alle "attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno".
Secondo il Giudice di primo grado, sussisterebbe l’irragionevolezza della mancata previsione della scriminante in relazione ad un’ulteriore, seppure circoscritta, categoria di ipotesi, e in particolare nei casi in cui le condotte di facilitazione all'ingresso di stranieri irregolari siano poste in essere con finalità di assistenza umanitaria consistenti nell'agevolare l'interessato nell'esercizio di diritti fondamentali, quali il diritto alla vita e alla incolumità fisica, tutelato agli artt. 2 e 3 della Carta, il diritto d'asilo, tutelato all'art. 18 della Carta, e il diritto al rispetto della vita familiare, tutelato all'art. 7 della Carta.
La questione della conformità rispetto al diritto dell'Unione Europea della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 12 co. 1 T.U.I., nei termini appena prospettati, sarebbe stata peraltro dirimente nel caso di specie ai fini della decisione sulla responsabilità dell'imputata, la quale aveva allegato nel corso del processo di essere fuggita dal Paese di provenienza per sottrarsi a minacce di morte rivolte nei propri confronti e nei confronti della propria famiglia, e avere poi presentato domanda di protezione internazionale nelle settimane successive all'ingresso sul territorio nazionale.
Tali condotte, a dire del Tribunale, avrebbero potuto essere qualificate come dirette a finalità di assistenza umanitaria, sia sotto il profilo del diritto alla vita delle due minori, minacciato nel Paese d'origine, che sotto il profilo del diritto d'asilo delle due minori, in relazione alla richiesta di protezione internazionale formulata dall'imputata, sia, ancora, sotto il profilo del diritto alla vita familiare, atteso il rapporto di genitorialità e parentela fra le due minori di cui è stato favorito l'ingresso sul territorio nazionale e l'imputata stessa.
D’altra parte – prosegue il Giudice penale - qualora fosse stato accertato all'esito del processo che la condotta oggetto del giudizio era stata posta in essere al fine di prestare assistenza umanitaria alle due minori, non si sarebbe comunque potuto escludere, su queste sole basi, la responsabilità penale dell'imputata, in quanto la disciplina di cui all'art. 12 T.U.I. non prevede infatti una corrispondente causa di esclusione della punibilità.
Investita della questione pregiudiziale, la Corte di Giustizia ha innanzitutto riepilogato il quadro giuridico di riferimento, procedendo ad integrare, in quanto già implicitamente contenuti nell'essenza della motivazione del Giudice a quo, i parametri di riferimento utili per la verifica d'interesse.
In particolare, il Giudice eurounitario ha evidenziato che a venire in rilievo per la soluzione dei quesiti posti dalla Corte nazionale sono, nell’ambito della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, non solo l'art. 7, che garantisce ad ogni persona il diritto al rispetto della sua vita familiare, e l'art. 18, relativo alla garanzia del diritto di asilo, ma anche l'art. 24, che al paragrafo 1 dispone, in particolare, che i minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere, e, al paragrafo 2, prevede che l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private.
Conseguentemente, se pure l'art. 1, par. 1, lett. a) della direttiva 2002/90 stabilisce che ciascuno Stato membro adotta sanzioni penali appropriate «nei confronti di chiunque intenzionalmente aiuti una persona che non sia cittadino di uno Stato membro ad entrare o a transitare nel territorio di uno Stato membro in violazione della legislazione di detto Stato relativa all’ingresso o al transito degli stranieri», tale articolo non può essere interpretato nel senso che rientri nei comportamenti illeciti da esso previsti la condotta di una persona che, in violazione del regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone, faccia entrare nel territorio di uno Stato membro minori cittadini di Paesi terzi di cui è effettivamente affidataria.
A ciò osta innanzitutto l'esame degli obiettivi che la suddetta direttiva si propone, in quanto, anche se la formulazione aperta dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), sopra richiamato si presta a diverse interpretazioni, la condotta illegale di accompagnamento di minori di cui la straniera è affidataria costituisce non già un favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, che la direttiva in questione mira a combattere, ma deriva dall’assunzione diretta, da parte di tale persona, della responsabilità che le incombe in quanto per l’appunto affidataria di detti minori.
In altri termini, interpretare troppo estensivamente la norma eurounitaria in questione comporterebbe un’ingerenza particolarmente grave nel diritto al rispetto della vita familiare e dei diritti del minore, sanciti, rispettivamente, agli articoli 7 e 24 della Carta, al punto da pregiudicare il “contenuto essenziale” di tali diritti fondamentali, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta.
La lesione di tale contenuto essenziale deriverebbe dal fatto stesso di “criminalizzare” una condotta che non è altro che l’espressione particolare e concreta della responsabilità generale degli adulti sui minori ad essi affidati, in quanto, nel caso di specie, l’immigrato clandestino “si limita, in linea di principio, ad assumere concretamente un obbligo inerente alla sua responsabilità personale, che si fonda sul suo rapporto familiare con detti minori, al fine di garantire loro la protezione e le cure necessarie al loro benessere nonché al loro sviluppo”.
D’altra parte, siffatta interpretazione dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2002/90 si impone anche alla luce dell’articolo 18 della Carta, qualora la persona interessata, una volta entrata nel territorio dello Stato membro di cui si tratta, abbia presentato una domanda di protezione internazionale, così come avvenuto nel caso trattato dal Giudice a quo.
Invero, il diritto di asilo è garantito nel rispetto delle norme stabilite dalla convenzione di Ginevra e conformemente al Trattato UE e al Trattato FUE, e l’applicazione della citata direttiva 2002/90 non pregiudica la protezione concessa ai rifugiati e ai richiedenti asilo e, in particolare, l’osservanza, da parte degli Stati membri, delle loro obbligazioni internazionali ai sensi, in particolare, dell’articolo 31 della convenzione di Ginevra.
Ed è anche in virtù di tali obblighi che deve essere riconosciuto il diritto di qualsiasi cittadino di un Paese terzo o di un apolide di presentare una domanda di protezione internazionale nel territorio di uno Stato membro, comprese le sue frontiere o le zone di transito, anche qualora egli si trovi in una situazione di soggiorno irregolare in detto territorio, a prescindere dalle possibilità di successo della sua domanda.
La Corte di Giustizia ha pertanto concluso nel senso che non rientra nei comportamenti illeciti di favoreggiamento dell’ingresso illegale la condotta di una persona che, in violazione del regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone, fa entrare nel territorio di uno Stato membro minori cittadini di paesi terzi che l’accompagnano e di cui è effettivamente affidataria e, dall’altro lato, che l’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2002/90, letto alla luce degli articoli 7 e 24 nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali, osta a una normativa nazionale che sanziona penalmente una siffatta condotta.
I REATI E LE SCRIMINANTI
L’art. 12 del testo unico sull’immigrazione contiene più fattispecie delittuose, e, in particolare:
- la condotta di chi promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente (comma 1);
- la condotta, residuale, di chi, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero o nell'ambito delle attività punite a norma dell'articolo de quo, favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del testo unico (comma 5);
- la condotta di colui che, a titolo oneroso, al fine di trarre ingiusto profitto, dà alloggio ovvero cede, anche in locazione, un immobile ad uno straniero che sia privo di titolo di soggiorno al momento della stipula o del rinnovo del contratto di locazione (comma 5-bis).
D’altra parte, alcune delle norme contenute nell’art. 12 del testo unico sull'immigrazione, e in particolare i suoi
commi 1, 3, 3-bis e 3-ter, investono una materia interessata da obblighi assunti in sede di diritto internazionale e imposti dal diritto dell’Unione europea.
Viene anzitutto in considerazione il
Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata per combattere il traffico illecito di migranti via terra, via mare e via aria (cosiddetto
Protocollo di Palermo), il cui art. 6, paragrafo 1, obbliga gli Stati parte a criminalizzare tra l’altro, allorché il fatto sia commesso intenzionalmente e a scopo di profitto, il «traffico di migranti» («smuggling of migrants»).
L’indicato art. 6, al paragrafo 3, impone poi a ciascuno Stato parte di adottare le misure legislative e di altra natura che si rendano necessarie a conferire il carattere di
circostanze aggravanti del reato di traffico di migranti alla messa in pericolo della vita o dell’incolumità dei migranti interessati (lettera a), ovvero alla loro sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti, incluso lo sfruttamento (lettera b).
Gli
obblighi di criminalizzazione stabiliti dal Protocollo in parola sono, dunque, limitati a condotte commesse a scopo di profitto, mentre l’obbligo di prevedere specifici aggravamenti di pena sussiste solo per le ipotesi coperte oggi, nel diritto italiano, dall’art. 12, comma 3, lettere b) e c), t.u. immigrazione, relative rispettivamente all’esposizione a pericolo per la vita o l’incolumità del migrante e alla sua sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti.
Quanto al diritto dell’Unione europea, gli obblighi di incriminazione in materia sono essenzialmente quelli stabiliti dal combinato disposto della
decisione quadro 2002/946/GAI del Consiglio, del 28 novembre 2002, relativa al rafforzamento del quadro penale per la repressione del favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali, e
dalla direttiva, adottata in pari data, 2002/90/CE del Consiglio, volta a definire il favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali (che assieme formano il cosiddetto “Facilitators Package”).
Secondo questi obblighi, le correlative sanzioni penali devono essere “effettive, proporzionate e dissuasive”.
Quanto al bene-interesse protetto dalla norma penale, l’intera gamma delle ipotesi delittuose descritte dall’art. 12 t.u. immigrazione ha quale comune oggetto di tutela l’ordinata gestione dei flussi migratori, interesse definibile quale bene giuridico “strumentale”, attraverso la cui salvaguardia il legislatore attua una protezione in forma avanzata del complesso di beni pubblici “finali”, di sicuro rilievo costituzionale, potenzialmente a rischio nel caso di fenomeni di immigrazione incontrollata, quali, in particolare, gli equilibri del mercato del lavoro, le risorse (limitate) del sistema di sicurezza sociale, l’ordine e la sicurezza pubblica.
D'altra parte - e ciò si evince con forza dal dialogo instauratosi nel caso in commento, e sullo specifico punto, tra Giudice penale interno e Giudice eurounitario - dall'esame degli obiettivi che la sopra richiamata direttiva 2002/90/CE del Consiglio si propone, la condotta illegale di accompagnamento di minori di cui la straniera è affidataria non costituisce un favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, che la direttiva in questione mira a combattere, ma deriva dall’assunzione diretta, da parte di tale persona, della responsabilità che le incombe in quanto per l’appunto affidataria di detti minori.
Sotto altro profilo, poi, l’interpretazione meno estensiva della disciplina eurounitaria sulla illiceità delle condotte di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è corroborata anche dal citato protocollo di Palermo sul traffico di migranti, protocollo, il quale, all’articolo 2, si pone l’obiettivo di criminalizzare il traffico di migranti, proteggendo al contempo i diritti dei migranti stessi.
Ne consegue che i presupposti applicativi stabiliti dal comma 2 dell'art. 12 del d.lgs. n. 286 del 1998 per il riconoscimento dell'esimente speciale ("Fermo restando quanto previsto dall'articolo 54 del codice penale, non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato") devono conformarsi a tali principi.
In particolare, secondo l'interpretazione della Corte di Giustizia sul punto, la scriminante speciale prevista dall’articolo 12, comma 2, del Testo Unico sull’Immigrazione (cosiddetta "scriminante umanitaria") non solo possiede un ambito di operatività più ampio rispetto allo stato di necessità disciplinato dall’articolo 54 del codice penale - che per potersi ritenere configurato richiede il pericolo attuale di grave danno alla persona, e non l'esistenza di una mera condizione di bisogno -, ma deve concepirsi come ancora più elastica ed estesa, per non incorrere in una violazione del diritto eurounitario.
Invero, la norma in questione individua uno specifico ambito spaziale per la sua applicabilità, posto che la condotta del soggetto agente non sarà punibile solo se lo straniero si trovi già nel territorio italiano, mentre, secondo la Corte di Giustizia - ciò che non potrà non avere anche riflessi sul piano della responsabilità della donna imputata dinanzi al Tribunale di Bologna - l'articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2002/90/CE del Consiglio, del 28 novembre 2002, volta a definire il favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali, letto alla luce degli articoli 7 e 24 nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, osta ad una normativa nazionale che sanzione penalmente la condotta di una persona che, in violazione del regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone, fa entrare nel territorio di uno Stato membro minori cittadini di paesi terzi che l’accompagnano e di cui è effettivamente affidataria.
In altri termini, delle due l'una, interpretando il
dictum dei Giudici unionali (e, dunque, secondo il diritto sovranazionale vincolante): o l'esercizio del diritto
lato sensu genitoriale è da considerarsi "assistenza umanitaria" prestata nei confronti degli stranieri (minori) in condizioni di bisogno, anche se costoro non sono presenti nel territorio dello Stato (con effetto estensivo della scriminante già esistente), oppure, accanto alla cosiddetta
scriminante umanitaria, le norme in materia di immigrazione devono contemplare anche la cosiddetta
scriminante familiare del reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, ovvero l'accompagnamento illecito oltre la frontiera di minori affidati al soggetto che scappa da situazioni di pericolo per la sua vita.