Ordinanza del Tribunale per il riesame di Catania ai sensi dell'art. 324 c.p.p., in data 18 giugno - 30 luglio 2020/ Cassazione penale sez. IV, 04/03/2021, (ud. 04/03/2021, dep. 24/05/2021), n. 20416
IL CASO E LA DECISIONE
Il Tribunale del Riesame di Catania ha annullato il decreto di sequestro preventivo (e di convalida del sequestro di urgenza adottato dal P.M. nel mese di maggio 2020) di una casa di riposo, emesso dal G.i.p. del Tribunale di Caltagirone.
Il legale rappresentante della società cooperativa sociale che gestiva all’epoca tale casa di riposo è stato indagato per il reato di epidemia colposa, in quanto avrebbe omesso la doverosa integrazione del documento di valutazione dei rischi ex art. 27 del d.lgs. n. 81 del 2008, secondo le procedure previste dalla normativa applicabile rispetto al rischio biologico in generale, e a quello da COVID-19 in particolare.
Secondo l’impostazione dell’accusa, il reato colposo derivante dal combinato disposto degli artt. 438 e 452 c.p. rientrerebbe nella categoria dei c.d. "reati a mezzo vincolato", che sono in quanto tali compatibili con la possibilità di essere convertiti, mediante la clausola di equivalenza di cui all'art. 40 c.p., comma 2, in illeciti omissivi impropri.
L'inciso "mediante la diffusione di germi patogeni" di cui all'art. 438 c.p. non rappresenterebbe infatti una peculiare modalità di realizzazione della condotta ma specificherebbe il tipo di evento che la norma penale punisce in caso di verificazione: la fattispecie di cui agli artt. 438-452 c.p., per ragioni sia testuali che sistematiche, non esigerebbe pertanto una condotta commissiva a forma vincolata e, di per sé, non sarebbe incompatibile con una responsabilità di tipo omissivo.
Secondo invece il Tribunale del Riesame – che ha seguito l’orientamento maggioritario in materia, confermato nel caso di specie anche dalla successiva decisione della Corte di Cassazione - il reato contestato evoca necessariamente una condotta commissiva a forma vincolata di per sé incompatibile con una responsabilità a titolo di omissione e, quindi, con il disposto dell'art. 40 c.p., comma 2 c.p., riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera.
In altri termini, la locuzione "mediante la diffusione di germi patogeni" consiste, seguendo la tesi dei Giudici del riesame, in una attività le cui modalità non possono contemplare anche una condotta omissiva, richiedendosi al contrario un contributo volitivo modificativo della realtà per il quale non può bastare, ai fini della punibilità penale, il non avere agito pur avendone l’obbligo.
Nel caso del documento di valutazione dei rischi, il mancato aggiornamento correlato al rischio da COVID-19 era dunque da qualificarsi come un’omissione violativa degli obblighi normativi previsti in materia di sicurezza e salute sul lavoro ma non alla stregua di una condotta attiva di diffusione di germi patogeni, che per definizione presuppone la “disponibilità” di tali germi da parte del reo.
D’altra parte, il Tribunale del Riesame ha evidenziato altresì, nel negare la ricorrenza del fumus della fattispecie di epidemia colposa, che non erano stati dedotti o illustrati gli elementi e le ragioni logico-giuridiche in base ai quali la condotta omissiva ascritta all'indagato avrebbe dovuto considerarsi causalmente collegabile alla successiva diffusione del virus SARS-Cov-2 tra i pazienti ed il personale dalla casa di riposo coinvolta nel sequestro.
In effetti, l’applicazione delle teoria condizionalistica orientata secondo il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche, in assenza di qualsivoglia accertamento circa l'eventuale connessione tra l'omissione contestata al ricorrente e la seguente diffusione del virus, portava ad escludere, nel caso di specie, la sussistenza del nesso di causalità tra detta omissione e la diffusione del virus all'interno della casa di riposo, in quanto, pur ipotizzando come realizzata la condotta doverosa ed omessa dall'indagato, non sarebbe stato possibile desumere "con alto grado di credibilità logica o credibilità razionale" che la diffusione/contrazione del virus Covid-19 nei pazienti e nei dipendenti della casa di riposo sarebbe venuta meno.
In particolare, non risultano escludibili, a dire dei Giudici del riesame, anche nel caso di integrazione del documento di valutazione dei rischi con l’analisi del rischio biologico, fattori causali alternativi nella propagazione del virus, come ad esempio la mancata osservanza dell’obbligo di indossare le mascherine protettive, di mantenere il distanziamento o l'isolamento dei pazienti già affetti da "covid", ovvero il ritardo negli esiti del tampone.
Il Tribunale adito ha concluso dunque per l’annullamento del sequestro preventivo, confortato nelle sue conclusioni dalla Corte di Cassazione, che ha rigettato il ricorso della Procura della Repubblica contro la decisione assunta in sede di riesame, evidenziando con una interessante nota di chiusura che nel sequestro preventivo la verifica del giudice del riesame, ancorché non debba tradursi nel sindacato sulla concreta fondatezza dell'accusa, deve, tuttavia, accertare la possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato; pertanto, ai fini dell'individuazione del "fumus commissi delicti", non è sufficiente la mera "postulazione" dell'esistenza del reato, da parte del pubblico ministero, in quanto il giudice del riesame nella motivazione dell'ordinanza deve rappresentare in modo puntuale e coerente le concrete risultanze processuali e la situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, e dimostrare la congruenza dell'ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti cui si riferisce la misura cautelare reale sottoposta al suo esame.
IL REATO
Il reato di epidemia colposa è una fattispecie di illecito penalmente rilevante che deriva la sua definizione e la sua struttura dall’ipotesi di epidemia dolosa contemplata dall’art. 438 c.p., secondo cui “chiunque cagiona un'epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l'ergastolo. Se dal fatto deriva la morte di più persone, si applica la pena di morte”.
Rispetto alla fattispecie disciplinata dall’art. 438 c.p., l’art. 452 c.p. si limita a stabilire una diversa pena nel caso in cui il fatto di epidemia sia cagionato per colpa.
La distinzione tra le due ipotesi è dunque limitata al diverso elemento soggettivo richiesto.
Ci troviamo nella parte del codice penale (libro secondo, titolo VI) riservata ai “delitti contro l’incolumità pubblica”.
Il legislatore del 1930, in particolare, ha suddiviso queste fattispecie penalmente rilevanti in “delitti di comune pericolo mediante violenza” (capo I) e “delitti di comune pericolo mediante frode” (capo II).
La distinzione residuerebbe nel mezzo impiegato per mettere a repentaglio la pubblica incolumità, che nel primo caso è connotato da un’insidia frontale e percepibile (violenza), mentre nel secondo caso è attuato mediante un comportamento subdolo e non direttamente apprezzabile, ma non per questo meno insidioso (frode).
Nell’ambito dei delitti di comune pericolo mediante frode, il reato di epidemia è una fattispecie con evento naturalistico; tale evento è costituito dall’epidemia.
La definizione scientifica di epidemia è dunque fondamentale per inquadrare il tipo di modificazione della realtà che deve essere generata per la realizzazione della condotta penalmente rilevante.
In linea generale, l’epidemia è la manifestazione collettiva d’una malattia che si diffonde rapidamente fino a colpire un gran numero di persone in un territorio più o meno vasto, che si sviluppa con andamento variabile e che si estingue dopo una durata anch’essa variabile.
Secondo una tesi condivisibile, ripresa anche dalla Corte di Cassazione, caratteristiche fondamentali del concetto di epidemia penalmente rilevante sono la diffusività incontrollabile all’interno di un numero rilevante di soggetti, il carattere contagioso e diffuso del morbo, non dipendente di per sé, nel trasferirsi da soggetto a soggetto, da un fattore umano imputabile, e la durata cronologicamente limitata del fenomeno.
Il vero nodo problematico della fattispecie incriminatrice sta però nella specificazione secondo cui l’epidemia non deve essere cagionata mediante una qualsiasi condotta (come è normalmente per le fattispecie causalmente orientate) ma “mediante la diffusione di germi patogeni”.
In passato, si riteneva non incorresse nel reato di epidemia colposa il soggetto che, sapendosi affetto da male contagioso, si fosse mescolato alla folla pur prevedendo che avrebbe infettato altre persone. Infatti, la norma, interpretata restrittivamente, veniva intesa nel senso che per cagionare un'epidemia penalmente rilevante il presupposto avrebbe dovuto essere il previo il possesso, anche "in vivo" (animali di laboratorio), di germi patogeni.
In altri termini, veniva esclusa la punibilità dell’unica condotta empiricamente riscontrabile, nella normalità, escludendosi a priori che una persona, affetta da malattia contagiosa, avesse già per questo solo motivo il possesso dei germi che l'affliggono.
Tale tesi restrittiva è stata oggi superata, in quanto richiedente uno specifico requisito non previsto dalla norma incriminatrice (relazione di alterità tra i germi patogeni e l’essere umano) e non inclusiva, in modo ingiustificato, del contatto umano come fattore di diffusione del contagio.
La diffusione di germi patogeni è peraltro espressione quanto mai ampia, che include ogni essere o elemento atto a cagionare o trasmettere una malattia e, quindi, ovviamente, anche un virus, oltre ai bacilli e ai protozoi.
Una parte della dottrina - seguita dalla giurisprudenza minoritaria, come chiarito dalla sentenza in commento – ritiene che si tratti di reato a forma libera e a mezzo vincolato, per cui è irrilevante il modo in cui i germi patogeni vengono diffusi, purché ciò abbia rilevanza causale rispetto al macro-evento “epidemia”.
In quest’ottica, la peculiare ampiezza della gamma delle condotte potenzialmente rilevanti ai sensi degli articoli 438 e 452 del codice penale comporterebbe, peraltro, la necessità di una corretta selezione sul piano eziologico, come normalmente avviene per le fattispecie causalmente orientate.
Secondo altra tesi, invece, seguita dalla giurisprudenza maggioritaria e dal Tribunale del Riesame di Catania nel caso esaminato, si tratta di condotta a forma vincolata, con inevitabili riflessi sulla possibilità di punire omissioni in presenza di uno specifico dovere di garanzia o di sorveglianza, tramite il meccanismo normativo previsto dal secondo comma dell’art. 40 c.p., in base al quale “non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
Secondo tale interpretazione, la ricostruzione per cui il legislatore, con la locuzione "mediante la diffusione di germi patogeni", avrebbe inteso solo demarcare il tipo di evento rilevante, ovvero le malattie infettive, e non indicare una puntuale tipologia di condotta, risulterebbe riduttiva, finendo per disapplicare la predetta locuzione, che rappresenta invece uno degli elementi essenziali della fattispecie; né può fondatamente ritenersi, secondo i Giudici di legittimità, che l'espressione contenuta nell'art. 438 cod. pen. sia meramente pleonastica o addirittura tautologica.
Posto dunque che la condotta deve ritenersi, secondo l’impostazione maggioritaria, a forma vincolata (diffusione attiva di germi patogeni) occorre sottolineare che nel caso del reato di epidemia l’evento ha natura sia di danno che di pericolo; di danno per coloro che siano direttamente contagiati, di pericolo rispetto a coloro che potrebbero esserlo, con una natura verosimilmente plurisoggettiva, quanto ad interesse tutelato, in relazione alla lesione del bene-salute altrui e alla messa a rischio del bene-pubblica incolumità.
L’efficacia causale della condotta va dunque misurata innanzitutto rispetto all’evento-danno, di modo che è necessario individuare una soglia oltre la quale si possa affermare che il contagio diretto riguardi un numero rilevante di individui nel medesimo contesto spazio-temporale.
Sotto questo profilo, in qualche modo delimitativo dell’integrazione effettiva dell’evento, non sembra sufficiente una dichiarazione formale come quella dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel caso della pandemia di COVID-19, né un criterio numerico, basato ad esempio sulla percentuale della popolazione contagiata, ma potrebbe essere necessario rifarsi a studi epidemiologici che abbiano verificato, rispetto a una determinata fascia di popolazione, insistente su un circoscritto ambito territoriale, che in un ridotto lasso temporale si sia verificata l’anomalia statistica, ovvero, fare affidamento su atti formali adottati dalle competenti Autorità sanitarie, che conclamino l’esistenza di un’epidemia nel proprio ambito di competenza, con possibilità, peraltro, in questo caso, di disapplicazione da parte del Giudice penale, nel momento in cui tali atti presentino vizi formali o sostanziali.
Sotto il profilo della causazione dell’evento epidemia, il singolo portatore di germi patogeni, per essere ritenuto responsabile, deve innanzitutto avere concorso a determinare l’epidemia, mediante forme di contatto ritenute scientificamente “efficienti”, anche soltanto in termini di aggravamento di quella già in essere.
In questa prospettiva, un aumento significativo del numero degli ammorbati legato ad una condotta consapevole ed efficiente di contagio dovrebbe bastare a configurare un concorso (di cause) nel reato (ad epidemia ancora in corso).
Quanto infine alla regola cautelare la cui violazione comporta la realizzazione della fattispecie colposa, occorre tenere presente che nei reati causalmente orientati con evento naturalistico il contenuto di tale regola cautelare si specifica in rapporto all’evento da evitare, nel senso che è tipica l’azione che, nel complesso degli atti compiuti da un soggetto ed eziologicamente connessi all’evento, si pone frontalmente in contrasto con la regola di condotta a contenuto preventivo e che, con specifico riferimento all’epidemia, rende prevedibile ed evitabile la ricaduta offensiva pluripersonale della propria condotta.
Il soggetto agente deve da un lato conoscere o comunque ignorare colposamente la qualità patogenetica dei germi, dall’altro essere in uno stato, fisico o giuridico, ritenuto dalle autorità sanitarie come di apprezzabile rischio per la collettività.
In una situazione iniziale di diffusione del contagio, con informazioni ancora poco chiare sulle regole precauzionali da seguire, la valutazione dell’elemento soggettivo dovrebbe essere più rigorosa e ancorata a dati obiettivi riferibili alla circostanza concreta, con inevitabile formula assolutoria nel caso di ragionevole dubbio sulla consapevolezza della condotta da seguire, mentre, in una situazione di epidemia conclamata, il mero non rispetto delle indicazioni e degli obblighi imposti dall’autorità può diventare di per sé prova della condotta negligente o imprudente, fermo restando, comunque, che il reato pare non potersi configurare laddove non vi sia certezza probatoria di un contatto fisico con un soggetto anch’egli successivamente contagiato, vi sia una ragionevole riconducibilità di tale ultimo contagio ad altri fattori (umani o naturalistici), e non vi sia stata creazione di un cluster di infezione a seguito della prima condotta colposa.
Anche l’asintomatico, in quest’ottica, se sottoposto con provvedimento ad isolamento precauzionale, potrebbe rendersi responsabile di epidemia colposa, nel momento in cui violi regole cautelari minime ulteriori rispetto alla raccomandazione imposta (quali quelle di evitare di spostarsi in luoghi affollati o di venire a diretto contatto con altri soggetti), mentre è ben difficile ipotizzare una responsabilità penale a carico di un soggetto asintomatico non sottoposto a misure precauzionali, e che non abbia avuto nei giorni precedenti contatti diretti con persone “certamente” contagiate, nel caso in cui costui violi divieti di natura generale pensati per prevenire in astratto la diffusione del contagio sul territorio nazionale (si pensi ad esempio alla suddivisione delle Regioni in “zone”), e non per evitare in concreto l’ulteriore propagazione di un focolaio specifico già esistente e conclamato.
L’evento pericoloso che deve accompagnarsi a quello dannoso, d’altra parte, non può considerarsi presunto e disancorato da una verifica effettiva del rischio generato nel caso concreto dalla condotta violativa della specifica regola cautelare.