L’ILLECITO DENUNCIATO E LA PRONUNCIA
Un noto avvocato, all’epoca dei fatti responsabile degli acquisiti di un’importante azienda a partecipazione pubblica, ha chiesto al Giudice civile l’accertamento della natura diffamatoria degli articoli apparsi, sia sulla versione cartacea che sulla versione on-line, su un noto quotidiano, e la condanna dei responsabili di tali articoli al risarcimento dei danni subiti.
L'attore, dopo avere dato atto di essere stato assolto dall'imputazione penale posta a suo carico – e oggetto degli scritti considerati diffamatori - con sentenza emessa nel 2012, ha allegato che i due articoli contestati avrebbero riportato notizie non veritiere in merito alla vicenda giudiziaria che lo aveva coinvolto in prima persona, e avrebbero al contrario rappresentato una realtà - quella della società di cui era responsabile per gli acquisti - caratterizzata da gravi fatti di corruttela e malaffare diffuso, di cui l’attore stato sarebbe stato presentato al pubblico come uno dei principali artefici.
Il tutto, accompagnato da un'enfasi retorica tesa a costruire "il quadro abietto di una banda di furfanti, tra i quali il funzionario presentato come disonesto", senza per contro neppure accennare all'unico capo di imputazione a suo carico, ovvero alla turbativa d'asta.
L'attore ha pertanto instato per l'accertamento incidentale del reato di diffamazione a mezzo stampa e per l'affermazione della conseguente responsabilità risarcitoria del firmatario dell'articolo, del direttore responsabile e dell'editore del quotidiano su cui erano stati pubblicati gli articoli de quibus. I convenuti, per contro, hanno negato la natura diffamatoria della pubblicazione ed invocato l'esimente del diritto di cronaca.
Il Tribunale adito ha ritenuto sussistente il presupposto della c.d. pertinenza, considerato l'oggetto del processo (ormai giunto a dibattimento) cui si riferivano i due articoli, il coinvolgimento quale parte lesa di una notissima (almeno in ambito locale) azienda a partecipazione pubblica e il ruolo svolto in tale azienda dall'attore, con indiscutibile interesse pubblico alla conoscenza dei fatti esposti negli articoli stessi.
Il Giudice di primo grado ha ritenuto integrato, altresì, anche il requisito della verità oggettiva, in quanto, da un lato, l'impaginazione, l'intitolazione e la fotografia che accompagnavano gli articoli in questione non facevano alcuna menzione del nominativo dell'attore, né contenevano alcun elemento di richiamo a lui riconducibile, dall’altro, nel corpo di entrambi gli articoli, al presunto diffamato erano state accostate circostanze tutte corrispondenti a verità, e in nessun modo la lettura del testo avrebbe potuto indurre ad associare l'attore alla vicenda di corruttela, mentre, con riguardo al secondo articolo, l'accostamento del nome dell’attore a quello dei "dirigenti" imputati per tentata corruzione non era accompagnato da affermazioni atte a far presumere il loro concorso nel medesimo reato.
Sempre secondo il Tribunale adito, anche il requisito della continenza è stato rispettato, in quanto in entrambi gli articoli le vicende sarebbero state descritte in modo contenuto e tendenzialmente neutro, senza commenti, senza toni allusivi, insinuanti o decettivi, e senza utilizzo di sottintesi o accostamenti suggestionanti. Nessun elemento contenuto negli articoli in esame, anche ove considerati nel loro complesso e unitariamente, avrebbe così avvalorato, secondo il Giudice civile, l'affermazione dell'attore, secondo cui vi sarebbe stato uno sconfinamento dallo scopo informativo motivato da preconcetto intento denigratorio nei suoi confronti.
Il Tribunale di Torino, in conclusione, ha ritenuto sussistente l'esimente del diritto di cronaca, essendo ravvisabile la verità oggettiva e non essendo invece ravvisabili artifici atti a mutarne il significato; sussistendo un interesse pubblico all'informazione anche in relazione alla notorietà (affermata e confermata dallo stesso attore a fondamento della sua pretesa risarcitoria) ed al ruolo pubblico svolto da costui, oltre che alla necessità di dare conto di una vicenda giudiziaria ormai giunta alla fase (pubblica) del dibattimento penale e coinvolgente un'importante azienda partecipata; essendo il tenore letterale degli articoli indicativo di un'esposizione dei fatti svolta in forma civile, senza utilizzo di espressioni anche solo suggestivamente offensive e senza manifestazione di intenti denigratori.
I PRINCIPI APPLICATI
Sin dalla nota sentenza 5259/1984, la Corte di Cassazione ha affermato che il diritto sancito dall'art. 21 Cost., che si estrinseca tra l'altro nella facoltà di diffondere a mezzo stampa fatti, notizie e commenti, e il diritto all'onore e alla reputazione costituzionalmente tutelati dagli artt. 2 e 3 Cost. trovano un bilanciamento idoneo ad escludere la responsabilità civile per diffamazione, purché ricorrano contemporaneamente tre condizioni:
"a)..... verità oggettiva (o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) che non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano, dolosamente o anche soltanto colposamente taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato; ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive ovvero da sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore (o ascoltatore) rappresentazioni della realtà oggettiva false: principi sintetizzati nella formula secondo cui il testo va letto nel contesto, il quale può determinare un mutamento del significato apparente della frase altrimenti non diffamatoria, dandole un contenuto allusivo, percepibile dall'uomo medio (Cass. sez. 3, 14/10/2008, n. 25157);
b)..... sussistenza di un interesse pubblico all'informazione: cd. pertinenza;
c) forma civile dell'esposizione dei fatti e della loro valutazione, cd. continenza, posto che lo scritto non deve mai eccedere lo scopo informativo da conseguire; deve essere improntato a serena obiettività, con esclusione di ogni preconcetto intento denigratorio; deve essere redatto nel rispetto di quel minimo di dignità cui ha pur sempre diritto anche la più riprovevole delle persone.
Nel peculiare ambito della cronaca giudiziaria, poi, sul presupposto - sotto il profilo della pertinenza - del generale interesse dei cittadini ad essere informati su eventuali violazioni di norme penali o civili e a conoscere e controllare l'andamento degli accertamenti e la reazione degli organi dello Stato dinanzi all'illegalità, si è ripetutamente affermato che "rientra nell'esercizio del diritto di cronaca giudiziaria riferire atti di indagine e atti censori, provenienti dalla pubblica autorità, mentre non è consentito effettuare ricostruzioni, analisi, valutazioni tendenti ad affiancare e precedere attività di polizia e magistratura, indipendentemente dai risultati di tale attività" (Cassazione penale, sez. 5, 27/10/2010, n. 3674).
Con specifico riguardo alla verità della notizia, la Cassazione ha avvertito che la stessa debba essere valutata con riferimento al momento della sua divulgazione, non potendo assumere rilievo gli eventi successivi, e che rileva anche una verità ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze soggettive. Va altresì considerato che "la verità oggetto della notizia non è scalfita da inesattezze secondarie o marginali..." che non alterino, nel contesto dell'articolo, la portata informativa dello stesso (Cass. ord. 12903/2020, Cass. ord. 7757/2020).
Si è precisato, poi, che il limite della c.d. pertinenza non risulta violato quando le persone coinvolte godono di una diffusa notorietà, sia pure limitata all'ambito locale, atteso che la scriminante non impone che si tratti di persone pubbliche in chiave necessariamente nazionale.
In ordine alla continenza, la Cassazione ha osservato che la stessa "comporta moderazione, misura, proporzione nelle modalità espressive.... con riferimento non solo al contenuto dell'articolo ma all'intero contesto espressivo in cui l'articolo è inserito, compresi titoli, sottotitoli, presentazione grafica, fotografie" (così Cass. 25739/2014).
In ogni caso, la valutazione del carattere diffamatorio di un articolo, e la valutazione dei presupposti per l'esimente del diritto di cronaca, non vanno compiute "sulla base di una lettura atomistica delle singole espressioni, ma con riferimento all'intero contesto della comunicazione, comprensiva di titoli e sottotitoli e di tutti gli altri elementi che rendono esplicito, nell'immediatezza della rappresentazione e della percezione visiva, il significato di un articolo, come tali in grado di fuorviare i lettori più frettolosi, dovendosi comunque riconoscere particolare rilievo alla titolazione, in quanto specificamente idonea, in ragione della sua icastica perentorietà, ad impressionare e fuorviare il lettore".
Nel giudizio sulla portata complessiva dell'articolo, vanno esaminati in particolare alcuni elementi, quali l'accostamento e l'accorpamento di notizie, l'uso di determinate espressioni nella consapevolezza che il pubblico le intenderà in maniera diversa o contraria al loro significato letterale, il tono complessivo, la titolazione dell'articolo.
Applicando tali principi, il Tribunale di Torino è giunto alla conclusione che il contenuto complessivo degli articoli ritenuti diffamatori dall’attore non era tale da associarlo esplicitamente o anche solo implicitamente alle più gravi condotte di corruttela che avevano caratterizzato altri soggetti coinvolti nella complessiva vicenda di rilevanza penale, da cui era scaturita anche l’imputazione – che era infine sfociata in un’assoluzione – dell’attore stesso.
Secondo il Giudice di primo grado, in altre parole, posto che la definizione in senso favorevole all’attore del giudizio penale non era in grado di attribuire automaticamente a questi una sorta di diritto al risarcimento dei danni subiti dalla propalazione della notizia del processo a suo carico, la cronaca giudiziaria, una volta rispettati i requisiti della pertinenza e della continenza, non avrebbe potuto essere artificiosamente scissa in più rivoli per rispettare le differenti posizioni in campo.
Così argomentando, peraltro, il rischio è di non valutare correttamente l'influenza che può esercitare sulla prospettiva e sul giudizio morale di un lettore medio un articolo che rappresenta complessivamente una realtà deteriore e/o ripugnante, così come d'impatto presentata.
Può succedere, infatti, che il fruitore dell'informazione giornalistica, anche se nel dettaglio viene edotto sulle oggettive differenze che esistono tra le varie condotte poste sotto la lente di ingrandimento dell'accertamento penale, tragga di per sé dalla sola implicazione di un soggetto espressamente nominato nella vicenda complessiva un giudizio di forte disvalore anche nei confronti di costui, che non facilmente, quanto meno ai suoi occhi, può essere differenziato rispetto al giudizio sulle posizioni chiaramente più gravi coinvolte nella stessa vicenda.
Detto in altro modo, una rappresentazione "fotografica" e d'insieme dal contenuto chiaramente lesivo della reputazione, in cui non sia facilmente distinguibile l'autonoma (e più "lieve") posizione di uno dei soggetti implicati, rischia di per sé di associare il singolo al gruppo, con sicura valenza diffamatoria
ex ante, che però sfuma fino a diventare non sufficiente ai fini della condanna al risarcimento dei danni dei responsabili degli articoli, qualora la sensibilità del Giudice – che certo ha strumenti di comprensione dei fatti più
penetranti dell’uomo medio – non ritenga,
ex post, violato il diritto all’onore del "querelante".