T.A.R. Toscana, sentenza n. 802 del 2024
IL CASO E LE DECISIONE
Il ricorso che qui interessa origina da un’occupazione di un immobile da parte di un gruppo di attivisti per finalità di sensibilizzazione dell’opinione pubblica. A fronte di tale accadimento, la Polizia interveniva per sgomberare l’edificio dai manifestanti. Uno di essi era il ricorrente, il quale, anche sulla base di un precedente analogo avente fra l’altro rilievo penale (invasione di terreni o di edifici, danneggiamento e deturpamento e imbrattamento di cose altrui), veniva ad essere destinatario dei provvedimenti di avviso orale e del foglio di via obbligatorio dal Comune ove era avvenuta la manifestazione.
Contro tali provvedimenti, il ricorrente chiedeva l’annullamento per violazione degli articoli 1 e 2 del D.lgs. 159 del 2011, non avendo l’autorità di pubblica sicurezza effettuato il c.d. “doppio vaglio di pericolosità” previsto dalle medesime disposizioni, eccesso di potere per carenza di istruttoria, illogicità e irragionevolezza e infine difetto o carenza di motivazione.
Il ricorso è stato accolto dal giudice di prime cure, che si è soffermato attentamente su queste due misure di prevenzione e sulle loro condizioni di validità e applicabilità.
Gli articoli di riferimento sono i primi tre del D.lgs. 159 del 2011, e in particolar modo, nel nostro caso, la lettera c) della prima disposizione. In essa è prescritto che l’autorità di pubblica sicurezza è tenuta ad applicare le misure di prevenzione personali a “coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, comprese le reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio di cui all'articolo 2, nonché dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti dalla vigente normativa, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica”. Il ricorrente, secondo l’autorità procedente, era stato considerato pericoloso da un punto di vista sociale e la sua condotta era stata fatta rientrare fra quelle previste dalla lettera c).
Presupposto per potere emettere queste misure di carattere preventivo è la pericolosità sociale del soggetto ed essa si sostanzia nella probabilità che il destinatario possa commettere in futuro comportamenti lesivi della sicurezza e dell’ordine pubblico. Tale giudizio di pericolosità è ricavato dalla pubblica autorità tramite una valutazione tecnico-discrezionale consistente nella dimostrazione dell’esistenza di due elementi che, per comodità, possiamo chiamare oggettivo e soggettivo.
Alla luce del primo, il comportamento rilevante deve essere idoneo a ledere determinati interessi individuati dal legislatore e afferenti all’area della sicurezza e della tranquillità pubblica. Il secondo elemento consiste invece nella dedizione del soggetto a compiere tale genere di comportamenti pregiudizievoli. Proprio sul carattere della dedizione si è focalizzata maggiormente l’analisi del Collegio, che ha dichiarato il difetto di istruttoria e di motivazione dell’autorità procedente in ordine alla possibilità di considerare l’interessato quale soggetto dedito a compiere alcuni reati.
Alla luce del dettato normativo richiamato e in considerazione dei beni giuridici sui quali tale potere pubblico va a incidere, la pubblica autorità è tenuta a compiere una precisa istruttoria sulla possibilità di considerare il soggetto interessato come pericoloso da un punto di vista sociale e, quindi, dedito al compimento di alcuni reati. Allo stesso tempo, essa è onerata a trasporre questa analisi in una dettagliata e precisa motivazione. Lo stesso concetto di dedizione – per taluni aspetti vicino alla nozione penalistica dell’abitualità – è stato delineato in termini molto rigorosi dalla giustizia amministrativa, e si può intendere quale particolare attitudine del soggetto interessato al compimento reiterato o abituale di alcuni comportamenti lesivi di interessi legislativamente indicati. [1]
Essa implica, dunque, un coinvolgimento fisico e psichico particolarmente intenso del soggetto verso la realizzazione ripetuta di alcuni reati. È onere della pubblica autorità dimostrare la presenza di questa dedizione e, quindi, la pericolosità sociale dell’interessato tramite il richiamo a una serie precisa, univoca e concordante di elementi di fatto.
Nel caso di specie mancherebbe proprio la dimostrazione della propensione dell’interessato verso il compimento di questo tipo di azioni. Invero, non appare sufficiente sul piano istruttorio e motivazionale il semplice richiamo da parte dell’Autorità procedente ad alcuni precedenti penali (già ricordati e relativi all’invasione e deturpamento di edifici); ma risulta necessaria un’accurata analisi sul vissuto e sullo stile di vita del potenziale destinatario di tali provvedimenti atta a dimostrare la sua possibile dedizione al compimento di questo genere di reati.
Nel nostro caso, inoltre, tale occupazione era avvenuta per un fine dimostrativo o di sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Questa circostanza, a giudizio del Collegio, non è da intendere quale sintomo di dedizione, ma, al contrario, essa sarebbe idonea ad attenuare la considerazione del possibile destinatario quale soggetto dedito e quindi pericoloso da un punto di vista sociale. La pubblica amministrazione, dunque, avrebbe dovuto compiere un più attento vaglio sulla personalità del ricorrente desunta anche delle sue abitudini di vita e non invece limitarsi a una sua valutazione atomistica. Di conseguenza, il suo operato è lacunoso sotto il profilo istruttorio e motivazionale e consequenzialmente non si può ritenere provata la considerazione del ricorrente quale “soggetto dedito alla commissione di che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica” [2].
MISURE DI PREVENZIONE E VALORE DELLE CONDANNE PENALI, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL DOLO NELLE OCCUPAZIONI ABUSIVE
Con la sentenza in commento, il Giudice di primo grado si è soffermato sulle condizioni e sugli oneri istruttori e motivazionali gravanti sull’autorità di pubblica sicurezza legittimata a emanare le misure di prevenzione personali quali il foglio di via obbligatorio e l’avviso di ammonimento orale.
Come si può intuire, questi due tipi di provvedimenti incidono su libertà e diritti garantiti prima di tutto dalla Costituzione, e quindi ineriscono alla vasta problematica dei rapporti fra libertà e autorità. Frequentemente, e basti pensare agli scontri di Torino del 1974 rappresentati nel bel film di Giordana ""La meglio gioventù" o ai fatti più recenti delle ‘manganellate’ contro gli studenti a Pisa dello scorso febbraio, queste due primarie esigenze entrano in collisione, cagionando strascichi pesanti e dolorosi.
Innanzi a questa situazione di potenziale conflitto, è compito prima di tutto del giudice tentare di bilanciare, nel suo costante lavoro di risoluzione di specifiche controversie, questi due diversi bisogni. In tale operazione, si deve partire da un primo dato abbastanza evidente. La libertà personale e quella di circolazione trovano pieno riconoscimento e tutela negli articoli 13 e 16 della Costituzione.
Analogo discorso non vale per la pubblica sicurezza, che trova solo qualche riconoscimento indiretto in alcune disposizioni della nostra carta costituzionale, come per esempio negli articoli 13, 16, 17 e 25. Le ragioni di questa avversione dei nostri Costituenti verso tali interventi limitativi della libertà personale di carattere preventivo si possono ben intuire, e riguardano sicuramente il contesto post-fascista della nostra Costituzione: si volevano evitare i soprusi del precedente ventennio. La stessa definizione di pubblica sicurezza non è scontata ed è storicamente mutevole. Essa è stata formulata in negativo della nostra Corte Costituzionale con la sentenza n. 2 del 1956: “il significato di situazione nella quale sia assicurato ai cittadini, per quanto è possibile, il pacifico esercizio di quei diritti di libertà che la Costituzione garantisce con tanta forza. Sicurezza si ha quando il cittadino può svolgere la propria lecita attività senza essere minacciato da offese alla propria personalità fisica e morale; è l’ordinato vivere civile", che è indubbiamente la meta di uno Stato di diritto, libero e democratico”. [3]
I comportamenti contrari all’ordine pubblico e alla sicurezza sono dunque tutti quelle manifestazioni esteriori che precludono il libero dispiegarsi dei diritti altrui.
In questa dialettica si inseriscono, quindi, i provvedimenti del foglio di via obbligatorio e dell’avviso di ammonimento orale, già disciplinati dalla legge n. 1423 del 1956, che oggi trovano spazio nei primi tre articoli del D.lgs. 159 del 2011. Con il foglio di via obbligatorio, il Questore vieta alla persona coinvolta di fare ritorno in un Comune diverso da quello di sua residenza per un periodo non superiore a tre anni; l’ammonimento orale consiste invece in un avvertimento del Questore verso determinati soggetti a tenere una condotta conforme alla legge. Tali misure di prevenzione sono, dunque, particolarmente afflittive – specie il foglio di via obbligatorio limitativo della libertà di circolazione e di soggiorno del destinatario – e sono conseguentemente soggette a precise condizioni legittimanti, presupposti applicativi, oneri istruttori e motivazionali in capo all’autorità competente.
Relativamente alle possibili interazioni fra profili amministrativi e penali nel caso delle misure di prevenzione personali, la Corte Costituzionale nella sentenza n. 24 del 27/02/2019, soffermandosi dettagliatamente sulle lettere a) e b) dell’articolo 1 del D.lgs. 159 del 2011, ha precisato che le categorie di delitto che possono essere assunte a presupposto delle misure di prevenzione sono suscettibili di trovare concretizzazione nel caso esaminato dal giudice in virtù del triplice requisito, da provare sulla base di precisi elementi di fatto di cui il tribunale dovrà dare conto puntualmente nelle motivazione, per cui deve trattarsi di:
a) delitti commessi abitualmente (cioè in un significativo arco temporale dal soggetto;
b) che abbiano effettivamente generato profitti in capo a costui;
c) i quali a loro volta costituiscono l’unico reddito del soggetto o quantomeno una componente significativa di reddito.
Il Consiglio di Stato ha inoltre rilevato che sul piano sistematico, il rapporto tra misure preventive (ovvero i relativi presupposti applicativi) e apparato sanzionatorio penale è configurabile in termini di “relativa autonomia”: ciò perché, se da un lato l’applicazione delle prime può prescindere dall’avvenuto accertamento, nella sede pertinente, di condotte penalmente rilevanti poste in essere dall’interessato, dall’altro lato, anche le condanne eventualmente intervenute possono non risultare sufficienti al fine di concretizzare i presupposti della valutazione amministrativa di pericolosità, laddove dalle stesse non siano ricavabili elementi atti a far debordare il giudizio di disvalore dalla dimensione episodico-fattuale, propria del processo penale, a quella soggettivo-attitudinale, tipica del procedimento preventivo.
Inoltre, nella valutazione della responsabilità penale di un soggetto è fondamentale l’accertamento dell’elemento soggettivo: la colpevolezza che caratterizza l’azione del soggetto. Il dolo rappresenta una precisa connotazione della volontà cosciente di colui che agisce con una condotta tale da arrecare danno ad altri.
Bisogna allora soffermarsi sulla configurabilità del reato di occupazione di immobili nelle azioni dimostrative.
L’art. 633 c.p. mira a tutelare l’interesse pubblico alla inviolabilità del patrimonio immobiliare, in quanto colui che a qualsiasi titolo detiene un immobile o un terreno deve poterne usufruire e goderne liberamente. Il reato di occupazione abusiva di un immobile consiste nell’arbitraria introduzione, da parte di chi non ne ha titolo, nell’edificio o nel terreno altrui, per esercitare sullo stesso un rapporto di fatto che escluda in tutto o in parte quello preesistente riguardante un’altra persona, come ha chiarito anche la Corte di Cassazione nella sentenza n. 23758/2021.
Quanto all’elemento soggettivo per l’integrazione del reato è richiesto il dolo specifico: cioè l’agente agisce per occupare un edificio altrui per trarne un profitto per sé o per altri. Nel nostro caso di specie può certo dirsi che il ricorrente non aveva la volontà di trarre profitto dall’occupazione illegale di un immobile. Questa, come si legge in sentenza, è avvenuta nel contesto di una libera manifestazione del pensiero e con l’intento di un uso strumentale dell’immobile per sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema abitativo nella città di Firenze. Questo non deve certo valere come esimente, sia rispetto alla valutazione in astratto del perfezionamento del reato sia rispetto all’applicazione delle misure di prevenzione, ma il contesto e la specifica finalizzazione della condotta costituivano circostanze idonee ad attenuare l’identificazione del ricorrente come persona dedita alla commissione di reati.
Nell’ipotesi di azioni dimostrative che possono essere qualificate come azioni di disobbedienza civile non violenta, con lo scopo di unire i cittadini preoccupati per il loro futuro e per quello di chi verrà, risulta davvero difficile poter configurare un comportamento come reato senza scendere dettagliatamente nell’analisi del comportamento stesso inserito nel contesto fattuale in cui il soggetto sta agendo. Basti pensare anche ai fenomeni di occupazione studentesca, sempre più frequenti ed attuali. Com’è facile intuire, occupare una scuola potrebbe rientrare addirittura nell’ipotesi aggravata di questo reato, visto che la condotta è posta in essere da una moltitudine di persone. Tuttavia, in queste occasioni la Corte di Cassazione ha escluso che le agitazioni studentesche che si tramutano in occupazioni scolastiche possano costituire il reato di invasione di terreni o edifici: questo perché l’ipotesi delittuosa sopra descritta presuppone la volontà, da parte degli occupanti, di prendere possesso del bene invaso in maniera duratura, comportandosi da proprietari. L’occupazione studentesca, invece, è mossa da ben altri intenti, e cioè da uno scopo di protesta.
Secondo la Corte di Cassazione, poi, l’edificio scolastico, pur appartenendo allo Stato, non costituisce una realtà estranea agli studenti, i quali non ne sono dei semplici frequentatori, ma soggetti attivi: pertanto, non si ritiene che sia configurato un loro limitato diritto di accesso all’edificio scolastico nelle sole ore in cui è prevista l’attività scolastica in senso stretto (Cass. Sent. n. 1044/2000).
Concludendo bisogna tenere conto che nonostante si tratti di fattispecie tipicamente appartenenti al diritto amministrativo della prevenzione, per la volontà del legislatore di anticipare la soglia della prevenzione alle situazioni di pericolo concreto, in molti casi queste misure incidono su beni giuridici personali come la libertà personale e la libertà di manifestare liberamente il proprio il pensiero, per cui una loro applicazione troppo estensiva potrebbe mal conciliarsi con una verifica in termini di necessità e proporzionalità.
[1] Sul concetto di dedizione ai sensi dell’art. 1 lett. c del D.lgs. 159 del 2011 si possono vedere sent. T.A.R. Toscana, Sez. II, n. 1491 del 2021; sent. Cons. di Stato, Sez. III, n. 5652 del 2022 e sent. T.A.R. Toscana, Sez. IV, n. 802 del 2024.
[2] Similmente si possono vedere anche, oltre alla giurisprudenza indicata nella nota precedente, sent. T.A.R. Toscana, Sez. II, n. 1606 del 2018; sent. Cons. di Stato, Sez. III, n. 3108 del 2022 e sent. T.A.R. Lazio, Sez. I ter, n. 8501 del 2024.
[3] Si veda sul vasto tema la sentenza della Corte Cost. n. 2 del 1956 e la sentenza sempre della Corte Cost. n. 27 del 1959. Fra la giurisprudenza sovranazionale, si può leggere la Sentenza CEDU del 23 febbraio 2017 De Tommaso c. Italia. Infine, recentemente cfr. anche le relazioni del Consigliere del Tribunale amministrativo Paola Malanetto e del capo ufficio legislativo del Ministero dell’Interno Paolo Formicola raccolte in Atti del primo Convegno della Giustizia Amministrativa. Protezione, garanzie e tutele in una società fluida, globalizzata e multilivello. Principi, diritti e interessi fondamentali, Ravello, 27-28 ottobre, 2023, p. 94 ss. e 106 s.