Sentenza n. 607/21 del 30 settembre 2021 del Tribunale di Locri – Sezione penale (depositata il 17 dicembre 2021)
IL CASO E LA DECISIONE
In un piccolo Comune calabrese il Sindaco si segnala per il suo particolare attivismo in materia di accoglienza dei cittadini stranieri immigrati nel nostro Paese con modalità di fortuna.
Per un arco temporale di circa tre anni, a partire dal 2014, erano coesistiti nel territorio comunale in questione tre distinti progetti predisposti a favore dei migranti.
Il primo, noto come SPRAR, si sostanziava in un sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati finanziato dal Ministero dell’Interno; il secondo, noto come CAS, era un sistema nazionale straordinario nato nel 2014 per fronteggiare l’ondata massiccia di ingressi legali di stranieri in Italia, e gestito nel caso di specie dalla Prefettura di Reggio Calabria; il terzo, indicato con l’acronimo di MSNA, era assimilabile, per caratteristiche strutturali e operative, allo SPRAR, con finalità di accoglienza per gli immigrati minorenni e privi di genitori.
Di rilievo erano le modalità di attribuzione delle risorse economiche e di rendicontazione dei singoli progetti.
In particolare, una volta che il Sindaco interessato avesse, come nel caso di specie, presentato domanda di ammissione al contributo da ripartire su scala nazionale – e individuato altresì il soggetto responsabile e l’ente attuatore del progetto – la cifra riservata al singolo ente pubblico, a fronte della quale il Comune si impegnava a somministrare ai migranti alcuni servizi minimi, era parametrata al numero massimo di immigrati che potevano essere accolti sul territorio e veniva erogata in più tranche.
Ma se nel progetto SPRAR l’erogazione economica era da qualificarsi come un vero e proprio finanziamento, in quanto le somme venivano corrisposte in anticipo e, qualora il numero di migranti fosse stato inferiore rispetto a quello preventivato, originavano delle “economie” di cui tenere conto in sede di rendicontazione, nel progetto CAS si trattava formalmente di un rimborso, in quanto la Prefettura provvedeva ai sovvenzionamenti soltanto dietro la presentazione di specifiche fatture di spesa, che potevano essere prodotte anche mensilmente.
A fronte della percezione delle risorse pubbliche di cui si è detto (che avevano raggiunto nel tempo entità considerevoli) il Tribunale adito ha accertato preliminarmente che il Sindaco del Comune calabrese, imputato di svariati reati – tra cui truffa aggravata e peculato -, essendo anche il soggetto responsabile dei vari progetti di assistenza ai migranti, assommava su di sé, ai fini delle condotte a lui contestate, sia la qualifica di pubblico ufficiale – in quanto Sindaco – sia quella di incaricato di pubblico servizio, nella sua veste di soggetto responsabile dei progetti.
Nel merito delle singole imputazioni – concernenti un elevato numero di soggetti ritenuti colpevoli di diverse fattispecie di illecito penale, tutte connesse ad un uso distorto e utilitaristico del sistema di accoglienza sopra descritto -, il Sindaco è stato condannato dal Giudice di prima istanza, oltre che per associazione a delinquere, anche per truffa aggravata, peculato, falsità ideologica e abuso di ufficio, per condotte in parte direttamente legate alla gestione economica e amministrativa dei centri per migranti e in parte afferenti a vicende collaterali interessanti più da vicino il primo cittadino e suoi stretti collaboratori.
In particolare, per ciò che riguarda i delitti concernenti le dolose sottrazioni di denaro pubblico relative al sistema di accoglienza, il Sindaco del piccolo Comune calabrese, secondo i Giudici, avrebbe innanzitutto dolosamente “trattenuto” i migranti nelle strutture dei progetti SPRAR e CAS oltre i legittimi termini di permanenza previsti dalla legge (che per i rifugiati, ovvero per coloro che avevano già ottenuto protezione internazionale, erano di massimo sei mesi), con ciò conseguendo un ingiusto profitto pari ad oltre due milioni di euro complessivi.
Sotto questo profilo, il Tribunale si discosta, nella qualificazione giuridica del reato accertato, dall’imputazione operata dall’Ufficio del Pubblico Ministero, evidenziando che, pur sussistendo tutti gli elementi costitutivi del reato di abuso di ufficio, così come introdotti dalla recente modifica normativa di cui alla L. n. 120 del 2020, il Sindaco e i vari rappresentanti legali imputati delle associazioni coinvolte nei progetti, al fine di conseguire l’ingiusto profitto che poi ebbero effettivamente a ricevere, non si erano limitati a tacere i dati afferenti al superamento dei termini massimi di permanenza dei migranti nelle strutture, ma avevano sfruttato deliberatamente a loro vantaggio il mancato aggiornamento della banca dati SPRAR, che non veniva fraudolentemente compiuto su input del Sindaco stesso, allo scopo di non consentire ai funzionari del Servizio centrale di controllo di potere rilevare il superamento dei tempi di accoglienza.
Il raggiro operato nei confronti dei funzionari deputati all’approvazione dei rendiconti, tramite l’omesso aggiornamento sopra citato, ha avuto pertanto l’effetto, secondo il Giudice di primo grado, di indurre in errore i funzionari stessi, con conseguente percezione di ingiusti profitti, e correlativo danno per la pubblica amministrazione, in violazione di specifici obblighi di verità imposti dalla normativa di settore.
Tale fattispecie concreta non è stata ritenuta dal Tribunale sussumibile nel solo reato di abuso di ufficio – che peraltro è ipotesi residuale perché opera “salvo che il fatto non costituisca più grave reato” – né assimilabile all’ipotesi di cui all’art. 316-ter c.p., la quale, oltre a configurarsi per espressa clausola di riserva solo ove non sia sussistente il più grave reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, è caratterizzata anche dal mero silenzio tradottosi nell’ “omessa comunicazione di informazioni dovute”.
Ne deriva che il Sindaco è stato condannato per il reato di cui all’art. 640-bis del codice penale, riqualificata così l’originaria imputazione di abuso di ufficio, in relazione all’intervento fraudolento e aggiuntivo, rispetto al mero silenzio serbato dai vari rappresentanti legali degli enti coinvolti, costituito, nel caso dello SPRAR - come visto -, dal volontario non aggiornamento della banca dati, e nella dinamica afferente al progetto CAS, dall’attestazione di regolare permanenza fatta dal Sindaco stesso, quale responsabile dei progetti, nel corpo delle varie determine che egli adottava prima di distribuire gli importi liquidati dalla Prefettura, sulla base delle varie rendicontazioni presentate dagli enti attuatori.
L’imputato più politicamente esposto è stato poi condannato per vari episodi, oltre che di truffa aggravata, anche di
peculato, consistenti nell’avere annotato in rendicontazione acquisti non destinati agli immigrati, nell’avere rendicontato costi fittizi e nell’avere distratto, nell’ambito della gestione dei vari progetti, fondi pubblici ottenuti dallo Stato dalle finalità di gestione dell’accoglienza dei rifugiati.
QUALIFICAZIONE GIURIDICA DEI REATI ACCERTATI E DISTINZIONE TRA FATTISPECIE SIMILI
Nelle condotte contestate ai vari imputati coinvolti nel processo tenuto dinanzi al Tribunale di Locri sono ravvisabili potenzialmente numerosi reati che hanno un nucleo costitutivo comune, trattandosi per lo più di profitti illecitamente conseguiti dalla distrazione di fondi pubblici.
Quanto alla qualificazione giuridica dei reati contestati, il Tribunale si è innanzitutto interrogato sulla integrazione, in alcuni dei fatti esaminati, del reato di cui all’art. 640 comma 2 n. 1) (truffa con pena aggravata “se il fatto è commesso a danno dello Stato”) o del reato di cui all’art. 640-bis c.p., anche in considerazione delle diverse modalità “operative” ravvisate nella rendicontazione dei diversi progetti posti sotto la lente d’ingrandimento.
La soluzione dei Giudici di primo grado è consistita nell’attribuire a tutte le erogazioni effettuate il valore di erogazioni assimilabili a “contributi, finanziamenti, mutui agevolati”, stante l’identità dell’oggetto trattato e dei servizi prestati, e tenuto conto della natura pubblica delle somme attribuite e del loro immanente vincolo di destinazione per la realizzazione dell’accoglienza dei migranti (di rilevanza nazionale ed europea).
Il fatto che le somme fossero rimborsate e non anticipate nel sistema CAS – diversamente da quanto avveniva nel sistema SPRAR – non ha dunque inciso sulla qualificazione giuridica di ciascuno dei reati contestati e sull’integrazione nel caso di specie del delitto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.
Da un punto di vista strutturale, l’elemento oggettivo e soggettivo della fattispecie di cui all’art. 640-bis c.p. è mutuato sulla falsa riga del reato di truffa “semplice” di cui all’art. 640 c.p.; il primo reato si distingue dal secondo, oltre che per la differente pena (più severa) e per la diversa procedibilità (sempre di ufficio), per l’oggetto dell’ingiusto profitto correlato al danno - il che senz'altro incide anche sulla definizione dell'interesse tutelato dalla norma -, che è costituito nello specifico da “contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee”.
E’ discusso se l’art. 640-bis c.p. sia una fattispecie autonoma di reato o una circostanza aggravante del delitto di truffa.
Il Tribunale di Locri ha aderito all’orientamento maggioritario espresso da una Cassazione del novembre 2019, che riconosce la natura circostanziale del reato in questione.
Altro profilo di rilievo attiene all’individuazione esatta del momento in cui il delitto di cui all’art. 640-bis c.p. si perfeziona, incidendo, tra l’altro, tale individuazione sulla determinazione del termine prescrizionale.
I Giudici di legittimità, nell’esaminare un sistema di erogazione del denaro pubblico assimilabile a quello dei progetti SPRAR e MSNA, hanno individuato il momento di perfezionamento del reato nell’atto della presentazione del rendiconto e non già in quello dell’approvazione del finanziamento, in quanto è dal momento della presentazione di falsi documenti giustificativi a supporto dei rendiconti che è consentito il trattenimento da parte del soggetto privato delle somme illecitamente percepite, in relazione sia alle anticipazioni già ricevute che al saldo finale.
Secondo il Tribunale di Locri, però, il momento di perfezionamento del reato andrebbe spostato ancora più avanti, e coinciderebbe con l’atto di approvazione dei predetti rendiconti, in quanto è in quel frangente temporale che si consolida il trattenimento delle somme già erogate e si predetermina il quantum da corrispondere per l’annualità di finanziamento successiva (a mezzo del meccanismo di formazione di “economie” e successiva compensazione).
In questa prospettiva, i soggetti attivi che si limitino a presentare un rendiconto fondato su falsi documenti, che poi però non venga approvato, pongono in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a conseguire un ingiusto profitto, il quale può considerarsi raggiunto solo nel momento in cui lo Stato, indotto in errore, approvi il rendiconto basato su elementi non veritieri o fraudolentemente formati.
La fattispecie di truffa consumata di cui all’art. 640-bis c.p. deve essere poi distinta sia dall’ipotesi di peculato – fattispecie anch’essa contestata e accertata nella vicenda criminosa esaminata dal Tribunale di Locri – sia delle ipotesi di cui all’art. 316-ter e 316-bis del codice penale.
Quanto al primo profilo distintivo – che pure ha avuto rilievo nella sentenza in esame, risultando il Sindaco imputato condannato sia per fatti di truffa aggravata che per fatti di peculato -, il Tribunale di Locri ha tenuto separate le attività di sottrazione del denaro avvenute previa acquisizione dello stesso tramite artifici o raggiri (art. 640-bis c.p.) dall’appropriazione di denaro pubblico di cui l’incaricato di pubblico servizio aveva il possesso o la materiale disponibilità in ragione delle funzioni svolte (art. 314 c.p.), evidenziando altresì che la falsificazione di atti e documenti compiuta dopo l’appropriazione delle somme e al solo fine di mascherare il delitto di peculato già commesso configura un’ipotesi di post factum non punibile.
D’altra parte, accanto a condotte meramente appropriative degli importi, che il soggetto ha utilizzato uti dominus, coesistono altre condotte di natura diversa, ma pur sempre nello stesso perimetro di applicazione, attraverso le quali il soggetto agente dà al denaro una differente destinazione rispetto a quella iniziale e vincolata che esso aveva.
In quest’ultimo caso, la Corte di Cassazione ha opinato che, allorché attraverso la destinazione pubblica che viene impressa alle somme queste rimangono pur sempre nella sfera di disponibilità della pubblica amministrazione, potrà configurarsi l’ipotesi residuale di abuso di ufficio, mentre sarà pienamente configurabile il reato di cui all’art. 314 c.p., allorquando la condotta distrattiva si configuri come sostanzialmente appropriativa, il che si verifica quando la variazione della destinazione iniziale degli importi – pur mantenendo la sua finalità di realizzare un interesse pubblico – viene però piegata a realizzare un profitto di natura privata.
Nel caso esaminato dal Tribunale di Locri, il Sindaco del piccolo Comune calabrese e i suoi più stretti collaboratori sono stati ritenuti in effetti ritenuti colpevoli del delitto di peculato, in quanto la destinazione di somme erogate dallo Stato per i progetti SPRAR, MSNA e CAS erano state utilizzate liberamente, come se fossero proprie, e destinate per l’acquisto di beni che non avevano alcuna connessione con le finalità per le quali quegli importi erano stati erogati.
In particolare, le somme ricevute non venivano investite solo per l’accoglienza e per l’integrazione dei migranti (come avrebbe dovuto essere), ma anche impiegate o per la soddisfazione di interessi personali egoistici (ivi compresi viaggi costosi all’estero e acquisto di beni di arredo per le rispettive abitazioni), o per valorizzare il territorio del Comune interessato, ai fini di un ritorno di immagine da capitalizzare a livello politico.
Con riferimento alla linea di confine tra il delitto di cui all'art. 640-bis c.p. e il delitto di cui all’art. 316-ter c.p. (indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato), l’elemento distintivo tra i due reati consiste innanzitutto nel fatto che il citato art. 316-ter non presuppone che l’ente leso sia stato indotto in errore, essendo quest’ultimo chiamato solo a prendere atto dell’esistenza dei requisiti autocertificati, e non a compiere un’autonoma attività di accertamento.
In secondo luogo, il delitto di cui all’art. 316-ter c.p. richiede una mera esposizione di dati non veritieri ovvero omesse informazioni che invece sono dovute, con esclusione, quindi, di quel quid pluris di condotta fraudolenta, tra cui rientra, secondo il Tribunale di Locri, anche la condotta di immutazione del vero, compiuta tramite la falsificazione dei rendiconti e delle richieste di rimborso accertate con la sentenza in commento.
Occorre infine evidenziare anche la differenza sussistente tra il reato di cui all’art. 640-bis c.p. e il reato di cui all’art. 316-bis c.p. (malversazione a danno dello Stato), e ciò in rapporto alla particolare struttura che caratterizza l’elemento oggettivo delle fattispecie illecite fraudolente.
Invero, mentre la truffa attiene alla fase prodromica di quelle condotte che vengono poste in essere con artifici e raggiri per ottenere somme non dovute, il reato di cui all’art. 316-bis c.p. si configura nella fase gestionale degli importi lecitamente ottenuti, che vengono poi distratti dalle finalità pubbliche a cui erano originariamente destinati.
Le due fattispecie sono in altri termini del tutto autonome l’una dall’altra – come precisato anche dalle Sezioni Unite nel 2017 – e possono anche concorrere tra loro, avendo d’altra parte oggettività giuridiche distinte, che non determinano nessun assorbimento dell’una nell’altra.
La riqualificazione della fattispecie concreta esaminata dal Tribunale di Locri nei termini di una ipotesi di malversazione (con applicazione di un trattamento sanzionatorio più tenue), pure richiesta dalla difesa degli imputati, è stata peraltro esclusa dal Giudice di primo grado.