IL CASO E LE QUESTIONE PREGIUDIZIALI RIMESSE ALLA CORTE UE
Un’infermiera professionale, dipendente presso il reparto di neurochirurgia-degenze dell’Azienda ospedaliera-Università di Padova, ha promosso ricorso di urgenza ex art. 700 c.p.c. per impugnare la decisione del suo datore di lavoro di sospenderla dal servizio – senza retribuzione – fino all’adempimento dell’obbligo vaccinale, ai sensi dell'art. 4 del d.l. n. 44 del 2021.
In particolare, è stata contestata la decisione dell’Azienda ospedaliera convenuta di non potere adibire la ricorrente a mansioni diverse che non implicassero il rischio di diffusione del contagio.
L’infermiera ha dunque chiesto la riammissione in servizio, deducendo l’illegittimità dell’art. 4 sopra citato sotto vari profili, sia per contrarietà alla Costituzione della Repubblica italiana che per contrasto con la normativa dell’Unione europea.
Il Giudice adito ha innanzitutto ricordato che, secondo la disposizione da applicare alla concreta fattispecie a lui sottoposta, la vaccinazione costituisce requisito essenziale per lo svolgimento della professione e delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati, e che solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale, la vaccinazione de qua non è obbligatoria e può essere omessa o differita.
Il Tribunale di Padova ha quindi specificato che la ricorrente, a fondamento della sua tesi – illegittimità dell’interruzione del rapporto di lavoro nei suoi confronti -, ha invocato sia molteplici argomenti di natura in senso stretto medico-sanitaria, tra cui l’intervenuta immunizzazione naturale derivante dal pregresso contagio e guarigione, sia argomenti giuridici di diritto costituzionale ed europeo.
Sotto il profilo della maggiore rischiosità del vaccino rispetto al contagio, e della preferibilità di cure diverse – oggi disponibili in ambiente ospedaliero – il Giudice del lavoro ha rimarcato che le autorizzazioni alla messa in commercio dei vaccini anti-Covid, sia pure condizionate ai sensi del Regolamento n. 507 del 2006, sono atti di diritto dell’Unione europea e come tali, valutabili, quanto a legittimità, solo dalla Corte di Giustizia UE.
Di conseguenza, laddove il giudice nazionale dovesse ravvisare seri dubbi di validità di un atto comunitario, e intendesse attribuire una tutela cautelare nel contenzioso dinanzi a lui instaurato, dovrebbe contestualmente investire la Corte di Giustizia di tale questione.
Nel caso di specie, il Giudice adito, alla luce delle nuove “emersioni mediche” e delle nuove conoscenze in termini di medicinali a disposizioni per fronteggiare il Covid-19, dubita della validità delle autorizzazioni condizionate rilasciate dalla Commissione europea, previo parere di EMA, ai sensi dell’art. 4 del Regolamento n. 507 sopra citato, in relazione al valore giuridico dell’integrità fisica e della salute, posizioni soggettive che sono protetti, tra l’altro, dagli artt. 3 e 35 della Carta europea dei diritti fondamentali, parametri di legittimità degli atti nazionali e comunitari in sede di attuazione dell’ordinamento UE.
Il Tribunale di Padova, in particolare, chiede alla Corte di Giustizia di chiarire se tali autorizzazioni condizionate possano ancora considerarsi valide, alla luce delle cure alternative efficaci e meno pericolose che nel frattempo sarebbero state approvate nei singoli Stati membri.
Il Giudice ordinario ha chiesto inoltre alla Corte adita di chiarire se, nel caso di sanitari sottoposti all’obbligo vaccinale ma già contagiati e guariti, i vaccini approvati dalla Commissione in forma condizionata debbano essere somministrati lo stesso, senza alcuna deroga.
Quesiti conseguenti sono poi quelli afferenti al dubbio sulla legittimità della somministrazione obbligatoria dei nuovi vaccini senza alcun tipo di procedimentalizzazione con finalità cautelativa, e al dubbio sulla legittimità della sospensione immediata, con perdita della retribuzione, dal posto di lavoro, senza la previsione di una gradualità delle misure sanzionatorie.
Il Giudice ordinario si è inoltre interrogato sugli effetti che può avere rispetto alla causa trattata la diretta applicabilità del Regolamento dell’Unione Europea n. 953 del 2021.
Secondo tale regolamento, avente ad oggetto il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati COVID UE, le limitazioni alla libera circolazione delle persone devono essere applicate conformemente ai principi generali della proporzionalità e della non discriminazione; tali principi, a detta del Tribunale di Padova, sembrano messi in crisi da una normativa, come quella italiana di cui all’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, secondo cui, mentre il medico o l’infermiere che non possa, per una qualsiasi ragione, essere assoggettato al vaccino, può continuare a praticare la professione, sia pure nel rispetto delle regole di sicurezza, chi non vuole assoggettarsi al vaccino non può esercitare l’attività sanitaria, sia come dipendente che come libero professionista, anche se sia disposto a seguire rigorosamente le stesse regole di sicurezza.
Il giudizio è stato pertanto sospeso, in attesa del responso sui quesiti proposti dal giudice nazionale alla Corte di Giustizia UE.
PROFILI DI GIURISDIZIONE
Il Tribunale di Padova si è pronunciato, trattenendo la giurisdizione, su un ricorso del dipendente di una struttura ospedaliera raggiunto dal provvedimento di sospensione dal servizio adottato dal suo datore di lavoro per non avere adempiuto agli obblighi vaccinali stabiliti dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021.
Occorre tuttavia dare atto che la giurisdizione sulla fattispecie esaminata, da considerarsi estesa anche alla fase procedimentale afferente all'invito ad adempiere all'obbligo vaccinale, non pare pacifica.
I Giudici amministrativi hanno in alcuni casi trattenuto, in altri declinato la giurisdizione in favore del Giudice ordinario.
In particolare, mentre TAR Lombardia ha recentemente respinto l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalle amministrazione resistenti (1), TAR Liguria e TAR Marche hanno dichiarato inammissibili i ricorsi proposti dinanzi a tali Tribunali, ritenendo che gli interessati agirebbero per la tutela del loro diritto (fondamentale) alla salute, sulla cui componente “oppositiva”, o di resistenza a coercizioni esterne che dir si voglia, non possono incidere provvedimenti amministrativi discrezionali, tali cioè da “trasformarlo” in un interesse legittimo.
Così si è risolto recentemente anche il TAR Veneto, con la sentenza n. 1548 del 20 dicembre 2021, nella quale è stato specificato che, pur avendo l’obbligo vaccinale la sua genesi in una finalità spiccatamente di interesse pubblico, l’intera disciplina approntata dal legislatore con il citato art. 4 si rivolge al lato strettamente “privatistico – lavorativo” dell’idoneità dell’operatore sanitario, in quanto lavoratore, sia esso autonomo o subordinato, di svolgere l’attività sanitaria.
Invero, la vaccinazione viene ad essere declinata quale requisito imprescindibile per svolgere l’attività professionale, che deve sussistere inizialmente, ai fini dell’iscrizione nell’albo, e deve permanere nel tempo, pena la sospensione della professione, conseguenza quest’ultima stabilita direttamente dalla legge e non intermediata dall’esercizio di un potere autoritativo dell’amministrazione sanitaria.
Sarebbe stata in altri termini introdotta dal legislatore, secondo il TAR Veneto, una fattispecie automatica di inidoneità del “lavoratore della sanità” che incide a monte sullo “statuto lavorativo” del sanitario, conformando alla tutela dell’interesse pubblico il diritto allo svolgimento dell’attività lavorativa.
D’altra parte, è evidente che nel caso dei sanitari la previsione della sospensione, quale conseguenza dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale, non è stata strutturata dal legislatore in termini di “sanzione” (amministrativa, penale, disciplinare; pecuniaria o personale), ma esclusivamente in termini di inidoneità temporanea alla prestazione lavorativa, categoria tipicamente riconducibile alle fattispecie tanto del lavoro privato (art. 41, d.lgs. n. 81 del 2008) che del pubblico impiego (art. 55 octies, d.lgs. n. 165 del 2001), e che, nella specie, viene valorizzata dal legislatore anche ai fini del corretto esercizio della professione regolamentata in albi.
Né sembra che con riferimento alle contestazioni e censure conseguenti all’applicazione dell’art. 4 in esame si verta in una delle fattispecie di giurisdizione esclusiva di cui all’art. 133 c.p.a., non sussistendo i presupposti per affermare la sussunzione della tipologia di azioni esperibili nelle ipotesi relativa a controversie inerenti “servizi pubblici”.
La fattispecie disciplinata dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, infatti, pur avendo certamente un riflesso mediato sul corretto ed efficiente espletamento del servizio pubblico sanitario, in realtà sarebbe strettamente correlata e finalizzata, in via immediata, alla conformazione del rapporto di lavoro ovvero dello statuto della prestazione professionale, venendo, quindi, in gioco, il diritto del sanitario all’esercizio della prestazione lavorativa, e mediatamente, il diritto dello stesso, eventualmente, a non vaccinarsi.
La causa petendi, quindi, in nessun caso, potrebbe afferire, in via diretta, al servizio pubblico sanitario in sé considerato.
Il Tar Veneto ha anche specificato che la recente modifica operata dal legislatore all’art. 4 del d.l. 1 aprile 2021 n. 44 (con l’art. 1, comma 1, lett. b), d.l. 26 novembre 2021, n. 172), pur non essendo applicabile ratione temporis alla fattispecie in concreto esaminata, "sotto il profilo interpretativo fa emergere una volta di più come il legislatore abbia del tutto inteso escludere l’intermediazione del potere pubblico: se nella precedente versione, infatti, come sopra detto, alle aziende sanitarie è stato attribuito un compito di verifica certativa eventualmente con profili di mera valutazione medica, nell’attuale versione, addirittura, è stato del tutto escluso un ruolo delle amministrazioni sanitarie ai fini dell’accertamento dell’inadempimento che, peraltro, viene effettuato dagli Ordini sulla scorta di un mero rilievo documentale, per mezzo di un atto definito esplicitamente avente natura dichiarativa e non disciplinare".
Tuttavia, in un contestuale arresto, il Consiglio di Stato – seppure esprimendosi sulla questione incidentalmente e in fase cautelare – ha ritenuto di dovere affermare la sua giurisdizione, sul rilievo che la sussistenza di essa sull’atto di accertamento dell'inosservanza dell’obbligo vaccinale “si trascinerebbe” la giurisdizione sull’atto di sospensione del rapporto, data la sua natura di atto meramente consequenziale e vincolato.
Secondo i Giudici di Palazzo Spada, infatti, il sistema delineato dall’art. 4, d.l. 1 aprile 2021, n. 44 prevedrebbe, quanto meno con riferimento ai medici convenzionati, uno specifico segmento procedimentale propriamente amministrativo e pubblicistico diretto ad accertare, mediante l’esercizio di un potere discrezionale ed autoritativo, se il sanitario abbia ricevuto o meno la somministrazione del vaccino contro il SarsS-CoV-2, in conformità all'obbligo sancito dal comma 1, e soprattutto se la documentazione prodotta in caso di omissione dell’obbligo possa ritenersi idonea al fine di essere esonerati da siffatto obbligo.
Tale spendita di poteri amministrativi giustificherebbe dunque la giurisdizione del Giudice amministrativo, mentre la comunicazione di sospensione dal servizio, costituendo un effetto automatico che discende direttamente dalla legge a carico del sanitario inottemperante, non inciderebbe sulla determinazione del Giudice dinanzi al quale proporre ricorso.
In altri termini, secondo il Consiglio di Stato, quella stessa automaticità degli effetti rimarcata in altro senso dal TAR Veneto – a riprova dell’assenza di spendita di discrezionalità – rappresenterebbe una mera “fotografia” dell' esercizio di un potere esistente e già consumato.
Eppure, se è ancora valido l’insegnamento secondo cui, nei casi in cui non sussiste giurisdizione esclusiva, la summa divisio in termini di attribuzione del potere giurisdizionale dipende dalla essenza della posizione soggettiva fatta valere in giudizio (diritto soggettivo/interesse legittimo), non sembra prudente andare a cercare nelle maglie del disposto legislativo, o nel fine primario perseguito dalla norma, la conferma dell’una o dell’altra tesi, quando è chiaro che se si parla della salute individuale si parla di un fondamentale diritto soggettivo, che non ammette esercizio di potere discrezionale amministrativo incidente sulla sua "componente" facoltativa afferente alla protezione della incolumità fisica da aggressioni esterne (come peraltro sancito a chiare lettere dall'art. 32, comma 2 della Costituzione) mentre se ci si riferisce alla tutela della salute come interesse della collettività possono coesistere anche posizioni di diritto e di interesse legittimo.
D’altra parte, la confusione che si sta ingenerando su un tema che dovrebbe avere una soluzione abbastanza intuitiva secondo gli schemi classici di “ripartizione” della giurisdizione, è probabilmente dovuta all’attuale ipertrofia del potere pubblico sanitario, che trascina con sé, correlativamente alle restrizioni delle libertà individuali ritenute necessarie per combattere la diffusione del virus, anche una sorta di “degradazione” inesorabile e cumulativa delle posizioni giuridiche dei singoli.
(1) Secondo TAR Lombardia, I Sezione, sentenza n. 140 pubblicata il 24 gennaio 2022, "(...) anche a fronte di un’attività amministrativa priva di margini di valutazione discrezionale, quale quella descritta nei commi da 3 a 7 dell’articolo 4, si staglia una situazione soggettiva di interesse legittimo del privato, almeno tutte le volte in cui la finalità primaria perseguita dalla norma sia quella di tutelare in via diretta l’interesse pubblico (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 24 maggio 2007, n. 8).
Con l’introduzione dell’obbligo vaccinale temporaneo per il personale sanitario, il comma 1 dell’articolo 4 intende perseguire, in una grave situazione emergenziale epidemiologica su scala globale, il fine primario <<di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza>>, di sicura rilevanza per la salute pubblica e per la sicurezza collettiva, per cui la posizione soggettiva del privato deve essere qualificata come interesse legittimo, con conseguente attribuzione della giurisdizione al giudice amministrativo."