Sentenza del Tribunale di Torino – Sezione dei Giudici delle Indagini preliminari, depositata il 19/08/2022, n. 1339
IL CASO, I REATI ACCERTATI E LA DECISIONE
Una ragazza di 15 anni aveva creato un profilo fake su Instagram di genere sadomaso, essendo curiosa dell'argomento.
Nell’agosto del 2018 era stata contattata da un certo "padrone-domination", poi identificato con l’imputato, al quale aveva rivelato la verità con riferimento alla sua età. Nonostante tale esternazione, l’uomo, di molti anni più grande, aveva continuato a chattare con lei e in più occasioni le aveva chiesto di inviargli, con successo, delle fotografie in cui lei si masturbava.
Dopo circa due mesi si erano scambiati i numeri di telefono e avevano cominciato una relazione a singhiozzo, consumando nell’aprile 2019 il primo rapporto sessuale consenziente; nonostante lui volesse un rapporto sadomaso lei aveva rifiutato perché aveva capito che tale modalità in fin dei conti non le piaceva.
All'inizio della relazione, peraltro, l’imputato, nella sua qualità di "padrone", aveva chiesto alla minore di riprendersi mentre si masturbava con vari accessori e lei, dopo avere registrato i video, glieli aveva mandati su Instagram e su whatsapp, insieme ad alcune foto nuda. Nei video e nelle foto non compariva mai il suo volto, così che nessuno avrebbe potuto riconoscerla, non avendo tatuaggi o segni particolari sul corpo. Anche l’uomo le mandava dei video mentre si masturbava; dopo un po’di tempo non le aveva peraltro più richiesto di mandargli video, pur continuandole a domandare l’effettuazione di gesti autoerotici nel corso delle videochiamate.
Successivamente, l’imputato le aveva ceduto gratuitamente cocaina e aveva cominciato a perseguitare lei e i suoi familiari, una volta che la ragazza le aveva comunicato l’intenzione di interrompere la loro relazione.
La vicenda si era quindi definitivamente trasferita nelle aule di giustizia con la denuncia-querela della minore nel giugno 2020, da cui era scaturito un procedimento penale nei confronti dell’uomo per i reati di cessione di stupefacenti, atti persecutori e pornografia minorile.
Con particolare riferimento a tale ultimo delitto, i Giudici torinesi hanno dovuto valutare la realizzazione, nel caso di specie, della fattispecie di cui al primo comma dell'art. 600 ter c.p., che punisce chiunque produca o realizzi materiale pornografico utilizzando un minore di anni diciotto, ovvero chi recluta o induce minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni o spettacoli pornografici, ovvero dai suddetti spettacoli trae profitto.
In particolare, all’imputato è stato contestato di avere "indotto" una ragazza all'epoca quindicenne a produrre tale materiale, istigandola in tal senso, avvalendosi della sua superiorità in termini di età, maturità ed esperienza e facendosi così inviare dalla ragazza immagini che la ritraevano mentre si masturbava.
Secondo il Tribunale adito, dal materiale di indagine confluito nel fascicolo del giudizio abbreviato è emerso chiaramente che la ragazza avesse inviato all’imputato immagini dal sicuro contenuto pornografico, su richiesta dell'imputato stesso e nell'ambito del gioco di ruolo sadomaso, in cui lei, "schiava", doveva obbedire agli ordini del "padrone".
Il Giudice di primo grado si è però chiesto se tale condotta fosse da considerarsi penalmente rilevante, costituendo il discrimine rispetto ad una fattispecie “non punibile” non il consenso del minore in quanto tale, ma la configurabilità dell’azione di utilizzazione.
In effetti, nell’attuale sistema del codice penale, la condotta della produzione di materiale pornografico con minore risulta lecita soltanto se posta in essere alle seguenti due condizioni, che devono ricorrere congiuntamente: senza utilizzazione del minore e con il consenso espresso da colui che abbia raggiunto l'età per manifestarlo.
E siccome anche le condotte induttive e istigative possono integrare il requisito dell'utilizzo del minore, l'utilizzazione del minore può manifestarsi non solo quando l'agente realizzi egli stesso la produzione di tale materiale, ad esempio scattando le foto dal contenuto erotico, ma anche - come nel caso affrontato dal GUP torinese - quando induca o istighi il minore a compiere tali azioni, ossia facendo sorgere in questi il relativo proposito prima assente (induzione), ovvero rafforzando un proposito già presente (istigazione).
D’altra parte, il consenso del minore all'atto sessuale non include e non implica, di per sé, il consenso alla registrazione dell'attività o alle riprese di carattere intimo di natura pornografica, essendo tale attività un quid pluris rispetto all'atto sessuale.
Sotto altro profilo, poi, il consenso è sempre revocabile e deve riguardare non solo il momento della "produzione" del materiale pornografico, ma anche la sua successiva conservazione.
Partendo da tali premesse interpretative del reato da accertare, il Tribunale adito ha evidenziato che la persona offesa aveva attivato spontaneamente, consapevolmente e autonomamente un profilo Instagram a contenuto "sadomaso", dicendosi incuriosita e interessata all'argomento, e non facendo mai mistero della cosa.
Inoltre, la ragazza ha pacificamente ammesso di avere effettuato e inviato, su richiesta (nel gergo usato, su "ordine" dell'imputato) i video pornografici nel primo periodo della relazione con costui, nell'ambito del gioco sadomaso in cui entrambi interpretavano ruoli ben definiti e in linea con la tipologia di profilo che lei stessa aveva aperto.
La persona offesa, inoltre, per quanto giovane e proveniente da una famiglia musulmana, non era da considerarsi una ragazza "chiusa", sia a livello di maturità personale che a livello di relazioni sociali, di modo che il Giudice adito è arrivato alla conclusione che il consenso all’invio dei video pornografici fosse stato libero, effettivo e pienamente valido.
Correlativamente, nel comportamento dell’imputato non era ravvisabile alcuna induzione o istigazione e, dunque, alcuna "utilizzazione" della minore, essendosi costui comportato in linea con la tipologia di profilo che la ragazza aveva attivato.
In definitiva, dunque, il GUP ha mandato assolto l’imputato per il reato di pornografia minorile.
Quanto invece agli altri reati contestati, posto che vi era piena prova della cessione di stupefacenti a minore, il Giudice adito ha ritento integrati anche gli estremi dello stalking, evidenziando che era sussistente l’evento materiale di tale reato, nonostante la persona offesa non avesse mai riferito di patire, a causa dell'imputato, uno stato di ansia e paura, né di temere per la propria o altrui incolumità, né di avere modificato, a causa dei comportamenti dell’uomo, le proprie abitudini di vita.
Invero, il GUP ha “sposato” la giurisprudenza secondo cui il reato di atti persecutori si realizza anche in assenza di una espressa e dichiarata manifestazione di ansia da parte della vittima, dovendosi avere riguardo sia alle caratteristiche della persona offesa (che, se minorenne, è per ciò solo più vulnerabile), sia all'astratta e oggettiva idoneità della condotta dell'agente a causare uno degli eventi alternativi previsto dalla legge.
LE FATTISPECIE CRIMINOSE DI CUI ALL’ART. 600-TER C.P.
L'attuale formulazione dell'art. 600 ter c.p. (che tutela non l'autonomia sessuale del minore ma la necessità di proteggere la sua intimità, la dignità e il suo corretto sviluppo psico-fisico, limitando la diffusione di immagini che possano destare un interesse sessuale) è il frutto di plurimi interventi legislativi. La norma si articola su una molteplicità di ipotesi di reato tra loro autonome e diversamente strutturate, ordinate secondo un criterio gerarchico di gravità decrescente, ricavabile dalle clausole di esclusione contenute nei commi terzo e quarto, nonché di graduazione delle pene edittali.
Nel dettaglio, il primo comma ha riguardo alla fase di realizzazione/produzione del materiale pornografico mediante utilizzo del minore, nonché al reclutamento e all'induzione del minore stesso; il comma secondo punisce la condotta di chi fa commercio del materiale di cui al primo comma; il comma terzo reprime le condotte di distribuzione, divulgazione, diffusione, pubblicizzazione, ovvero di distribuzione, divulgazione o diffusione di notizie o informazioni finalizzate all'adescamento o allo sfruttamento sessuale del minore; il comma quarto sanziona, infine, i comportamenti di offerta o cessione a terzi, a titolo oneroso o gratuito, del materiale pornografico. La definizione del materiale pornografico, rilevante per tutti i commi dell'art. 600-ter, si ricava dal settimo e ultimo comma.
Secondo la Corte di cassazione, che ha così interpretato il disposto del settimo comma dell'art. 600 ter c.p., in virtù della modifica introdotta dall'art. 4, comma 1, lett. I), della legge n. 172 del 2012 (Ratifica della Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale) - che ha sostituito il primo comma dell'art. 600-ter cod. pen. - costituisce materiale pedopornografico la rappresentazione, con qualsiasi mezzo atto alla conservazione, di atti sessuali espliciti coinvolgenti soggetti minori di età, oppure degli organi sessuali di minori con modalità tali da rendere manifesto il fine di causare concupiscenza od ogni altra pulsione di natura sessuale, e il riferimento alla "rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto" di cui all'ultimo comma dell'art. 600-ter cod. pen. ricomprende non solo gli organi genitali, ma anche altre zone erogene, come il seno e i glutei, anche perché la natura pornografica delle immagini discende non tanto dalla nudità della persona ritratta, quanto dall'atteggiamento e dalle espressioni che la persona assume, con la conseguenza che rientrano nell'alveo del 600 ter c.p. quelle immagini in cui le pose della minore siano inequivocabilmente destinate non a risaltare solo la bellezza del corpo in quanto tale, ma a stimolare in modo esplicito l'interesse erotico altrui.
Con riferimento specifico alla fattispecie di cui al primo comma dell’art. 600-ter c.p. – fattispecie approfondita dalla sentenza in esame -, occorre innanzitutto evidenziare che, ai fini dell'integrazione del reato di produzione di materiale pedo-pornografico, non è richiesto dalla giurisprudenza più recente l'accertamento del concreto pericolo di diffusione di detto materiale.
E' stato così superato l'orientamento precedentemente espresso nel 2000 dalla Cassazione a Sezioni Unite, secondo cui si tratterebbe di un reato di pericolo concreto, punibile cioè soltanto nel caso in cui la condotta abbia una consistenza tale da implicare un concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto.
Tale materiale, in realtà, secondo le Sezioni Unite del 2018, non deve essere necessariamente destinato ad essere immesso nel mercato della pedofilia, in considerazione della pervasiva influenza delle moderne tecnologie della comunicazione.
Sempre sul piano ermeneutico, è stata inoltre negata autonomia concettuale alla nozione di produzione rispetto a quella di realizzazione.
Tornando alla costruzione semantica della fattispecie di reato in esame, uno degli elementi costitutivi di essa è l'utilizzo, ovvero il reclutamento o l'induzione del minore, da parte di un soggetto terzo (escludendo dunque i casi di "autoproduzione"). La nozione di "utilizzo" è molto ampia e in essa rientrano e rilevano certamente anche le condotte induttive.
Sul concetto di "utilizzo" si erano espresse le Sezioni Unite della Suprema Corte con la citata sentenza n. 51815 del 31.5.2018, che aveva delineato l'ambito della c.d. "pedopornografia domestica", affermando, in linea con i principi enunciati nella Direttiva 2011/93/EU e nella Convenzione di Lanzarote, che non sussiste alcuna "utilizzazione del minore" (e pertanto il reato non è integrato) nei casi in cui il materiale pornografico sia stato prodotto e realizzato per un uso strettamente privato, all'interno di un rapporto di coppia paritario (inteso come scevro da condizionamenti derivanti dalla posizione dell'autore), con il consenso, libero ed effettivo, della persona ultraquattordicenne ripresa e/o fotografata.
Le Sezioni Unite del 2018 si erano però soffermate unicamente sui rapporti "paritari" instaurati dal minore ultraquattordicenne, così lasciando fuori tutti quei casi di relazione tra minore e adulto. Della questione si sono peraltro interessate nuovamente le Sezioni Unite, che con la sentenza n. 4616 del 28.10.2021, nel dare una risposta alla questione dei rapporti minorenne-adulto, hanno enunciato una serie di importanti principi di diritto.
Secondo la Corte, posto che non tutte le condotte di produzione e realizzazione di immagini e video pornografici aventi ad oggetto minorenni sono reato, ma soltanto quelle che hanno "utilizzato" i minori - e posto che nel caso in cui il minore sia infraquattordicenne tale utilizzo è in re ipsa, in quanto il minore non ha ancora raggiunto l'età minima che la legge stabilisce per prestare il proprio libero e valido consenso -, nel caso in cui vi sia "utilizzazione" del minore ultraquattordicenne, nessuna valenza (esimente o scriminante) può essere riconosciuta al suo eventuale consenso, dal momento che la stessa strumentalizzazione effettuata produce nel minore la formazione un consenso non libero, ma viziato e determinato dall'abusività della condotta dell'adulto.
Il discrimine tra il penalmente rilevante e il penalmente irrilevante, in quest'ultima ipotesi, non è dunque il consenso del minore in quanto tale - che comunque deve sussistere -, ma la configurabilità dell'utilizzazione.
Al riguardo, è stato precisato che il termine "utilizzazione" sta ad indicare la condotta di chi manovra, adopera, strumentalizza o sfrutta il minore servendosi dello stesso e facendone un uso nel proprio interesse, piegandolo ai propri fini come se fosse uno strumento.
Vi sono una serie di elementi-indice dai quali è possibile ricavare la condizione di "utilizzazione" del minore.
Invero, la nozione di utilizzazione (che ha sostituito il termine "sfruttamento" presente nell'originaria stesura della norma) evoca innanzitutto una "strumentalizzazione" del minore e la sua riduzione a res per il soddisfacimento di desideri sessuali di altri soggetti, ovvero per conseguire un utile. In altre parole, c'è "utilizzo" del minore quando ricorre, alternativamente, una condizione di abuso, approfittamento, costringimento, istigazione e induzione (quest'ultima condotta, pur espressamente prevista dal n. 2 del primo comma dell'art. 600 ter c.p., è anch'essa una modalità di "utilizzo") da parte del produttore/realizzatore delle immagini, con conseguente asservimento del minore per un vantaggio altrui, anche non direttamente economico.
Dunque, anche le condotte induttive e istigative possono integrare il requisito dell'utilizzo del minore, e l'utilizzazione del minore può manifestarsi non solo quando l'agente realizzi egli stesso la produzione di tale materiale, ma anche quando induca o istighi il minore a tali azioni.
La condotta di utilizzo può essere desunta, in concreto, da una serie di elementi: dalla posizione di supremazia ricoperta dall'agente nei confronti del minore; dal differenziale di potere tra i due; dalle modalità con cui il materiale pornografico viene prodotto (inganno, minaccia, violenza), dal fine commerciale e dall'età e dalla maturità del minore (soprattutto per la fascia di età compresa tra i 14 e i 16 anni, quando è molto elevato il rischio di condizionamenti esterni e la maturità del minore è ancora limitata), senza che rilevi la familiarità del minore a divulgare le proprie immagini erotiche, in quanto tale tendenza è spesso sintomatica di una particolare fragilità della persona offesa.
Devono in altri termini essere accertate forme di coercizione o di condizionamento della volontà del minore stesso, restando escluse dalla rilevanza penale solo condotte realmente prive di offensività rispetto all'integrità psico-fisica dello stesso.
Si resta inoltre nell'ambito della pornografia domestica non punibile (ossia quando il materiale è prodotto all'interno del rapporto di coppia, senza forme di utilizzazione e col consenso del minore ultraquattordicenne), soltanto quando il materiale resta nella disponibilità esclusiva delle parti coinvolte nel rapporto.
Tale materiale non può infatti mai essere posto in circolazione, perché, in caso contrario, il minore, ancorché inizialmente non "utilizzato", deve essere ritenuto, secondo una valutazione ex post, strumentalizzato, con la conseguenza che il materiale deve essere ritenuto prodotto con utilizzazione del minore, trovando in questo caso applicazione il primo comma dell'art. 600 ter c.p., ovvero i commi successivi, a seconda che la diffusione del materiale sia il frutto di una determinazione originaria o successiva dell'agente, a nulla rilevando l'eventuale consenso del minore, non avendo egli ancora raggiunto quella maturità necessaria a consentirgli una valutazione consapevole in ordine alle ricadute negative nella mercificazione del suo corpo attraverso la divulgazione delle immagini erotiche.
In definitiva, anche nei casi in cui sia accertato che il comportamento complessivo dell'imputato non sia stato corretto, e che vi sono plurimi elementi che portano a biasimare profondamente la sua condotta, soprattutto in relazione alla grande differenza di età rispetto al minore, se non si ravvisa in tale condotta alcuna induzione o istigazione e, dunque, alcuna "utilizzazione" del minore, e tenendo presente che occorre mantenere sempre distinto il
giudizio morale dal giudizio penale, la formula assolutoria non può essere che piena (“il fatto non sussiste”).