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La Superlega e i nuovi padroni del calcio: diritto allo sport o il diritto nello sport?

a cura di Roberto Lombardi • 4 febbraio 2024

(Quest’articolo riprende e sviluppa una nota già pubblicata sul sito, alla luce della recente sentenza della Corte di Giustizia sul “caso Superlega”)


In origine fu il caso Bosman.

Nel 1993, un oscuro giocatore professionista belga rivoluzionava i meccanismi del calcio mercato dopo avere indotto la Corte di Appello di Liegi a rivolgersi in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Per un anno intero era stato senza giocare perché la società che lo aveva nel frattempo vincolato non aveva poi versato il denaro necessario per il trasferimento effettivo dalla squadra in cui Bosman aveva giocato fino alla stagione precedente.

La sentenza epocale che porta il suo nome comincia con queste semplici parole: “Lo sport di football association — generalmente noto come «giuoco del calcio» —, professionistico o dilettantistico, viene praticato, nella forma organizzata, nell'ambito di società che, in ciascuno degli Stati membri, sono consociate in associazioni nazionali, dette anche federazioni”.

Ma la conclusione è molto più dirompente: il diritto eurounitario osta all'applicazione di norme emanate da associazioni sportive secondo le quali un calciatore professionista cittadino di uno Stato membro, alla scadenza del contratto che lo vincola ad una società, può essere ingaggiato da una società di un altro Stato membro solo se questa ha versato alla società di provenienza un'indennità di trasferimento, di formazione o di promozione.

Altresì, viene dichiarata in contrasto con il diritto UE la limitazione per le società calcistiche europee di schierare solo un numero limitato di calciatori professionisti cittadini di altri Stati membri.

Dopo trent'anni, un altro terremoto fa tremare le gerarchie del calcio.

La premessa stavolta è che tutte le federazioni nazionali aderiscono alla Fédération internationale de football association («FIFA»), associazione di diritto svizzero che organizza il gioco del calcio a livello mondiale. La FIFA è poi suddivisa in confederazioni continentali, i cui regolamenti sono soggetti alla sua approvazione. La confederazione competente per l'Europa è l'UEFA, anch'essa associazione di diritto svizzero.

La FIFA è un organismo di diritto privato il cui statuto stabilisce, tra gli altri, i seguenti obiettivi: «organizzare le proprie competizioni internazionali» e «controllare ogni tipo di pratica calcistica prendendo misure adeguate per prevenire violazioni allo Statuto, ai regolamenti o alle decisioni adottate dalla FIFA o alle Regole di gioco». Le federazioni nazionali e le confederazioni regionali calcistiche, inclusa la UEFA nella regione europea, sono affiliate alla FIFA, mentre i club professionistici sono membri indiretti della FIFA.

L’articolo 20 dello statuto della FIFA prevede espressamente che «le leghe o qualsiasi altro gruppo di club affiliati ad un’affiliata della FIFA dovranno essere subordinate a tale affiliata e da quest’ultima riconosciuti». L’articolo 73 dello statuto della FIFA vieta alle federazioni, leghe e club affiliati alle federazioni membri di aderire a un’altra federazione membro o di partecipare a competizioni nel territorio di tale federazione, salvo in circostanze eccezionali e previa autorizzazione della FIFA e delle confederazioni o della confederazione regionale competenti.

La FIFA e le confederazioni regionali, come l’UEFA, hanno dunque il monopolio di fatto dell’autorizzazione e organizzazione delle competizioni internazionali di calcio professionistico, oltre che un potere sanzionatorio o disciplinare nei confronti dei club e giocatori che partecipano alle competizioni calcistiche.

A fronte di tale stato dell’arte, è stata recentemente fondata la European Superleague Company, S.L., che è una società a responsabilità limitata i cui soci sono i seguenti club fondatori: Real Madrid club de fútbol, Associazione Calcio Milan, Fútbol Club Barcelona, Club Atlético de Madrid, Manchester United Football Club, Football Club Internazionale Milano S.p.A., Juventus Football club, The Liverpool Football Club and Athletic Grounds Limited, Tottenham Hostpur Football Club, Arsenal Football Club, Manchester City Football Club e Chelsea FC Plc.

L’ESLC è l’unica proprietaria della Superlega, che mira a diventare la prima competizione europea al di fuori della UEFA a svolgersi con cadenza annuale e con la partecipazione di calciatori e club di altissimo livello sportivo, compresi i club membri permanenti della Superlega e altri club che avranno ottenuto la “classificazione” per disputare tale competizione. Quest’ultima non impedirebbe ai club partecipanti di prendere parte alle rispettive competizioni e campionati nazionali.

A partire dal lancio della cosiddetta Superlega (a inizio 2021), però, per tutta reazione, la UEFA ha minacciato a più riprese di punire i club che avevano deciso di aderire al progetto e i loro giocatori, con una sospensione dalle competizioni UEFA e FIFA, oltre alla potenziale impossibilità, per i calciatori, di essere convocati in rappresentanza delle Nazionali.

E’ nato inoltre un crescente dibattito sulla specificità del modello sportivo europeo, che sarebbe stato tale da giustificare la posizione sanzionatoria assunta dall’UEFA e il rifiuto del modello proposto dalla Superlega.

Nel novembre del 2021, inoltre, il Parlamento, la Commissione ed il Consiglio Europeo hanno adottato distinte risoluzioni sulla politica sportiva dell’Unione, affermando la volontà politica e la necessità di allineare la cultura sportiva europea ai valori unionali di solidarietà, sostenibilità ed inclusività, manifestando una univoca preferenza per le competizioni aperte, fondate sul merito sportivo e sull’equità.

Si era insomma coalizzata, ad alto livello istituzionale, una ferma opposizione alle “competizioni separatiste e chiuse”.

Conseguentemente, la società ESL (European Super League) ha chiesto al Tribunale commerciale di Madrid protezione legale (un’ingiunzione) per impedire a UEFA e FIFA di utilizzare i propri ampi poteri sanzionatori al fine di fermare l’iniziativa. Nello stesso procedimento, l’ESL ha chiesto al Tribunale Commerciale di Madrid anche di presentare un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Ue in merito alla compatibilità degli statuti UEFA e FIFA con il TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea).

L’obiettivo era di accertare che l’Unione Europea delle Federazioni Calcistiche (UEFA) e la Fédération internationale de football association (FIFA), opponendosi all’organizzazione della Superlega europea, condurrebbero pratiche concordate e abuserebbero della loro posizione dominante nel mercato relativo all’organizzazione di competizioni internazionali di club calcistici in Europa e nel mercato della commercializzazione dei diritti connessi a tali competizioni.

E’ stata così incardinata presso la Corte di Giustizia dell’Unione europea la causa C-333/21, e nel dicembre del 2022, l’Avvocato generale, nelle sue conclusioni, ha evidenziato di non ravvisare un contrasto tra le norme europee in materia di concorrenza e le disposizioni UEFA e FIFA che prevedono che la creazione di una nuova competizione calcistica paneuropea tra club sia subordinata a un sistema di autorizzazione preventiva, in quanto, tenuto conto delle caratteristiche della competizione prevista, e degli effetti restrittivi derivanti da tale competizione, tale sistema appare inerente e proporzionato al conseguimento dei legittimi obiettivi perseguiti da UEFA e FIFA, che sono legati alla specificità dello sport.

In particolare, secondo l’Avvocato generale, il mancato riconoscimento da parte della FIFA e dell'UEFA di una competizione sostanzialmente chiusa come l'ESL avrebbe cercato di preservare il principio di partecipazione basato sui risultati sportivi, sulle pari opportunità e sulla solidarietà su cui si fonda la struttura piramidale del calcio europeo.

Tuttavia, posto che non sarebbero vietate, ai sensi del diritto dell’Unione, le minacce di sanzioni contro i club affiliati alle federazioni calcistiche esistenti, quando questi ultimi partecipano a un progetto per creare un nuovo calcio paneuropeo - introducendo una concorrenza tra società che rischierebbe di pregiudicare gli obiettivi legittimamente perseguiti dalle suddette federazioni di cui fanno parte -, le sanzioni di esclusione nei confronti dei giocatori, pur non avendo costoro alcun coinvolgimento nel progetto in questione, sarebbero state sproporzionate, specie con riferimento alla paventata esclusione dalle rispettive selezioni nazionali.

Sembrava un gol probabilmente decisivo nella disputa giuridica Fifa/Uefa - Superlega. Secondo l’Avvocato generale, la Eslc avrebbe potuto liberamente istituire il torneo, ma con ciò, contestualmente, non avrebbe più permesso ai club professionistici che ne sono soci di continuare a partecipare a Champions League, Uefa Europa League e Conference League, così come alle altre manifestazioni calcistiche, in mancanza di una preventiva autorizzazione da parte di Fifa e Uefa. Tradotto, al di là degli aspetti tecnici, ci saremmo trovati al cospetto di un mero "vincolo di esclusiva" del circus calcistico attualmente vigente. O fuori o dentro. 

Il massimo organismo calcistico continentale aveva commentato il parere "raccomandando" in tempi brevi una "sentenza della Corte di Giustizia a sostegno della sua missione centrale di governare il calcio europeo, proteggere la piramide e sviluppare il gioco del calcio in tutta Europa, garantendo il mantenimento dell’attuale struttura di governance dinamica e democratica del Palazzo calcistico europeo". Il calcio made in UE rimaneva insomma unito e fermamente contrario alla Superlega, o a qualsiasi proposta separatista, che avrebbe in tesi minacciato l’intero “ecosistema pallonaro” del Vecchio Continente.

Analogamente, anche la Fifa aveva accolto con favore l'opinione espressa dall'Avvocato generale, sostenendo che la stessa avrebbe confermato la posizione e la legittimità della Fifa e della Uefa nell'approvare qualsiasi nuova competizione calcistica. La Fifa si era detta inoltre felice del riconoscimento in suo favore dei diritti esclusivi per il mercato delle competizioni internazionali organizzate sotto la sua guida.

In realtà, il parere dell’Avvocato generale precisava come Uefa e Fifa costituiscano a tutti gli effetti un regime monopolistico, il quale, però, non viola gli articoli 101 e 102 del TFUE in tema di concorrenza in ambito UE, trattandosi di un "monopolio propositivo", in quanto mirato a garantire e migliorare lo sviluppo della disciplina calcistica, anche dal punto di vista economico e di marketing commerciale. 

D’altronde, pesava sulla Superlega l’etichetta giuridica di "competizione chiusa", nonostante la società "A22 Sport Managment", che gestisce il "contenitore Superlega", avesse provato a far passare il messaggio opposto, ovvero quello del torneo aperto, a cui si accede (anche se residualmente) per meriti di campo. 

Il parere dell’Avvocato generale non è stato però – a sorpresa - integralmente recepito nel provvedimento decisorio e definitivo dei giudici della Corte di Giustizia. Anzi.

Il massimo organo giudiziario UE ha infatti portato fino alle estreme conseguenze il ragionamento svolto nelle conclusioni della parte “pubblica” del processo, dando rilievo ad una esigenza ineludibile di conciliazione tra il monopolio di fatto di FIFA e UEFA e un principio del professionismo agonistico molto rilevante, ovvero quello secondo cui i club e i giocatori devono poter conoscere in anticipo e con assoluta certezza quali siano le condizioni imposte per partecipare a determinate competizioni, a cui consegue la necessità che le sanzioni adottate da chi detiene il monopolio devono essere sufficientemente chiare e proporzionate, per evitare qualsiasi rischio di decisioni arbitrarie e implicitamente vessatorie per gli atleti coinvolti. 

Sintetizzando al massimo la decisione della Corte di Giustizia, di estremo interesse sono sicuramente i chiarimenti forniti in ordine all’applicabilità del diritto comunitario allo sport e all'attività delle associazioni sportive, esclusa in radice la possibilità che l’articolo 165 TFUE (secondo cui, tra l'altro... L'Unione contribuisce alla promozione dei profili europei dello sport, tenendo conto delle sue specificità, delle sue strutture fondate sul volontariato e della sua funzione sociale ed educativa...), che precisa gli obiettivi assegnati all’azione dell’Unione nel settore dello sport e i mezzi che possono essere utilizzati per contribuire al raggiungimento di tali obiettivi, possa essere considerato una norma speciale che esenta lo sport dalle disposizioni di diritto primario dell’Unione che possono essergli applicate, o una norma richiedente un trattamento speciale per lo sport nell’ambito di tale applicazione.

D’altra parte, quanto al profilo dell’applicabilità del diritto comunitario allo sport, posto che le questioni sottoposte alla Corte vertevano sull'interpretazione degli articoli 45, 49, 56, 63, 101 e 102 TFUE nell'ambito di una controversia riguardante norme adottate da due enti aventi, secondo i rispettivi statuti, la qualità di associazioni di diritto privato preposte all'organizzazione e al controllo del calcio a livello mondiale ed europeo, nonché relative alla previa approvazione delle competizioni calcistiche internazionali interclub e allo sfruttamento dei diversi diritti relativi a tali competizioni, la Corte ha innanzitutto ricordato che la pratica dello sport, in quanto costituente un'attività economica, è soggetta alle disposizioni del diritto dell'Unione applicabili a tale attività.

Invero, si tratta di un principio che la Corte di Giustizia aveva già stabilito in passato e da cui deriva che l’ordinamento UE e le regole che governano il funzionamento del mercato interno abbracciano anche il fenomeno sportivo, ogni qual volta che il medesimo finisce per essere connotato come fenomeno economico. Conseguentemente, occorre verificare caso per caso se la limitazione dell’attività imprenditoriale (come avviene ad esempio in caso di applicazione delle norme antidoping) sia da considerarsi ragionevole e giustificabile anche alla luce degli artt. 101 e 102 sopra citati, e se prevalga pertanto, in quel caso, la funzione sociale ed educativa dello sport e la tutela dell’integrità delle competizioni e della salute degli sportivi.

In realtà, dice la Corte, solo alcune norme specifiche, adottate esclusivamente per ragioni non economiche e che riguardano questioni di interesse esclusivo dello sport in quanto tale, devono essere considerate estranee a qualsiasi attività economica.

Normalmente, invece, le norme adottate dalle associazioni sportive per disciplinare il lavoro retribuito o la prestazione di servizi da parte di giocatori o che comunque hanno impatto indiretto su tale lavoro e prestazione, possono rientrare nell'ambito di applicazione degli articoli 45 e 56 TFUE, dell’articolo 49 TFUE e dell’articolo 63 TFUE, con ricadute del comportamento delle associazioni medesime anche nell'ambito di applicazione delle disposizioni del Trattato FUE in materia di diritto della concorrenza e necessità, quando vanno a “colpire” i singoli, di rispettare i principi generali del diritto dell’Unione, con particolare riferimento ai principi di non discriminazione e di proporzionalità.

Ne consegue che sono soggette al diritto eurounitario sia le norme relative all'esercizio dei poteri di autorizzazione preventiva delle competizioni sportive da parte di un'associazione sportiva, la cui organizzazione e commercializzazione costituiscono un'attività economica per le imprese che vi partecipano o intendono parteciparvi, sia le norme adottate dalla FIFA e dall’UEFA per istituire un quadro per la partecipazione dei club e dei giocatori di calcio professionistici alle competizioni calcistiche internazionali interclub

Parimenti, hanno natura economica, e ancora una volta rientrano nel campo di applicazione della disciplina UE, le norme adottate dalla FIFA per disciplinare lo sfruttamento dei diversi diritti relativi alle competizioni calcistiche internazionali, posto che tali norme condizionano le scelte imprenditoriali in tale materia.

Nel merito, la Corte ha dovuto accertare se le regole FIFA e UEFA esaminate costituiscano un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori, e, nel caso positivo, se tale ostacolo è giustificato, necessario e proporzionato rispetto a determinati obiettivi che possono essere considerati legittimi, e che dipendono a loro volta dalle caratteristiche specifiche dello sport interessato.

La risposta è stata in sé inequivocabile, anche se probabilmente non definitiva, residuando uno spazio di valutazione importante al Giudice del rinvio.

In pratica, è stato detto che costituisce abuso di posizione dominante e ostacolo alla libera concorrenza il fatto che le associazioni di calcio di vertice europeo e mondiale – monopoliste di fatto nel settore - abbiano adottato e applicato regole che subordinano alla loro autorizzazione preventiva la creazione di una nuova competizione di calcio tra club da parte di un’impresa terza, e la possibilità che le stesse infliggano sanzioni a squadre e giocatori che vogliono partecipare a tale nuova competizione, senza che l’esercizio di questi poteri unilaterali sia assoggettato a criteri sostanziali e a modalità procedimentali dal carattere trasparente, oggettivo, non discriminatorio e proporzionato.

Quanto poi alla possibilità che FIFA e UEFA possano giustificare l'applicabilità e la compatibilità con il mercato di riferimento delle proprie regole di rigida appartenenza al sistema (o dentro o fuori), spetterà al Tribunale nazionale – in questo caso quello madrileno – accertare, tra l'altro, se l’obbligo di autorizzazione preventiva e la disciplina in materia di sanzioni creino un vantaggio competitivo alle differenti categorie di utilizzatori del sistema stesso.

Si tratta di un mondo variegato, che va dalle federazioni nazionali, alle squadre professionistiche e amatoriali e ai loro giocatori, fino ai ragazzi in erba (i c.d. vivai) e più in generale agli spettatori e telespettatori.

Non basta però che tali regole possano apparire legittime nei loro principi e obiettivi, nel momento in cui contribuiscono a garantire il rispetto dei valori sottesi al calcio professionistico, quali il carattere aperto e meritocratico delle relative competizioni e la redistribuzione solidale degli introiti.

Occorrerà altresì verificare se il perseguimento di tali obiettivi si traduce in concreto anche in vantaggi competitivi reali e quantificabili, che siano altresì in grado di compensare le storture della concorrenza oggettivamente create dal sistema oggi esistente.

In altri termini, spetterà al Giudice interno maneggiare e risolvere una materia così incandescente e complessa, e decidere sulle sorti della Superlega, con la consapevolezza, però, che i fragili steccati con cui era stato delimitato il campo dei “padroni” del calcio sono adesso finalmente in una terra libera dove i coloni (giocatori) e le loro fazioni di appartenenza (club) possono fare rivendicazioni senza essere zittiti prima ancora di proporre teorie fino ad oggi considerate eretiche.

E noi spettatori del calcio? Sarebbe in ultima analisi lecito chiedersi se chi alimenta davvero lo sport professionistico pagando per assistere alle partite (che ciò avvenga dallo stadio o dalla televisione) abbia un reale interesse a una tale disputa, voglia lasciare tutto com’è o sia guidato al contrario da una bulimia “partecipativa”, dove più calcio c’è e meglio è.

Certamente, non fanno mai bene allo sport le affermazioni manichee che tendono a soffocare ogni cambiamento, specie quando mascherano esclusivamente l'intento di non indebolire posizioni di potere consolidate.


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