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Tassa sui rifiuti: motivazione e impugnabilità

Alma Chiettini • 4 febbraio 2024

Cass. Civile, sez. V, 19 gennaio 2024, n. 2029


Con la pronuncia segnalata la Corte di cassazione ha avuto modo di ricordare alcune regole e di riaffermare principi in materia di contenzioso avverso gli atti che hanno per oggetto la tassa sui rifiuti - TARI, introdotta per finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento con la l. n. 147 del 2013, commi da 639 a 736.

In primo luogo, la TARI parametra il pagamento all’entità della superficie calpestabile e all’occupazione immobiliare, a prescindere dall’effettività della produzione di una quantità individuale certa di rifiuti. L’importo riscosso dall’ente pubblico deve assicurare la copertura dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio, e tra le componenti di costo devono essere considerati anche gli eventuali mancati ricavi relativi a crediti risultati inesigibili (commi 654 e 654 bis).

Nondimeno, tale tassa è sì finalizzata a reperite la provvista necessaria all’esercizio di una funzione di interesse pubblico ma è priva di un rapporto di corrispondenza economica tra la prestazione dell’amministrazione e il vantaggio ricevuto dal privato. Non sussiste quindi un rapporto sinallagmatico tra la prestazione da cui scaturisce l’onere e il beneficio che il singolo riceve. Ne consegue che la TARI ha natura tributaria. Solamente ai comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico è consentito prevedere, in luogo della TAR, l’applicazione di una tariffa avente natura corrispettiva (comma 668).

La TARI è dunque una “tassa di scopo” che mira a fronteggiare una spesa di carattere generale ripartendone l’onere sulle categorie sociali che da questa traggono vantaggio (Cass. civ., Sez. Unite, 23.11.2018, n. 30426; id., Sez. Unite, 18.6.2019, n. 16341). Deriva da tale impostazione che gli atti con cui il gestore (società/enti) dei servizi di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani chiede al contribuente quanto dovuto a titolo di tassa di igiene ambientale, atti che possono anche presentarsi con la forma di una fattura commerciale, non attengono al corrispettivo di una prestazione liberamente richiesta ma a una entrata pubblicistica. Ne consegue che, avendo natura di atti impositivi, al relativo procedimento di quantificazione e riscossione si applicano i principi generali del procedimento tributario di accertamento e di riscossione (Cass. civ., sez. V, 8.4.2022, n. 11481).

Quanto alla motivazione degli atti/fatture TARI, in applicazione dell’art. 7, comma 1, della l. n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente) essi non possono presentarsi generici perché devono consentire al contribuente di comprendere come sia stato determinato l’importo chiesto in pagamento. Non è però “necessaria una motivazione specifica, perché tali atti/fatture non sono assimilabili a un atto provvedimentale (ossia a un avviso di accertamento, o a un avviso di liquidazione), ma è evidente che, comportando una pretesa tributaria, devono consentire la sua comprensibilità e con essa la possibilità di valutare la legittimità della pretesa”: per cui l’ente impositore deve specificare nell’atto impositivo tutti gli elementi posti a base della pretesa fiscale, al fine di garantire il rispetto del diritto di difesa del contribuente.

Tali atti/fatture devono essere impugnati innanzi al Giudice tributario nonostante non siano espressamente ricompresi nell’elenco degli atti opponibili di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992. Sul punto è stato confermato che l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti quando con gli stessi l’amministrazione finanziaria porta a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche. L’art. 19 è pertanto da interpretarsi estensivamente, in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), e in considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la l. n. 448 del 2001. È quindi riconosciuta a ogni contribuente la facoltà di ricorrere al Giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, esplicitando concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, portano a conoscenza del contribuente una precisa pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è preordinata, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dal già citato art. 19. 



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