IL CASO
I genitori di una minore affetta da disturbo dello spettro autistico hanno chiesto l’accertamento del suo diritto a ricevere dalle Aziende sanitarie convenute il trattamento riabilitativo con metodo ABA per un congruo numero di ore settimanali.
Tale trattamento (analisi comportamentale applicata - Applied Behaviour Analysis) è da ritenersi conforme alla previsione di cui all’art. 1, comma 7, del d. lgs. n. 502/1992, in quanto si tratta di prestazione sanitaria per la quale sussistono evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute.
Le Linee guida sul trattamento dei disturbi dello spettro autistico, che l’Istituto superiore di sanità ha provveduto ad aggiornare nell’ottobre 2015, si diffondono, in relazione all’efficacia dei programmi intensivi comportamentali, nell’analizzare le prove scientifiche raggiunte, secondo diverse metodologie di revisioni, e depongono per l’efficacia dell’utilizzo del metodo ABA nel trattamento dei bambini con disturbi dello spettro autistico.
D’altra parte, l’art. 60 del D.P.C.M. del 12 gennaio 2017, che disciplina l’assistenza sociosanitaria ai minori con disturbi in ambito neuropsichiatrico e del neurosviluppo, garantisce “alle persone con disturbi dello spettro autistico, le prestazioni della diagnosi precoce, della cura e del trattamento individualizzato, mediante l’impiego di metodi e strumenti basati sulle più avanzate evidenze scientifiche”.
In fatto, i ricorrenti, dopo avere ripercorso l’iter di diagnosi della disabilità e il succedersi delle terapie connesse a tale diagnosi, hanno esposto di avere interrotto volontariamente la terapia prescritta dall’ente sanitario pubblico competente per effettuare privatamente terapia comportamentale con metodo A.B.A. in contesto domiciliare, con la frequenza di tre sessioni a settimana di due ore ciascuna.
Invero, nell’ambito degli interventi previsti dal sistema sanitario di Regione Lombardia, la famiglia usufruisce della misura B1, in virtù della quale la bambina effettua un intervento volto a potenziare le autonomie in contesto domiciliare, per un totale di 6 ore a settimana, ma non detta terapia con il citato metodo applicativo comportamentale, ragion per cui i ricorrenti hanno chiesto alle Aziende sanitaria competenti o di volere provvedere ad erogare direttamente la terapia A.B.A., o di volere rimborsare le spese sostenute per detta terapia.
A fronte di tale richiesta, peraltro, le amministrazioni “compulsate” hanno chiesto la produzione delle dovute prescrizioni pubbliche in ordine alla necessità di effettuazione di tale terapia, con richiesta rimasta inevasa e conseguente giudizio per l’accertamento del diritto reclamato dai ricorrenti.
LA DECISIONE
Il TAR Milano ha individuato, quale Giudice fornito di giurisdizione, il Giudice ordinario.
La premessa del ragionamento muove dalla corretta delimitazione della causa petendi, o petitum sostanziale che dir si voglia.
Il diritto di cui è stato chiesto l'accertamento è il diritto della minore disabile all’erogazione di una terapia sanitaria pubblica che possa contrastare efficacemente la disabilità di cui costei è portatrice.
Si tratta di una posizione soggettiva che deriva "direttamente dal disposto di cui all’art. 32 della Costituzione", e che costituisce "parte integrante del catalogo dei diritti inviolabili che spettano a ciascuno, con l’unica differenza che per affermare tale diritto, nel caso delle persone disabili, occorre tradurlo in una specifica situazione, qual è appunto la disabilità, comunque sempre possibile nella condizione umana" (così il Giudice adito).
Si tratta inoltre di un diritto espressamente previsto e tutelato a livello sovranazionale, in quanto la Carta dei diritti fondamentali dei cittadini dell’Unione europea, all’art. 21, esprime il principio di non discriminazione in ragione degli handicap, e all’art. 26 impegna l’Unione a riconoscere e rispettare “il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità”.
Dalla premessa argomentativa deriva dunque, in rapporto alla pregnanza del diritto da tutelare, che la relativa protezione si traduce nell’apprestamento di servizi essenziali che lo Stato deve garantire senza soluzione di continuità, nell'ambito delle risorse disponibili.
E in effetti, nell’ambito dei LEA previsti a livello ordinamentale, così come specificati dalle linee guida in materia di autismo individuate dell’ISS, risulta evidente che soltanto un determinato tipo di terapia e un numero di ore mensile congruo effettuato con tale terapia possono soddisfare il diritto azionato.
Il TAR Milano ha ripercorso a questo punto le posizioni assunte nel corso del tempo dalla Corte di Cassazione in punto di giurisdizione.
Se fino al 2022 sembrava pacifica la giurisdizione del Giudice ordinario in tema di erogazione di prestazioni sanitarie ascrivibili ai LEA, in considerazione della natura meramente scientifica dei criteri che presiedono alla valutazione finale, e in relazione alla possibilità che la prestazione sanitaria individuata dalla legge come incomprimibile fosse tale da offrire anche soltanto l'opportunità di migliorare le condizioni di integrità psico-fisica della persona bisognosa di cura, con recente ordinanza la Cassazione a Sezioni unite ha individuato nella richiesta di ampliamento (o adozione) di un programma sanitario, a mezzo di una specifica prestazione – e nel successivo giudizio di accertamento del diritto rivendicato –, una controversia appartenente alla giurisdizione del Giudice amministrativo, in quanto verrebbe implicata l’attività discrezionale, sia amministrativa che tecnica, della Azienda sanitaria “compulsata” [1].
In altri termini, l’azione de qua rientrerebbe nel perimetro della giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo, ex art. 133, comma 1 lett. c) c.p.a. (“controversie in materia di pubblici servizi”), e la decisione su tale azione spetterebbe al G.A., anche nel caso in cui la causa petendi sia costituita da un diritto soggettivo.
Tuttavia, come osserva puntualmente il Giudice adito, la materia dei servizi pubblici non può di per sé “assorbire” tutte le posizioni soggettive che vengono a contatto con i servizi pubblici, ma deve ricomprendere, secondo quanto stabilito dalla Corte costituzionale n. 204 del 2004, soltanto le materie che partecipano della medesima natura di quelle che radicano la giurisdizione ordinariamente affidata al G.A., che è contrassegnata della circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità.
Non sono cioè sufficienti perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo, secondo la giurisprudenza costituzionale, coerentemente richiamata sul punto dal tribunale adito, “né il mero fatto che nel contenzioso sia coinvolta la pubblica amministrazione, né il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia”.
Nel caso di specie, peraltro, non si è in presenza di una controversia in materia di predisposizione e attuazione del progetto personalizzato assistenziale individuale a favore del disabile, di cui all’art. 14 della L. 8 novembre 2000, n. 328, fattispecie su cui si era formato l’orientamento ripreso dalla Corte di Cassazione nel 2022, ma in presenza di una “prestazione sanitaria essenziale che deve essere assicurata inderogabilmente al disabile e che sconta soltanto la necessità del previo accertamento, sotto il profilo esclusivamente scientifico-medico, di quale sia la terapia più adatta per colmare il più possibile il gap che preclude al soggetto affetto da autismo il raggiungimento di accettabili condizioni attitudinali nel quotidiano” (così il Giudice adito).
Invero, nell’ipotesi del progetto personalizzato assistenziale individuale a favore del disabile vi è la predisposizione di un progetto individuale che mira all’integrazione sociale, lavorativa e familiare del disabile, ma nei limiti delle risorse disponibili, di modo che nella predisposizione di tale progetto sussiste un potere discrezionale, in capo agli enti pubblici competenti, “che involge la necessità di contemperare, sotto un profilo amministrativo e tecnico, le varie esigenze del disabile, l’obiettivo della piena integrazione e la limitatezza delle risorse disponibili a tali fini”, di modo che, in questo caso, può reggere il parallelo con quanto costantemente statuito in tema di sostegno all’alunno di scuola in situazione di handicap.
Con la conseguenza che appare corretto, limitatamente a questa specifica fattispecie, l’assunto secondo cui, ove la controversia verta sulla redazione del progetto individuale o il suo aggiornamento o ne vengano contestati gli esiti (così come avviene in materia di PEI), la giurisdizione è del giudice amministrativo, mentre, ove si lamenti la mancata (o incompleta) attuazione o esecuzione del documento programmatorio, la giurisdizione appartiene al giudice ordinario, posto che solo in quel caso la controversia attiene all’esecuzione del provvedimento redatto dall’amministrazione comunale, d’intesa con l’azienda sanitaria locale, con diritto già pienamente conformato, nella sua articolazione concreta, rispetto alle specifiche necessità della persona.
Non sussiste, invece, in caso di contesa sull’erogazione di prestazione sanitaria essenziale - come precisato dal Giudice adito nella controversia esaminata -, il doppio presupposto necessario della materia dei pubblici servizi e della conservazione da parte dell'amministrazione di un potere discrezionale nell'individuazione della prestazione sanitaria da erogare.
Si tratta al contrario della pretesa all'inserimento del paziente in un percorso sanitario che gli offra la cura seguendo le più opportune terapie, secondo parametri di tipo puramente tecnico-scientifico.
Tale pretesa trae la sua fonte normativa primaria dall'art. 3 della L. n. 134 del 2015 e dall'art. 60 del d.P..c.m. 12 gennaio 2017, il cui combinato disposto assicura alle persone con disturbi della spettro autistico diagnosi, cura e trattamenti individualizzati mediante l'impiego di metodi e strumenti basato sulle più avanzate evidenze scientifiche.
Il Giudice di primo grado conclude la sua disamina con due interessanti osservazioni, una di natura processuale e l'altra di natura sostanziale.
Sotto il primo profilo, l’utilizzo della forma processuale dell’ordinanza e non della sentenza da parte della Corte di cassazione, depone per “l’assenza di volontà di modificare l’orientamento fin qui seguito”.
Sotto un secondo profilo, secondo il Giudice adito, l’esito della controversia dinanzi al TAR presuppone che, qualora condannata dal Giudice ordinario, l’amministrazione sanitaria si dovrebbe limitare ad individuare da un punto di vista medico scientifico quale sia il trattamento terapeutico più adeguato alla patologia da curare, “in condizioni di parità con la parte che richiede il trattamento”, e senza che la posizione dell’amministrazione goda di alcuna preminenza, posto che la legge “non le attribuisce una sfera di competenza riservata su questa materia”.
[1] Corte di Cassazione a sezioni unite (ord. n. 1781 del 2022)