Ai sensi dell’art. 337 septies c.c. [1], il giudice può disporre, in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, il pagamento di un assegno periodico.
Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all'avente diritto.
La richiesta del mantenimento per il figlio maggiorenne deve essere oggetto di espressa richiesta e può essere formulata, sia dal genitore convivente con il figlio non economicamente indipendente [2], sia dal figlio non economicamente indipendente che non convive con nessuno dei due genitori [3].
L’art. 337 septies c.c. deve essere letto tenendo conto, sistematicamente, di altre importanti norme che disciplinano la materia in esame.
Ai sensi dell’art. 147 c.c. (come modificato dal d. lgs. n. 154 del 2013), il matrimonio impone ad entrambi i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall'art. 315-bis c.c.
Il figlio, quindi, ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni e delle sue aspirazioni.
La norma si giustifica in quanto l’obbligo dei genitori di mantenere la prole, cui corrisponde il relativo diritto del figlio, tutelato anche dalla Costituzione [4], non cessa con il raggiungimento della maggiore età, ma permane finché i figli non abbiano raggiunto una propria indipendenza economica.
Il potere-dovere del giudice di riconoscere al figlio maggiorenne un assegno di mantenimento, d’altronde, ha natura evidentemente discrezionale, nel senso che è rimessa al prudente apprezzamento dello stesso la valutazione dei presupposti in presenza dei quali “può” essere riconosciuto tale diritto [5], valutazione che deve essere fatta “caso per caso” [6].
La disposizione normativa che precede, per come interpretata dalla giurisprudenza, può dirsi, come vedremo, innervata dal principio della “funzione educativa del mantenimento” e dal principio di c.d. “autoresponsabilità” del figlio maggiorenne [7].
Il presupposto per la corresponsione dell’assegno, infatti, è costituito dalla mancanza di indipendenza economica del figlio maggiorenne, per non essere, quest’ultimo, in grado di garantirsi autonomamente il sostentamento e la soddisfazione dei principali bisogni della vita confacenti la sua condizione sociale.
La Corte di Cassazione ha sottolineato che l’obbligo a carico del genitore non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, essendo, invece, destinato a protrarsi qualora il figlio, divenuto maggiorenne, continui a dipendere dai genitori senza sua colpa [8].
L’obbligo di mantenimento in capo al genitore va escluso sia nel caso in cui il figlio abbia raggiunto l’indipendenza economica, sia nel caso in cui lo stesso sia stato colposamente inerte nella ricerca di un’occupazione, abbia rifiutato ingiustificatamente di accettare un’attività lavorativa confacente alle capacità acquisite o, ancora, nelle ipotesi in cui, pur essendo stato posto “nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente”, non ne abbia tuttavia tratto “utile profitto per sua colpa o per sua scelta”.
Sotto il profilo probatorio, la corresponsione dell’assegno di mantenimento è subordinata alla dimostrazione – il cui onere incombe sul richiedente l’assegno - sia della mancanza di indipendenza economica, sia dell’impegno profuso nella ricerca di una sufficiente qualificazione professionale o di una collocazione lavorativa [9].
Specularmente, la cessazione dell’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne è subordinata ad un previo accertamento di fatto relativo all’età, all’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica nonché alla complessiva condotta personale tenuta da parte del figlio stesso [10].
Il raggiungimento dell’indipendenza economica non coincide, necessariamente, con l’instaurazione effettiva di un rapporto di lavoro giuridicamente stabile, ma con il verificarsi di una situazione tale da far ragionevolmente dedurne l’acquisto, anche se, per licenziamento, dimissioni o altra causa, tale rapporto venga poi meno [11].
Peraltro, la giurisprudenza di legittimità ha precisato come, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, l’impegno richiesto al figlio per raggiungere l’indipendenza economica, oltre che fattivo, debba essere anche adeguato alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell'attesa di un’opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni" [12].
La valutazione, comunque, non può non ispirarsi, in considerazione delle contingenze del caso concreto, a criteri di relatività, dovendo il giudice tener conto delle occupazioni e del percorso scolastico, universitario e post-universitario del soggetto ed alla situazione attuale del mercato del lavoro, con specifico riguardo al settore nel quale il medesimo abbia indirizzato la propria formazione e la propria specializzazione, investendo impegno personale ed economie familiari [13].
La valutazione, medesima, comunque, deve essere condotta con rigore proporzionalmente crescente, in rapporto all'età dei beneficiari, in modo da escludere che tale obbligo assistenziale, sul piano giuridico, possa essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura [14] e che, oltre tali "ragionevoli limiti", l'assistenza economica protratta ad infinitum finisca col risolversi in forme di vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani [15].
Questo, in quanto la funzione educativa del mantenimento è nozione idonea a circoscrivere la portata dell'obbligo di mantenimento, sia in termini di contenuto, sia di durata, avendo riguardo al tempo occorrente e mediamente necessario per il suo inserimento nella società [16], e comunque, il progetto educativo ed il percorso di formazione prescelto dal figlio, se deve essere rispettoso delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni, deve tuttavia essere "compatibile con le condizioni economiche dei genitori" [17].
Inoltre, il riconoscimento d'un diritto al mantenimento protratto oltre i limiti sopra esposti in favore dei figli conviventi e sedicenti non autonomi finirebbe per determinare una "disparità di trattamento ingiustificata ed ingiustificabile" nei confronti dei figli coetanei che, essendosi in precedenza resi autosufficienti, abbiano in seguito perduto tale condizione: solo i primi, infatti, si gioverebbero della normativa sul mantenimento, più favorevole, mentre per gli altri varrebbe solo il diritto agi alimenti [18].
Esclude, poi, l’esistenza di un obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne il matrimonio o, comunque, la formazione di un autonomo nucleo familiare da parte di quest’ultimo, in quanto il matrimonio, come la convivenza, sono espressione di una raggiunta maturità affettiva e personale, implicando di regola che nessun obbligo di mantenimento possa sopravvivere [19].
Nessun rilievo ha la situazione economico-patrimoniale del genitore, posto che, al contrario, il diritto e l'obbligo de quibus si fondano sulla situazione del figlio, non sulle capacità reddituali dell'obbligato [20].
Alla luce di quanto sopra esposto, quindi, le situazioni rilevanti e tipicamente ricorrenti tali da escludere la sussistenza o la permanenza di un obbligo di mantenimento da parte dei genitori sono state individuate, ad es., nel caso in cui i figli si siano già avviati ad un'effettiva attività lavorativa tale da consentir loro una concreta prospettiva d'indipendenza economica; quando siano stati messi in condizioni di reperire un lavoro idoneo a procurar loro di che sopperire alle normali esigenze di vita; od ancora quando abbiano ricevuto la possibilità di conseguire un titolo sufficiente ad esercitare un'attività lucrativa, pur se non abbiano inteso approfittarne; o, comunque, quando abbiano raggiunto un'età tale da far presumere il raggiungimento della capacità di provvedere a se stessi; infine, vi sono le ipotesi, che inducono alle medesime conclusioni, nelle quali il figlio si sia inserito in un diverso nucleo familiare o di vita comune, in tal modo interrompendo il legame e la dipendenza morali e materiali con la famiglia d'origine [21].
Peraltro, è indubbio che il principio di autoresponsabilità abbia, in considerazione anche dei mutamenti socio-economici e della relativamente diversa sensibilità etica della società, subito un’evoluzione, perché se un tempo vi era il riferimento ad una raggiunta "capacità del figlio di provvedere a sé con appropriata collocazione in seno al corpo sociale" [22] ed alla "percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita" [23], in seguito le mutate condizioni del mercato del lavoro e la non infrequente sopravvenuta mancanza di autonomia "di ritorno" - a volte in capo allo stesso genitore, come nel caso di specie - hanno ormai indotto a ritenere che l'avanzare dell'età abbia notevole rilievo, giacché si discorre, come sopra ricordato, di una "funzione educativa del mantenimento" e del "tempo occorrente e mediamente necessario per il suo inserimento nella società" [24].
In tal senso, l’adeguatezza dell’occupazione al percorso di studi o il conseguimento di competenze professionali o tecniche prescelte deve essere bilanciata con la problematica della crisi occupazionale giovanile, così come con la contrazione anche del livello reddituale disponibile sul mercato del lavoro.
Nella condizione attuale, l'attesa o il rifiuto di occupazioni non perfettamente corrispondenti alle aspettative possono costituire, se non giustificati, indici di comportamenti inerziali non incolpevoli" [25].
In sostanza, è esigibile l'utile attivazione del figlio nella ricerca comunque di un lavoro, al fine di assicurarsi il sostentamento autonomo, in attesa dell'auspicato reperimento di un impiego più aderente alle proprie soggettive aspirazioni [26].
Una volta divenuto maggiorenne il figlio, quindi, risultano venuti meno i poteri-doveri educativi, disciplinari e rappresentativi dei genitori, e correlativamente viene meno anche il relativo generale obbligo di mantenimento ai sensi del combinato disposto degli artt. 147 e 315 bis c.c., in sé e per sé considerato.
Sorge un autonomo e diverso diritto del figlio maggiorenne, ai sensi del richiamato art. 337 septies c.c., di richiedere ed ottenere un assegno di mantenimento, ma solo in quanto egli non sia indipendente economicamente, concetto che contempla quanto occorre per soddisfare le primarie esigenze di vita, secondo nozione ricavabile dall'art. 36 Cost., dunque in presenza della idoneità della retribuzione a consentire un'esistenza dignitosa [27].
Ma non basta la mera, oggettiva, indipendenza economica: a fronte dell’estinzione degli obblighi di cui all’art. 147, 148 e 315 bis c.c., conseguenti al raggiungimento della maggiore età, il sorgere di un obbligo a carico dei genitori nei confronti del figlio si correla alla concreta condotta di impegno nella personale formazione, o, dove terminata, nella ricerca di un impiego.
Con la maggiore età, infatti, si acquista pienamente una capacità lavorativa, intesa come adeguatezza a svolgere un lavoro, in particolare un lavoro remunerato, correlativamente all’acquisto della capacità di agire (e di voto), ciò fatta salva la prova di circostanze che giustificano, al contrario, il permanere di un obbligo di mantenimento.
Anche il diritto del figlio a poter espletare la sua attività di studio, prodromica a quella lavorativa, non è senza limiti.
Divenuto maggiorenne, infatti, trascorso un lasso di tempo sufficiente dopo il conseguimento di un titolo di studio, non potrà più affermarsi il diritto del figlio ad essere mantenuto.
Il diritto non sussiste, cioè, certamente dopo che, raggiunta la maggiore età, sia altresì trascorso un ulteriore lasso di tempo, dopo il conseguimento dello specifico titolo di studio in considerazione (diploma superiore, laurea triennale, laurea quinquennale, ecc.), che possa ritenersi idoneo a procurare un qualche lavoro, dovendo essere in ogni caso riconosciuto al figlio il diritto di godere anche del tempo necessario per inserirsi nel mondo del lavoro [28].
La capacità di mantenersi e l'attitudine al lavoro sussistono sempre, dopo una certa età, che è quella tipica della conclusione media un percorso di studio anche lungo, purchè proficuamente perseguito, e con la tolleranza di un ragionevole lasso di tempo ancora per la ricerca di un lavoro.
Per contro, tra le evenienze che comportano il sorgere del diritto al mantenimento in capo al figlio maggiorenne non autosufficiente, si possono ricordare, fra le altre: a) la condizione di una peculiare minorazione o debolezza delle capacità personali, pur non sfociate nei presupposti di una misura tipica di protezione degli incapaci; b) la prosecuzione di studi ultraliceali con diligenza, da cui si desuma l'esistenza di un iter volto alla realizzazione delle proprie aspirazioni e attitudini, che sia ancora legittimamente in corso di svolgimento, in quanto vi si dimostrino effettivo impegno e adeguati risultati, mediante la tempestività e l'adeguatezza dei voti conseguiti negli esami del corso intrapreso; c) l'essere trascorso un lasso di tempo ragionevolmente breve dalla conclusione degli studi, svolti dal figlio nell'ambito del ciclo di studi che il soggetto abbia reputato a sé idoneo, lasso in cui questi si sia razionalmente e attivamente adoperato nella ricerca di un lavoro; d) la mancanza di un qualsiasi lavoro, pur dopo l'effettuazione di tutti i possibili tentativi di ricerca dello stesso, sia o no confacente alla propria specifica preparazione professionale.
Nella concreta valutazione di tali elementi, può essere ragionevolmente operato dal giudice proficuo riferimento ai dati statistici, da cui risulti il tempo medio, in un dato momento storico, al reperimento di una occupazione, a seconda del grado di preparazione conseguito.
In punto onere della prova, la dimostrazione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto al mantenimento è a carico del richiedente, il quale deve provare non solo la mancanza di indipendenza economica - che è la precondizione del diritto preteso - ma di avere curato, con ogni possibile, impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro.
Ciò è coerente con il consolidato principio generale di prossimità o vicinanza della prova, secondo cui la ripartizione dell'onere probatorio deve tenere conto, oltre che della partizione della fattispecie sostanziale tra fatti costitutivi e fatti estintivi od impeditivi del diritto, anche del principio riconducibile all'art. 24 Cost., ed al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l'esercizio dell'azione in giudizio; conseguentemente, ove i fatti possano essere noti solo ad una delle parti, ad essa compete l'onere della prova, pur negativa [29].
Una volta accertato l’obbligo del genitore al mantenimento, d’altronde, in relazione alla successiva domanda di modifica o di eliminazione di tale obbligo da parte del genitore stesso, l’onere della prova sarà invertito.
Sarà infatti l'interessato (il genitore) a dovere dimostrare la raggiunta effettiva e stabile indipendenza economica del figlio, o la circostanza che questi abbia conseguito un lavoro adeguato alle aspirazioni soggettive.
Ovviamente, può venire in rilievo, tra i mezzi di prova a disposizione, anche la prova presuntiva: qualora sussista, ad es., una condotta caratterizzata da intenzionalità (come uno stile di vita volutamente inconcludente e sregolato) o da colpa (come l'inconcludente ricerca di un lavoro protratta all'infinito e senza presa di coscienza sulle proprie reali competenze), potrà essere escluso o revocato il diritto al mantenimento.
La prova sarà tanto più lieve per il figlio (e più gravosa per il genitore in sede di modifica delle condizioni) quanto più prossima sia la sua età a quella di un recente maggiorenne; di converso, la prova del diritto all'assegno di mantenimento sarà più gravosa, man mano che l'età del figlio aumenti [30], sino a configurare il "figlio adulto", in ragione del principio dell'autoresponsabilità, con riguardo alle scelte di vita fino a quel momento operate ed all'impegno profuso, nella ricerca, prima, di una sufficiente qualificazione professionale e, poi, di una collocazione lavorativa.
D'altra parte, nella valutazione del giusto sforzo per meglio avanzare verso l'ingresso nel mondo del lavoro, il compimento di un serio e non pretestuoso studio universitario costituisce già di per sé una prova presuntiva del diritto al mantenimento "pieno", come estrinsecazione di una facoltà riconosciuta dall'ordinamento, ma anche alla stregua di un "titolo di merito" da spendere all'interno di rapporti e vicende familiari spesso complicati da incomprensioni di vita vissuta, o condizionati dalla frattura profonda creatasi tra i soggetti che avevano in mano il timone della navigazione prima di perdersi, ovvero i genitori.
[1] Introdotto dal D.Lgs. n. 154 del 2013, ed in vigore dal 7 febbraio 2014 unitamente all'intero Titolo IX (Della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio), capo II (Esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio, ovvero all'esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio) del Libro primo del menzionato codice
[2] Il coniuge separato o divorziato, già affidatario, è legittimato, iure proprio, e in via concorrente con la diversa legittimazione del figlio, che trova fondamento nella titolarità, in capo a quest'ultimo, del diritto al mantenimento, ad ottenere dall'altro coniuge un contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne. La perdurante legittimazione del coniuge già affidatario, in difetto di richiesta di corresponsione diretta dell'assegno da parte del figlio divenuto nelle more maggiorenne, si configura come autonoma, nel senso che il genitore già collocatario resta titolare, nei confronti dell'altro genitore obbligato, di un'autonoma pretesa basata sul comune dovere nei confronti del figlio ai sensi degli artt. 147 e 148 c.c. (tra le tante, Cass. civ., sez. I, 31 dicembre 2020, n. 29977; Cass. civ., sez. I, 11 novembre 2013, n. 25300; Cass. n. 35629 del 2018, cit.). La coabitazione, in tal senso, si configura, nelle ipotesi che più frequentemente ricorrono, come un parametro fattuale di rilevanza indiziaria, idoneo a giustificare la deroga alla regola generale della corresponsione diretta della somma a titolo di contributo al mantenimento al figlio maggiorenne. Il versamento dell'assegno periodico al genitore con cui permane la coabitazione con il figlio maggiorenne rappresenta, perciò, un contributo concreto alla copertura delle spese correnti che egli si trova a dover sostenere mensilmente, spese correnti cui sono e restano comunque entrambi i genitori obbligati ai sensi degli artt. 147 e 148 c.c. (Cass. civ., sez. I, 31 dicembre 2020, n. 29977). Peraltro, la legittimazione del genitore già collocatario può sussistere, pur in difetto della prevalenza temporale della presenza del figlio nella sua casa, qualora quest’ultima e il medesimo genitore siano rimasti per il figlio un punto di riferimento stabile del nucleo familiare, sebbene "ristretto" all'esito della separazione coniugale (stante la sistematicità del ritorno del figlio studente in quel luogo, compatibilmente con i suoi impegni universitari o, in generale, di studio). Soprattutto, poi, potrà verificarsi in concreto che sia quel genitore, pur in assenza di coabitazione abituale o prevalente, a provvedere materialmente alle esigenze del figlio stesso, anticipando ogni esborso necessario per il suo sostentamento presso la sede di studio. In tal senso, quindi, la persistenza della legittimazione iure proprio del genitore già collocatario, in ipotesi di allontanamento del figlio per motivi di studio, non deve essere valutata in base al criterio discretivo della prevalenza temporale della coabitazione, la casa ove vive il coniuge già collocatario assumendo rilevanza solo come luogo di "ritorno" e ritrovo del nucleo familiare nei termini di cui si è detto, sicché non è pertinente l'accertamento dell'assidua o prevalente frequentazione della casa da parte del figlio (così Cass. civ., sez. I, 31 dicembre 2020, n. 29977; contra, Cass. civ., sez. I, 22 marzo 2012, n. 4555; Cass. civ., sez. I , 25 luglio 2013, n. 18075).
[3] In tal caso, però, l’assegno va corrisposto direttamente al figlio e non all’altro genitore, Cass. n. 25300 del 2013, cit..
[4] Art. 30 Cost.
[5] Cass. civ., sez. I, 14 agosto 2020, n. 17183.
[6] Cass. civ., 22 giugno 2016, n. 12952; Cass. civ., 6 aprile 1993, n. 4108.
[7] Cass. civ., sez. I, 14 agosto 2020, n.17183. Il principio di autoresponsabilità, in particolare, ha una portata “trasversale”, in quanto funzionale a delimitare il diritto soggettivo secondo ragionevolezza, alla stregua delle clausole generali della diligenza e della buona fede. Pertanto, esso viene sovente richiamato nella giurisprudenza di legittimità, in una pluralità di decisioni: sia quanto ai rapporti personali, con riguardo ad esempio all'assegno di divorzio (Cass. civ., 9 agosto 2019, n. 21228; Cass. civ., 29 agosto 2017, n. 20525; Cass. civ., 30 agosto 2019, n. 21926) o del separato con nuova convivenza, che tale scelta consapevole abbia compiuto (Cass. civ., 19 dicembre 2018, n. 32871; Cass. civ., 27 giugno 2018, n. 16982); sia nei rapporti patrimoniali, dove si richiama l'autoresponsabilità dell'operatore qualificato, allorché sottoscriva la relativa dichiarazione nel contratto d'investimento finanziario (Cass. civ., 24 aprile 2018, n. 10115; Cass. civ., 20 marzo 2018, n. 6962); dell'acquirente nel contratto di compravendita, dove viene esclusa la garanzia nel caso di facile riconoscibilità dei vizi della cosa venduta, ai sensi dell'art. 1491 c.c. (Cass. civ., 6 febbraio 2020, n. 2756); quanto agli effetti della trascrizione, agganciati all'autoresponsabilità del trascrivente, con riguardo all'inesatta indicazione, nella nota, delle generalità della persona contro cui si intenda trascrivere (Cass. civ., 19 marzo 2019, n. 7680). Il concetto è poi criterio cui ampiamente si fa ricorso, alla stregua della regola generale ex art. 1227 c.c., nelle decisioni sui danni, fra gli altri, da fumo attivo (Cass. civ., 10 maggio 2018, n. 11272; Cass. civ., 30 luglio 2013, n. 18267; Cass. civ., 4 luglio 2007, n. 15131; nonché Cass. pen. 21 giugno 2013, n. 37762; Cass. pen. 27 gennaio 2012, n. 9479; Cass. pen. 21 dicembre 2011, n. 11197), al lavoratore per l'omissione di cautele doverose (Cass. pen., sez. IV, 28 novembre 2018, n. 5007; Cass. pen., sez. IV, 10 febbraio 2016, n. 8883 e Cass. pen., sez. IV, 14 gennaio 2016, n. 3616), all'utente nel trasporto ferroviario (Cass. civ., 27 aprile 2011, n. 9409); per il concorso del danneggiato pur minorenne (Cass. civ., 1 febbraio 2018, n. 248) e per i danni cagionati dai cd. grandi minori, ai sensi dell'art. 2048 c.c. (Cass. civ., 31 gennaio 2018, n. 2334); per la responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c. si richiede, da parte del danneggiato, l'adozione delle cautele normalmente attese (fra le tante, Cass. civ., 1 febbraio 2018, n. 2480). Il principio è applicato anche in ambito processuale: quanto all'interpretazione dell'art. 37 c.p.c. (Cass., sez. un., 20 aprile 2018, n. 9912; Cass., sez. un. 20 ottobre 2016, n. 21260; Cass., sez. un., 29 marzo 2011, n. 7097; Cass., sez. un., 28 gennaio 2011 n. 2067; Cass., sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883), ed, ancora, in tema di scelta del foro competente, di notificazione, di mancata integrazione del contraddittorio, di appello incidentale ex art. 346 c.p.c., nella lettura dell'art. 547 c.p.c., sulla dichiarazione di terzo, per l'irripetibilità delle spese eccessive o superflue di cui all'art. 92 c.p.c., comma 1, o nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi (rispettivamente, Cass. civ., 16 luglio 2019, n. 19048; Cass. civ., 26 settembre 2019, n. 24071; Cass., sez. un., 21 marzo 2019, n. 7940 e Cass. civ., 31 luglio 2019, n. 20726; Cass. civ., 26 febbraio 2019, n. 5489; Cass. civ., 5 ottobre 2018, n. 24571; Cass. civ., 12 giugno 2018, n. 15193.
[8] Cass. civ., 14 agosto 2020, n. 17183; Cass. civ., 14 dicembre 2018, n. 32529.
[9] Cass. civ., 14 agosto 2020, n. 17183; in tal senso, costituiscono circostanze rilevanti: “la prosecuzione di studi ultraliceali, con diligenza, da cui si desuma l’esistenza di un iter volto alla realizzazione delle proprie aspirazioni ed attitudini” , “l’essere trascorso un lasso di tempo ragionevolmente breve dalla conclusione degli studi e che, in tale lasso di tempo, il figlio si sia razionalmente ed attivamente adoperato nella ricerca di un lavoro” o “la mancanza di un qualsiasi lavoro, pur dopo l’effettuazione di tutti i possibili tentativi di ricerca dello stesso, Cass. civ., 11 giugno 2020, n. 11186.
[10] Cass. civ., 5 marzo 2018, n. 5088. Più specificamente, la valutazione, in ordine alla sussistenza del diritto della prole al contributo assistenziale, deve avvenire considerando, l’accertamento della condizione economica dei figli, la loro età, il conseguimento effettivo di un livello di competenza professionale e tecnica, l’impegno profuso nella ricerca di un lavoro, la complessiva condotta da loro tenuta, a partire dal compimento del diciottesimo anno d’età.
[11] Ex multis, Cass. civ., 3 settembre 2013, n. 20137; Cass. civ., 8 agosto 2013, n. 18974.
[12] Cass. civ., sez. VI, 29 dicembre 2020, n.29779.
[13] Cass. civ., 26 gennaio 2011, n. 1830.
[14] Cass. civ., 22 giugno 2016, n. 12952; Cass. civ., 7 luglio 2004, n. 12477.
[15] Cass. civ., 22 giugno 2016, n. 12952.
[16] Cass. civ., 20 agosto 2014, n. 18076; nonché Cass. civ., 22 giugno 2016, n. 12952.
[17] Cass. civ., 20 agosto 2014, n. 18076; Cass. civ., 11 aprile 2019, n. 10207.
[18] Cass. civ., 7 luglio 2004, n. 12477.
[19] Cass. civ., 26 gennaio 2011, n. 1830; Cass. civ., 17 novembre 2006, n. 24498.
[20] Cass. civ., 25 settembre 2017, n. 22314.
[21] Cass. civ., 7 luglio 2004, n. 12477.
[22] Cass. civ., 10 aprile 1985, n. 2372.
[23] Cass. civ., 26 gennaio 2011, n. 1830.
[24] Cass. civ., 20 agosto 2014, n. 18076.
[25] Cass. civ., 22 giugno 2016, n. 12952.
[26] Cass civ., sez. I, 14 agosto 2020, n.17183.
[27] Cass. civ., 11 gennaio 2007, n. 407.
[28] Tale regola vale in tutti i casi in cui il soggetto ritenga di avere concluso il proprio percorso formativo e non abbia, pertanto, l'intenzione di proseguire negli studi per un migliore approfondimento, in quanto il figlio reputi terminato il periodo di formazione e di acquisizione di competenze: in questo senso, Cass. civ., sez. I, 14 agosto 2020, n.17183. La Suprema Corte, nella pronuncia citata ha sottolineato come il diritto al mantenimento deve trovare un limite sulla base di un termine, desunto dalla durata ufficiale degli studi e dal tempo mediamente occorrente ad un giovane laureato, in una data realtà economica, affinché possa trovare un impiego; salvo che il figlio non provi non solo che non sia stato possibile procurarsi il lavoro ambito per causa a lui non imputabile, ma che neppure un altro lavoro fosse conseguibile, tale da assicurargli l'auto-mantenimento. A ciò si aggiunga che, del pari, dovrà tenersi conto dell'adeguatezza e ragionevolezza delle opzioni formative, operate dal figlio, rispetto alle condizioni della famiglia, cui non è ammesso imporre un contributo per essa eccessivamente gravoso e non rientrante nelle sue concrete possibilità economiche, tenuto conto - secondo buona fede - della non imposizione di un eccessivo sacrificio alle altrui esigenze di vita. Occorre, altresì, considerare l'esistenza di provvidenze e sovvenzioni, che lo Stato e molte istituzioni formative predispongono in favore degli studenti meritevoli: i quali - laddove maggiorenni, che pretendano il mantenimento dai propri genitori - potranno, in tal modo, agevolmente dimostrare come la vincita, ad esempio, di una borsa di studio palesi la proficuità della prosecuzione negli studi e la debenza, quindi, dell'intero mantenimento in proprio favore. Più in generale, pertanto, una maggiore tutela merita il figlio che prosegua negli studi con impegno, diligenza e passione, rispetto a chi si trascini stancamente in un percorso di "studi" nient'affatto proficuo.
[29] Cass. civ., 25 luglio 2008, n. 20484; Cass. civ., 16 agosto 2016, n. 17108; Cass. civ., 14 gennaio 2016, n. 486; Cass. civ., 17 aprile 2012, n. 6008.
[30] Sul fatto che le circostanze che giustificano il permanere dell'obbligo dei genitori di mantenere il figlio maggiorenne non autosufficiente economicamente debbano essere valutate secondo criteri il cui rigore aumenta in relazione all'età crescente del richiedente, si vedano Cass. civ., 17 luglio 2019 n. 19135; Cass. civ., 22 giugno 2016 n. 12952; Cass. civ., 5 marzo 2018 n. 5088; Cass. civ., 26 giugno 2011 n. 1830; Cass. civ., 7 luglio 2004 n. 12477.