Sentenza n. 3364/2021 del Tribunale ordinario di Milano - Tar Lombardia, Milano, ord. n. 1208/2022 - Corte di Cassazione, ordinanza del 23 febbraio 2023, n. 5668
IL CASO E IL RIPARTO DI GIURISDIZIONE
Con ordinanza del 23 febbraio 2023, n. 5668, la Cassazione, regolando un conflitto negativo sollevato dal giudice amministrativo, ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda di risarcimento del danno alla salute avanzata nei confronti della P.A., con la quale veniva dedotta l'omessa adozione degli opportuni provvedimenti necessari per la salvaguardia dell'ambiente dall'inquinamento, in quanto l'azione si basava sulla tutela del fondamentale diritto alla salute che, non tollerando compressioni neppure da parte dei pubblici poteri, ha sempre natura di diritto soggettivo, non degradabile ad interesse legittimo.
La vicenda era nata da un ricorso ex art. 702 c.p.c. presentato da un cittadino milanese che aveva chiesto il risarcimento del danno alla salute, connesso al peggioramento delle sue condizioni di vita, e del danno alla vita di relazione, che il Comune di Milano e la Regione Lombardia gli avrebbero causato, violando gli obblighi concernenti i valori limite e i valori obiettivo posti dal d.lgs. n. 155/2010 di recepimento della Direttiva 2008/50/CE a tutela della salute umana, e non avendo adottato le misure idonee a determinare il rientro, nel più breve tempo possibile, dei livelli di inquinamento all'interno dei predetti valori limite.
Egli aveva allegato che nel corso degli ultimi anni - e comunque fin dal 2007 - i livelli di inquinamento atmosferico a Milano, come negli altri 11 capoluoghi di provincia della Lombardia, avevano superato di gran lunga i limiti consentiti.
Da questo superamento della soglia tollerabile era derivata, sempre secondo la tesi del ricorrente, un’esposizione all’inquinamento che, nel suo caso specifico, gli aveva cagionato una situazione di bronchite acuta e di irritazione agli occhi, alla mucosa nasale e faringea, che migliorava soltanto con il trasferimento al mare nel fine settimana.
Il ricorrente deduceva, pertanto, oltre alla sussistenza di un danno alla salute, anche un esito finale di danno permanente alla vita di relazione, che era consistito nell’essersi infine trasferito da Milano ad una località di mare a decorrere dal mese di ottobre 2018.
I convenuti, dal canto loro, sarebbero stati responsabili della causazione di tali danni per condotta omissiva ex art. 2043 c.c., in quanto non avrebbero adottato le misure volte alla limitazione del traffico veicolare, quale importante fonte di inquinamento, a tutela della salute umana, nonché tutte quelle misure idonee a salvaguardare la salute pubblica, così come era nelle loro facoltà, in esecuzione dei poteri-doveri attributi dall’ordinamento, quali quelli previsti dal testo unico degli Enti Locali (d.lgs. 267/2000, artt. 50 e 54), dal codice della strada (d.lgs. 285/1992, artt. 6 e 7) e dalla legge n. 833/1978 (art. 32, comma 3).
Tali misure avrebbero potuto e dovuto essere tempestivamente adottate per adempiere agli obblighi di risultato fissati dalla Direttiva 2008/50/CE a tutela della salute umana, così come recepiti a livello interno dal d.lgs. n. 155/2010 (artt. 1, 9, 10, 12, 13, e 14 del d.lgs. 155/2010).
Il Tribunale ordinario tuttavia dichiarava il suo difetto di giurisdizione, richiamando l’art. 7 del codice del processo amministrativo, secondo cui “sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l'esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni (…)”, e valorizzando il fatto che nel caso di specie il danno alla salute prospettato deriverebbe dal “mancato esercizio del potere amministrativo” da parte del Comune e della Regione.
Riassunta la causa avanti al T.A.R. Lombardia, il Tribunale amministrativo sollevava a sua volta conflitto negativo di giurisdizione, dovendosi questa individuare secondo il criterio del petitum sostanziale, costituito nella specie dal risarcimento del danno per lesione del diritto alla salute e alla vita di relazione, mentre l’inerzia della pubblica amministrazione rispetto alla situazione d’inquinamento atmosferico rientrava “nell’ordinario contributo causale di un soggetto che viola il generale principio del neminen laedere”.
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con l’ordinanza n. 5668 del 23 febbraio 2023, ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario, ricordando innanzitutto come ai sensi dell'art. 310, del d.lgs. n. 152 del 2006 (testo unico ambientale), le controversie derivanti dall'impugnazione, da parte dei soggetti (pubblici o privati) titolari di un interesse alla tutela ambientale, dei provvedimenti amministrativi adottati dal Ministero dell'ambiente per la precauzione, la prevenzione e il ripristino ambientale, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, mentre sussiste la giurisdizione del giudice ordinario per le cause risarcitorie o inibitorie promosse da soggetti ai quali il fatto produttivo del danno ambientale abbia cagionato un pregiudizio alla salute o alla proprietà, secondo quanto previsto dall'art. 313, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006.
Dunque già da tale ripartizione effettuata dal Codice dell’ambiente si evince che laddove il petitum sostanziale riguardi direttamente l’azione risarcitoria promossa per lesione del diritto alla salute, la giurisdizione non può che essere del giudice ordinario.
Nel caso in esame, seppure il ricorrente lamentava diversi inadempimenti da parte della P.A., tra cui la violazione di quanto disposto dal d. lgs. 155/2010, attuativo della direttiva 2008/50/CE “relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa” - atteso che le amministrazioni coinvolte non avrebbero adottato misure volte a evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi dell’inquinamento per la salute umana e per l’ambiente nel suo complesso, come, invece, previsto dalla legge - tuttavia ciò che veniva in rilievo nella fattispecie, era, alla stregua del criterio del petitum sostanziale, un comportamento materiale di pura inerzia delle autorità pubbliche lesivo del diritto soggettivo inviolabile alla salute, il che esclude un coinvolgimento dell’amministrazione come autorità.
La pronuncia è senz’altro condivisibile.
D’altro canto, come correttamente osservato dal T.A.R. Lombardia nell’ordinanza di rimessione del conflitto alla Corte, l’art. 7 del codice del processo amministrativo non fonda la giurisdizione del Giudice amministrativo sul mero “mancato esercizio del potere amministrativo”, ma presuppone che tale mancato esercizio avvenga nelle controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi o “nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi”; ma nel caso di specie non è stata invocata l’adozione di un provvedimento amministrativo a fini di tutela di un interesse legittimo, bensì è stato chiesto in via diretta e autonoma il risarcimento del danno cagionato alla salute del ricorrente dalla condotta asseritamente illegittima (e inadempiente rispetto agli obblighi di legge e di derivazione eurounitaria) tenuta da due enti pubblici.
Né si verte in ipotesi di giurisdizione esclusiva, come accade ad esempio in tema di gestione del ciclo di rifiuti, dove, ai sensi dell’articolo 133, comma 1, lett. p), d. lgs. 2 luglio 2010 n. 104 (codice del processo amministrativo) vi è l’espressa previsione per cui appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie «comunque attinenti alla complessiva azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della pubblica amministrazione riconducibili, anche mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere, quand'anche relative a diritti costituzionalmente tutelati». E sulla base di tale previsione il giudice amministrativo ha riconosciuto la propria giurisdizione sulle azioni risarcitorie intraprese da privati cittadini che lamentavano lesioni al diritto alla salute a causa della cattiva gestione, dovuta anche all’omissione dei dovuti controlli e delle dovute iniziative, del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti (v. T.A.R. Campania, Napoli: n. 3911 del 2019; n. 4849 del 2017).
Tutto ciò dunque non esclude che il ricorrente (volendogli riconoscere una situazione soggettiva sufficientemente qualificata e differenziata) avrebbe potuto in astratto chiedere dinanzi al Giudice amministrativo un altro tipo di tutela, tesa ad ottenere il superamento dell’inerzia della pubblica amministrazione e la condanna della stessa a un “fare”, eventualmente con la nomina di un “commissario ad acta”, il quale sostituendosi all’amministrazione può adottare tutti gli atti di competenza della stessa. Ma è evidente che in tal caso il privato farebbe valere il proprio interesse legittimo, rapportandosi con il potere pubblico e con l’esercizio autoritativo delle pubbliche funzioni, e si ricadrebbe nell’ambito dell’ordinaria giurisdizione di legittimità del Giudice amministrativo.
PROSPETTIVE DI TUTELA ALLA LUCE DEL DEL DIRITTO EUROUNITARIO
Sicuramente il tema odierno è di grande interesse e sarà oggetto di ulteriori sviluppi in sede giurisdizionale o legislativa, essendo indubbiamente molto sentita, da parte della collettività, l’esigenza di una tutela giurisdizionale dell’interesse del cittadino al miglioramento della qualità dell’aria, dunque al rispetto delle norme relative al contenimento dell’inquinamento atmosferico nelle grandi città, interesse alla cui soddisfazione il Giudice amministrativo non può dirsi estraneo. E ciò tanto più a seguito della recente revisione dell’art. 9 della Costituzione e l’inserimento della tutela dell’ambiente (oltre che della biodiversità e degli ecosistemi) quale elemento fondante dell’intero ordinamento, ovvero come presupposto per l’esercizio dei diritti dell’uomo, oltre che dovere di solidarietà a garanzia della natura e degli equilibri ambientali e a vantaggio delle future generazioni.
Proprio in relazione alla direttiva in questione (2008/50/CE), peraltro, la Corte di Giustizia UE, a seguito della procedura per infrazione (ex art. 258 TFUE), ha condannato l’Italia per aver superato il valore limite delle concentrazioni di particelle inquinanti (PM 10) in modo continuato dal 2008 al 2017 (Corte UE, Grande Sezione, sentenza 10 novembre 2020 - C-644/18). L’Italia è stata poi nuovamente condannata per il superamento sistematico e continuato dei valori limite di biossido di azoto (NO2), in alcune zone e città del Paese, a partire dal 2010 (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Settima Sezione, sentenza 12 maggio 2022 (C-573/19, Commissione/Italia)).
Anche a livello sovranazionale europeo si è posta poi la questione relativa al se i valori limite per gli inquinanti nell'aria e gli obblighi di migliorare la qualità dell'aria stabiliti dalle direttive UE siano idonei a conferire diritti ai singoli. E cioè se i singoli cittadini possano far valere innanzi a un giudice la violazione qualificata delle norme relative alla protezione della qualità dell'aria, laddove i valori limite applicabili siano stati superati senza che sia stato predisposto dalle amministrazioni competenti un piano di miglioramento della qualità dell'aria.
In particolare, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea (Grande Sezione, sentenza 22 dicembre 2022, causa C-61/21) è recentemente intervenuta sull’argomento pronunciandosi (in senso negativo) sulla sussistenza del diritto di un cittadino al risarcimento dei danni alla salute derivanti dalla violazione da parte dello Stato membro delle direttive europee sulla qualità dell'aria.
La vicenda era analoga a quella sopra esaminata: un cittadino di Parigi sosteneva che lo Stato francese non avesse rispettato limiti individuati a livello eurounitario per gli inquinanti di biossido di azoto e PM10, che gli avevano provocato dei problemi di salute. Lo stesso aveva pertanto adito il tribunale amministrativo competente al fine di ottenere l'annullamento della decisione implicita con la quale il prefetto aveva rifiutato di adottare le misure necessarie a contenere l'inquinamento atmosferico, come imposte dalla direttiva 2008/50. Egli aveva quindi chiesto anche un risarcimento da parte dello Stato francese per il pregiudizio arrecato alla sua salute, dovuto al grave peggioramento della qualità dell’aria a Parigi.
La causa era giunta in Corte di appello, la quale aveva rimesso alla Corte di Giustizia la questione del se le disposizioni di cui all’articolo 13, paragrafo 1 e all’articolo 23, paragrafo 1 della direttiva 2008/50, dovessero essere interpretate nel senso di attribuire ai singoli, in caso di violazione sufficientemente qualificata da parte di uno Stato membro dell’Unione europea degli obblighi che ne derivano, un diritto a ottenere dallo Stato membro in questione il risarcimento dei danni causati alla loro salute che presentano un nesso di causalità diretto e certo con il deterioramento della qualità dell’aria.
La Corte ha osservato che le direttive 2008/50, 96/62, 1999/30, 80/779 e 85/203 impongono agli Stati membri, in sostanza, da un lato, un obbligo di garantire che i livelli, in particolare, di PM10 e di NO2 non superino, nel loro rispettivo territorio e a decorrere da talune date, i valori limite fissati da tali direttive e, dall’altro, qualora tali valori limite siano nondimeno superati, un obbligo di prevedere misure appropriate per rimediare a tali superamenti, in particolare nell’ambito di piani per la qualità dell’aria.
Tuttavia, tali obblighi perseguono, come risulta dagli articoli 1 delle direttive menzionate al punto precedente, nonché, in particolare, dal secondo considerando della direttiva 2008/50, un obiettivo generale di protezione della salute umana e dell’ambiente nel suo complesso.
Pertanto, oltre al fatto che le disposizioni di cui trattasi della direttiva 2008/50 e delle direttive che l’hanno preceduta non contengono alcuna attribuzione esplicita di diritti ai singoli a tale titolo, gli obblighi previsti da tali disposizioni, nell’obiettivo generale summenzionato, non consentono di ritenere che, nel caso di specie, a singoli o a categorie di singoli siano stati implicitamente conferiti, in forza di tali obblighi, diritti individuali la cui violazione possa far sorgere la responsabilità di uno Stato membro per danni causati ai singoli.
Ciò non toglie tuttavia che i singoli interessati devono poter ottenere dalle autorità nazionali, eventualmente agendo dinanzi ai giudici competenti, l’adozione delle misure richieste da tali direttive. In particolare, per quanto riguarda l’articolo 23, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2008/50, la Corte ha dichiarato che le persone fisiche o giuridiche direttamente interessate dal superamento dei valori limite devono poter ottenere dalle autorità nazionali, eventualmente agendo dinanzi ai giudici competenti, la predisposizione di un piano per la qualità dell’aria conforme alla direttiva.
Per cui la Corte ha concluso nel senso che l’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva 2008/50 e le precedenti analoghe disposizioni delle direttive precedenti devono essere interpretate nel senso che “non sono preordinate a conferire diritti individuali ai singoli che possono attribuire loro un diritto al risarcimento nei confronti di uno Stato membro, a titolo del principio della responsabilità dello Stato per i danni causati ai singoli da violazioni del diritto dell’Unione ad esso imputabili”.
Tale conclusione, ha osservato la Corte, non esclude che la responsabilità dello Stato possa sorgere a condizioni meno restrittive sulla base del diritto interno, né esclude l’eventuale pronuncia, da parte dei giudici dello Stato membro interessato, di ingiunzioni accompagnate da penalità volte a garantire il rispetto, da parte di tale Stato, degli obblighi derivanti dall’articolo 13, paragrafo 1, e dall’articolo 23, paragrafo 1, della direttiva 2008/50, e dalle disposizioni analoghe delle direttive precedenti.
CONCLUSIONI
Da questa analisi comparatistica si possono ricavare alcune conclusioni valide per il diritto interno. Innanzitutto si può affermare che laddove il cittadino intenda sollecitare la pubblica amministrazione all’adozione delle misure finalizzate alla salvaguardia della qualità dell’aria in ottemperanza agli obblighi di derivazione eurounitaria, la situazione fatta valere è di interesse legittimo e, in caso di azione avverso l’inadempimento, la giurisdizione spetta al T.A.R.; tale tutela, in particolare, dovrebbe ritenersi perseguibile con lo strumento dell’azione avverso il silenzio, in presenza di una posizione qualificata e differenziata e di un’inerzia della pubblica amministrazione, e ciò alla stregua della sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (Grande Sezione, sentenza 22 dicembre 2022, causa C-61/21), che ha ritenuto necessaria una tale forma di tutela.
Viceversa, un’ eventuale azione diretta di risarcimento del danno cagionato alla salute promossa dinanzi al giudice ordinario sembrerebbe avere scarse possibilità di giungere ad un esito favorevole, non solo per la difficoltà di provare il nesso di causalità fra l’inerzia della pubblica amministrazione e la situazione d’inquinamento, ed infine, fra quest’ultima e la malattia lamentata dal soggetto, ma anche, e più in radice, a causa della impossibilità di configurare una responsabilità diretta e di tipo risarcitorio della pubblica amministrazione nei confronti del singolo cittadino per la mancata adozione di un efficiente piano per il miglioramento della qualità dell’aria. Infatti le norme in questione (direttiva 2008/50/CE e d.lgs. n. 155 del 2010) si collocano in un contesto in cui è arduo rintracciare concrete responsabilità (che possono essere distribuite fra più livelli di governo) in relazione peraltro alla individuazione (o alla mancata attivazione) di soluzioni per affrontare l’inquinamento atmosferico che sono rimesse alla discrezionalità tecnica degli enti pubblici, così come resta molto difficile ricondurre i rapporti fra cittadino e potere pubblico in termini orizzontali all’interno dello schema diritto-dovere, venendo in rilievo obiettivi collettivi, da conseguire attraverso misure generali, e interessi ambientali che hanno carattere multireferenziale e trasversale.
Perciò, la tutela che in questa materia si potrebbe ottenere nel processo amministrativo, nei confronti del cattivo esercizio o del mancato esercizio del potere, è più adatta e per alcuni profili maggiore di quella ottenibile dal Giudice ordinario, potendo tale tutela risolvere agevolmente all’origine l’ostacolo al rispetto delle norme sulla qualità dell’aria, con estensione alle fattispecie omissive ed eventuale obbligo giudiziale dell'amministrazione a un “fare” oltre che a vedersi annullati provvedimenti amministrativi illegittimi.