Cassazione Civile, Sez. VI, 21 novembre 2022, n. 34151
Le detrazioni d’imposta per gli interventi di riqualificazione energetica sugli edifici esistenti sono state introdotte dalla L. n. 296 del 2006, all’art. 1, commi 344 e ss., che rinviano - quanto alle modalità per conseguirle - all’art. 1 della L. n. 449 del 1997 sulle detrazioni d’imposta per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio.
Le disposizioni attuative sono contenute nel d.m. 19 febbraio 2007. L’art. 1 declina gli interventi di riqualificazione energetica nelle seguenti tipologie:
- interventi sull’involucro di edifici esistenti riguardanti strutture opache verticali, finestre comprensive di infissi, delimitanti il volume riscaldato, verso l’esterno e verso vani non riscaldati;
- interventi di installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda per usi domestici o industriali e per la copertura del fabbisogno di acqua calda in piscine, strutture sportive, case di ricovero e cura, istituti scolastici e università;
- interventi di sostituzione, integrale o parziale, di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di caldaie a condensazione e contestuale messa a punto del sistema di distribuzione, nonché di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di pompe di calore ad alta efficienza e con impianti geotermici. Il successivo art. 4 prevede che i soggetti che intendono avvalersi della detrazione relativa alle spese per i suddetti interventi sono tenuti a:
a) acquisire l’asseverazione di un tecnico abilitato che attesti la rispondenza dell’intervento ai pertinenti requisiti prescritti nello stesso decreto;
b) trasmettere all’ENEA, entro novanta giorni dalla fine dei lavori, attraverso il sito internet e ottenendo la ricevuta informatica, i dati contenuti nell’attestato di certificazione energetica, ovvero nell’attestato di qualificazione energetica, prodotto da un tecnico abilitato e la scheda informativa compilata secondo lo schema allegato al medesimo decreto.
La giurisprudenza di merito si è occupata sovente delle conseguenze sul beneficio fiscale conseguito in caso di successivi controlli e di accertamento dell’omessa comunicazione all’ENEA.
Ebbene, sulla questione è intervenuta la Corte di legittimità, la quale ha affermato che la disciplina riportata “afferma chiaramente che l’omessa comunicazione preventiva all’ENEA entro il termine indicato costituisce una causa ostativa alla concessione delle agevolazioni relative agli interventi di riqualificazione energetica. È evidente che la norma si pone un obiettivo di controllo sulla effettiva spettanza dell’agevolazione, in modo da impedire eventuali frodi e attribuire all’organo deputato allo svolgimento di tali controlli un termine congruo per l’adempimento di tale funzione, diretta a verificare se effettivamente i lavori, in quanto diretti effettivamente a salvaguardare l’ambiente risparmiando energia o producendola in maniera ‘pulita’, risultino meritevoli di vantaggi fiscali, astrattamente in deroga al principio di capacità contributiva e potenzialmente in contrasto con il principio di equilibrio tra le entrate e le spese del bilancio dello
Stato, ma in realtà conformi al principio in base secondo il quale occorre trattare in maniera adeguatamente diseguale situazioni diseguali, ove la ‘diseguaglianza’ sta nel riconoscimento, da parte dell’ENEA, della particolare meritevolezza dei lavori, in quanto diretti a produrre, direttamente o indirettamente, effetti benefici per l’ambiente. La norma costituisce dunque un ragionevole bilanciamento tra la libertà di iniziativa economica privata (che verrebbe seriamente ostacolata qualora il margine temporale con il quale va comunicato in anticipo la comunicazione all’ENEA fosse eccessivo), la tutela dell’ambiente e la tutela delle entrate fiscali dello Stato”.
La pronuncia ha anche soggiunto che tale soluzione è conforme ai più ampi ragionamenti già svolti dalla Corte in materia di agevolazioni fiscali. Ha così ricordato i principi più volte affermati:
- sulle norme che introducono agevolazioni o esenzioni che, in quanto eccezionali, sono soggette al
criterio di stretta interpretazione;
- sull’onere del contribuente di dimostrare la sussistenza dei costi integralmente deducibili quale fatto costitutivo del diritto alla deduzione;
- sull’illecito disciplinare del notaio che omette di inviare alla Regione copia degli atti di vendita per i quali non è stato esibito l’attestato di prestazione energetica;
- sul fatto che se un termine decadenziale non è espressamente indicato dalla legge nella sua scadenza (la normativa in esame, difatti, non stabilisce testualmente le conseguenze dell’omesso invio della comunicazione all’ENEA entro il termine di legge) non è corretto sostenere, come conseguenza, che alcun effetto consegua in caso di mancato o tardivo invio di quella comunicazione; per cui tale omissione “non significa che la stessa scadenza non possa e debba essere individuata prima che inizi l’attività di controllo da parte dell’Ente impositore”.
Ne deriva che la normativa in esame deve essere letta nel senso che l’omessa comunicazione preventiva all’ENEA costituisce una causa ostativa alla concessione delle agevolazioni relative agli interventi di riqualificazione energetica. In tal modo essa è coerente con i principi sopra elencati e conforme alla Costituzione perché “incoraggia uno sviluppo sostenibile diretto al risparmio energetico e alla produzione di energie pulite”. Trattandosi di un’agevolazione fiscale e di un onere posto in capo al contribuente per ottenere il vantaggio fiscale, “l’assolvimento di detto onere costituisce adempimento inderogabile per ottenere l’agevolazione stessa in ragione del doveroso onere del contribuente di osservare una diligenza media, adeguata al compimento della richiesta in questione, mentre il riconoscimento dell’agevolazione oltre i confini tracciati dalle norme costituirebbe una illegittima deroga ai principi di certezza giuridica e di capacità contributiva in quanto le norme che prevedono agevolazioni fiscali sono di stretta interpretazione”.
Neppure può dirsi che si tratta di un onere complesso, in quanto “nel quadro delle politiche energetiche nazionali nella direzione di uno sviluppo sostenibile diretto al risparmio energetico e alla produzione di energie pulite, si tratta non di un inutile onere burocratico contrario al principio della libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost., comma 1, ma di un adempimento non particolarmente oneroso e ragionevolmente esigibile in relazione al dovere di attenersi a uno standard di normale diligenza, indispensabile per consentire all’organo competente di svolgere eventualmente i controlli che ritenga necessari in merito alla meritevolezza dei lavori in relazione ai limiti previsti dall’art. 41 Cost., comma 2, e quindi in relazione da un lato ai vantaggi ambientali per la collettività con essi conseguiti e dall’altro ai vantaggi fiscali per il contribuente che la legge ritiene di dover far conseguire a seguito dei predetti vantaggi ambientali”.
A tanto giova qui aggiungere che il Legislatore, con il comma 1 dell’art. 2 del d.l. n. 16 del 2012 (denominato decreto in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento fiscali), ha previsto una particolare forma di ravvedimento operoso per l’omissione di comunicazioni e adempimenti indispensabili per fruire di benefici fiscali (c.d. “remissio in bonis”). L’istituto è volto a evitare che dimenticanze relative a comunicazioni ovvero, in generale, ad adempimenti formali non eseguiti tempestivamente precludano al contribuente, in possesso dei requisiti sostanziali richiesti dalla norma, la possibilità di fruire di benefici fiscali o di regimi opzionali. Ai sensi del citato comma 1, infatti, “la fruizione di benefici di natura fiscale o l’accesso a regimi fiscali opzionali, subordinati all’obbligo di preventiva comunicazione ovvero ad altro adempimento di natura formale non tempestivamente eseguiti, non è preclusa, sempre che la violazione non sia stata constatata o non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore dell’inadempimento abbia avuto formale conoscenza, laddove il contribuente:
- a) abbia i requisiti sostanziali richiesti dalle norme di riferimento;
- b) effettui la comunicazione ovvero esegua l’adempimento richiesto entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile;
- c) versi contestualmente l’importo pari alla misura minima della sanzione stabilita dall’art. 11, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, secondo le modalità stabilite dall’art. 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, esclusa la compensazione ivi prevista”.
La ratio delle disposizioni riportate è dunque la rimessione nei termini, l’attribuzione di rilevanza al comportamento del contribuente che spontaneamente pone rimedio a errori di natura formale, con unico e fermo limite alla possibilità di sanare i predetti errori individuato nell’avvenuta constatazione della violazione o nell’inizio delle attività istruttorie di accertamento. Tanto emerge inequivocabilmente dal testo normativo: la remissio in bonis è vietata quando “la violazione è stata constatata o sono iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore dell’inadempimento abbia avuto formale conoscenza”. Cosicché la possibilità di conseguire, di “fruire” dei correlati benefici di natura fiscale rimane “preclusa”.
Queste disposizioni trovano applicazione per regolarizzare le omissioni che si sono verificate in data successiva al 2 marzo 2012, ossia alla data di entrata in vigore del decreto legge, nonché per quelle realizzate antecedentemente ma in un periodo d’imposta in relazione al quale il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi non era scaduto alla predetta data di entrata in vigore del d.l. n. 16 del 2012.