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Lo Stato e la tutela dei più deboli: alla ricerca dell’interesse primario del minore

dalla Redazione • 13 dicembre 2022

Con una recente sentenza la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo [1] ha bacchettato ancora una volta il sistema di protezione e tutela apprestato dallo Stato italiano in favore dei soggetti “deboli”.

Nel caso di specie, le vittime riconosciute del nostro sistema sono state genitore e figli sottoposti alle violenze dell’altro genitore.

Tutto nasce da un presunto contrasto tra la legge n. 54/2006, che ha stabilito il principio dell'affidamento condiviso come soluzione predefinita nei casi di separazione o divorzio (principio che secondo i dati ISTAT viene applicato nella pratica in circa il 90% dei casi), e la Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (la cosiddetta Convenzione di Istanbul), il rispetto delle cui norme è dovuto anche dallo Stato italiano a partire dal 2014.

L’art. 31, paragrafo 1 di tale convenzione, intitolato “Custodia dei figli, diritti di visita e sicurezza”, dispone che “Le Parti adottano misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che, al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione”, e garantiscono, tramite tali misure, “che l'esercizio dei diritti di visita o di custodia dei figli non comprometta i diritti e la sicurezza della vittima o dei bambini”.

Secondo i Giudici europei, però, la normativa nazionale non prevede un obbligo esplicito per gli enti istituzionali di garantire che, nel definire i diritti di affidamento e di visita, si tenga conto degli episodi di violenza rientranti nel campo di applicazione della convenzione, come richiesto invece dall’articolo 31, paragrafo 1, della convenzione di Istanbul.

Ne deriva che, nella prassi, nonostante vari articoli del codice civile consentono di mettere al primo posto il miglior interesse del bambino, al di là del principio dell'affidamento condiviso, queste disposizioni vengono raramente utilizzate per proteggere i bambini testimoni di violenze nei confronti delle proprie madri, anche nei casi in cui la violenza ha portato alla condanna e/o altre misure, compresi ordini di protezione, nei confronti degli autori di violenza [2].

È solo un’illazione dei Giudici europei, direte voi, tratta da qualche caso giudiziario sottoposto alla loro attenzione. E invece no.

Esiste un organo indipendente sovranazionale, il GREVIO, che è stato incaricato di vigilare sull’applicazione, ad opera delle parti stipulanti, della Convenzione di Istanbul.

Si tratta di un gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e contro la violenza domestica.

Secondo il GREVIO, le disposizioni che prevedono una tutela rafforzata dei minori vengono raramente utilizzate per proteggere i bambini testimoni di violenze nei confronti delle proprie madri, anche nei casi in cui la violenza ha portato alla condanna e/o altre misure, compresi ordini di protezione, nei confronti degli autori di violenza.

In base alle informazioni “qualificate” assunte in materia dal GREVIO, il meccanismo in vigore in Italia, piuttosto che permettere la protezione delle vittime e dei loro bambini, si ritorce contro le madri che tentano di proteggere i loro bambini denunciando la violenza, e le espone ad una vittimizzazione secondaria *.

Le vittime di violenza domestica e i loro bambini risentono inoltre dell'assenza di canali di comunicazione efficaci tra giurisdizioni civili e penali e dell'assenza di un'adeguata comprensione del fenomeno della violenza contro le donne, oltre che delle conseguenze di tale violenza sui bambini.

In questa prospettiva valutativa, i Giudici civili tendono ad affidarsi a conclusioni dei consulenti tecnici d’ufficio e dei servizi sociali, che spesso assimilano gli episodi di violenza a situazioni di conflitto, dissociando così le considerazioni relative al rapporto tra la vittima e l’autore di violenza da quelle riguardanti il rapporto tra il genitore violento e il bambino.

Altra anomalia è stata rinvenuta nel fatto che le denunce delle vittime di abuso da parte del partner sono spesso rigettate sulla base di motivazioni dubbie come «la sindrome da alienazione parentale», con conseguente incolpazione delle madri per la riluttanza dei figli ad incontrare il padre violento [3].

Secondo il GREVIO, l’elevato rischio comportato dall'utilizzo della nozione di alienazione parentale è che le violenze nei confronti delle donne e dei loro bambini non vengano identificate, o comunque siano messe in discussione, in quanto si tratta di nozione che ignorerebbe la natura di genere della violenza e gli aspetti essenziali del benessere dei bambini.

In presenza di procedimenti penali paralleli, poi, la sottovalutazione o la mancata individuazione dei casi di violenza può portare a situazioni in cui le vittime sono messe sotto pressione affinché facciano cadere le accuse penali nei confronti del genitore violento, poiché in caso contrario sarebbe impossibile riappacificare la famiglia e raggiungere un accordo sull'affidamento e la visita, nel nome di principi come la friendly parent provision (norme a favore del genitore ben disposto).

La conclusione è dunque questa, a parere dell’organo indipendente che vigila sul rispetto della Convenzione di Istanbul: spesso e volentieri i tribunali civili, in Italia, richiedono alle vittime di incontrare il partner violento, a prescindere dalla denuncia di abuso da parte della vittima e senza uno screening o una valutazione del rischio, fin quando non viene raggiunto un accordo «amichevole».

Tuttavia, la violenza nelle relazioni intime è e resta un fattore chiave per definire l’affidamento del bambino, e un sistema basato sul raggiungimento di accordi da parte dei genitori nel miglior interesse del bambino si rivela inadeguato per le coppie la cui relazione è stata viziata dalla violenza.

Invero, la violenza di un partner su di un altro indica uno squilibrio di potere nella relazione, che può influenzare negativamente la capacità di negoziare in modo equo e di arrivare ad un accordo reciprocamente accettabile, e una donna che è stata vittima di violenza domestica solitamente ha bisogno di uno specifico sostegno per negoziare gli accordi con l’altro genitore violento, né deve essere considerata, se solleva la problematica della violenza domestica come un motivo per non partecipare agli incontri e opporsi all'affidamento o alle visite, come un genitore «non collaborativo», e quindi una madre inadatta che merita di essere sanzionata.

Accordi inadeguati sull'affidamento e la visita del bambino possono esporre le donne ad abusi post-separazione e a vittimizzazione secondaria, mentre la sicurezza del genitore non violento e del bambino dovrebbero essere un elemento centrale nel decidere, per ciò che riguarda gli accordi sull'affidamento e le visite.

E soltanto un’adeguata valutazione del rischio può portare a capire se rispettare le ordinanze di applicazione del diritto di visita rappresenta un grave rischio alla sicurezza dei minori, poiché spesso l’applicazione di tale diritto significa costringere le vittime ad incontrare l'autore della violenza faccia a faccia, e costituisce un fattore che può contribuire a provocare gravi episodi di violenza, compreso l’omicidio della donna o del bambino. 

Se pure è regola il diritto del bambino a mantenere un legame con entrambi i genitori, così come previsto dall’articolo 9, comma 3 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, l'esposizione alla violenza domestica – come vittima o testimone – richiede delle necessarie eccezioni a questa regola, nel miglior interesse del bambino.

Bisogna chiedersi a questo punto, come fa anche il GREVIO, se la riforma giuridica operata in Italia sull’affidamento condiviso si è rivelata “incapace” di valutare attentamente le costanti disuguaglianze tra donne e uomini e gli alti tassi di esposizione alla violenza di donne e bambini, nonché i rischi della violenza post-separazione.

L’esercizio di violenza dovrebbe in effetti legittimare una richiesta di limitazione dei diritti di affidamento e di visita, in questa prospettiva, e una maggiore e più coordinata collaborazione tra tribunali civili, tribunali penali e gli altri organismi coinvolti, come ad esempio le forze dell’ordine, le autorità sanitarie e scolastiche ed i servizi di supporto specializzati di sostegno alle donne, dovrebbe essere imposta da una modifica legislativa ad hoc.

Forse bisognerebbe anche abbandonare la prassi che impone alla vittima e al figlio l’obbligo di prendere parte ad incontri congiunti con l’autore della violenza per raggiungere un accordo sull’affidamento ed i diritti di visita, che equivale ad imporre una mediazione obbligatoria.

Dovrebbero anche essere introdotte linee guida specifiche volte a sostituire le metodologie e le linee guida esistenti, che tendono a ridurre la violenza ad un conflitto, promuovendo la mediazione per superarlo, senza tenere debitamente conto della violenza stessa, e facendo ricorso a concetti discutibili come la «alienazione parentale», che mette in primo piano il mantenimento del rapporto figlio-genitore a tutti i costi.

D’altra parte, il 14 giugno 2022, il GREVIO ha pubblicato il suo 3° rapporto generale sull'affidamento dei minori, i diritti di visita e la violenza domestica, redatto sulla base delle valutazioni realizzate fino a quel momento in vari Stati, ed è giunto alla conclusione che in alcuni di questi Stati (tra cui il nostro) non si fa espressamente riferimento alla violenza domestica tra i criteri giuridici di cui tenere conto nel determinare i diritti di affidamento e/o di visita.

Si tratta di Paesi che tendono a privilegiare ciò che è astrattamente nell'interesse superiore del minore, ossia mantenere il contatto con entrambi i genitori ad ogni costo, anche se il minore stesso è stato testimone di violenze.

Tuttavia, in assenza di disposizioni idonee, le vittime possono avere di fatto l'impressione che l'unico modo per proteggere i loro figli di fronte alla violenza sia rifiutarsi di rispettare le decisioni adottate in materia di diritto di visita.

Si intravede, in definitiva, nell’approccio dell’organismo di vigilanza sulla Convenzione di Istanbul – e nel tendenziale avallo che di tale approccio dà la Corte europea dei diritti dell’Uomo – una possibile collisione tra due interessi egualmente primari dei minori: il diritto alla bigenitorialità * e il diritto alla serenità.

E’ storia vecchia come il mondo, e difficilmente risolvibile con disposizioni normative che facciano pendere la bilancia da una parte piuttosto che dall’altra; serve il buon senso di un giudice preparato e ben supportato – che sappia individuare la giusta soluzione per il caso a lui sottoposto -, una volta che il buon senso di chi ha messo al mondo un bambino è ormai finito nel dimenticatoio.




[1] Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 10 novembre 2022 - Ricorso n. 25426/20.

[2] Ai sensi dell’articolo 330 del Codice civile, i tribunali possono decidere la revoca della potestà genitoriale laddove un genitore violi o ignori i propri obblighi genitoriali o abusi della propria autorità arrecando gravi danni al bambino. L'articolo 333 del Codice civile prevede l’allontanamento del genitore da casa qualora il suo comportamento non giustifichi la revoca della propria potestà genitoriale, ma arrechi comunque danno al bambino. Inoltre, l’articolo 337-quater del Codice civile prevede che possa essere concesso l'affidamento esclusivo del bambino ad un genitore, qualora l'affidamento all’altro genitore vada contro l’interesse del bambino. Al fine di garantire l'efficace attuazione di queste disposizioni, il decreto-legge n. 93/2013 ha introdotto il dovere per l’autorità inquirente di informare i tribunali minorili di eventuali procedimenti penali in corso per reati di maltrattamento, violenza sessuale aggravata e/o stalking commessi nei confronti di un bambino o dal genitore del bambino nei confronti dell’altro genitore. I canali di comunicazione tra tribunali penali e civili/minorili sono stati ulteriormente potenziati con l'emanazione della legge n. 69 del 19 luglio 2019.

[3] Sulla tematica dell'interesse del minore, posto a confronto con la cosiddetta sindrome da alienazione parentale, vedi l'articolo su questo sito: https://www.primogrado.com/interesse-del-minore-e-sindrome-da-alienazione-parentale


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