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L'obbligazione tributaria

dalle Lezioni... • 11 aprile 2021

La norma tributaria, una volta emessa nel rispetto di tutte le regoli formali e sostanziali stabilite dalle fonti che ne regolano la genesi, dà origine a una legittima obbligazione tributaria di natura giuspubblicistica che ha da un lato un soggetto impositore e dall’altro un soggetto al quale è riconducibile la manifestazione di una capacità contributiva.

Il rapporto tra questi due soggetti (soggetto attivo e soggetto passivo) viene definito tradizionalmente “rapporto di imposta”, e sorge automaticamente al verificarsi di determinati presupposti legalmente prestabiliti.

Tuttavia, il rapporto di imposta in senso stretto è il rapporto credito-debito, su cui incidono, in senso statico, le norme sostanziali che stabiliscono le singole fattispecie e gli effetti dell’imposta; visto in senso lato e dinamico, invece, il rapporto di imposta è regolato da quell’insieme di norme che disciplinano l’attuazione del tributo, e cioè gli obblighi posti a carico del contribuente e dell’amministrazione finanziaria.

Tale amministrazione, invero, assume contemporaneamente sia la veste di titolare di poteri autoritativi, sia quella di creditrice del tributo.

Con riferimento alle imposte, la fattispecie che dà origine al tributo è denominata in vario modo, a seconda della disciplina di riferimento (ad esempio: nell’IVA si parla di operazione imponibile e nell’imposta di registro di oggetto dell’imposta) ma può essere sinteticamente definita come presupposto d’imposta o fatto generatore.

E’ presupposto d’imposta quella circostanza o quell’evento economico al verificarsi del quale scatta – spesso in accordo con ulteriori fatti o atti, trattandosi di fattispecie complessa – il meccanismo di applicazione del tributo.

In altri termini, la legge stabilisce dei presupposti oggettivi che determinano il sorgere del tributo, in quanto indicativi di capacità contributiva.

A volte, accanto al presupposto, sono previste fattispecie cosiddette equiparate/assimilate o surrogatorie che ampliano o restringono l’area di applicabilità della fattispecie tipica.

Ciò accade o perché il legislatore vuole che certi fatti economici non sfuggano alla tassazione, pur presentando tratti di eterogeneità rispetto all’ipotesi paradigmatica (ad esempio, determinati contratti verbali ai fini dell’imposta di registro), o perché l’ampliamento della sfera di applicazione del tributo risponde a fini antielusivi (fattispecie supplementari, come ad esempio la norma che assoggetta all’imposta sulla vendita immobiliare il mandato irrevocabile con dispensa dall’obbligo di rendiconto).

Sussistono infine fattispecie alternative o condizionali, a seconda che il legislatore non voglia che la sovrapposizione di fattispecie determini l’applicazione di più imposte (ad esempio, alternatività tra IVA e imposta di registro), o in correlazione al fatto che è soggetta a condizione la stessa fattispecie tassata; il sorgere definitivo del debito d’imposta può peraltro dipendere dall’avveramento di una condizione esterna, come nel caso degli atti di procedimenti contenziosi in cui è parte un’amministrazione pubblica, che sono registrati a debito. 

Concetto diverso dal presupposto d’imposta – anche se a volte i due elementi tributari in questione possono coincidere - è invece il concetto di base imponibile, che concerne la fattispecie che determina, unitamente all’applicazione di un’aliquota, la misura del tributo.

Si tratta in altri termini della misura dell’imponibile, ovvero della grandezza monetaria che viene presa in considerazione dal legislatore per applicare il tributo.

Peraltro, se la norma stabilisce che fino a un determinato importo o misura (base imponibile) non si applica il tributo, la base imponibile diviene elemento costitutivo del presupposto d’imposta, in quanto la capacità contributiva “scatta” presuntivamente soltanto oltre una determinata soglia economica (si pensi al minimo imponibile in materia di Irpef).

La base imponibile delle imposte dirette è un importo netto – cioè ciò che residua dopo avere applicato le deduzioni e le riduzioni eventualmente previste -, mentre in molti altri casi è una somma algebrica di elementi positivi e negativi (come ad esempio in materia di reddito d’impresa).

La base imponibile può peraltro essere costituita da un elemento che non è entità monetaria – e allora deve essere quantificato il valore in moneta – o da cose, misurate secondo le loro caratteristiche di misura e peso, o considerate nella loro unità (ad esempio, imposta di pubblicità, basata su dimensioni e caratteristiche del mezzo pubblicitario; o tassa sulla raccolta dei rifiuti, rapportata alla superficie degli immobili). 

Nelle imposte dirette, il presupposto deriva direttamente dalla capacità contributiva rappresentata dalla misura del reddito o del patrimonio del contribuente (Irpef o Imu); nelle imposte indirette, invece, la capacità contributiva è desunta indirettamente da una singola operazione espressiva di capacità contributiva (consumi per l’Iva, trasferimenti di beni per l’imposta di registro).

Le imposte possono essere anche personali, se nella loro disciplina abbia rilievo qualche elemento che attiene alla persona del soggetto passivo, come ad esempio la situazione familiare (ad esempio Irpef, che tiene conto anche di situazioni personali, accordando deduzioni dal reddito o detrazioni dall’imposta, per ragioni non afferenti alla formazione del reddito).

In caso contrario, l’imposta si definisce reale.

Vi è poi da fare un’ulteriore distinzione tra imposte istantanee e imposte periodiche.

Le prime nascono da un fatto di natura istantanea: ogni avvenimento espressivo di capacità contributiva genera una distinta ed unica obbligazione (ad esempio, imposta di registro); le seconde hanno come presupposto una fattispecie che si prolunga nel tempo, per cui assumono rilievo giuridico tutti quei fatti che si collocano in un determinato arco temporale, definito a sua volta periodo di imposta (ad esempio, Irpef, Ires e IVA).

Nel secondo caso, l’imposta viene liquidata alla fine dell’arco temporale considerato dal legislatore (normalmente, un anno) e non all’esito della singola operazione espressione di capacità contributiva; non si tratta di un rapporto di durata quale può essere una locazione ma di un rapporto obbligatorio la cui fattispecie comprende un dato intervallo temporale; non vi è inoltre completa separazione tra i singoli periodi di imposta, in quanto sono possibili fatti ad efficacia pluriennale e possono rilevare connessioni tra un periodo e l’altro.

Ad ogni periodo di imposta è correlato un determinato e distinto procedimento di accertamento dell’imposta e le modifiche della disciplina delle imposte periodiche si applicano solo ratione temporis, cioè a partire dal periodo d’imposta successivo.

Alcune imposte periodiche, e in specie quelle patrimoniali, pur applicandosi annualmente, hanno una base imponibile riferita ad un determinato momento (ad esempio, l’IMU o l’imposta di bollo sul conto di deposito, a meno che non venga applicata dalla banca trimestralmente).

L’imposta può anche essere fissa, se è dovuta in misura immutabile per ogni atto o fatto che ne costituisce il presupposto, o proporzionale, cioè con una aliquota (cosiddetto tasso percentuale di applicazione del tributo) che non muta con il variare della base imponibile e che si applica in modo appunto proporzionale alle variazioni.

Se invece il valore dell’imposta aumenta più che proporzionalmente con l’aumento della base imponibile, si parla di imposta progressiva; la progressività può essere per classi o per scaglioni: nel secondo caso, che è quello tipico dell’Irpef, l’imponibile è diviso tra quote di reddito (da … a …) e ad ogni scaglione di reddito corrisponde un’aliquota via via crescente, che però non varia all’interno del singolo scaglione.

Se, dunque, poniamo che il reddito di un soggetto sia formato da quattro scaglioni, a cui si applicano aliquote diverse, il valore dell’imposta complessiva si determina tramite la somma dei singoli importi ricavabili in base all’aliquota prevista per i diversi scaglioni.

Esiste infine la sovrimposta, che si ha quando la fattispecie imponibile di un tributo viene usata come fattispecie di un’altra imposta.

In questo caso, si parla di imposta madre (imposta prioritaria) e di imposta figlia (imposta secondaria).

La sovrimposta si definisce anche come addizionale (ad esempio, l’addizionale comunale e regionale in materia di Irpef) e può essere ricavata dalla stessa base imponibile dell’imposta madre o da una frazione o multiplo di quanto dovuto per l’imposta di base.


OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA E DICHIARAZIONE

L’obbligazione tributaria nasce quando si verifica il presupposto d’imposta ma il suo adempimento non è sempre automatico.

Spesso è necessario (specie nelle imposte periodiche) un accertamento dell’an e una valutazione di entità che presuppone la collaborazione attiva del singolo contribuente.

Nel caso di obbligazioni tributarie nascenti da acquisizione di redditi o da titolarità di patrimonio tassabile occorre la cosiddetta dichiarazione, ovvero una dichiarazione di volontà e di scienza tramite la quale il contribuente riconosce ufficialmente il suo reddito.

La dichiarazione dei redditi soggetti a Irpef – che è la tipologia di dichiarazione paradigmatica per eccellenza - deve contenere l’ ”indicazione degli elementi attivi e passivi necessari per la determinazione degli imponibili”, ai sensi dell’art. 1, comma 2 del d.P.R. n. 600 del 1973.

Deve essere presentata, tramite il modello approvato appositamente dall’amministrazione finanziaria, da ogni soggetto che, nel periodo d’imposta di riferimento (annuale), abbia prodotto redditi, e anche se dai redditi che si dichiarano non consegue alcun debito d’imposta (fatta eccezione, ad esempio, per la dichiarazione dei lavoratori dipendenti che abbiano, oltre al reddito di lavoro dipendente, soltanto la proprietà dell’abitazione principale, o per i redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o per i soggetti che hanno redditi di ammontare inferiore al minimo imponibile).

Ne consegue che la fattispecie da cui scaturisce l’obbligo di dichiarazione non coincide necessariamente con il presupposto dei tributi sul reddito, potendo esservi obbligo di presentare la dichiarazione ma nessun debito d’imposta discendente da tale obbligo, se non vi sono redditi imponibili.

Sotto altro profilo, il contribuente, nella dichiarazione, non deve soltanto esporre fatti e dati, ma anche qualificarli giuridicamente, inquadrando il reddito nella categoria a cui appartiene.

Normalmente, la dichiarazione è un mero atto, ma può divenire un negozio giuridico, a determinati effetti (ad esempio ai fini di applicabilità delle norme civilistiche in materia di errore), qualora contenga delle dichiarazioni di volontà afferenti a delle opzioni esercitabili in base alla legge.

La dichiarazione ha una rilevanza procedimentale, poiché è sottoposta (salvo talune particolari circostanze, come l’accettazione senza modifiche del modello 730 precompilato) al controllo dell’amministrazione, che può procedere alla liquidazione automatica, al controllo formale o sostanziale; ha un rilievo probatorio, in quanto tutto ciò che non emerge dalla dichiarazione stessa deve essere provato dall’amministrazione finanziaria; ma non ha un rilievo confessorio, al contrario di quanto si riteneva in passato, in quanto non è applicabile ad essa la disciplina civilistica della confessione, mancando i presupposti per l’applicazione analogica di tale disciplina nel procedimento amministrativo d’imposizione, e non ha efficacia vincolante o di prova piena contro colui che l’ha resa, perché verte su diritti non disponibili, con conseguente inapplicabilità dell’art. 2733 c.c..

Rispetto al sorgere dell’obbligazione tributaria, alcuni considerano la dichiarazione come elemento della fattispecie costitutiva dell’obbligazione (teoria costitutiva), altri la considerano estranea al meccanismo legale che genera l’obbligazione (teoria dichiarativa).

La dichiarazione può infine costituire o titolo per la riscossione dell’imposta liquidata in base a quanto dichiarato (se genera un debito d’imposta) o titolo costitutivo di un credito del contribuente, se l’ammontare complessivo dei crediti di imposta, dei versamenti e delle ritenute è superiore all’ammontare dell’imposta netta sul reddito complessivo; tale credito può esser portato in compensazione rispetto all’imposta del successivo periodo di imposta o essere fatto valere con un’istanza di rimborso.

La dichiarazione può infine essere integrata in aumento (tramite rettifica con nuova dichiarazione, nel termine entro cui l’amministrazione finanziaria può rettificarla, e cioè normalmente entro la fine del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione da rettificare), ma anche in diminuzione, tramite correzione, e sempre e entro il sopra citato termine.

Se la rettifica avviene successivamente alla notifica di un avviso di accertamento essa opera inevitabilmente in sede contenziosa, ed è onere del contribuente dimostrare la fondatezza della sua rettifica, con possibilità di far valere, sia in sede amministrativa che processuale, gli errori, di fatto o di diritto, commessi a suo danno. 

Ai fini delle sanzioni amministrative, poi, si distingue tra dichiarazione omessa (dichiarazione non presentata o presentata oltre novanta giorni dalla scadenza), dichiarazione nulla (dichiarazione non redatta sul modello ministeriale o priva di sottoscrizione) e dichiarazione infedele o incompleta (se, rispettivamente, un reddito netto non è indicato nel suo esatto ammontare o è omessa l’indicazione di una fonte reddituale).

Nei primi due casi (dichiarazione nulla e dichiarazione omessa) l’amministrazione finanziaria, ad esito dei relativi controlli, può emettere un accertamento di ufficio, e dunque accertare il reddito globale delle persone fisiche con metodo sintetico, anziché – come sarebbe normale – con metodo analitico, e il reddito d’impresa e di lavoro autonomo con metodo induttivo-extracontabile, anziché, come sarebbe normale, con metodo analitico-contabile.

In tutti i casi consegue una sanzione amministrativa, che è fissata, in materia di Irpef e Irap, in un ulteriore importo dal 120 al 140 per cento dell’imposta dovuta – per la dichiarazione omessa o nulla – e un importo dal 90 al 180 per cento della maggiore imposta non dichiarata – per la dichiarazione infedele o incompleta, salve le eventuali sanzioni penali.


OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA E ACCERTAMENTO

Normalmente, l’iter di istruttoria e accertamento della fedeltà fiscale del contribuente, parte da un’attività di controllo che è affidata in via selettiva o sistematica alla Guardia di Finanza e agli uffici dell’Agenzia delle Entrate.

Con riferimento all’attività degli uffici, vi è una fase di liquidazione dell’imposta (controllo dell’esattezza numerica dei dati dichiarati), una di controllo formale o documentale, con il ricorso a procedure automatizzate (tale fase si limita alla verifica dei dati forniti del contribuente) e una fase di controllo sostanziale (vera e propria attività di indagine sulle dichiarazioni per l’identificazione dei documenti che devono corredare la dichiarazione).

Oltre all’obbligatoria indicazione del codice fiscale in alcuni atti della vita di tutti i giorni (con i dati più rilevanti di espressione di capacità contributiva che vengono acquisiti all’interno della banca dati centrale costituita dall’Anagrafe tributaria), sussiste altresì l’obbligo per alcuni specifici soggetti di comunicare all’anagrafe stessa determinate informazioni.

Ad esempio, gli uffici pubblici devono comunicare le notizie contenute negli atti da presentare allo sportello unico comunale per l’edilizia, le aziende e società devono comunicare i dati catastali identificativi dell’immobile in cui è attivata l’utenza, le banche e gli intermediari finanziari devono comunicare i dati identificativi di ogni soggetto che intrattenga con loro qualsiasi rapporto di natura finanziaria, o effettui per il loro tramite operazioni finanziarie.

L’attività di accertamento classica degli uffici finanziari comincia, dopo la scelta dei contribuenti da controllare – scelta che normalmente avviene sulla base di parametri generali stabili volta per volta -, con la liquidazione (entro l’inizio del periodo di presentazione della dichiarazione successiva) e il controllo formale (entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione), rispetto ai quali, in caso di correzione o rettifica, il contribuente deve essere messo in grado di interloquire, beneficiando eventualmente anche di rateizzazione delle somme dovute in più.

Dopo il controllo formale inizia la fase volta ad individuare proventi occulti, costi fittizi e documenti falsi (controllo sostanziale), che può inverarsi in una fase di verifica – anche tramite accesso presso luoghi nella disponibilità del contribuente “sospetto”, seppure, secondo lo Statuto del contribuente, in orari e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile dell’attività lavorativa del contribuente – e che si conclude con un processo verbale di constatazione, ovvero in un verbale che deve essere sottoscritto o comunque visionato dal contribuente – nel caso questi si rifiuti di apporre la sua firma – e che può dare l’avvio, non prima di 60 giorni dalla sua redazione, ad un avviso di accertamento.

Se l’accesso viene effettuato presso abitazioni private, occorre la previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, senza la quale le prove eventualmente raccolte tramite l’accesso sono inutilizzabili. 

Le altre attività di indagine consistono in richieste degli uffici e della guardia di finanza di documenti e dati o notizie a chiunque ne possa essere a conoscenza; se il soggetto richiesto dà informazioni o documenti falsi ne può rispondere penalmente ai sensi dell’art. 11, comma 1 del d.l. n. 201 del 2011.

Ulteriori ed efficaci indagini possono consistere in indagini finanziarie (ovvero sui rapporti bancari e di credito-debito intrattenuti con gli intermediari finanziari), per le quali, una volta che vi sia l’autorizzazione prescritta per legge, non può essere opposto il segreto bancario.

Vigono in materia due presunzioni.

Una presunzione relativa, secondo cui i prelevamenti (di contanti, o mediante bonifici bancari o emissione di assegni) operati dall’imprenditore sono considerati ricavi o compensi se il contribuente non ne indica il beneficiario.

La norma pone una doppia presunzione: che il prelevamento sia stato utilizzato per un acquisto non contabilizzato, inerente all’attività di impresa, e che al costo non contabilizzato corrisponda un ricavo pure non contabilizzato.

La Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’applicazione della norma nei confronti dei lavoratori autonomi, ritenendo irragionevole presumere che una somma prelevata sia stata utilizzata per l’acquisizione di fattori produttivi e che tali fattori abbiano prodotto compensi non fatturati, mentre l’ha salvata, come visto, con riguardo agli imprenditori, ritenendo al contrario non irragionevole ipotizzare che i prelievi ingiustificati siano destinati all’esercizio dell’attività di impresa.

La seconda presunzione consiste nel fatto che l’ufficio può fondare gli avvisi di accertamento sui dati bancari, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine. Questa presunzione ha natura generale.

Esiste inoltre la possibilità di compiere analisi di rischio effettuate incrociando in maniera anonima i dati a disposizione dell’Agenzia delle entrate, al fine di fare emergere posizioni da sottoporre a controllo e incentivare l’adempimento spontaneo.

A tali fini, il legislatore ha incluso le attività di prevenzione e contrasto all’evasione tra quelle di rilevante interesse pubblico, rispetto alle quali dunque il singolo non può invocare in senso ostativo motivi di privacy.



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